25/06/2015
| Sindacato.
Il rapporto, realizzato dalle associazioni “daSud”, “Terra! Onlus” e “Terrelibere.org” ricostruisce la filiera produttiva delle arance in Italia, un modello produttivo gestito da caporali e criminalità organizzata. Ecco i luoghi comuni più diffusi
(Gabriella Lanza)
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ROMA - Sono sfruttati per dieci ore al giorno nei campi e spesso non vengono neanche pagati. Eppure sono tanti i luoghi comuni a cui si ricorre per giustificare o semplicemente descrivere la condizione di sfruttamento dei braccianti nelle nostre campagne. Il rapporto “#FilieraSporca. Gli invisibili dell’arancia e lo sfruttamento in agricoltura nell’anno di Expo, curato dalle associazioni “daSud”, “Terra! Onlus”, “Terrelibere.org”, ricostruisce l’intera filiera della raccolte delle arance in Sicilia e Calabria, dai piccoli agricoltori alle grandi multinazionali, passando per i commercianti. Un percorso in cui si inseriscono gli interessi di caporali e criminalità organizzata e che può essere combattuto anche smentendo i falsi miti che ancora circolano su questo fenomeno.
“Gli italiani non vogliono più lavorare nei campi”. In molte zone del Sud, gli italiani continuano a lavorare in agricoltura, anche nelle mansioni più umili come ad esempio la raccolta delle olive o delle arance. Purtroppo, però, i compensi sempre più bassi (anche 10 euro al giorno) li stanno emarginando da questo mercato. Secondo il rapporto, anche i maghrebini, abituati a paghe da 50 euro, non accettano di essere sfruttati, mentre i lavoratori...