Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 05/05/2015
Sovranità popolare, diritti e riforme Istituzionali
Sovranità popolare, diritti e riforme Istituzionali
05/05/2015  | Sindacato.  

 

di Antonio Foccillo

 

Si è aperto, da tempo, nel dibattito politico una riflessione sul come cambiare la legge elettorale e le istituzioni, modificando anche la Costituzione vigente. La riflessione, in particolare, riguardava la proposta del governo, il c.d. “Italicum”, oggetto di giudizi diversificati fra chi la demonizzava e chi chiedeva, in termini dogmatici, che doveva essere approvata così com’è, attraverso il voto segreto. Nella storia della Repubblica l’approvazione di una riforma elettorale a voto segreto è avvenuta solo in due casi, uno dei quali fu all’epoca della legge truffa e l’altro ai tempi di Mussolini. Dato che sono tematiche che riguardano tutti, anche io ho voluto soffermarmi sulla vicenda, senza nessuna presunzione e senza nessun pregiudizio ideologico. Quello che mi preme sottolineare è come questi disegni si rapportano al fondamento costituzionale della sovranità popolare. Oggi al termine sovranità corrisponde una quantità di interpretazioni e tante sfumature che giuristi, filosofi e politici, nel corso del tempo, le hanno dato senza definirne in modo certo il concetto.

 

La Costituzione (1) italiana recita “La sovranità appartiene al popolo” che può scegliere i suoi delegati all’amministrazione dello Stato. In sostanza solo i cittadini hanno il diritto di scegliere chi sarà delegato a rappresentarli. Questo diritto è stato carpito ai cittadini già con le precedenti riforme elettorali, l’ultima della quale è stata giudicata anticostituzionale dalla Corte Costituzionale.

 

L’Italicum fonda un sistema elettorale di cooptati, e rende impossibile sostanzialmente l’esercizio del potere sovrano del popolo non solo nell’effettuare una scelta, ma anche nel cambiarla qualora non soddisfi le aspettative. Secondo tale proposta quindi il popolo non deve avere alcun potere di controllo, il che sancisce la sua sostanziale perdita di sovranità, che consiste nella possibilità di scegliere, controllare e cambiare la rappresentanza politica.

 

Un vulnus alla sovranità popolare, negli ultimi anni, è stato già inferto all’Italia, con il Governo tecnico di Monti soprattutto perché si è ceduto ad una scelta imposta dai cosiddetti mercati, tuttavia, in quel frangente, la sovranità è rimasta in mano al Parlamento, che in primis ha accordato la fiducia a quel governo restando comunque libero di approvare o meno le leggi proposte dal governo dei tecnici. In realtà è avvenuto che mentre i tecnici salvavano l’Italia portandola in recessione, i cittadini erano assolutamente inermi di fronte ad un Parlamento che approvava quasi all’unanimità leggi ampiamente antipopolari, con inasprimenti fiscali al limite dell’esproprio. E’evidente che in questo caso il problema non consiste nella cessione della sovranità ad un governo, seppure tecnico, ma nella cessione della fiducia al sistema elettorale, che non permette al popolo di controllare l’operato dei propri rappresentanti. Poi con l’avvento dell’Europa Unita alcuni pezzi di sovranità nazionale sono stati ceduti agli organismi europei e non dal popolo del singolo Paese ma dallo Stato, perché oggi il sovrano è lo Stato, ovvero gli eletti. I cittadini sono tali solo di fronte alla Costituzione, ma sono sudditi di fronte allo Stato, agli eletti.

 

Infine gli ultimi tre Governi (Monti, Letta, Renzi), non hanno avuto nessuna legittimazione dai cittadini, tuttavia, come è statuito nella Costituzione, la legittimazione del Governo avviene attraverso il voto Parlamentare. Quindi formalmente sono in carica ma sostanzialmente non hanno avuto il gradimento degli elettori.

 

Per tutto ciò siamo oggi di fronte ad un sistema che neutralizza quasi del tutto ciò che resta del potere di scelta dei cittadini con un aggravio dovuto ad una legge elettorale che coopta i parlamentari e di fatto trasferisce quasi interamente la sovranità popolare ai segretari di partito. Questo sistema viene peggiorato ancora di più con la nuova legge del Governo Renzi che, così come è concepita, potrebbe indurre a pensare di provocare un mutamento dell’ordine costituzionale nella forma di una rottura violenta. Non crediamo che sia così, ma certamente, un mutamento netto dell’ordine costituzionale sta avvenendo nel contesto di una realtà ancora almeno formalmente democratica, ma successivamente negli anni non si può essere certi che il passaggio ad un altro assetto politico mantenga in vita ciò che rimane della prassi e dei caratteri democratici, per i troppi poteri che questa legge da alla maggioranza ed al premier.

 

Assistiamo con questi tentativi legislativi e di prassi di privatizzare e comprimere i soggetti della democrazia, bisogna reagire per ricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione. Come pure bisogna mantenere, in un sistema che ancora voglia essere democratico, pesi e contrappesi, per evitare la dittatura della maggioranza. Scriveva Mill che: “il rischio maggiore per la democrazia era il dispotismo mentale. Per non contraddire il potere del conformismo, si diffonde una sorta di pacificazione delle menti che sacrifica il coraggio morale e intellettuale. Quando la paura dell’eresia conduce anche le menti più critiche al silenzio, la vita intellettuale del popolo muore perché la verità trae alimento dal dialogare libero e contraddittorio.”(2) Tutto questo fotografa quello che sta avvenendo oggi in Italia dove prevale il conformismo e viene meno la possibilità di dialogo e di dissenso.

 

E ancora Popper: “La mia convinzione è che ogni teoria della sovranità trascura di affrontare una più fondamentale questione: la questione, cioè, di sapere se non dobbiamo sforzarci di realizzare un controllo istituzionale dei governanti bilanciando i loro poteri mediante la contrapposizione di altri poteri. Questa teoria dei freni e dei contrappesi può almeno pretendere un’attenta considerazione”(3).

 

E’ proprio quello che chiedevamo al Parlamento e alle forze politiche, prima di approvare questa legge elettorale. Ma purtroppo non è andata così.

 

Oggi, più che modifiche elettorali andrebbero ristabilite le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nell’imbarbarimento. Viceversa le azioni di una parte rilevante del ceto politico italiano giustificano le ragioni dell’antipolitica e la qualità della rappresentanza risulta profondamente degradata e di fronte a questo ulteriore processo degenerativo nelle élite al potere non sono nati anticorpi adeguati, bensì spesso collusioni interessate. Tutti sintomi che sembrano preparare ad una riduzione del sistema democratico partecipativo. L’alternativa proposta a questa crisi di legittimità, che prescinde dall’analizzarne le ragioni strutturali e le conseguenze pericolose, è ridurre il peso della rappresentanza sostituendo alla politica partecipata la leaderschip della persona sola al comando, come se questa fosse neutra e di per sé legittima.

 

Tralasciando di fare discorsi sulla perdita dei valori, sul decadimento della morale sulla fine di quei sentimenti di collaborazione e di solidarietà sociale dobbiamo valutare come si sono formate le nuove esperienze circa la rappresentanza, che, è bene premetterlo, essendo uno strumento non è presentato né deve essere percepito come soluzione della crisi politica.

 

Nella realtà sociale che, senza essere succube degli addomesticamenti dei mass media, ancora si interessa di politica emerge la necessità di una profonda riscrittura del Patto Sociale e dunque dell’Alleanza Costituzionale, attraverso la più ampia partecipazione dei cittadini per individuare valori, strumenti, istituzioni e legislazione che possa essere il fondamento della nuova convivenza.

 

Oggi però le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo. Sono gli effetti odierni della lunga crisi iniziata nel mondo nel 2007 e sull’altare dell’emergenza si è rischiato di immolare la democrazia europea, dove l’imposizione da parte dei burocrati europei della chiusura dello spazio per una vera democrazia compiuto con la costituzionalizzazione dell’austerità, blocca qualunque proposizione di modelli economici, sociali e politici alternativi. Così tutti noi siamo diventati spettatori inermi di una rivoluzione dall’alto che, facendo svanire concretamente la sovranità del popolo, ha innestato la crisi della democrazia che stiamo vivendo. Possiamo dire che, concretamente, la sovranità popolare viene meno quando il risultato di un referendum viene disatteso o quando la definizione e la formazione della realtà economica e politica viene spostata in spazi inaccessibili al controllo della cittadinanza.

 

In un Paese in cui “le disuguaglianze sono divenute ormai insopportabili”, abbiamo vissuto una regressione politica e culturale molto forte in materia di diritti e il dilatarsi della distanza tra ceto politico e società. Negli Anni Settanta ci fu una grande affermazione dei diritti civili e la legislazione italiana era la più avanzata d’Europa. Ora siamo non solo fanalino di coda, ma lontani culturalmente dai paesi che esercitano la loro leadership in Europa. La mancanza di credibilità della nostra classe politica, fondata sulla diffusa avversione che sta riscuotendo, ma soprattutto la mancanza di capacità di decidere per il bene comune dovrebbero spingere a ridefinire le regole del gioco nella piena partecipazione e dopo un confronto molto ampio, senza farsi prendere dalle fregole della velocità, proprio perché tali regole devono essere accettate da tutti.

 

Per finire Sovrano è colui che decide. Carl Schmitt nella sua opera conferma ciò (4). Il cittadino, allora, è davvero sovrano solamente quando può partecipare direttamente alle scelte fondamentali della Città alla quale appartiene. Se al suo posto sono altri a decidere, magari istituzioni bancarie, compagnie assicurative, proprietà di giornali a queste fortemente intrecciate, lobby economiche-politiche, consorterie finanziarie transnazionali poco palesi, è evidente che dire che sovrano è il popolo è un artifizio retorico e mistificante.

 

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1 L’art. 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica, fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione

 

2 John Stuart Mill, Saggio sulle libertà, Milano, il Saggiatore, 1981

 

3 Karl Raimund Popper, la società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario, Roma, Armando editore, 1973

 

4 C. Schmitt - La Dittatura, Laterza, 1975