I mediatori culturali che dovrebbero fare da traduttori in carcere sono pochissimi: a Regina Coeli solo 4 per 450 carcerati. E per allentare le tensioni, svela la direttrice, si usa spesso il servizio gratuito del motore di ricerca
© Copyright Redattore Sociale
Roma, 3 febbraio 2015 - "Per poter allentare le tensioni negli istituti quando i detenuti entrano ed escono e non abbiamo l'aiuto prezioso dei mediatori usiamo il traduttore di Google". Succede nel carcere di Regina Coeli a Roma e a raccontare l’espediente è la stessa direttrice dell’istituto, Silvana Sergi, durante il suo intervento alla presentazione del libro di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dal titolo "Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti", presentato oggi in una Roma blindata per l’insediamento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Tra i tanti nodi da sciogliere all’interno del pianeta carcere, quello degli stranieri non è da sottovalutare, soprattutto in quegli istituti dove la loro presenza supera persino quella degli italiani. Come nel carcere di Regina Coeli, dove la presenza di stranieri reclusi si aggira intorno al 55 per cento e i mediatori culturali presenti (solo 4 per circa 450 detenuti) non bastano a rispondere alle esigenze della struttura. “Se non abbiamo l’interprete della procura – ha affermato Sergi -, e se non ci sono i mediatori in sede noi ci siamo inventati la traduzione di Google perché non abbiamo la possibilità di avere sempre questo tipo di aiuto. A Regina Coeli l’ingresso e l’uscita avviene nell’arco delle 24 ore, anzi la sera è il momento privilegiato”.
Una situazione, quella del carcere romano, che mette ben in evidenza il ruolo fondamentale svolto dai mediatori culturali che, ad oggi, lavorano solo con piccoli bandi e sono legati ad associazioni e cooperative e non direttamente agli istituti di pena. “I mediatori culturali sono assolutamente pochi – ha chiarito Patrizio Gonnella -. Non possono reggere il peso della quantità di detenuti stranieri presenti in carcere. Sono 379 in tutt'Italia, meno di due mediatori ogni cento detenuti stranieri. Di fronte ad una utenza straniera così significativa, parliamo di un detenuto straniero su tre, dovrebbe esserci un grosso investimento e anche una definitiva internalizzazione nel sistema penitenziario e nel sistema delle figure professionali”.
E il ruolo dei mediatori lo si capisce bene quando sono loro stessi a raccontare le difficoltà su cui intervengono. "Spesso i detenuti italiani non capiscono la terminologia di un atto ad esempio di una custodia cautelare – ha spiegato Natalia Moraro, mediatrice culturale per l’associazione Medea -, figuriamoci una persona straniera. Per questo il mediatore dovrebbe essere presente per lo meno al servizio nuovi giunti. Nel momento in cui entra uno straniero in un istituto penitenziario è necessario che ci sia un mediatore per dare qualche spiegazione sul regolamento e sui comportamenti da tenere all’interno dell’istituto. La figura del mediatore dovrebbe essere presente sempre, non solo una volta alla settimana".
A chiedere un investimento maggiore su queste figure anche l’Europa. “La raccomandazione del 2012 del Consiglio d’Europa ci dice che bisogna investire in mediatori culturali, interpreti e traduttori – ha aggiunto Gonnella -, perché è un problema di tutta l’Europa. Non possiamo pensare di avere un’organizzazione tutta pensata per un detenuto che non esiste più, il detenuto italiano, e non tradotta nella lingua delle persone che ci sono dentro. Questo aumenta la conflittualità”. Per Sergi, però, è necessario che le buone pratiche possano trasformarsi in norme e non restare unicamente in balia della buona volontà. “Serve una riflessione puntuale che ci deve portare ad un discorso di livello giuridico – ha concluso Sergi -. Il problema deve essere riconosciuto dalle norme. Per noi è necessario un input normativo che ci aiuti a istituzionalizzare queste situazioni e non lasciarle solo alle buone prassi e alla buona volontà”. (ga)