Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 23/01/2015
I disperati alla porta sud della Fortezza
I disperati alla porta sud della Fortezza
23/01/2015  | Sindacato.  

 

repubblica inchieste

 

di TOMASO CLAVARINO, http://inchieste.repubblica.it/

 

MELILLA (*), 22 gennaio 2015 - Mamadou sta seduto su una roccia, lo sguardo rivolto verso il mare, il cappuccio della felpa sulla testa per proteggersi dal vento. Ha diciassette anni e viene dal Mali, e da quattro mesi è tra i circa quattromila abitanti di quella che è una vera e propria tendopoli sulle pendici di una montagna impervia, esposta ad ogni tipo di intemperia. Tende fatte di sacchi di plastica, coperte raccolte dai bidoni dell'immondizia, piccoli falò per riscaldarsi, e nulla più.

 

Scappato dalla guerra nel nord del Mali, dalla povertà, dalla violenza e dalla fame, Mamadou ha attraversato Mauritania e Algeria prima di raggiungere questo monte che si erge di fianco alla città marocchina di Nador e guarda dall'alto la piccola enclave spagnola di Melilla, la porta d'Europa in Africa.

 

Qui ha incontrato migranti provenienti da buona parte dell'Africa subsahariana. Ci sono Maliani, Senegalesi, Camerunensi, Liberiani, Ghanesi, Guineensi, tutti giunti su queste pendici rocciose con un unico obiettivo: superare il muro che divide il Marocco da Melilla. Una tripla barriera di 12 chilometri, controllata da dozzine di telecamere e pattugliamenti continui da parte della Guardia Civil spagnola. Una fortezza apparentemente inespugnabile, ma non per queste persone in fuga da una vita di stenti che sognano un futuro migliore. Tre o quattro volte alla settimana i migranti scendono a ondate dal Monte Gurugu e, dopo aver studiato la posizione delle guardie, provano a saltare il muro. Quelli che ce la fanno vengono portati al CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes), un centro di primo soccorso sull'orlo dell'esplosione con quasi duemila persone in spazi studiati per al massimo cinquecento, in attesa di conoscere il loro destino, gli altri, fermati dalla Guardia Civil, vengono rispediti immediatamente in Marocco dove finiscono nelle mani delle forze di sicurezza di Rabat. 

 

"Una chiara violazione delle leggi internazionali - spiega José Palazon, un attivista di Melilla - che espone i migranti a nuove violenze in un Paese che non rispetta i diritti umani. Ogni volta che c'è un tentativo di salto del muro, centinaia di migranti rimangono feriti, non dalla barriera di ferro, ma dai bastoni della polizia marocchina". E' questo il più grande incubo dei migranti in attesa di entrare a Melilla: la polizia marocchina. Lo è sia di quelli che vivono tra gli alberi sul monte Gurugu sia di quelli che si nascondono nelle periferie delle città del Marocco in attesa di arrivare in Europa (circa 80mila persone secondo una recente stima).

 

L'intervento dei soldati. "Quasi ogni giorno all'alba, i soldati marocchini lasciano la loro base ai piedi del Gurugu e vengono a distruggere il nostro accampamento e tutte le nostre cose", racconta Idriss che a stento riesce a camminare a causa dei colpi ricevuti da parte dei soldati. "Abbattono le tende, le bruciano, gettano via il poco cibo che abbiamo messo da parte, ci rubano i soldi, i telefoni, e se riescono a prendere qualcuno di noi lo arrestano, lo picchiano e lo portano a Rabat. Cadiamo dai dirupi, molti di noi si rompono braccia e gambe, non abbiamo medicine con le quali curarci. Abbiamo smesso di contare i morti".

 

Mamadou porta addosso ancora i segni dell'ultimo pestaggio ricevuto, sull'avambraccio sinistro, una larga ferita da poco cicatrizzata. Freddo, fame, disagi e violenze sono all'ordine del giorno sul Monte Gurugu. Un monte che ogni anno che passa sembra sempre più un girone dantesco, dove solo tre o quattro ragazze hanno il coraggio di vivere invece di unirsi alle donne nascoste nelle foreste di Selouane in attesa di una piccola barca che le possa portare, con i loro figli, sulla spiaggia di Melilla. 

 

Non tutti i migranti infatti provano ad entrare a Melilla saltando il muro. Quelli che lo fanno sono i più disperati, quelli che hanno speso tutti i soldi racimolati prima della partenza durante il viaggio fino a qui, quelli ai quali i soldi sono stati rubati dalla polizia e dai soldati, dalla mafia che controlla il traffico di migranti. Quelli che se lo possono permettere provano ad arrivare a Melilla via mare, o comprando passaporti falsi (per lo più le persone provenienti dal Medio Oriente e dagli altri paesi nord africani). Altri pagano duemila euro per un passaggio in auto. Ma non nel sedile del passeggero, bensì nel doppiofondo del bagagliaio, vicino al motore, al tubo di scappamento. "Un rischio enorme per la vita, queste persone rimangono ore senza aria, a temperature elevate  -  spiega Juan Antonio Martin Rivera, luogotenente della Guardia Civil - Da quello che sappiamo solamente qui i migranti provano ad attraversare la frontiera in questo modo". 

 

Lo stesso sogno. Tutti hanno lo stesso sogno: l'Europa. Un'Europa che invece non li vuole, che chiude gli occhi davanti alle violenze, sia marocchine che spagnole, sempre più spesso denunciate dalle ong. Secondo Abdelmalik El Barkawi, delegato del governo spagnolo a Melilla, "l'enclave sta affrontando una pressione migratoria senza precedenti" e probabilmente è per questo motivo che il governo di Mariano Rajoy non ha detto nulla sulla nuova, ulteriore, barriera che il Marocco sta costruendo attorno a Melilla. Un muro con filo spinato che, secondo alcuni giornali locali, sarebbe stato finanziato con parte dei cinquanta milioni di euro ottenuti dalla Spagna dall'Unione Europea per rafforzare le proprie frontiere. "Affermazioni prima confermate e poi smentite da Madrid", dice padre Esteban Velazquez, gesuita, uno dei pochi a fornire aiuto ed assistenza ai migranti che si trovano in territorio marocchino.

 

Abbandonati a se stessi, intrappolati alle porte dell'Europa, vittime impotenti di violenze continue, i migranti sub sahariani "sono costretti anche ad affrontare deportazioni illegali da parte del governo spagnolo. Quando un migrante passa la frontiera si trova in territorio spagnolo e non può essere rimandato in Marocco. Ha il diritto di avere a disposizione un traduttore e un avvocato, e può fare richiesta d'asilo. Il governo di Madrid non ha alcun diritto di riportare i migranti in un Paese nel quale la loro vita è in pericolo", afferma Teresa Vazquez Del Rey, avvocato del CEAR (ComisionEspanola de Ayuda al Refugiado).

 

A un centinaio di chilometri da Nador e Melilla c'è la città di Oujda, un'area di transito per molti migranti sul confine algerino. Qui la vita per le persone in attesa di partire per l'Europa sembra essere leggermente migliorata da quando, nel settembre 2013, il governo marocchino ha deciso di dirottare i migranti arrestati a Nador non più qui, ma a Rabat. "Prima le violenze erano quotidiane", racconta Abdullah, 35 anni dal Burkina Faso. "Molte persone stanno iniziando a capire che tentare di arrivare in Europa è davvero troppo pericoloso. Quindi in centinaia hanno fatto domanda per un permesso di residenza qui in Marocco per provare a vivere e lavorare nel Paese". La maggior parte dei migranti di Oujda vivono al FAC, una sorta di piccolo campo fatto di tende allestito all'interno del campus dell'Università Mohamed I. Sono aiutati dagli studenti e il clima che si respira sembra apparentemente calmo. Tuttavia i giornalisti non sono i benvenuti perché qui la presenza della mafia nigerina, che controlla il traffico di uomini e donne, è molto forte.

 

Sceriffi. Perché, allora, la situazione nella quale si trovano a vivere i migranti a Oujda e a Nador è così diversa? Padre Esteban Velazquez non ha dubbi: "Perché a Nador, e nella vicina Beni Ensar, c'è la frontiera spagnola e il governo di Madrid ha delegato il ruolo di sceriffo alla polizia marocchina".

 

Violenze, mafia, arresti, nulla sembra essere in grado di scalfire la forza di volontà di queste persone, di questi migranti che da più di cinque anni vivono e si nascondono in Marocco, su di un monte, per riuscire ad entrare a Melilla. "Un mio amico, Moussa, è stato sul Gurugu per cinque anni, ha provato sessantasette volte a saltare il muro" racconta Ibrahim mentre gioca a carte in una piccola tenda adibita a casinò sulle pendici del monte. "La sessantottesima volta ce l'ha fatta. Possono trattarci come animali, picchiarci, rubarci tutto, ferirci, anche ucciderci, ma non sanno da cosa scappiamo e non sanno quanto sia forte il nostro desiderio di arrivare in Europa. Non abbiamo nulla da perdere, nemmeno la nostra vita".

 

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(*) enclave spagnola in territorio marocchino