Nel 2014 sono sbarcati in Italia 166mila immigrati, ma solo 70mila hanno presentato domanda di asilo: gli altri usano il nostro Paese come corridoio per arrivare nel Nord Europa dove vogliono effettivamente andare. Fanno di tutto per non essere registrati: sarebbero costretti a fermarsi in Italia, come previsto dal Regolamento di Dublino. Una omissione che avviene spesso con il tacito assenso delle nostre autorità che si liberano così di molti stranieri
di GIULIA CARRARINI, TOMASO CLAVARINO e ALBERTO CUSTODERO, video di GIULIA CARRARINI e TOMASO CLAVARINO
Un patto non scritto che conviene a tutti
di GIULIA CARRARINI e ALBERTO CUSTODERO, http://inchieste.repubblica.it/
ROMA, 22 gennaio 2015 - Gli sbarchi di stranieri in Italia, nel 2014, sono stati centosessantaseimila (altri 459 sono arrivati nella prima settimana del 2015). Per la maggior parte si tratta di siriani e eritrei in fuga dai conflitti dei loro paesi. Le domande di asilo, settantamila. Ciò significa che la maggior parte dei migranti sbarcati in Italia non è stata identificata. Centomila "invisibili" - così sono stati soprannominati - sono (o sono stati) presenti fisicamente sul nostro territorio. Ma non risultano in "banca dati". Ci sono, ma ufficialmente non esistono. E per questo nessuno sa nulla di loro. Stando alle fonti del Viminale, gli "eventi migratori illegali" registrati nei primi 10 mesi del 2014 sono stati 945. Centotremila sono sbarcati in Sicilia (31 mila nel 2013), quasi tutti partiti dalla Libia (128 mila), 15 mila in Puglia (884 nel 2013), 20 mila in Calabria (3 mila nel 2013). A Lampedusa ne sono arrivati 4 mila contro i 13 mila dell'anno prima. Dei 149 mila, la maggior parte sono siriani (35 mila contro gli 11 mila del 2013) seguiti dagli eritrei (33 mila contro i 10 mila del 2013).
Poiché il Regolamento di Dublino III prevede che venga rispedito nel nostro Paese uno straniero foto-segnalato in Italia se fermato ad esempio in Germania, Francia o Svezia, la non-identificazione è tanto interesse degli stranieri quanto dell'Italia. Interesse dei migranti, perché altrimenti non riescono a ricongiungersi con i propri connazionali (comprensibile dunque che rifiutino in tutti i modi di farsi identificare da noi). Interesse dell'Italia, perché così si "libera" della gran parte degli stranieri: non li identifica a patto che se ne vadano. Patto non scritto, s'intende. Ma questo nostro modus operandi ha fatto arrabbiare l'Europa che, in estate - incredibilmente proprio mentre all'Italia toccava la Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea - ha protestato energicamente con il nostro governo.
Colabrodo. I motivi della presa di posizione europea si intuiscono dalle statistiche ufficiali di Eurostat (ultimi dati disponibili aggiornati a giugno 2014): cinquecentomila domande di asilo sono state presentate in Europa nei dodici precedenti mesi. Questo dato dimostra che sono un colabrodo le frontiere europee (quindi anche quelle via terra del Nord-Est, e non solo quelle via mare del Sud, compresa la "porta" africana di Melilla). E conferma che l'emergenza degli "ingressi illegali" riguarda l'intera Europa. E non solo l'Italia. Secondo quei dati Eurostat, le richieste d'asilo in Germania negli ultimi dodici mesi (giugno 2013, giugno 2014) sono state 153mila (470 per milione di abitanti), in Svezia 67mila (la più alta proporzione rispetto alla popolazione, 1960 per milione di abitanti), in Francia 64mila (235 per milione di abitanti). In Danimarca "solo" 7mila domande, ma i migranti sono 470 per milione di abitanti. Visti questi numeri, va da sé che gli stati europei preferiscano che i centomila in transito nel nostro Paese se ne restino in Italia. E va da sé che l'Italia abbia un interesse diametralmente opposto: evitare che chi vuol raggiungere altri stati resti "bloccato" in Italia. Di qui, la tensione politica dell'estate scorsa.
Il problema, del resto, non è certo di polizia, ma politico e rientra nelle sempre più pressanti richieste di modifica del Regolamento di Dublino III che dovrebbero consentire al profugo di scegliere lo stato di destinazione: soluzione caldeggiata dagli stati del Sud Europa, compresa l'Italia (che avrebbe potuto approfittare del suo semestre di guida, ma non l'ha fatto). E fortemente osteggiata da quelli del Nord.
Bacchettate. Per Khalid Chaouki, deputato Pd, coordinatore "Intergruppo parlamentare immigrazione", "l'Italia per avere voce in capitolo e cambiare il "regolamento di Dublino III" deve innanzitutto rispettarlo, anche e soprattutto per garantire i più vulnerabili che, perdendosi nelle maglie della non identificazione, rischiano di cadere vittime della tratta e dello sfruttamento". "Garantire l'identificazione dei richiedenti asilo, però - aggiunge Chaouki - significa spesso andare contro la loro stessa volontà. Molti rifugiati, infatti, manifestano la loro intenzione di non lasciare le proprie impronte digitali al fine di trasferirsi in altri paesi europei e ricongiungersi con eventuali parenti".
Di fronte alle bacchettate europee alle autorità italiane, il ministero dell'Interno ha reagito il 23 settembre con una circolare che disponeva la distribuzione di 162mila volantini informativi in diverse lingue agli stranieri appena arrivati, ammonendoli che, se si fossero rifiutati di essere identificati, la polizia li avrebbe foto-segnalati "con l'uso della forza". E li avrebbe denunciati all'autorità giudiziaria. Il volantino non spiegava come fosse possibile denunciare delle persone prive di identità. Inoltre, conteneva una incredibile stranezza solo per gli stranieri francofoni: l'avviso che, oltre ai rilievo delle impronte digitali, sarebbero stati sottoposti all'acquisizione delle "impronte dei palmi delle mani" (des palmes des mains). Peccato che le impronte palmari, a causa di problemi informatici, al momento non possano essere usate per le comparazioni. Ma tant'è.
Volantini. Due giorni dopo la circolare sui volantini, il Viminale emetteva una seconda circolare con le "indicazioni operative" alle questure italiane per la regolarizzazione mediante foto-segnalamento e rilievi dattiloscopici tutti gli "ingressi illegali". Le circolari del Viminale hanno svegliato un po' le questure, ma è rimasto il fatto che non è possibile materialmente obbligare qualcuno a farsi sottoporre a foto-segnalamento. Nella pratica, le due iniziative del ministero dell'Interno hanno sortito due effetti negativi. Il primo è che ha messo in difficoltà le forze dell'ordine perché non hanno strumenti e mezzi per foto-segnalare tutti i migranti. Il secondo è che ha spaventato i migranti che, temendo il possibile uso della forza nei loro confronti, sono stati ancor più incentivati a opporre resistenza, oppure a sottrarsi a ogni controllo non appena messo il piede in Italia.
A quasi tre mesi dalle due circolari del Viminale sul foto-segnalamento, (all'epoca gli "ingressi illegali" erano 130mila), sono stati registrati altri 36mila sbarchi. E la prassi di non identificare tutti gli stranieri, ma solo una minima parte, continua. Lo conferma Desio De Meo, dell'organizzazione "Farsi Prossimo": è il responsabile del centro di accoglienza "Casa Suraya", una delle strutture che a Milano accolgono i profughi siriani di passaggio in città. "Chiediamo ai nostri ospiti se siano stati foto-segnalati da qualche parte - racconta - E la risposta è sempre 'no'". Certo è che i flussi migratori si sono praticamente triplicati nel corso del 2014 rispetto all'anno precedente. Per fronteggiare un'emergenza di simili proporzioni sarebbe stato necessario garantire un adeguato investimento di uomini e mezzi, anche con il contributo dell'Europa. E invece il dibattito politico è stato praticamente tutto assorbito e ridotto al superamento di Mare Nostrum con Triton.
Un piano nazionale. "In Italia - denuncia Daniele Tissone, segretaio Cgil-Silp - nonostante tante chiacchiere, non abbiamo ancora un piano nazionale per la gestione dell'emergenza immigrazione. Ciò genera una gestione dell'accoglienza in una situazione, questa sì, di continua emergenza". "La prova della mancanza di un piano arriva dai Cie: dei tredici previsti in Italia, ce ne sono in funzione cinque o sei operanti al 50 per cento che ospitano (a fronte di decine di migliaia di "ingressi illegali") circa 400 stranieri in attesa di indentificazione e espulsione". "Negli ultimi anni - conclude Tissone - il 60 per cento di tutti i migranti "irregolari" rintracciati sul nostro territorio, pur essendo transitati nei Cie, di fatto è rimasto in Italia, segno del fallimento dell'obiettivo che si era posto il legislatore. Oggi, meno del 50 per cento degli stranieri chiede asilo in Italia, gli altri si rifiutano. E noi cosa dovremmo fare secondo il Viminale? Denunciare chi si oppone all'identificazione e intasare le procure? Senza contare che a volte può capitare che i rilievi fotografici fatti dalle nostre scientifiche siano inseriti nella banca dati nazionale che non dialoga con quella europea".
Sulla stessa linea il sindacato indipendente Coisp. "A metà dicembre, a Padova - tuona Franco Maccari - cinquantaquattro stranieri si sono rifiutati di farsi foto-segnalare. Mi fa ridere pensare che dovremmo denunciarli se non sappiamo chi sono. Di questi, quarantadue nella notte si sono dileguati". "Al Brennero - continua il leader Coisp - è un disastro, una Lampedusa di montagna: la polizia austriaca si piazza sui treni e rispedisce indietro tutti i migranti che arrivano dall'Italia. E il Viminale cosa fa? Chiude 267 uffici, ottanta dei quali della Polizia ferroviaria. E poi distribuisce quei volantini che ci hanno creato solo disagi e difficoltà".
Finanziamenti. Per Giuseppe Tiani, segretario del Siap, "la carenza di uomini e mezzi rende di fatto impossibile foto-segnalare tutti gli stranieri. Penso che per affrontare questo problema servano finanziamenti straordinari. Ma alla luce di quanto è emerso nell'inchiesta "Mafia Capitale", penso che i fondi debbano essere gestiti dalla polizia". Per Lorena La Spina, segretario dei Funzionari di polizia, "il notevole aumento dei flussi migratori ha complicato enormemente l'organizzazione dei servizi di foto segnalamento sul territorio, ad esempio in prossimità dei punti di arrivo o smistamento, così da ridurre possibilità di fuga e di elusione. Si tratta di un'attività molto difficile da compiere senza la collaborazione degli interessati, con particolari criticità per i nostri operatori. Anche per questo sarebbe auspicabile una modifica del Regolamento di Dublino, che potrebbe favorire proprio la partecipazione da parte degli stranieri alle procedure di identificazione, con effetti positivi sulla sicurezza del nostro Paese e dell'intera Europa".