Guglielmo Loy: comunicato Stampa del 12/12/2014
Il migrante ha una laurea? In Italia non viene Così il Paese spreca una risorsa enorme
Il migrante ha una laurea? In Italia non viene Così il Paese spreca una risorsa enorme
12/12/2014  | Sindacato.  

 

espresso

 

Il grado di istruzione di chi lascia il proprio Stato aumenta. Ma noi non sfruttiamo questa risorsa perché offriamo posti di lavoro poco qualificati. E chi ha la possibilità di scegliere cerca fortuna altrove

 

Di Paolo Fiore

 

Altro che terra promessa. L'Italia è, bene che vada, una porta d'ingresso verso l'Europa. Perché i nuovi migranti, sempre più istruiti, quando possono scelgono altre destinazioni.

 

Il popolo dei migranti è lontano dall'iconografia degli sbarchi. Anche chi sceglie un altro Paese in base a una specifica posizione lavorativa è un migrante. Ne viene fuori un quadro sfaccettato. Con una costante: né i migranti per scelta né i disperati del mare guardano all'Italia come all'Eldorado.

 

Mettendo da parte per un momento l'aspetto umanitario, si tratta di un'opportunità persa. Anche alla luce di un dato: nel 2011, su 113 milioni di migranti dell'area Ocse, ce n'erano 35 con una formazione universitaria. Quasi uno su tre.     

 

Un'opportunità per i Paesi che questi migranti li accoglie. Un'opportunità che l'Italia si sta facendo sfuggire. È il quadro che emerge da due documenti dell'Ocse: l'International migration outlook e il Social, Employment and Migration Working Papers.

 

In dieci anni, i migranti con una laurea sono aumentati del 70%. L'Italia non è in controtendenza: il numero degli stranieri residenti con alti livelli di istruzione è raddoppiato. Peccato però che l'Italia sia uno dei pochi Paesi (assieme a Irlanda, Giappone e Messico) nei quali la percentuale di migranti altamente istruiti si è abbassata. Nella classifica Ocse, l'Italia contende alla Slovenia l'ultima piazza. Nel nostro Paese solo un immigrato su nove è laureato. Tradotto: nonostante il popolo dei migranti sia sempre più istruito, in Italia arrivano soprattutto stranieri senza il pezzo di carta. Nel più classico gatto che si morde la coda, i posti di lavoro offerti ai migranti sono poco qualificati. Capita di incontrare Anil, venditore di rose indiano con studi di ingegneria. O Qiang, un ragazzo cinese che gestisce un bar a Milano con una laurea in economia internazionale in tasca. E così, chi ha alle spalle anni di studio e la possibilità di scegliere preferisce tentare la fortuna altrove.  

 

Colpisce la cronica incapacità di fare passi avanti. La percentuale dei laureati tra i migranti che risiedono in Italia da più di 5 anni è identica a quella degli arrivi recenti. La media Ocse ha un altro passo: meno di 30 laureati su 100 tra i migranti di vecchia data; quasi 40 tra i nuovi.  

 

In Australia, Canada, Regno Unito, Israele, Lussemburgo, Nuova Zelanda ed Estonia, la percentuale di lavoratori altamente istruiti nati all'estero supera quella dei meno qualificati.

 

La crisi pesa. Nel 2013 il tasso di disoccupazione tra gli immigrati è salito al 17%, oltre quello di coloro che l'Ocse definisce “nativi”. Nel 2003, un double deep fa, c'era stato uno storico sorpasso: con un tasso del 6%, la disoccupazione degli immigrati era stata inferiore a quella di chi in Italia ci era nato.

 

E così la recessione, con buona pace degli urlatori che additano l'invasore alle porte, spaventa più dei leghisti. E rappresenta un muro d'ingresso senza cemento. I migranti che sono arrivati in Italia nel 2012 e hanno deciso di rimanerci sono stati 321.300. Il 10% in meno del 2011. Eppure la percentuale degli stranieri residenti, che pagano le tasse al Fisco, non è mai stata così alta.

 

Perché, nonostante tutto, c'è ancora chi crede nell'Italia. Sono quei genitori stranieri che hanno deciso di avere un figlio pur sapendo che, nato su suolo italiano, non sarà italiano. Nel 2012 i nuovi nati sono stati 80 mila. Una culla su sei. L'Ocse, con il gergo crudo dell'analisi statistica, li chiama Foreign Children, bambini stranieri.