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OTTOBRE 2013

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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SETTEMBRE 2013

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SOMMARIO

Il Fatto
- Parliamo un pò di noi - di A. Foccillo

Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL
- La politica economica deve avere come obiettivo prioritario quello della crescita - di A. Passaro

Intervista al Ministro Gianpiero D’Alia
- Pubblica Amministrazione significa sanità, istruzione, sicurezza, impegno per i cittadini. Un lavoro quotidiano per il Paese imparagonabile con qualsiasi forma di servizio privato - di A. Foccillo

Sindacale
- Arcadia Concilia, un nuovo Servizio della UIL per la mediazione civile e commerciale - di C. Barbagallo
- Il ruolo dell’ANVUR nella valutazione della ricerca e della didattica. Ovvero come “esternalizzare” il governo del sistema scientifico (e lasciarlo in mano ai potentati accademici…) - di A. Civica
- Bloccare i contratti è inaccettabile - di M. Di Menna
- Adesione altissima dei bancari allo sciopero - di M. Masi
- Formazione: il perno su cui fondare il rilancio della iniziativa della UILT - di C. Tarlazzi
- Lacrime di coccodrillo - di E. Canettieri
- Il mosaico Italia che perde i pezzi - di P. N
- Trasporto pubblico: “Un timido percorso”, ma ancora lontano per tener il passo con l’Europa - di G. C. Serafini

Economia
- Risulta del tutto evidente che l’obbligo di pareggio di bilancio comporti l’effetto di frenare una politica economica espansiva - di G. Paletta

Attualità
- Fermiamo le stragi nel mediterraneo - di P. Nenci

Approfondimento
- La ricerca della libertà. La Uil ed il colonialismo nell’Africa mediterranea (Seconda parte) - di P. Saija

Il Corsivo
- Povero cagnolino! di P. Tusco

Agorà
- Da rifiuti a risorse: V forum internazionale POLIeCO sull’economia dei rifiuti in termini di sostenibilita’ e ambiente - di S. Fortino
- Digital Compact - di G. Mele
- Negli interventi legislativi è spesso presente un difetto difficile da eliminare: quello dell’assumerli con il paraocchi - di G. Salvarani
- “Il lavoratore ritrovato”. Il contributo della Uil di Taranto ad un dibattito che speriamo sia ampio e partecipato - di G. Turi

Cultura
- Via Castellana Bandiera, di Emma Dante - di S. Orazi

Inserto
- Quando il sindacato suonò la campana (parte III) - di P. Nenci

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EDITORIALE

Parliamo un pò di noi

Di Antonio Foccillo

Dati i tempi che stiamo vivendo credo che vada chiarita bene l’analisi politica, la sostanza propositiva e strategica, affinché almeno la nostra organizzazione tutta, ne sia consapevole e protagonista, fiduciosa di quanto scelto, per aggregare intorno alle nostre proposte più consenso possibile. Dobbiamo essere capaci di ricostruire una nuova rappresentatività in grado di acquisire l’identità di chi vogliamo rappresentare, cioè il lavoratore, che sempre meno ha certezze e sempre più non conosce il suo domani per i riflessi della crisi economica e delle manovre che si susseguono sempre meno eque e sempre meno in grado di favorire lo sviluppo. Ma al massimo, per restare fedeli ai parametri europei, tali scelte di politica economica aumentano la recessione, con tasse sempre più alte (per quelli che le pagano, cioè i lavoratori e i pensionati) e tagli lineari, creando nel Paese ulteriore povertà e sfiducia. Occorre ricostruire nuovi fondamenti politici e strategici, all’interno di una continuità ideale, che riattivino il dinamismo consensuale. Negli anni passati, la stabilizzazione del lavoro, la continuità delle fabbriche e dei luoghi di lavoro, l’elevata concentrazione occupazionale per unità produttiva, costituivano il punto di riferimento prioritario, dove realizzare e organizzare il consenso.

Qui il sindacato aveva strutturato la propria azione di intervento sociale e qui trovava le occasioni di rappresentatività. Purtroppo non è più perseguibile a causa della frammentazione delle aziende, della delocalizzazione, delle multinazionali sempre più rampanti, della crisi delle relazioni sindacali e dei contratti flessibili. Infine, le stesse misure di politica economica che non possono ignorare le imposizioni del rigore della Ue hanno subito, per l’inconsistenza della classe politica, anche i disastri voluti dal “neo- liberismo” e della finanziarizzazione dell’economia.

Tutto ciò ha modificato profondamente le dinamiche occupazionali e le posizioni delle persone, sia essi lavoratori, sia essi pensionati, sia essi giovani disoccupati, sia essi esodati, sia chi ha perso il posto di lavoro.In questo difficile frangente, il sindacato e la Uil in particolare, non dovrà rinnegare la sua storia, ma piuttosto da essa si dovrà trovare il motivo per riaffermare, con nuovi contenuti, quella funzione che da sempre è propria del sindacato, essere soggetto sociale proiettato verso la crescita della qualità del lavoro, ma anche più complessivamente della vita dell’uomo, socialmente partecipe dell’intera organizzazione istituzionale, politica, culturale ed economica del paese. Si tratta di determinare, quindi, nuove condizioni di credibilità, che siano insieme politiche e sociali; da esse, dalla risposta che saremo capaci di offrire, ne discenderanno il futuro del ruolo che il sindacato potrà perseguire, altrimenti il rischio sarà di dover sopportare ancora una pesante caduta del grado di rappresentatività. In questi giorni due notizie sono state rilevate dell’Istat sulla situazione economica degli italiani che sembrerebbero, a prima vista, contraddittorie, ma non lo sono. La prima concerne le retribuzioni degli italiani che sono rimaste ferme su base mensile, mentre hanno avuto una piccola crescita su base annua.

Quello che emerge su questa presunta crescita è il crollo dei prezzi e della conseguente frenata dell’inflazione, ridotta ai minimi termini per la recessione in atto e non ad un aumento vero e proprio dei salari. La seconda, dopo alcuni mesi di rialzo, ad ottobre il clima di fiducia dei consumatori torna ad essere in calo. Senza misure adeguate, come rivendicato dal sindacato, le difficoltà delle famiglie italiane e dell’economia aumenteranno. Guardando poi ai settori in cui sono aumentati i salari, si evidenzia che nel comparto privato hanno avuto un tendenziale aumento, mentre nella P.A. sono fermi. Oltretutto la conferma del blocco per i lavoratori pubblici, anche per quest’anno, previsto dalla legge di stabilità, non fa che aggravare la situazione. In una recente audizione proprio sulla legge di stabilità, il Presidente dell’Istat, riferisce che arriva qualche segnale positivo di inversione di tendenza sull’economia italiana, per il 2014, confortato anche dalle previsioni della Banca d’Italia, ma sarà proprio così? Quello che preoccupa sono i dati drammatici che pure sono stati illustrati: la mancanza di equità nella ipotesi di riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori; il blocco dei contratti pubblici che se viene confermato nel 2014 porterebbe ad una riduzione del 10% rispetto al 2010 del potere di acquisto dei lavorati del pubblico impiego; il numero di individui in povertà assoluta è raddoppiato, di cui quasi la metà risiede nel mezzogiorno e si sta estendendo nell’ultimo anno anche a chi tradizionalmente non ne aveva risentito; ed una caduta degli acquisti anche di generi alimentari. Se ci aggiungiamo la disoccupazione giovanile che è arrivata a cifre stratosferiche e le chiusure di fabbriche con relativi allontanamenti dal mercato del lavoro c’è poco da essere ottimisti.

È necessario, invece, uscire da questa spirale negativa e aiutare le famiglie, i lavoratori, le imprese e i cittadini, modificando profondamente la politica economica, come da tempo stiamo sostenendo, ricontrattando i parametri europei, riformando la fiscalità ed aumentando il potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati. Per questo riteniamo il disegno di legge sulla stabilità, presentato dall’attuale Governo, assolutamente insufficiente e inadeguato ed abbiamo chiesto al Parlamento di modificarlo tagliando la spesa improduttiva e destinando la metà delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale a ridurre le tasse sul lavoro dipendente e sulle pensioni, di ripristinare la piena rivalutazione delle pensioni salvaguardando tutti i lavoratori esodati, assicurando il rifinanziamento della cassa integrazione.  Bisogna ridare fiato ad un Paese allo stremo, dando più soldi ai lavoratori, rinnovando i contratti ancora aperti, a partire dal pubblico impiego, per il triennio 2013-2015, e del trasporto locale, perché proprio lo strumento negoziale è ancora, e sempre, il mezzo prioritario con il quale il sindacato qualifica la sua funzione sociale. Venendo meno il primo di conseguenza si riduce anche la seconda. Allora è opportuno riconoscere come nell’opera di contrattualità sia possibile attualizzare non solo l’interesse economico per il lavoratore, ma anche la sua dignità di cittadino.Dunque, da qui crediamo venga la nuova spinta che motiva lo strumento negoziale, assumendolo cioè come mezzo di sostanziale democrazia sociale e non solo come mezzo di beneficio economico. Rivitalizzare il contratto significa riattivare il suo significato profondamente democratico, di una democrazia concreta e consensuale.

Per questo un’azione contrattuale del sindacato non può collocarsi esclusivamente in una logica settoriale, ma necessita anche di una cornice che sappia proiettarla verso un contesto ampio di saldatura dei differenti momenti rivendicativi e insieme di adesione alla complessità sociale ed economica.Anche se, in questa fase, non possiamo disconoscere una battaglia per l’occupazione, che costituisce un impegno politico prioritario. Troppi giovani sono senza lavoro ed altri vanno all’estero, riducendo, così, la ricchezza di questo Paese. Contemporaneamente va sviluppata un’azione per un recupero produttivo, troppe aziende chiudono con la conseguenza di ulteriore ricchezza persa, in modo da poter superare la recessione economica di questi anni. Il tutto deve far parte di possibili margini di contrattazione più vasti e più completi a partire proprio dalla ridistribuzione della ricchezza, che è stata, in questi anni, troppo a vantaggio di pochi già ricchi.

Dobbiamo sviluppare una politica che intenda intervenire estesamente sulle organizzazioni delle scelte distributive degli equilibri di benessere. Da queste, infatti, discende la fisionomia, non solo economica del Paese, ma soprattutto la sua stessa struttura sociale, quella che disegna la funzione dello Stato nel suo esercizio di garante del cittadino. Per questo riteniamo che sia utile una battaglia per riformare “nuovamente” la Pubblica amministrazione, per valorizzare chi ci lavora e quindi renderla più efficiente. Troppe battaglie intrise di odio verso questi lavoratori, che non fanno che dividere il mondo del lavoro. Il risultato è di criminalizzare e nello stesso tempo ridurre le tutele verso i cittadini e caso mai trasferire ai privati pezzi consistenti, se non tutto, di welfare e, così facendo si rendono più poveri i poveri e vengono meno anche i principi di equità, solidarietà ed uguaglianza nel nostro Paese.

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La politica economica deve avere come obiettivo prioritario quello della crescita. Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, la legge di stabilità non va proprio e Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato una mobilitazione per chiedere di cambiarla. Sono state proclamate 4 ore di sciopero generale con iniziative a livello territoriale. Poi ci sarà una riunione degli organismi delle tre Organizzazioni per una verifica: è questo il percorso?

Sì, abbiamo dovuto mettere in campo iniziative di lotta per cambiare la legge di stabilità, a partire dallo sciopero con articolazioni territoriali già proclamato, unitariamente, nei giorni scorsi. Come Uil, poi, abbiamo convocato per il 5 novembre l’Esecutivo nazionale mentre il 7 novembre in tutte le Regioni, si svolgeranno riunioni degli organismi territoriali della Uil, nel corso delle quali saremo collegati in videoconferenza. Bisogna diffondere capillarmente le ragioni della nostra scelta.

Non mi sembra, però, che il Governo sia intenzionato a fare grandi cambiamenti. La legge è stata varata e la palla è passata al Parlamento. E lì che devono giungere le nostre richieste?

La legge di stabilità varata dal Governo è una manovra recessiva e il Parlamento non può restare sordo alle istanze dei lavoratori. Con l’Esecutivo i margini di manovra sono pressoché vicini allo zero, perciò abbiamo chiesto incontri ai capigruppo di Camera e Senato. Gli scioperi rappresentano una forma di “pressione” sui parlamentari che, in questa fase, riteniamo possano essere attenti alle nostre rivendicazioni.

I tuoi giudizi contro la legge di stabilità sono stati molto duri. Puoi spiegarci perché?

Se dovessi dirla con una battuta, con questa legge non si è puntato alla stabilità dell’economia, ma a quella del Governo! Questo provvedimento è figlio di un accordo politico fine a se stesso che non ha raggiunto nemmeno l’obiettivo della stabilità! In realtà, avrebbe dovuto avere come proprio obiettivo quello della crescita economica basata sull’espansione della domanda interna, perché non basta affidarsi solo ai mercati internazionali: ma così non è stato.

Insomma, si può dire che questa legge è inefficace per risolvere i problemi della nostra economia?

Questa legge di stabilità non è lo strumento utile per ottenere quei risultati che lo stesso Governo si era prefisso di raggiungere e cioè l’inversione di tendenza della politica economica del nostro Paese. Si sarebbe dovuti passare da una politica recessiva ad una che stimolasse la crescita, almeno per i prossimi due anni. Invece, non ci sono segnali in questa direzione.

La questione del rilancio dell’occupazione e della crescita è prioritaria. Come si possono conciliare questi obiettivi con quelli del controllo del debito pubblico?

Ciò che preoccupa è la velocità impressionante con cui aumenta la disoccupazione, si distruggono posti di lavoro e si riduce la nostra capacità produttiva a causa della continua chiusura di imprese. Senza crescita la riduzione del debito pubblico diventa un obiettivo assolutamente irraggiungibile: quando è stata scelta la strada della contrazione delle risorse finanziarie si è prodotto un aumento del debito pubblico. Da qualunque punto di vista si voglia guardare il problema, è inevitabile che la politica economica debba avere come obiettivo prioritario quello della crescita perché altrimenti anche gli obiettivi del rientro del deficit pubblico o della riduzione del debito restano irraggiungibili.

Per Cgil, Cisl e Uil bisogna ridurre le tasse sul lavoro…

La crescita non può che ottenersi attraverso un aumento della domanda interna. A questo scopo, lo strumento non unico, ma sicuramente più efficace, sia per l’impatto che può avere sull’economia reale sia per la velocità con cui si possono ottenere risultati, è quello della riduzione delle tasse sul lavoro. Aumentare la capacità di spesa dei cittadini italiani produce un effetto abbastanza immediato sui consumi, sulla domanda interna e quindi sulla produzione.

La riduzione delle tasse c’è stata, ma è del tutto insoddisfacente. Puoi spiegare perché?

La riduzione del carico fiscale è stata modestissima, simbolica e, quindi del tutto inefficace. Così facendo, stiamo condannando il Paese, per i prossimi due anni, ad una stagnazione con un aumento della disoccupazione e con l’impossibilità per quelli che sono in cassa integrazione di recuperare il loro posto di lavoro. Non è propaganda né allarmismo immaginare che il tasso di disoccupazione giovanile aumenterà, purtroppo, contrariamente a quanto auspicato da tutti i nostri governanti in ogni occasione pubblica. Le prospettive dal punto di vista economico e sociale, dunque, sono assolutamente buie. Questa è la ragione di fondo del nostro giudizio negativo sulla legge di stabilità.

CGIL, CISL e UIL hanno criticato anche il capitolo relativo al pubblico impiego: ancora una volta i lavoratori di questo comparto risultano penalizzati. Cosa non convince di quei provvedimenti?

Si è sempre sostenuto che i tagli lineari non sono la soluzione e che non fanno altro che aumentare i problemi, ma per il pubblico impiego si è fatto l’esatto contrario tagliando gli aumenti contrattuali: non c’è nulla di più lineare di un provvedimento del genere. Il blocco reiterato dei contratti nel pubblico impiego, senza che sia stata definita una soluzione per la contrattazione di secondo livello, non potrà che produrre effetti negativi. L’efficienza, l’efficacia e la produttività della nostra pubblica amministrazione non miglioreranno, anzi peggioreranno per effetto di questi tagli lineari. Noi abbiamo sostenuto la necessità di una riorganizzazione, ma non abbiamo avuto risposte neanche su questo punto.

Le rivendicazioni sindacali sono soggette in particolare ad una critica: sarebbero prive di “copertura finanziaria”. E allora, dove si possono reperire le risorse per ridurre le tasse e per fare tutti gli altri interventi richiesti?

È evidente che non si possa fare una politica di espansione aumentando il debito o violando i patti sottoscritti con l’Europa: a noi quei patti non piacciono, ma è difficile cancellarli. Noi, dunque, pensiamo che sia possibile reperire risorse per finanziare la riduzione delle tasse eliminando gli sprechi e contenendo i costi della pubblica amministrazione. Per evitare che questa affermazione si tramuti in uno slogan senza scelte conseguenti, intendiamo rilanciare la nostra piattaforma proponendo una serie di interventi credibili, puntuali ed efficaci. Riteniamo, ad esempio, che debbano essere introdotti i costi standard e che vada ridotto il numero delle oltre trentamila stazioni appaltanti da annoverare tra le principali cause degli sprechi. Bisogna, inoltre, accorpare obbligatoriamente le imprese pubbliche che hanno bacini di utenza molto limitati e ridurre i costi di funzionamento. Ci sono società pubbliche che non hanno una missione, non hanno una funzione né erogano servizi: queste dovrebbero essere soppresse. Ebbene, tutte le risorse che si possono ricavare da questi risparmi e interventi devono essere destinate alla riduzione delle tasse e non ad altri fini.

Per concludere, in sintesi, cosa si prefigge la mobilitazione di CGIL, CISL e UIL?

Ci interessa che sia conosciuto il vero obiettivo delle nostre proposte: far sì che il 2013 sia l’ultimo anno in cui il nostro Paese è in recessione. Noi siamo l’unico paese dell’Ocse ancora in recessione: dobbiamo uscire da questa anomalia e, perciò, bisogna avere il coraggio di adottare scelte mai realizzate. Noi crediamo che questa nostra campagna e questa nostra pressione possano produrre buoni risultati e che i cambiamenti da noi proposti, alla fine, saranno accettati.

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