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GIUGNO 2014

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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MAGGIO 2014

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SOMMARIO

Il Fatto

La “presunta” riforma della Pubblica Amministrazione - di A. Foccillo
La priorità è fare riforme che aumentino le possibilità di realizzare investimenti in Italia. Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
Il terzo Congresso della Confederazione Internazionale dei Sindacati - di D. Proietti
Testo Unico sulla rappresentanza, Flai-Fai-Uila sottoscrivono l’accordo applicativo - Intervista a Stefano Mantegazza - di F.De Pascale
Tutte le false verità del Ministro Madia - di A. Civica
La relazione annuale Covip per l’anno 2013 - di M. Abatecola

Attualità
Ali-tiad: Sulle Ali dello sceicco - di G. C. Serafini

Economia
Unione monetaria e dumping fiscale - di G. Paletta

Agorà
Dove va l’euro? Dove va l’Europa? - di P. Nenci
Dal monoteismo al triteismo della politica italiana - di S. Fortino
Salvare il welfare: la via della socialdemocrazia - di P. Saija

Il Corsivo
Parliamoci chiaro - di Prometeo Tusco

La Recensione
Per una Europa più efficiente e più equa - di V. Russo

Cultura
The Dark Side of the Sun, di Carlo Shalom Hintermann - di S. Orazi

Inserto
L’antichissima idea di un progetto Europa - di P. Nenci

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EDITORIALE

La “presunta” riforma della Pubblica Amministrazione

di Antonio Foccillo

Questa volta voglio dedicare le mie riflessioni alla “presunta” riforma della Pubblica Amministrazione del governo Renzi. E’ un tema che riguarda tutti, nessuno escluso, perché una efficiente macchina pubblica è un valore aggiunto nell’economia di un paese e, soprattutto, è garante della distribuzione della ricchezza in momenti di crisi economica.

La macchina amministrativa dello Stato è molto complessa e variegata e proprio per questo e per rispetto a chi, nonostante le tante vessazioni ed offese che vengono fatte loro, nella Pubblica amministrazione continua a lavorare e produrre, avrebbe avuto la necessità da parte dei governanti di conoscerla prima di tutto, di studiarla a fondo per evitare le generalizzazioni, e poi affrontarla con reale cognizione di causa. Oggi basta analizzare sia i poteri derivati dal Titolo V della Costituzione e sia le funzioni per capire com’è cambiata l’amministrazione pubblica e quante diversità vi sono, come pure riconoscere che ci sono fior fiori di professionisti che si dedicano a tante nuove incombenze. Certo vi sono anche condizioni difficili in cui versa la macchina amministrativa per la mancanza di strumenti, la pochezza di stimoli professionali (ulteriormente aggravata dal blocco del salario individuale) la fatiscenza di sedi e della tecnologia usata, l’inadeguatezza degli stipendi e la carenza di organico. Proprio per questo per la Uil la riforma della Pubblica amministrazione è una sfida politica che solo con l’adeguata conoscenza e con i dovuti investimenti può essere affrontata, portando a sintesi il più ampio confronto con i lavoratori pubblici e con le loro rappresentanze. Purtroppo non è stata questa l’idea che ha mosso il governo.

Infatti, con il decreto, il Governo non si è premurato affatto di liberare risorse per la formazione e per l’aggiornamento dei dipendenti pubblici, fattori essenziali in un sistema, quale quello delle amministrazioni pubbliche, ad alta instabilità normativa. Permane quella presunzione di poter validamente risolvere la crisi della P.A. esclusivamente con ulteriori strumenti normativi a dispetto di consultazioni, confronti e contrattazioni. L’instabilità normativa che ne è derivata fino ad oggi ha peggiorato la situazione ed ha evidenziato una tecnica redazionale tutt’altro che soddisfacente e un’incapacità di prefigurarsi la portata pratica dei singoli interventi, con sottovalutazione degli effetti perniciosi delle continue “correzioni” al sistema. Non a caso, anche, il decreto legge predisposto dal Ministro Madia è stato a lungo all’esame dei tecnici del Quirinale in quanto pare che abbiano trovato più di un’incongruenza.

Quello che risulta evidente, anche in questa occasione, quando la normativa è riduttiva di qualche prerogativa dei vertici di qualsiasi genere si muovono le lobbies, coinvolgendo le istituzioni, e la cambiano, se, invece, si interviene in senso penalizzante nei confronti del personale, nessuno è disponibile a protestare, se non il sindacato. Valutando attentamente il merito, esso ci porta a dire che la tanto sbandierata riforma della P.A. del Governo Renzi è stata varata, ma non è certamente in grado di valorizzare la pubblica amministrazione, né chi ci lavora. Come si fa a considerare “riforma” una proposta che, ancora una volta, si accanisce con i lavoratori pubblici, senza intervenire nelle vere dinamiche che la rendono in alcuni casi inefficiente. La Pubblica Amministrazione non può essere vista solo come un soggetto che spende.

I servizi pubblici svolgono una funzione essenziale nei confronti della collettività. Ciò, naturalmente coinvolge il cittadino che è il naturale destinatario delle strutture pubbliche per beneficiare di quei servizi essenziali che lo Stato è impegnato ad erogare. Ebbene, non si tratta allora di istituire come la riforma fa, delle regole punitive, ma di rilanciare la pubblica amministrazione nel suo essenziale valore della solidarietà. Una solidarietà che si esprime sostanzialmente nella difesa dei soggetti più deboli, di quelli che meno dispongono di un potere negoziale in proprio. Pensiamo ai pensionati, ai malati, agli studenti, ai lavoratori meno professionalizzati, ai disoccupati, tutte categorie sociali che hanno più necessità di una amministrazione che li salvaguardi, soprattutto in momenti come questi di grande crisi economica. Ma essa è essenziale anche al sistema produttivo, se le sue funzioni sono semplici ed in grado di sostenere lo sviluppo necessario. Il ruolo dell’intervento pubblico, pertanto, resta necessario e auspicabile, perché finalizzato alla funzionalità dell’intero sistema e quindi mirato al peculiare scopo di garanzia finale dell’interesse pubblico.

Anche noi abbiamo sostenuto, in più di un’occasione che bisogna porsi il problema di come rendere i servizi pubblici produttivi e di come renderli vicini alle esigenze della gente, quindi modificando gli apparati, la burocrazia, l’organizzazione del lavoro, la struttura e, quindi, valorizzando anche la professionalità del lavoratore del pubblico impiego e sulla base di questo, si può avere il consenso anche dell’altra parte della società. Per la Uil definire la natura di una reale strategia riformista significa innanzitutto determinare un nuovo spazio ideologico rinnovato, tale da diventare motivo di aggregazione, di progettualità e di intenzioni, facendo dello Stato dei suoi servizi un soggetto sociale referente di una costellazioni di azioni. In questo senso il rapporto fra lo Stato e il cittadino costituisce un elemento essenziale della dinamica della soddisfazione dei bisogni e di pari opportunità fra i cittadini. Mi riferisco al fatto che un motivo di perequazione sociale discende dall’espressione che lo Stato da alle proprie scelte, quale responsabile di politiche della salute sociale. Rispetto a ciò il nostro intento strategico dovrà essere quello di continuare ad impegnarci per una grande riforma dello Stato Sociale, tale da modificare strutturalmente, e non solo congiunturalmente, i principi secondo cui è organizzata la politica del Governo nelle assistenze e nelle tutele offerte al cittadino.

Non si tratta, dunque, come fa il decreto del governo Renzi, di rimediare, esclusivamente alle disfunzioni particolari o alle singole ineguaglianze, ma piuttosto di rivendicare una rifondazione complessiva della filosofia dello Stato. Tutto ciò per costruire adeguate ed eque, condizioni di operatività nei confronti delle reali necessità di assistenza e garanzia sociale. Quindi, una reale riforma richiede non solo di riparametrare i valori di bisogno e di aspettativa sociale, ma anche di intervenire nel funzionamento delle stesse strutture di erogazione delle assistenze apportandovi criteri come la modernizzazione, la professionalità, la tempestività e la qualità del servizio offerto. Il vero cuore di un tale progetto non è semplicemente quello di indurre, lo Stato a creare una struttura di servizi migliori e più efficiente.

Lo Stato che dobbiamo avere come prospettiva, per una reale riforma, prima di essere il funzionamento dei servizi, degli uffici, del fisco, della scuola, ecc. è il rapporto che esiste tra il cittadino e le proprie condizioni di libertà, di espressione, di crescita che sono prioritariamente le condizioni che lo Stato ai cittadini di realizzarsi in quanto persona. Una vera riforma della pubblica amministrazione avrebbe dovuto affrontare temi rilevanti come la qualificazione dei servizi pubblici; la semplificazione delle procedure; un piano di investimenti per formazione e in nuova tecnologia; innovazione dell’organizzazione per migliorare l’efficacia dei servizi, reperendo i finanziamenti tagliando sprechi sperperi e colpendo il malaffare. Soprattutto una riforma vera non può prescindere dal coinvolgimento di chi ci lavora, valorizzandone la professionalità e riconoscendo i loro diritti, a partire dal rinnovo dei contratti. Il Sindacato continuerà a sostenere i suoi valori: la solidarietà, la coesione, l’unità del mondo del lavoro, i diritti per i lavoratori e i loro figli, una società più giusta, dove la sanità, l’istruzione e l’intera gamma dei servizi pubblici siano garantiti a tutti e non solo a chi se lo può permettere.

Una nostra allocazione esplicitamente riformista non potrà non avere come finalità quella di sostenere una politica che consenta di evolvere in meglio le condizioni del Paese. Ciò significa ricercare costantemente di interagire con il sistema politico, senza rimuovere le nostre responsabilità, affinché il sistema politico stesso recepisca nelle sue scelte anche il riconoscimento del nostro ruolo sociale. In altre parole, la maturazione del sistema politico e dell’operatività del Governo devono avere nell’integrazione negoziale con il sindacato un motivo di maggiore accreditamento sociale. La gestione sociale della politica dei redditi, in quanto espressione della coesione e della solidarietà, in una dinamica di un diverso intervento dello Stato rimane ancora una scelta appropriata, si tratta di ampliare e aggiornare le compatibilità e i riferimenti di contrattazione con il Governo, verso un disegno che integri il reddito con contenuti che migliorino lo stato complessivo di benessere sociale del cittadino. L’occupazione, la scolarità e l’istruzione, il fisco, la sanità e la salute, la professionalità, la tutela dell’ambiente, sono temi che insieme compongono la misura della soddisfazione sociale, e sui quali il nostro ruolo non può non rivendicare una partecipazione alle scelte che ne decidano i livelli di organizzazione e diffusione.

Di tutto questo nella presunta riforma della Pubblica Amministrazione del governo Renzi non vi è traccia.

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La priorità è fare riforme che aumentino le possibilità di realizzare investimenti in Italia. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, il ministro del lavoro ha lanciato l’allarme cassa integrazione: mancano le risorse necessarie per finanziare la CIG in deroga. Cosa bisogna fare?

L’allarme sulla CIG è giustificato, ma non esiste alcuna alternativa al fatto che il Governo trovi le risorse per pagare la cassa integrazione: sarebbe una cosa inaccettabile se molte decine di migliaia di persone fossero private anche di un minimo sostegno che serve per sopravvivere. Bisognerà trovare soluzioni di lungo periodo, almeno per quanto riguarda la cassa integrazione in deroga.

Per quanto tempo occorrerà fare ricorso a questi ammortizzatori sociali?

Tutti gli istituti che servono a sostenere le persone il cui posto di lavoro rischia di essere cancellato non possono avere una durata prevedibile: devono durare tutto il tempo necessario. E’ come quando piove: bisogna aprire un ombrello per ripararsi dalla pioggia. Per quanto tempo? Finche dura il maltempo.

C’è chi sostiene che sia difficile trovare le risorse necessarie. Che ne pensi?

Non si può affamare qualche migliaio di persone con la scusa che non si trovano le risorse necessarie quando, invece, ogni anno si contano oltre 800 miliardi di spesa pubblica: è inaccettabile.

Peraltro, la disoccupazione non accenna a diminuire....

È vero. Noi abbiamo un solo nemico: la disoccupazione. In un paese che ha alle spalle una crisi così lunga e, davanti a sé, una prospettiva così incerta, con la previsione di incrementi della nostra economia di poco superiori allo zero, gli effetti sull’occupazione non ci saranno. La disoccupazione cambia il modo di pensare delle persone, cambia la visione e l’idea del proprio paese. Cambia il modo di pensare anche di chi il posto di lavoro ce l’ha e che, preoccupato di ciò che gli accade intorno, si interroga sul proprio futuro. Questo è il nostro vero problema e su esso ci dobbiamo concentrare.

Che ruolo può giocare, a questo proposito, la riforma del mercato del lavoro?

Noi abbiamo il pessimo vizio di cercare scorciatoie. È stata fatta una quantità infinita di riforme del mercato del lavoro, sempre nell’illusione che potessero generare occupazione. Per produrre posti di lavoro, invece, bisogna investire e favorire i consumi. Ecco perché al Governo dobbiamo chiedere di fare una politica che favorisca gli investimenti.

Anche l’andamento del PIL continua a riservarci molte preoccupazioni. Come potremo uscire da questo stallo?

Effettivamente i dati sul PIL sono preoccupanti perché non riusciamo ad uscire dall’impasse in cui ci troviamo. D’altronde, fino a quando non aumenterà la domanda interna, è veramente difficile vedere un aumento significativo del PIL che, per l’80% è costituito proprio dalla domanda interna. La fiducia tornerà quando non saremo più di fronte a promesse, ma a investimenti concreti e possibilmente provenienti dall’estero. Quando qualcuno investirà qualche miliardo di euro in Italia, potremo parlare di un vero cambiamento.

Intanto, però, il Presidente del consiglio prosegue per la sua strada senza coinvolgere le parti sociali. È un problema?

Non ci scandalizziamo affatto se apprendiamo dalle televisioni o dai giornali ciò che fa il Governo: l’importante è che faccia. Ci scandalizzeremmo se non facesse nulla, se parlasse, promettesse e nulla cambiasse. La priorità è fare riforme che aumentino le possibilità di realizzare investimenti in Italia: investire e creare lavoro non deve essere più così difficile come lo è oggi. Se questo si realizzasse, accadrebbe ciò che noi chiediamo da tempo.

E la cosiddetta riforma della Pubblica Amministrazione? Produrrà qualche risultato positivo?

È stata un’occasione persa. Ci si è concentrati su misure di secondo piano che non miglioreranno la qualità della Pubblica Amministrazione e che non renderanno più efficiente il servizio reso ai cittadini. Non sono state affrontate le due questioni centrali: il taglio delle stazioni appaltanti e la sburocratizzazione. L’attuale sistema è molto complicato, genera sprechi e finisce col favorire la corruzione. È stato un errore grave non procedere allo sfoltimento dei centri di spesa. Non solo; sarebbe stato opportuno obbligare la PA a non chiedere più agli utenti i documenti o gli atti che essa già possiede. Tutto ciò avrebbe garantito la semplificazione e la trasparenza necessaria a rendere più efficiente la PA.

Per rendere più efficiente il sistema, non ci si sarebbe dovuti preoccupare di aumentare anche la produttività della PA?

Certamente: sarebbe stata la scelta giusta. Ma su questo punto, anche questo Governo, invece di semplificare sul serio i rapporti tra cittadini, imprese e Stato e fare in modo che sia lo Stato al servizio dei cittadini e non viceversa, ha rinviato questa soluzione e si è limitato alla cosa per lui più facile: colpire i pubblici dipendenti.

Infatti, non si rinnovano i contratti e si tagliano i distacchi...

Lo Stato è il peggior datore di lavoro che esiste in Italia: non rinnova i contratti, che sono fermi a cinque anni fa, e taglia i permessi sindacali così che i lavoratori e i delegati di questo settore hanno meno diritti di quelli del settore privato. Ci sono tre milioni di persone che lavorano al servizio di tutti gli altri cittadini e i cui salari non corrispondono al valore del loro lavoro. Noi vorremmo che i dipendenti pubblici fossero trattati come i loro colleghi metalmeccanici, anche per quel che riguarda i permessi sindacali.

Si torna a parlare di salario minimo per legge. Quale sono le ragioni della contrarietà manifestata dalla Uil?

Il salario minimo in Italia esiste ed è rappresentato dai contratti nazionali. Se su questo argomento si introducesse una legge, avremmo un solo risultato: la riduzione dei salari. Se il problema è dare tutele a trecentomila persone che oggi non sono ascrivibili alla categoria dei lavoratori dipendenti, si può fare in modo che vengano classificati come lavoratori dipendenti sottoscrivendo un contatto anche per loro. Altrimenti, il risultato sarebbe quello di una riduzione generalizzata del salario per 17 milioni di lavoratori. Questa si chiama svalutazione interna, la vera essenza dell’austerity. E a noi non va bene, perché sarebbe una soluzione dannosa per l’intera economia del Paese.

Per quel che riguarda le grandi vertenze aziendali, c’è da segnalare le difficoltà sul fronte del negoziato per il contratto del Gruppo Fiat. Si riuscirà a fare un accordo?

L’accordo, e quindi l’incremento del salario, è un dovere che la Fiat ha nei confronti dei lavoratori italiani dal Gruppo. Sì, è vero: il mercato dell’auto in Europa non va molto bene, ne siamo consapevoli, ma fare il contratto è un dovere.

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