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MAGGIO 2014

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Il fatto
Dopo le elezioni alcune riflessioni - di A. Foccillo
La ripresa si fa con i consumi e gli investimenti: non ci sono né gli uni né gli altri. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
Uil: petizione popolare Uil per una svolta nella lotta all’evasione fiscale
Un sistema fiscale iniquo ed inefficiente - a cura dell’Ufficio Politiche Fiscali
Di cosa parliamo quando parliamo di pari opportunità - di M. P. Mannino
La prima assemblea nazionale del coordinamento dei lavoratori dell’artigianato Uil
- di G. Briano
Per il Sindacato, e soprattutto per la UIL, è giunto il momento di pensare ad un nuovo modello di Sindacato - di G. Zignani
Il ponte sullo stretto di Messina e la nuova questione meridionale - di A. Mattone

Trasporti
Uber: la protesta investe anche Milano.
“Uber ci fa concorrenza sleale” - di G. C. Serafini

Società
Immigrazione e lavoro, il punto in Italia - di G. Casucci

Agorà
Riflessioni brevi sulla finale di Coppa Italia - di A. Carpentieri
Cultura dell’integrità: il whistleblowing, ovvero la tutela del dipendente pubblico che segnala gli illeciti. - di A. Taiani

Il Corsivo I
Il segretario fiorentino - di Prometeo Tusco

Il Corsivo II
Perché non ci abbiamo pensato prima? - di Prometeo Tusco

Cultura
Song ’e Napule, dei Manetti Bros - di Sara Orazi

Inserto
La lunga fatica per il diritto a contrattare la propria fatica - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Dopo le elezioni: alcune riflessioni

di Antonio Foccillo

Voglio cominciare con una parabola. Un uomo, nel 1990 viene ibernato e, dopo moltissimi anni di sonno viene risvegliato nel 2014.

Quando riapre gli occhi e si guarda intorno si rende conto di quante cose sono cambiate, nel tessuto economico, politico e sociale. La prima cosa che lo stupisce è la perdita di parte della sovranità del suo Paese rispetto ad una sovrastruttura che si chiama Europa.

Per capirne di più segue il dibattito politico pre-elezioni, ma non trova nessuna spiegazione, anzi riesce ancora meno a comprendere cosa è questa Europa. Allora, se è così, si domanda chi decide sui destini di questo enorme numero di cittadini? E che cosa e dove si decide?

Possibile che siano organismi non eletti che possono imporre le proprie decisioni a tanti governi eletti democraticamente e addirittura cambiare gli stessi se non si allineano.

Si era addormentato con l’Italia, il suo Paese, che era la quinta potenza mondiale ed oggi le appare, un Paese con gravissimi problemi che ha perso molti posti nell’economia globale. Era stato abituato ad un confronto fra partiti di carattere ideologico e scopre che oggi, non solo non ci sono più, ma la campagna elettorale è solo fra tre persone che litigano come allora, ma non comprende se ne votasse uno, piuttosto che l’altro cosa potrebbe cambiare dal punto di vista del modello sociale, economico e produttivo, Uno vuol fare tutto da solo, se non gli fanno fare quello che vuole è pronto ad andarsene; un secondo grida contro tutti, vuole sfasciare tutto, promette processi sul Web (Si chiede: Cosa è? Sarà una nuova formula di tribunale), addirittura vuole imprigionare una buona parte dei suoi concittadini; un terzo promette, promette, ma sembra una voce lontana e priva di mordente.

E, allora, la vittoria di uno qualsiasi gli sembra che non dia nessun miglioramento alla situazione in cui si trova il Paese. Dal punto di vista della struttura economica vi è stata un’enorme evoluzione: si è passati da una società industriale, fondata su grandi concentramenti, su grandi aziende, su un gran numero di lavoratori e su aziende di piccola e media grandezza, dove, era chiaro chi fosse il padrone e con lui si potevano costruire rapporti e relazioni, ad una diversa caratterizzata da un declino dell’occupazione nell’industria, con ambiti produttivi molto più piccoli e in continua trasformazione, con manager anonimi con i quali è più difficile costruire relazioni e che hanno l’unico obiettivo di ridurre l’occupazione e cambiare quella a tempo indeterminato con contratti flessibili di vario genere.

Si rende conto che, in correlazione lo stesso sindacato ha dovuto cambiare la sua funzione, perché è stato costretto a trasformare le strutture e i suoi terminali territoriali con funzioni sempre più mutabili ed in grado di rispondere ad esigenze diverse, non più collettive, ma sempre più individualizzate, personalizzate e a volte più competitive. Ad una conflittualità di tipo ideologico si è sostituita una variegata costellazione di interessi che vanno dalla soddisfazione economica a quella estetica, culturale ed individuale.

Specchio dei tempi possono considerarsi i giovani, i loro bisogni e le loro incertezze, se non paure.

Non più la prospettiva di un posto stabile e continuativo, non più la chimera della P.A. quale soddisfazione della prima esigenza, quella economica e lavorativa, ma prospettive momentanee e non più stabili sul piano economico e lavorativo che non danno nessuna speranza di un domani migliore. Vi è quasi una ricerca continua della propria individualità, della propria essenza, della propria difesa delle fragilità, quindi non più scelte collettive ma essenzialmente individuali.

Nuove parole d’ordine si susseguono: globalizzazione, velocità di decisioni, fine dei valori, non più interventi dello Stato, precariato, rischio, individualità, il malaffare, l’evasione fiscale.

Ma si domanda il redivivo: dove è finito tutto quello per cui ci siamo battuti, la democrazia partecipata, le istituzioni che ti rappresentano, le tutele e le garanzie, il bene comune, le battaglie collettive, il benessere, lo stato sociale, i valori di coesione e solidarietà, le battaglie ideali per costruire una società più giusta e più equa? E allora decide che non fa per lui e chiede di tornare a dormire.

Noi però che siamo di questa epoca non possiamo tornare a dormire dobbiamo reagire per tentare di ridare una speranza di un futuro migliore alle nuove generazioni. Dobbiamo ritornare a parlare con i giovani e svolgere quella funzione anche di emancipazione che era una delle funzioni del passato. Ai giovani di oggi non possiamo più rispondere con dogmi, con le prediche, con le ritualità, ma dobbiamo soddisfare questo loro essere, attraverso un nuovo impegno civile, una nuova partecipazione, una nuova lotta alla emarginazione, un nuovo bisogno di stare insieme per ridar loro la speranza di un futuro diverso, sapendo che oggi l’unico strumento che può continuare ad essere veicolo di partecipazione democratica e di emancipazione culturale e sociale, oltre che di tutela, è il sindacato. In controtendenza all’attuale orientamento antisindacale bisogna rendere chiaro nei fatti che cosa è di diverso il sindacato, rispetto ad un volontariato che può non essere transitorio, ma che però va aiutato, difeso e potenziato con la loro giovanile voglia di cambiare.

Le battaglie sindacali possono e devono essere ancora vincenti e soprattutto coinvolgenti, se si continua a guardare la società, i cittadini lavoratori, i giovani in quest’ottica di partecipazione e non come protagonisti passivi di scelte solo economiche.

Il sindacato però non deve ripetere gli errori del passato, in cui le tradizioni, le sacralità, i cerimoniali si ripetono in continuazione, come un rito religioso, che non muta nei secoli. Ha bisogno di ricordare la sua tradizione, ma ha bisogno di un cambiamento continuo, di ricerca costante, di evoluzione perenne, cercando di rappresentare le esigenze del proprio tempo e con una costante presenza, strategicamente diretta alle più adeguate soluzioni dei problemi indotti dai cambiamenti fisiologici di una società in divenire.

La Uil è stato sempre un sindacato difensore dei diritti di tutti e soprattutto dei diritti delle minoranze, che combatte l’egemonia in qualunque campo la si voglia affermare, e salvaguarda i diritti del pluralismo, i diritti della libertà di pensiero, della libera espressione e i diritti di partecipazione. Le nostre battaglie sono la testimonianza di una nostra scelta ideale e programmatica a favore dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, della salvaguardia degli oppressi contro la tirannide, della democrazia sindacale. Proprio per questo vogliamo affermare la certezza del diritto di esserci, di potersi esprimere, di poter contare all’interno di un movimento profondamente cambiato.

E’ proprio per questo, dopo l’esito delle elezioni, vogliamo riconfermare la nostra scelta, vogliamo rappresentare le nostre convinzioni, le nostre tesi, vogliamo rappresentare il mondo del lavoro che deve avere il suo diritto di espressione.

Non vogliamo affermare una nuova egemonia, ma il diritto all’espressione di tutti che va tutelato, per questo ci impegneremo, sia in Italia che in Europa, per cambiare le strutture economiche e sociali.

Di fronte a rigurgiti populisti che sono aumentati nelle recenti elezioni europee, dobbiamo batterci perché l’Europa, diventi più democratica e sia veramente l’Europa di tutti.

Purtroppo la crisi economica e finanziaria e la politica di austerity imposta all’intero continente hanno aumentato le difficoltà, riducendo i margini di manovra dei governi. Questo ha determinato maggiore povertà ed emarginazione e notevole disoccupazione. Non ci si può meravigliare se in alcuni importanti paesi europei alle elezioni si è avuto un risultato preoccupante: da un lato astensione e dall’altro l’opposizione all’Europa sia di estrema destra che di estrema sinistra, a discapito della sinistra riformista che solo in Italia ha avuto un notevole successo.

Allora il sindacato, in Italia ed in Europa, deve chiarire che il sistema economico deve avere come obiettivo prioritario la crescita non solo a parole con interventi concreti ed investimenti mirati.

Di conseguenza il nostro rapporto con il sistema politico economico sarà quello di rivendicare un confronto nelle scelte e nella progettazione economiche e produttive, dimostrando in questo una legittimità che è frutto di una responsabilità che coniuga produttività e occupazione, lavoro e capitale, democrazia economica e democrazia sociale. E’ necessaria una svolta in Italia ed in Europa che metta fine alle cattive politiche e che proprio in quanto svolta, è difficile da realizzare, ma che raggiunta, pena la liquidazione del processo Europeo nella concezione del suo popolo.

Sosteneva Proust: “Vedevo d’improvviso una nuova faccia dell’abitudine. Fino a quel momento l’avevo considerata soprattutto come potere distruttivo che sopprime l’originalità e addirittura la coscienza delle percezioni; ora la vedevo come una divinità terribile, così inchiodata a noi, con il suo viso insignificante, così conflitto nel nostro cuore che si stacca da noi, se si volge le spalle. Questa divinità che quasi non distinguevo, ci infligge sofferenze più terribili di qualsiasi altra e allora diventa crudele come la morte. Ebbene questa abitudine noi la dobbiamo sconfiggere.”

Quindi, questa abitudine può rappresentare l’Europa, le sue istituzioni e le sue politiche ed il compito della politica e del sindacato è di sconfiggerla e di costruire l’Europa dei popoli e del benessere.

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La ripresa si fa con i consumi e gli investimenti: non ci sono né gli uni né gli altri. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, l’attualità ci impone di dedicare ampio spazio al risultato delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo: dal punto di vista politico, è la notizia di questo scorcio d’anno. Il PD “capitalizza” l’effetto Renzi e stravince con oltre il 40% dei consensi distanziando di quasi 20 punti il Movimento di Grillo. Come giudichi quel che è accaduto

Io credo che questo risultato elettorale, che ovviamente ha molte componenti, sia stato anche una conseguenza della politica fiscale del governo Renzi. La riduzione, per la prima volta, delle tasse sui lavoratori è stato un segno positivo non solo in termini concreti per l’effetto che esso ha sulle buste paga, ma anche perché è stata vista come una legittima restituzione, a favore delle persone che lavorano, di risorse economiche che, fino ad ora, invece, erano state devolute, e non sempre a buon fine, a favore dello Stato.

Insomma, gli 80 euro sono valsi a Renzi e al PD il 40%? E cosa cambia, adesso, nei rapporti politici?

Renzi è molto più forte di quanto lo fosse prima delle elezioni. Ha sicuramente rappresentato la speranza per milioni di italiani che le cose possano, questa volta, effettivamente cambiare e migliorare. La vicenda degli 80 euro è stata molto più importante di quanto gli scettici ritenevano, e penso al patetico dibattito sulle coperture di qualche giorno fa. Le persone hanno visto che, per la prima volta, oltre a buone intenzioni, ci sono stati i fatti e questo credo che rappresenti una forte spinta.

Un altro dato importante che emerge da questa consultazione è che, nell’insieme del Vecchio Continente, l’euroscetticismo avanza, ma non sfonda. Che analisi si può fare di questo fenomeno?

L’euroscettismo avanza ma non sfonda perché è la risposta sbagliata a problemi seri. In un Continente in cui la disoccupazione aumenta e aumenta anche la burocrazia è chiaro che le prospettive per i cittadini diventino meno rassicuranti di un tempo e l’Europa viene vista non più come un luogo in cui si potrà vivere sicuramente meglio, ma un luogo in cui non si sa come si vivrà. È ovvio che le persone non siano per nulla contente e il richiamo al nazionalismo più che all’euroscetticismo è stato un richiamo forte.

Sono stati commessi molti errori in Europa.....

Sicuramente la politica europea è piena di difetti e ha prodotto anche seri guasti, ma la soluzione non può che essere quella di cambiare la politica economica in Europa e non, banalmente, pensare di uscire dalla storia per tornare a come eravamo un secolo fa. Ecco perché questo risultato elettorale, soprattutto in Italia, è stato da noi accolto positivamente, proprio perché può essere ascritto a questo sforzo che dobbiamo fare per cambiare la politica economica in Europa, oltre che in Italia.

Ma si può parlare per il nostro Paese di un timido avvio della ripresa economica?

Da noi la ripresa non è ancora arrivata. La ripresa si fa con i consumi e gli investimenti: non ci sono né gli uni né gli altri. Le retribuzioni non aumentano soprattutto perché non si rinnovano i contratti per più di 8 milioni di persone. Ci sarebbe anche un po’ più di ottimismo, ma sono i soldi che mancano e continuano a mancare ed è difficile, quindi, che riprendano i consumi. Probabilmente questa condizione, oltre al risultato delle elezioni europee, farà si che la politica monetaria, che resta la questione per eccellenza, in Europa e soprattutto nell’area Euro, diventerà un po’ più “americana” e, quindi, circoleranno un po’ più di soldi.

A livello europeo e mondiale resta, comunque, un problema economico. Se ne è parlato anche al Congresso dell’ITUC. Quale può essere, a questo proposito il ruolo del sindacato internazionale?

Il sindacato internazionale ha il compito e la funzione di fare in modo che la globalizzazione sia anche una globalizzazione dei diritti e delle opportunità e che si combatta il dumping sociale, causa principale, peraltro, della crisi di competitività che abbiamo sofferto in Europa. La recessione e la crisi economica non si fermano con l’austerità, ma sostenendo le attività economiche attraverso gli investimenti e una politica monetaria espansiva. Il sindacato internazionale ha sempre contrastato, in questi anni, l’idea che fosse necessaria una pratica di risparmi e di tagli ai bilanci perché siamo coscienti che più si fa una politica anti inflativa più aumenta la disoccupazione. Da anni, ormai, il sindacato internazionale e quello europeo prendono posizione contro l’austerità. L’economia del mondo ha qualche problema e, dunque, a ogni livello, occorre mettere in atto politiche per lo sviluppo.

Torniamo alle questioni più specifiche di casa nostra. A questo punto, quali saranno le rivendicazioni sindacali nei confronti del Governo presieduto da Renzi?

All’Esecutivo Renzi chiederemo, intanto, il rinnovo dei contratti per i dipendenti pubblici: mentre si impegna per la riorganizzazione della PA non si dimentichi di far aumentare un po’ gli stipendi, perché anche essi contribuiscono alla ripresa. Poi chiederemo di rivedere la legge sulle pensioni, perché bisogna renderla un po’ più flessibile in uscita: è stata fatta una riforma troppo rigida che ha creato solo problemi alle persone, ma paradossalmente anche alle imprese. Chiederemo, quindi, di fare una politica espansiva, un po’ più di politica industriale: tra breve avremo il problema della siderurgia e speriamo che non sia drammatico, nel senso che cominceremo a vedere gli effetti sul Pil, sulla ricchezza, sull’occupazione. Quindi, gli chiederemo di fare una politica che sia coerente con quello che dice e cioè realizzare le riforme, ma spingere perché ci siano crescita e, quindi, aumenti dei consumi e degli investimenti.

Uno dei fronti aperti più delicati resta quello del pubblico impiego che si intreccia con il capitolo della riforma della PA. Da parte del ministro Madia è stata espressa una disponibilità al confronto. È arrivato il tempo di affrontare il merito di questo argomento?

La riforma della pubblica amministrazione è importante non solo per il Paese, ma anche per le persone che lavorano nella pubblica amministrazione. Vuol dire un servizio migliore per i cittadini, ma anche soddisfazioni per i lavoratori che, spesso, invece, sono frustrati per il modo in cui viene organizzata l’attività e per come essa viene diretta. Ovviamente, i lavoratori si aspettano di essere ricompensati e, quindi, la questione dei rinnovi dei contratti deve essere messa all’ordine del giorno. Sappiamo perfettamente che esiste una questione di risorse, ma noi siamo sempre stati disposti a discutere di quantità e di reperimento di tali risorse. Il problema vero è che si deve consentire un avvio della discussione, per cui apprezziamo ciò che ha detto il ministro e non abbiamo dubbi che dica esattamente ciò che pensa: se c’è solo un problema di risorse mettiamoci seduti a un tavolo e iniziamo questo confronto.

A maggio si è svolto il Congresso della Cgil, caratterizzato da uno scontro interno che ha contrapposto la Segretaria generale, Susanna Camusso, al leader della FIOM, Maurizio Landini. Ci sono i presupposti per un rafforzamento dell’unità d’azione tra le tre Confederazioni?

Vale sempre il solito principio: l’unità si fa oppure no sulla base del merito delle singole questioni e se è utile a raggiungere un risultato concreto. Ebbene, nei prossimi mesi si giocherà una parte del futuro economico del Paese e noi dobbiamo essere in campo. Ci sono fasi in cui possiamo avere visioni diverse, ora invece abbiamo situazione comuni da affrontare: per il mese di giugno, abbiamo già convocato le segreterie unitarie e una riunione degli organismi dirigenti delle tre Organizzazioni. Il Sindacato può essere uno strumento efficace di partecipazione e di impegno: ancora una volta, noi vogliamo metterlo a disposizione del Paese per uscire, insieme, dalla recessione e, insieme, puntare allo sviluppo.

Secondo tradizione, il mese di maggio si chiude con l’annuale Assemblea di Confindustria e, poi, con quella della Banca d’Italia. Che giudizio dai della relazione di Squinzi e delle considerazioni del Governatore, Visco?

Nella sua relazione, il Presidente di Confindustria ha affrontato aspetti condivisibili, come ad esempio il fatto che le troppe leggi e i troppi regolamenti rischiano di essere criminogeni e che bisogna aumentare gli investimenti e far crescere l’occupazione. Su questi punti, sembra che abbiamo gli stessi obiettivi. Ci sono altre cose che, invece, non condividiamo come, ad esempio, l’ipotesi di prevedere sgravi fiscali anche per gli aumenti salariali concessi unilateralmente dalle imprese: questa proposta, in particolare, non ci piace. Noi vogliamo che siano detassati gli aumenti salariali legati alla produttività. Per quel che riguarda, invece, il Governatore della Banca d’Italia, la cosa più interessante e più vera che ha detto è quella secondo cui la caduta degli investimenti e, quindi, il disastro occupazionale che abbiamo in Italia è dovuto alla burocrazia, alle banche e all’incertezza politica. Nel suo intervento, però, è mancata un po’ di autocritica: molti dei disastri, infatti, sono stati determinati dalla politica monetaria fatta dalla Bce e, ovviamente, anche dalla Banca d’Italia che ne è socia.

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