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FEBBRAIO 2011

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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Il numero di gennaio
GENNAIO 2011

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SOMMARIO

Il Fatto
Sulle ali della Libertà - di A. Foccillo
Tagliare i costi della politica per recuperare risorse da destinare allo sviluppo.
Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
2011. Il risveglio del Mediterraneo - di A. Rea
Non dobbiamo rinunciare alla nostra identità - di B. Attili
Sanità privata: necessario intervento a tutto campo - di G. Torluccio
Campagna Uil: meno costi della politica = meno tasse - Sintesi dell’analisi
e dei numeri - A cura della Uil
Dall’Uniat UIL all’Uniat - di F. Pascucci

Intervista
Cesare Damiano: Un sindacato unito contribuirebbe a battere il neoliberismo -
di P. Nenci

Attualità
Le ragioni della rivolta in Nordafrica - di A. Margelletti
Cessione del quinto e previdenza complementare: il caso delle coperture
assicurative accessorie - di M. Abatecola

Economia
Per il sindacato europeo solo gli e-bond di Tremonti, rivisti, salveranno il welfare -
di G. Mele
L’evoluzione della democrazia -Dalla repubblica fondata sul lavoro al laissez-faire -
di G. Paletta

Il Corsivo
Eterogenesi di… Fini - di Prometeo Tusco

Lavoro
Il mediatore civile - di F. Tarra

Agorà
Movimento operaio italiano e nuovi scenari - di S. Pasqualetto
Il motivo di una convenzione - di A. Carpentieri
Adulto, attivo e occupato: la tua sveglia suona sempre…prima! E la tua veglia?
Sempre più italiani soffrono di insonnia - di M. C. Mastroeni
L’Italia dei riformisti e delle riforme! - di G. Salvarani
Ancora attuale la lezione di Olof Palme e l’esperienza del riformismo scandinavo -
di S. Veronese
L’impresa moderna come living company - di G. Zuccarello

Recensione
Riedita la Guida alle rappresentanze sindacali unitarie: Il sindacato nei
luoghi di lavoro - di P. N.

Cultura
Leggere è rileggere. Il gigante e il nostro cuore - Riflessione sui racconti di Guy
de Maupassant - di G. Balella

Inserto
Le due Italie e tutte quelle bandiere nelle strade delle nostre città nel 1961 - di P. N.

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EDITORIALE

Sulle ali della Libertà

Di Antonio Foccillo

In questi giorni di grandi cambiamenti nel mondo arabo del Nord Africa, mi sono venuti alla mente i grandi sconvolgimenti nell’Est Europeo ed, in particolare, nell’intero impero sovietico. Anche allora i sentimenti che si vivevano erano simili. Grandi aneliti di libertà e democrazia, da un lato, e, dall’altro, masse che si ribellavano ai regimi dittatoriali con enormi sacrifici, compresa la vita, per aspirare all’autodeterminazione e alla democrazia. Anche allora bisognava prima capire quali erano stati i motivi che avevano portato a quelle rivoluzioni di popolo, inimmaginabili, e, poi, cercare di valutare i rischi di quella esplosione che metteva in discussione la stabilità e, soprattutto, cercare di valutare in che modo aiutare le nuove istituzioni. Voglio ricordare cosa scriveva in quel momento, l’allora segretario della Uil, Giorgio Benvenuto1: “Il mondo è attraversato da un fenomeno chiamato dagli esperti globalizzazione, reso più rapido dall’avvento dell’informatica e dalle trasmissioni via satellite, verso cui si cammina a passo crescente: questo processo – tanto lontano e vicino alla vecchia concezione di polis – considera il mondo intero come un unico villaggio. In questo “villaggio globale” i processi messi in atto hanno una immediata ripercussione su altri: come quando un sasso viene gettato in un lago, provocando onde che si trasmettano inevitabilmente su tutto lo specchio d’acqua.” E per quanto riguarda il fenomeno dell’immigrazione: “ …la quota in Italia di immigrati extra comunitari supera ormai la cifra di duemilioni di persone (tra legali e clandestini). Nel duemila potrebbero essere dal 15 al 20% della popolazione italiana… E’ questo l’intreccio dei problemi caratteristico del villaggio globale: non si tratta solo di dare rappresentanza, a questi nuovi cittadini italiani, non si tratta solo di garantire loro un livello di vita dignitoso, non ritratta solo di combattere il rischio di nuovo razzismo, frutto dell’ignoranza ma anche delle colpevoli assenze dello Stato su questo problema; si tratta anche di capirne le implicazioni globali….” Eravamo nel 1989. Il problema è, oggi come allora, dato che vi sono molte analogie, di fronte ai cambiamenti che avvengono così rapidamente e in modo grandioso e positivo, non farsi cogliere tutti impreparati. Infatti, passata l’euforia della conquista della libertà, della eventuale democrazia, della scoperta altrettanto eventuale del pluralismo, quanti e quali problemi si frapporranno al futuro felice di quelle popolazioni, prima di raggiungere un certo livello di benessere. Il primo problema è relativo a chi governerà la stabilità di questi cambiamenti. Gli antichi regimi, alcuni molto violenti altri meno, comunque favorivano una certa stabilità ed un equilibrio che si è rotto, sia dal punto di vista religioso che dal punto di vista della distribuzione delle fonti energetiche. Troppo veloce è stata la svolta. Sembra che tutti fossero in attesa di un avvio, di una spinta a muoversi verso un futuro diverso e, soprattutto, democratico. Si riuscirà a far convivere questo anelito di democrazia e libertà con le future difficoltà, quando poi si dovrà gestire la distribuzione della ricchezza e far uscire della povertà intere generazioni. Certamente fra gli stessi paesi non vi sono situazioni tutte uguali. Fra Tunisia, Egitto e Libia le realtà sono diversificate sia sul piano dello sviluppo sia sul piano della ricchezza e della povertà, ma anche sul piano della libertà e del progresso sociale. Ma nella fase di transizione la domanda che l’occidente si deve fare non è tanto sulle diversità, ma su questi nuovi eventi come e quanto inciderà il fondamentalismo islamico e quanto invece sarà l’influsso delle democrazie occidentali e dei loro sistemi economici e sociali sul loro futuro modello di stato? Il secondo problema riguarda la quantità di persone che tenteranno la via dell’immigrazione? Infatti, in questi giorni stiamo già assistendo ad un flusso ampio e non coordinato. Tutto ciò se non ci sarà una soluzione governata dell’intera Europa, ma sarà lasciata alla gestione del singolo Stato potrà determinare gravi riflessi sull’ordine pubblico e sulla economia di quel Paese. Non ci possono essere egoismi, né si possono lasciare al fato le persone che aspirano a vivere diversamente, altrimenti si potrà generare come in passato anche forme di razzismo da parte di chi vive questa situazione come un ulteriore forma di degrado e di dumping nel mercato del lavoro. Il terzo problema è come cambierà lo scacchiere internazionale sul piano economico se gli approvvigionamenti delle fonti energetiche saranno gestiti con un’ottica diversa del passato e magari con costi esagerati? Tutto questo potrà incidere sulla già difficile crisi economica mondiale, cosa che sta gia avvenendo con un aumento smodato delle materie prime energetiche con conseguenze molto forti sul piano dello stesso costo della vita e dell’inflazione. Infine, l’ultimo problema riguarda il futuro degli investimenti in quei paesi delle aziende nostre che sono costrette a chiudere temporaneamente o definitivamente e quanto sarà ancora disponibile dei loro investimenti in importanti aziende europee ed italiane in particolare? Come questo inciderà nelle prospettive future di queste aziende sul piano produttivo, economico e sociale? Sono tutti quesiti che si dovranno porre i governanti del mondo occidentale ed in particolare Europeo e Italiano. Bisognerà evitare che singolarmente ci si muova con l’ottica dell’aiuto immediato per un ristorno egoistico per il proprio paese. Nello stesso tempo si deve evitare che questi stati precipitino in una situazione di fondamentalismo esasperato, ma anche di istituzioni troppo gracili che dovranno gestire una fase di acceso pluralismo senza autorevoli maggioranze e soprattutto senza coesione fra loro. La caduta dei regimi che rappresenta un fatto positivo, poiché facilita l’abbattimento di steccati storici e consente un’accresciuta articolazione delle opinioni, non deve tradursi in una spinta all’isolamento. In molti casi precedenti la crescita della ricchezza ha spesso accentuato le spinte corporative ed esaltato modelli consumistici a scapito della solidarietà. E’ vero che troppo velocemente sono successi e susseguiti questi eventi, tanto da cogliere di sorpresa un po’ tutti e ancora non si può dare per scontato che tutto è risolto ed il più è fatto. Troppe ancora le incognite e le incertezze. Ma è adesso che bisogna partire per valutare il da farsi. Scrive Predrag Matvejec2, facendo un’analogia con la rivoluzione in Jugoslavia: “Viene presto, forse troppo presto, il momento in cui le utopie e i messianismi trovano il loro unico posto tra gli accessori di un percorso incompiuto, irrecuperabile o almeno in parte – ahimè – inutile…” “… sarebbe utile ai paesi oggi risorti nelle piazze pubbliche trovare e definire quanto prima un progetto positivo e comune, suscettibile di sviluppo e portatore di democrazia.” Purtroppo, ancora una volta, in un momento che può diventare storico, l’azione che l’Europa ha scelto è quella di percorrere la strada del piccolo cabotaggio, senza avere una linea politica unica. E’ vero che fatti così eclatanti e sconvolgenti sullo scacchiere internazionale possono aprire nuove opportunità se si creano sinergie e interscambi per favorire la ripresa in quei paesi coinvolti dalla voglia di libertà, e garantire un “nuovo” benessere e nuove opportunità. Ma proprio perché questa fase è troppo importante non può accadere che singoli paesi agiscano, ma deve essere coinvolta ed operosa tutta l’Europa – con le sue istituzioni - e tutto l’occidente. Anche il sindacato italiano ed europeo possono collaborare in questo processo di rinnovamento degli stessi sindacati di quei paesi che si dovranno confrontare con il nuovo corso e con nuove funzioni. Infatti, sia coloro che nelle vecchie istituzioni sindacali, che saranno investiti chi più e chi meno dal nuovo corso, e che andranno alla ricerca di un nuovo ruolo, sia gli embrioni di sindacati nuovi che nasceranno avranno un bisogno di aiuto per attrezzarsi per diventare interlocutori e forze sociali autonome. Sempre Benvenuto sosteneva nel 19903: “Noi dobbiamo aiutare i popoli del post comunismo (N.d.R. allora) a far emergere e poi lasciare respirare e crescere le loro forme di società civile. La nascita e la crescita di un sistema sociale veramente libero e la condizione di base per la formazione di sindacati moderni e veramente rappresentativi…” “…e dovremo costruire un tessuto di rapporti internazionali per opporre strategie comuni allo strapotere delle imprese multinazionali che vedono in quei paesi un mercato immenso di consumatori, ma anche un enorme mercato del lavoro a costi ridicolamente bassi.” Questo vale anche oggi. Non si può imporre, con l’idea di esportare la democrazia, un modello di vita economica e sociale ma, tutti insieme, dobbiamo evitare che la speculazione possa, sulla base di modelli non ancora compiuti, imporre le sue regole e le sue logiche. Agostino d’Ippona4 sosteneva: “non gli edifici, né le mura, né i baluardi costituiscono la città, ma la gente che in forza della verità, vive in operatività solidale e reciproca fiducia”.

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Note:

1 Polis Internazionale (la rivista di politica internazionale della Uil, n°1 ottobre 1989). Editoriale di G. Benvenuto dal titolo Polis = un mondo diverso: una sfida per le nostre idee, per i nostri mezzi.

2 Predrag Matvejec, scrittore e accademico bosniaco, su La Repubblica del 24.2.2011, articolo dal titolo: “Il rischio e l’utopia”.

3 Polis internazionale luglio 1990 articolo dal titolo “la transizione democratica nell’Europa centrale ed orientale”

4 Agostino d’Ippona: filosofo, vescovo e teologo romano. E’ conosciuto semplicemente come Sant’Agostino.

Separatore

Tagliare i costi della politica per recuperare risorse da destinare allo sviluppo. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL.

di Antonio Passaro

Da molto tempo ormai la Uil sostiene che i costi della politica italiana siano troppo elevati e rappresentino una grossa anomalia per il nostro Paese. Da qui l’idea di una campagna per sensibilizzare le Istituzioni sul tema e per chiedere una riduzione di questi costi. Quali sono le ragioni economiche a fondamento dell’iniziativa?

La nostra economia ha vissuto e sta ancora vivendo un periodo delicato a ridosso della crisi e si discute ancora oggi su quali siano le soluzioni per uscire da questa situazione di criticità. Le risorse pubbliche sono il primo strumento a cui si ricorre per sostenere consumi e investimenti. Oggi, tuttavia, lo Stato non ha più la possibilità di aumentare il debito pubblico e si incomincia a intravedere l’intenzione di aumentare ulteriormente le tasse ai cittadini proprio per ovviare alle difficoltà economiche del Paese. Noi pensiamo che non sia questa la strada e riteniamo, invece, che tagliando i costi della politica sia possibile recuperare risorse senza pesare sui redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Ecco perché è necessaria un’inversione di tendenza, un vero e proprio mutamento culturale dell’opinione pubblica su questo argomento. La nostra campagna va proprio in questa direzione.

La Uil ha presentato uno studio che, numeri alla mano, ha fotografato la situazione attuale dei costi e degli sprechi della politica italiana. Quanto si potrebbe risparmiare? E quali sono le proposte della Uil?

Non entro nel dettaglio dello studio alla cui lettura rimando invitando a leggerlo sul sito internet della Uil. Mi limito a ricordare alcuni dati. Le persone che vivono, direttamente o indirettamente, di politica sono 1,3 milioni. I costi annuali della politica, anche in questo caso diretti e indiretti, ammontano a 18,3 miliardi di euro. A questi occorre aggiungere quelli derivanti da un “sovrabbondante” sistema istituzionale quantificabili in circa 6,4 miliardi di euro. Si arriva così alla cifra di 24,7 miliardi di euro. Abbiamo, poi, valutato che si possono risparmiare circa 10 miliardi di euro senza ridurre minimamente il servizio ai cittadini e senza intaccare i processi democratici alla base delle Istituzioni. Questa cifra sarebbe sufficiente per azzerare del tutto le addizionali regionali e comunali Irpef. Oppure, se fosse utilizzata esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti e pensionati, si potrebbe ottenere una permanente detassazione della tredicesima con un vantaggio economico pari, mediamente, a circa 400 euro in busta paga.

E’ una campagna che si prefigge obiettivi importanti ma davvero difficili da raggiungere…

Sì, è vero. Ma, intanto è necessario che l’opinione pubblica prenda coscienza di cosa comporta per l’economia e per i propri redditi un costo della politica così alto e cosa potrebbe derivarne da un risparmio e da una spesa più efficiente e mirata. Va anche ricordato che negli ultimi dieci anni i costi della politica sono cresciuti, in valore percentuale, molto più dei redditi dei cittadini. Un risparmio di quei costi, dunque, andrebbe a beneficio dell’economia del Paese e restituirebbe un po’ più di credibilità alla stessa politica. Noi non abbiamo alcuna intenzione di fomentare quell’idea negativa della politica che si è ampiamente diffusa nel tessuto sociale. Al contrario, il nostro obiettivo è quello di far sì che la politica torni ad essere un valore per i cittadini italiani. Non è per nulla semplice raggiungere questi obiettivi ma poichè il nostro sistema, oggi, non può più permettersi quei costi, non abbiamo alternative: questa è la strada da percorrere. Ecco perché abbiamo dato il via ad una vera e propria campagna che coinvolga i cittadini e tutte le organizzazioni sociali interessate.

A proposito delle altre organizzazioni sociali, resta ancora aperto il tavolo sulla competitività. Non si riesce a giungere ad una conclusione. Qual è lo stato dell’arte?

Purtroppo non c’è molto da dire su questo punto: sono scettico circa la possibilità che quel tavolo giunga ad una conclusione. Certo, tutte le parti sociali hanno condiviso alcuni punti in discussione. Ma il confronto sui temi della crescita sta andando troppo per le lunghe. Sono mesi che discutiamo e non succede nulla perché sulla questione centrale, quella della produttività, il confronto si è bloccato. Ne parliamo, sì; ma la produttività non è una categoria dello spirito e richiede comportamenti e azioni conseguenti. Che, però, mancano…

Insomma, anche a quel tavolo vengono al pettine i nodi inestricabili del rapporto tra le Organizzazioni sindacali che, in questa fase, pare abbiano toccato il punto più basso. Tra le tante questioni irrisolte c’è quella delle regole. In estrema sintesi, puoi ribadire la proposta della Uil?

E’ molto semplice. Noi crediamo che debbano valere le stesse regole sia per approvare sia per contestare un accordo. Insomma, occorre la maggioranza delle Rsu o dei lavoratori, sempre: si debba approvare un accordo o decidere di proclamare uno sciopero. Il potere non può mai essere disgiunto dalla responsabilità. Questi sono i principi di fondo dai quali partire, secondo noi, per affrontare e risolvere positivamente la questione delle regole. Non vorrei comunque che si dimenticasse che, già oggi e da molto tempo, la democrazia nei luoghi di lavoro è ampiamente garantita da libere elezioni che si svolgono, nel segreto delle urne, sia nelle fabbriche sia negli uffici. Noi siamo per diffondere queste tornate elettorali, quanto più è possibile, in tutti i luoghi di lavoro.

Una domanda su Fiat, anche in questa fase, non può mancare. Il progetto “Fabbrica Italia” procede anche se alcuni soggetti hanno sollecitato confronti con Marchionne, per così dire, “supplementari” al fine di capire il futuro dei centri direzionali italiani. Nel mese di febbraio, poi, c’è stato un incontro tra Fiat e Istituzioni. Qual è la tua posizione?

Intanto, precisiamo subito che la Uil non ha chiesto alcun incontro all’Amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne: non ne abbiamo sentito il bisogno perché per noi le loro intenzioni sono già chiare. Abbiamo sottoscritto accordi a Pomigliano e a Mirafiori e ci aspettiamo solo che vengano rispettati, così come noi li rispetteremo. Per quel che riguarda il futuro dei centri direzionali, dico semplicemente che le teste seguono i corpi! Ebbene, noi abbiamo fatto quegli accordi proprio affinché la produzione restasse in Italia. E se la produzione resta in Italia, è chiaro che ci dovrà essere anche la testa dell’azienda. Peraltro, proprio dall’incontro che Fiat ha avuto con le Istituzioni, sono usciti confermati gli impegni già previsti da quegli accordi firmati tra l’Azienda e i Sindacati. E sono stati ribaditi i contenuti del piano anch’esso già illustrato alle organizzazioni sindacali.

Facciamo un passo indietro e parliamo del viaggio verso il Sud che hai fatto insieme al Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, e al Segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Siete andati da Roma a Reggio Calabria in treno e siete rientrati in pulmann. Quali sono state le ragioni di questo viaggio?

Lo sviluppo del nostro paese dipende dalla crescita del Mezzogiorno. Le carenze infrastrutturali sono uno dei nodi da sciogliere. Il nostro viaggio è stata l’occasione simbolica per rimarcare questi problemi. Abbiamo voluto sollecitare le Istituzioni, in particolare quelle regionali, a cooperare per superare un gap con il resto del Paese che rischia di spingere il Mezzogiorno fuori dall’Europa. Bisogna affrontare questi problemi se vogliamo evitare che i festeggiamenti per l’Unità d’Italia siano solo un evento celebrativo.

Hai sottolineato che il mancato sviluppo del Mezzogiorno non deriva da una carenza di risorse. Dov’è il problema?

Il problema è nella qualità della spesa. Siamo tutti concordi nel sostenere che per lo sviluppo del Mezzogiorno sono necessarie le infrastrutture, eppure adesso scopriamo che è stato speso solo il 18% delle risorse a disposizione. Bisognerebbe spenderne di più e meglio e allora avremmo anche più posti di lavoro.

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