UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
DICEMBRE 2010

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
NOVEMBRE2010

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Il fatto
Dietro alle manifestazioni studentesche solo protesta o anche altro - di A. Foccillo

Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL
Bisogna puntare sulla crescita e sullo sviluppo per aumentare la domanda di lavoro -
di A. Passaro

Attualità
Dove va la politica italiana? - Interviste a G. Angius R. Formica, T. Treu - di P. Nenci

Sindacale
Presentato a Roma il libro di Domenico Proietti - A cura del Servizio
Politiche Previdenziali UIL

Costruzioni: In migliaia davanti Montecitorio per chiedere concretezza - di A. Correale
Contro i facili slogan e le cattive riforme: la nostra critica al DDL Gelmini sull’Università -
A cura della Segr. Nazionale della UILRUA
In arrivo un decreto flussi 2010 per l’ingresso in Italia di 98.080 cittadini
non comunitari per motivi di lavoro - di G. Casucci
Le principali novità del 2011 in materia previdenziale - A cura del Servizio
Politiche Previdenziali UIL
La Confederazione Internazionale dei Sindacati e la Reteper la Cooperazione
allo Sviluppo - di A. Scandura

Economia
La crisi dell’euro e le soluzioni possibili - di A. Ponti

Società
La crisi è sulle spalle. Un Natale sottotono non spegne però le speranze di ricrescita -
di M. C. Mastroeni

Il Corsivo
Cronaca di una morte annunciata - di Prometeo Tusco
Gli anni di piombo - di Prometeo Tuscolo

Agorà
Esiste ancora l’Europa? - di A. Carpentieri
I medici condotti al tempo di Nicola Badaloni - di G. Salvarani
Il welfare dei giovani è la famiglia - di G. Zuccarello

Il Ricordo
Pagine inedite di Italo Viglianesi - di P. N.
100° Anniversario della nascita di Giuseppe Della Motta - di G.S.

Cultura
Leggere è rileggere - Ciechi e non vedenti. A proposito di “Elogio dell’ombra”
di Jorge Luis Borges - di G. Balella

Inserto
La fame si combatte con la democrazia - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Dietro alle manifestazioni studentesche solo protesta o anche altro

Di Antonio Foccillo

Questo paese è stato spesso descritto diviso, un pò arruffone e soprattutto ricco di scandali. Gli ultimi esempi hanno dato la visione di un paese che si “arrangia” spesso e che non è molto motivante. Non sembra che il bene comune prevalga, ma si soddisfa spesso solo l’edonistica soddisfazione materiale e individuale. Le proteste di questi giorni degli studenti hanno amplificato questo spaccato. Troppa distanza fra Paese reale e quello virtuale rappresentato spesso dalla politica nostrana. Le tante vicende negative che si succedono danno un’immagine del paese sbagliata ed essa viene, purtroppo, propagandata nel mondo. Ma non è questo il paese reale: il paese reale è fatto di uomini e donne che hanno lottato con grande eroismo, in alcuni momenti hanno accettato il carcere e si sono battuti per affermare le loro idee, per rendere il popolo italiano libero, per trasmetterci quei grandi valori e quei grandi ideali di libertà e giustizia di cui erano portatori. E’stato un grandissimo patrimonio donato al popolo italiano. Forse oggi questi esempi non sono più di moda, ma ne abbiamo, ancora, bisogno. Il popolo italiano è maturato, è cresciuto, dalla guerra in poi, grazie anche a persone che si sono sacrificate, donando la loro stessa vita, per riconsegnare la libertà agli altri. A quegli uomini e a quelle donne, che sono stati, per tanti di noi, maestri di vita e che ci hanno trasmesso la voglia di militare nelle organizzazioni sindacali, nei partiti, per rafforzare la partecipazione democratica, dobbiamo tanta riconoscenza. Il nostro Paese, grazie a loro è pluralista, democratico, civile, ricco di cultura e benessere. Oggi che la democrazia è viva e conquistata per continuare ad essere tale c’è bisogno sempre più di dialogo e di confronto, per permettere ad ogni soggetto di partecipare, di emanciparsi e di essere protagonista. Inoltre, nel cercare di mantener una certa continuità fra l’azione quotidiana e i valori di coesione e di solidarietà fra le persone, bisogna che le persone, dallo studente al lavoratore, dal professionista all’intellettuale devono trovare una motivazione per sperare in un futuro migliore.Da dove partire? A mio modesto parere, bisogna iniziare dal rileggere la Costituzione. Essa è l’essenza del convivere unitario della comunità. Essa, trasmette i valori ai nostri figli, dà un senso all’essere cittadini italiani. Ogni articolo della Costituzione rappresenta la coesione di un popolo e testimonia i principi che fanno forte una nazione ed orgoglioso il popolo di viverci: dall’art. 1, che riconduce il fondamento della nostra Repubblica al lavoro, ai successivi che riconoscono alla persona il diritto di emanciparsi attraverso il lavoro, il diritto al salario, un salario che deve essere in grado di farla vivere dignitosamente. La Costituzione italiana difende, ancora, valori fondamentali quali la libertà di pensiero, di religione, di partecipazione civile. Tutto ciò può essere mantenuto anche attraverso la mediazione culturale, per mezzo dei circuiti formativi che insegnino il pensiero della convivenza e della coesione. La Costituzione permette ad ogni cittadino di essere protagonista della vita politica e quindi della democrazia. Consacra la sovranità del popolo in quanto gli riconosce il diritto di eleggere i propri rappresentanti e la partecipazione alle scelte attraverso i partiti; ma anche il diritto a partecipare alla gestione dell’economia attraverso il sindacato. Nella Costituzione vi sono le tutele di diritti fondamentale quali il riconoscimento della solidarietà e della coesione sociale, attraverso il welfare, cioè per mezzo della sanità, la previdenza, l’istruzione. Eppure questa Costituzione, così importante è stata modificata. Cosicché oggi, viviamo in una società in cui esistono troppe apatie, troppe deleghe fino all’abbandono della militanza politica, che rende insufficiente la partecipazione democratica! Tutto questo avviene, anche, perché non ci sono più strumenti di partecipazione in cui impegnarsi, autorità morali e ideali che svolgono la funzione di stimolo ed esempio. In questa nuova realtà che si è determinata rischia proprio la democrazia. Bisogna ridare motivazione alle persone, dimostrare loro che possono essere proprietari del loro futuro, attraverso l’impegno di ognuno. A volte basta anche l’impegno di uno, anche quello più piccolo, per smuovere gli altri, per rimettere in moto l’intera società. In questo processo è ancora fondamentale il ruolo del sindacato e non dobbiamo accettare la descrizione di un sindacato che ormai rappresenta la storia passata. Il sindacato è stato un vigoroso strumento di questa democrazia, dal dopo-guerra, quando i lavoratori si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato, prima, per difendere le fabbriche durante il regime fascista e poi, per costruire benessere, civiltà, democrazia e pluralismo. Il sindacato ha difeso questo paese, quando le istituzioni sono state aggredite dal terrorismo e si è impegnato a sostenere l’ingresso dell’Italia in Europa. Tuttavia continuare quelle azioni, oggi, rischiano di non essere motivanti in quanto molte volte sono pragmatiche ed aride, viceversa se comunicano un valore, una strategia riescono a coinvolgere ed appassionare. Il sindacato ha dimostrato che le grandi idee, i grandi obiettivi, come quelli dell’Europa unita, della difesa delle istituzioni, del miglioramento delle condizioni di vita, del rilancio dell’economia hanno trovato un ampio consenso e partecipazione, pur a fronte di tanti sacrifici. E’ stato, il Sindacato, a fare tutto questo, e ne dobbiamo andare orgogliosi. Negli anni (dal 2000 al 2010) si è verificata, su scala mondiale, una sostanziale retrocessione dei diritti del lavoro, a tutto vantaggio del capitale e delle imprese che hanno ampliato il loro vantaggio. In Italia, anche grazie al sindacato confederale, il divario che su, scala planetaria si è presentato in termini maggiori è, invece, meno evidente, ma comunque avvertito. Oggi, ancora più di ieri bisogna, però, essere in grado di cogliere fino in fondo i processi che quotidianamente avvengono nella società impostando l’attività politica non sui semplici interessi particolari ma per svolgere la funzione più ampia veramente politica di aver cura degli interessi generali del Paese. Ci si deve porre il problema di com'essere all'altezza del cambiamento e come attualizzare le strategie rivendicative e sociali, ricercando nella società aggregazioni, senza mai rinunciare alla capacità di accompagnarle con principi di progresso e giustizia sociale. Si deve essere capaci di far crescere nuove forme di dialogo e partecipazione. Si deve, con molta umiltà, riprendere il cammino per stimolare la partecipazione e comprendere a fondo le trasformazioni, quelle avvenute e quelle in atto. Noi non rivendichiamo questo metodo solo perché ci piace, ma perché accomuna la voglia di modernizzare, di migliorare, di cambiare questo paese, per portarlo nel cuore come simbolo di ognuno di noi. Il nostro è un grande sindacato confederale che si distingue da quello corporativo per la sua capacità di agire strategicamente tenendo conto dell’insieme della società e non delle corporazioni d’interessi. È questo che noi trasmettiamo. Noi vogliamo che la società sia coesa e solidale e attraverso le nostre battaglie vogliamo dare garanzie, tutele e diritti ai nostri rappresentati e a tutti i cittadini. Di conseguenza ogni nostra richiesta, ogni nostra azione esprimono valori e ideali di progresso sociale. Quando noi chiediamo – come abbiamo fatto – la tutela e la dignità delle persone, che cosa significa? Se non avere un posto di lavoro, che non può essere precario. Non abbiamo bisogno di ulteriore precarietà, dobbiamo ridurla. Non possiamo pensare di costruire il futuro di questo paese attraverso la precarietà e la flessibilità. Come si può loro chiedere di continuare ad essere responsabili, ad essere onesti, ad andare a lavorare tutti i giorni senza dar loro la speranza e la possibilità di costruirsi il proprio futuro salvaguardando la propria dignità di persona? Quando noi chiediamo salario e tutela del potere di acquisto non stiamo sognando la luna, ma stiamo chiedendo quello che la Costituzione italiana enuncia. Quante volte abbiamo dovuto lottare per 15 euro! Poi, invece, si deve assistere, com’è avvenuto nella grande crisi finanziaria, all’accumulazione di ricchezze attraverso la borsa o utilizzando gli strumenti del mercato. E quando noi chiediamo di valorizzare il lavoro lo facciamo nell’ottica del benessere complessivo perché valorizzare la persona, motivare la persona a darle dignità di lavoratore significa dare dignità al lavoro nel suo complesso ed anche alla produzione che di quel lavoro è il frutto consegnato alla società. Se non si valorizza chi lavora, automaticamente non si può valorizzare il prodotto di quel singolo lavoro, che poi diventa un bene per la società. Sono tutte richieste concatenate che fanno parte di una strategia. Quando sosteniamo le nostre proposte su come recuperare risorse, cercando di tagliare il fisco è perché diventa difficile spiegare ad un lavoratore che lui deve pagare in anticipo una somma, mentre altri vogliono e spesso possono evitare di pagare le tasse. Un paese è solidale e coeso se le persone che hanno un alto reddito ne mettono un pezzetto a disposizione degli altri: è così che si costruiscono la solidarietà, il welfare, il benessere di tutti. Noi vogliamo che il fisco sia giusto con i deboli e sia forte con i forti, che ritorni ad essere, come dice la nostra Costituzione, uno strumento di ridistribuzione della ricchezza. Noi siamo convinti che il benessere di questo paese si è costruito non solo con il settore produttivo, primario, secondario e terziario, ma anche attraverso i servizi pubblici che hanno permesso a tutti i cittadini italiani di fruire dei loro diritti a prescindere dal ceto, dal luogo di nascita e della capacità economica. Se questo paese ha raggiunto questo livello di civiltà e di democrazia è anche grazie a servizi della Pubblica amministrazione, a chi ci opera tutti i giorni, a chi fa tanti sacrifici, lavorandoci senza grandi soddisfazioni economiche e morali. Uno di questi settori, in particolare, oggi è sotto conflitto, quello del sapere. Senza voler entrare nella descrizione delle riforme avvenute vogliamo solo sostenere che il sapere è una fonte di ricchezza per il nostro paese. Ogni discussione, ogni proposta di rilancio del nostro paese passa par il sapere, l’innovazione e la ricerca. Tutti i governi, nei loro programmi, hanno puntato sulla cultura, sulla formazione, sulla Università e scuola. Tuttavia, ogni volta che i programmi dovevano concretizzarsi incominciavano le dolenti note, relative alle compatibilità economiche. Infatti, ogni Finanziaria ha previsto, per questi settori, una riduzione degli investimenti. La cultura, il sapere è in grado di unire - oltre che formare – come si sosteneva in precedenza le persone su valori condivisi. Il sistema formativo, dalla scuola all’Università, deve unire, perché deve istituzionalmente essere in grado di spiegare e motivare idee, modelli, valori di una società democratica e così facendo motiva, educa anche ad una vita corretta civilmente. Proprio per questo deve mantenere il suo carattere di universalità, dando così pari opportunità a tutti. Per cui invece, di demonizzare la protesta, anche se va sempre condannata la violenza, bisogna saper ascoltare le richieste di questi giovani che stanno protestando, e come ha fatto, unico esempio concreto, il Presidente della Repubblica, deve farlo anche il sindacato. Ricordiamoci sempre la nascita del nostro sindacato. Nel momento in cui si divideva il sindacato - da uno sono stati fondati tre sindacati - i nostri padri fondatori hanno puntato su grandi valori: l’indipendenza, l’unità, il pluralismo e il confronto non idelogico. Allora, dobbiamo ripartire da lì. Noi siamo un sindacato che vuole discutere, che vuole ragionare, non abbiamo nemici da mettere al bando, noi abbiamo interlocutori, noi vogliamo essere forti, ma vogliamo esserlo attraverso la nostra capacità di costruire idee. Noi siamo un sindacato che discute di merito per valorizzare la persona, le sue qualità e la sua conoscenza. Noi rispettiamo i valori degli altri, perché facciamo della tolleranza la nostra ragione di vita. Tolleranza e laicità sono nostri valori, che affermano due principi fondamentali. Il primo vuole sostanziare il diritto di ognuno a parlare. Il secondo sostiene che ognuno non può imporre agli altri in senso dogmatico la propria idea. Noi non vogliamo dogmi, non li vogliamo imporre e non li accettiamo, ma vogliamo costruire la proposta attraverso il processo dialettico. Vogliamo e dobbiamo ragionare, partecipare e convincere con le nostre idee. Per questo dobbiamo aprirci alla società e dialogare con tutti perché dietro la protesta spesso c’è solo la volontà di essere riconosciuti come persone che vogliono conquistare il diritto alla loro vita. Ma siamo anche un sindacato riformista perché vogliamo cambiare piccole cose senza stravolgere, senza rivoluzionare, ma con il buon senso e con la riflessione. Infine, questo sindacato è anche un sindacato pluralista. Ha avuto una storia fatta di diverse posizioni ideologiche, ma è riuscita a convivere con queste. Ma un grande sindacato si misura anche dal lavoro che i suoi dirigenti, dal centro al rappresentante di base, fanno tutti i giorni. E se il consenso cresce, se le adesioni aumentano, se le nostre liste sono votate è perché essi riescono a trasmettete questi valori. La nostra è una vita di sacrificio, proprio per questo va vissuta con passione e tensione morale. La nostra quotidianità è fatta di tanto lavoro, però è un’occasione di grande fermento di democrazia e di partecipazione. E fino a quando ci saranno queste possibilità, questo paese sarà forte. Ma la nostra azione deve essere in grado di collegare ogni fatto, ogni lotta, ogni rivendicazione ad un valore e ad un ideale: guai a noi se li abbandonassimo!

Separatore

Bisogna puntare sulla crescita e sullo sviluppo per aumentare la domanda di lavoro. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL.

di Antonio Passaro

Angeletti, inizia un nuovo anno. Come tradizione, è il momento degli auspici. Cosa ti aspetti da questo 2011?

L'anno che sta arrivando dovrebbe portare con sé un incremento della produttività e dei salari. Il differenziale di crescita tra noi e altri paesi europei trova riscontro proprio nei differenti tassi di produttività che, in Italia, sono decisamente bassi da oltre un decennio. Così il 2011 potrebbe far segnare l'avvio di un'effettiva e duratura ripresa economica. Una ripresa che abbia positive ripercussioni sui livelli occupazionali. Bisogna puntare sulla crescita e sullo sviluppo per aumentare la domanda di lavoro: la buona occupazione è una derivata dell'economia e non della politica. Infine sarebbe molto importante se si procedesse verso la riduzione delle tasse per i lavoratori dipendenti e i pensionati e anche verso la riduzione dei costi della politica. Se tutto ciò accadesse, il nuovo anno sarebbe davvero un anno nuovo.

Alcune di queste considerazioni le abbiamo ritrovate anche nel discorso di fine anno del Capo dello Stato. Qual è stato il tuo giudizio sulle riflessioni di Napolitano?

Quello del Presidente della Repubblica è stato un discorso di grande spessore politico ed umano. Per quel che riguarda, in particolare, le questioni economiche sollevate da Napolitano, è da condividere pienamente il riferimento sia al valore della produttività, dal cui incremento dipende la crescita dei salari, dell'occupazione e dell'economia, sia alla necessità di una riforma fiscale. Infine, la pressante sollecitazione a rispondere alle aspettative dei giovani, da un lato, e l'esaltazione dei valori dell'unità nazionale, dall'altro, sono linee dell'intervento di Napolitano che invitano noi tutti ad essere protagonisti della costruzione di un futuro denso di migliori speranze.

Il 2010 si è chiuso con uno scontro politico-parlamentare risoltosi sul filo di lana a favore della maggioranza: l'Esecutivo ha ottenuto la fiducia sia al Senato sia alla Camera e il premier Berlusconi ha rilanciato la sua azione di governo. Ma pochi voti basteranno ad assicurare la governabilità?

Quello a cui abbiamo assistito nello scorso mese di dicembre è stato uno scontro tra due persone: Berlusconi, da un lato, e Fini, dall'altro. Ed è del tutto evidente che Berlusconi abbia vinto questo scontro. Rimane tuttavia il problema della governabilità e della possibilità di fare delle scelte. Il Paese ha bisogno di un governo che sia in grado di governare. Se questo sarà possibile, bene. Altrimenti, io continuo a pensare che sarebbe meglio andare a votare.

Nel mese di dicembre è stato avviato con il Governo un confronto sulla riforma fiscale. La convocazione è anche la conseguenza di una rivendicazione, potremmo dire, storica della Uil. Come procedono i lavori?

E’ fatto positivo che tutte le parti sociali abbiano avviato un confronto con il Governo proprio su uno dei temi che noi consideriamo prioritari dell'agenda economica. Dopo la riunione iniziale, sono stati insediati quattro gruppi di lavoro che dovranno affrontare altrettante questioni di carattere tecnico e operativo. L'obiettivo realistico è quello di giungere ad una conclusione di questa fase entro la fine del mese di marzo. Sarebbe un traguardo davvero molto importante. Peraltro, se si guarda alle dichiarazioni dei redditi si è portati a credere che, in Italia, i ricchi non esistono: solo l'1'5% dichiara redditi superiori a 150mila euro e questo è un fatto scandalosamente non vero. Ecco perchè è necessaria una riforma fiscale che consenta di individuare i diversi redditi.

Secondo uno studio di Bankitalia, il 45% della ricchezza sarebbe concentrata nelle mani del 10% degli italiani. Come giudichi questo dato?

Che nel nostro Paese la ricchezza sia concentrata, purtroppo, nelle mani di una minoranza di persone non è una notizia. Il fatto nuovo e preoccupante è che, nel 2010, la ricchezza sia ulteriormente diminuita. Per uscire dalla crisi diventa necessaria la crescita dell'economia.

A proposito di crescita, come procede il confronto, tra le parti sociali, sulla competitività?

Procede abbastanza bene ma si registrano posizioni contrastanti in merito al capitolo della produttività che, oggettivamente, è l'argomento più importante e anche più complesso da affrontare. Vedremo se tutte le parti coinvolte saranno in grado di sciogliere alcuni nodi per proseguire nel cammino.

E se si parla di produttività, non possiamo non parlare della vicenda industriale, sindacale ed economica più rilevante dell'anno: quella che ha coinvolto l'intero mondo Fiat. Una vicenda destinata ad avere ripercussioni anche nel 2011. Partiamo dagli accordi di Mirafiori e di Pomigliano...

Va subito detto che, grazie a questi accordi, sono stati salvati più di ventimila posti di lavoro, tra diretti e indiretti. Ora l'Italia ha la possibilità di tornare ad essere un grande produttore di auto con le conseguenti ricadute positive sull'economia e sull'occupazione. Inoltre, con questa intesa, si rompe quel sistema fondato sulla pretesa di un diritto di veto e sul rifiuto di assumersi le responsabilità: si fanno patti tra soggetti che intendono rispettarli.

Una delle novità è stata la scelta di realizzare singole trattative e singoli accordi nei vari stabilimenti dello stesso gruppo Fiat. Da cosa deriva questa decisione?

La Uil è stata tra coloro che hanno proposto alla Fiat di fare accordi specifici per i singoli stabilimenti rompendo quella logica un po' sabauda secondo cui tutti gli stabilimenti dovrebbero avere le stesse regole. E' una logica che poteva andar bene in tempi passati ma, oggi, non è più adatta. C'e' bisogno di "camicie" su misura perché gli stabilimenti non hanno uguali esigenze: l'unica cosa che hanno in comune è il proprietario.

E ora, dopo gli accordi per i singoli stabilimenti della Fiat, per le "newco" di Mirafiori e Pomigliano, ci si prepara alla definizione di un contratto per l'auto...

Si, nel mese di dicembre è iniziato un confronto con la Federmeccanica, tuttora in corso, per discutere di norme contrattuali specifiche per tutto il settore auto. Chiederemo a Fiat di valutare se prima o poi si debba fare un contratto nazionale per l'auto perché a noi interessano i due livelli di contrattazione.

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]