UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
LUGLIO - AGOSTO 2008

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
GIUGNO 2008

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Editoriale
Perchè non se ne parla? – di A. Foccillo
Intervista al Segretario Generale Luigi Angeletti: "Tra CGIL, Cisl e Uil ci sono sensibilità diverse: ma o si riesce a fare un passo avanti tutti insieme oppure un accordo separato sulle regole non avrebbe senso." - di A. Passaro

Economia
Apprendere per cooperare - di P. Carcassi
Non è tutto oro ciò che luccica - di A. Croce
“Oggi è già domani”. La Previdenza Complementare (è) una scelta
per il tuo futuro - di M. Abatecola
Sta per scoppiare anche la bolla derivati? - di G. P.

Sindacale
Il mercato del lavoro in Italia: Studio UIL - di G. Loy
Più sicurezze nel lavoro - di C. Prestileo
La sfida del lavoro - di P. Nenci

Approfondimento
Scusi una domanda: lei sa che quest’anno è l’anno europeo
del dialogo interculturale - di G. Salvarani
Cominciamo da una vera cultura previdenziale- di P. N.

Europa
Una rinnovata agenda sociale per l’Europa - di A. Ponti

Internazionale
Meeting Asia-Europa: prove di dialogo sociale - di M. Nicolia

Agorà
La diffusione della lingua italiana nel mondo - di A. Carpentieri

Cultura
La UIL UNSA attiva un nuovo servizio: Patrocinio per gli Autori
e gli Artisti italiani - di N. A. Rossi Dal cinema al DVD. Chi ne guadagna? - di L. Gemini Leggere è rileggere. Louis Pauwels - Jacques Bergier: Il mattino dei maghi - di di G. Balella

Inserto
Il ’68 e il ’69 della Uil: due anni di forte modificazione (prima parte) - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Perché non se ne parla?

Di Antonio Foccillo

Il premio Nobel per l’economia, Joseph E. Stiglitz ha scritto recentemente un articolo in cui affronta il problema che attanaglia l’economia mondiale, cioè la crisi del sistema di neoliberismo. Lo descrive con il sinonimo “integralismo di mercato” considerandolo il “presupposto del tacherismo, del reagonomics e del cosiddetto ‘Washington Consensus’ che si sono rivolti a favore della privatizzazione, della liberalizzazione e della risoluta concentrazione sull’inflazione da parte delle Banche centrali indipendenti”. Egli ritiene che questa ideologia sia fallita ancora una volta.
Infatti, scrive “Per un quarto di secolo tra i Paesi in via di sviluppo c’è stata un’agguerrita concorrenza ed è chiaro chi sono i perdenti: i Paesi che hanno perseguito politiche neoliberiste non soltanto hanno perso la non irrilevante posta in gioco della crescita, ma oltretutto quando hanno fatto progressi i benefici ottenuti sono andati in buona parte ad accrescere in maniera sproporzionata lo status di chi già stava in condizioni migliori rispetto ad altri…”. Nel continuare l’analisi di questo processo passa ad affrontare la questione dei subprime che, oltre ad aver procurato per tanti proprietari la perdita della casa e di conseguenza anche i risparmi di tutta la vita, hanno provocato una svalutazione globale. Tutto ciò porta ad “una recessione che sarà duratura e di ampia portata”. Così continua “…la filosofia del libero mercato è stata usata selettivamente, abbracciata, quando serviva interessi speciali, liquidata, quando non serviva.” Per poi ragionare sul fatto che “in un mondo di grandi ricchezze, milioni di persone dei paesi in via di sviluppo tuttora non si possono permettere i requisiti minimi nutrizionali. In molte aeree gli aumenti dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia avranno un effetto particolarmente devastante sui poveri, perché sono queste due le categorie che assorbono la maggior parte delle loro spese.”
Per concludere: “Oggi è in atto una discrepanza tra interessi sociali e privati…”. “… il fondamentalismo del mercato neoliberale è sempre stato una dottrina politica al servizio di determinati interessi. Non è mai stato sostenuto da una teoria economica, né – e dovrebbe essere chiaro, ormai – è supportato da un’esperienza storica. Apprendere, una volta per tutte, questa lezione potrà rivelarsi il piccolo raggio di sole in una nube scura che incombe ormai sull’economia globale”.
Di tutto ciò se ne parla poco in Italia. Quasi come se il problema non interessasse sia alla politica (troppo indaffarata sulla discussione sul sistema elettorale e dai problemi della giustizia ) sia a tanti economisti. Fatte salve alcune eccezioni in primis il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi; il Ministro Tremonti e l’ex Presidente della Consob Guido Rossi. Il Governatore non solo si è posto il problema, ma, anche per la carica istituzionale, ha avanzato alcune proposte pure a livello internazionale. Il Ministro Tremonti ha elaborato una serie ragionamenti e ritiene che “mentre l’Europa cerca di costruire un mercato perfetto, fuori dai suoi confini si sta facendo un’altra cosa, il mondo dei monopoli e dei duopoli con elementi poco trasparenti come i fondi sovrani.” Ma considera la crisi dei subprime “non la fine del mondo ma la fine di un mondo”. E dalle macerie dei mutui nascerà “un mercato più reale, ancorato al lavoro, meno virtuale e immorale di quello in cui abbiamo vissuto in questo decennio”. Guido Rossi considera oggi “il mercato qualcosa di più sofisticato, infatti, di hedge e fondi sovrani non si conosce né la proprietà e né gli interessi”. Ritiene che la “globalizzazione ha impoverito lavoratori e classi medie che i sindacati hanno abbandonato a se stessi. Il mercato ha un ruolo, ma ora servono interventi legislativi in grado di tutelarli.” E il sindacato? Come Uil ci siamo già interrogati una prima volta in un convegno sulla “Finanziarizzazione dell’economia” il 19 marzo e sulla rivista Lavoro Italiano abbiamo dedicato e continuiamo a dedicare molto spazio ai problemi del mercato. Convinti che proprio nella partecipazione alle formazioni sociali si esplica la piena emancipazione della personalità e dei propri diritti, come sostiene anche la nostra Costituzione, e che non è possibile scindere l’azione sindacale del quotidiano dalla strategia di costruire una società più giusta e più equa in cui logica economica, logica politica e logica sociale siano un tutt’uno. Infatti, l’azione umana ha una pluralità di motivazioni che non si possono ridurre in termini soltanto economici e utilitaristici. Pertanto, l’azione delle formazioni sociali (partiti, sindacati) essendo caratterizzata da prospettive di equità da favorire socialmente, pur dovendo fare i conti con le leggi di mercato, si deve proporre interventi volti a realizzare la giustizia e i valori esistenziali. Il metodo economico è incompatibile spesso con gli istituti direttamente incentrati sulla personalità umana (c.d.d. i diritti della personalità) e trascura aspetti che mutano di gran lunga gli stessi assetti istituzionali del potere. Tutto questo, a parer nostro, esige una nuova progettualità, che senza sposare facili massimalismi, induca a confrontarsi sulle possibili soluzioni che le diversità culturali presenti nella società propongono e su un rinnovato e corretto rapporto tra economia, etica, politica e mondo del lavoro. Oggi si vive lo sviluppo neo liberista per lo più con l’atteggiamento scettico del prendere atto (senza alcuna partecipazione critica) che l’economia governa la politica e la legge è ormai amica solo del mercato e delle sue ineludibili esigenze. E’ un realismo che considera il primato di fatto del mercato come “valore” unico, sul quale costruire la moderna legalità.
Il rapporto mercato-istituzioni rappresenta il problema centrale della modernità. Occorre, però la consapevolezza che il protagonista di tale rapporto è, e resta l’uomo, come persona, non già ridotto solo a consumatore o produttore. Il mercato tende ad essere una realtà pervasiva dell’ intera società la quale si può definire libera in quanto garantisce la più ampia autonomia degli individui partecipanti. La sfrenata libertà di mercato si traduce in lotta e in conflitto, rischiando di relegare la dignità personale a semplice scambio, esponendo i soggetti deboli, sopraffatti o sfruttati alla marginalità.
Il mercato assume il ruolo istituzionale, di organizzazioni di relazioni sociali, e di ridistribuzione di ricchezza e i grandi gruppi economici, che svolgono le funzioni di governo privato della società, si prestano alla cooperazione e alla sponsorizzazione compatibili con il loro egoismo, ma niente affatto disponibili a gesti e forme di sincera solidarietà. La società non è riconducibile al mercato e alle sue regole, il mercato ha bisogno di norme che lo legittimino e lo regolino. Occorre ritrovare le ragioni profonde della responsabilità individuale e collettiva, impegnarsi sul piano della cultura politica, così da contribuire a realizzare una democrazia economica, centrata sulla persona e soprattutto sulle capacità imprenditoriali, finalizzata all’utilità sociale (vedi la Costituzione), evitando che i detentori, anonimi o no, delle grandi imprese siano anche i signori del governo.
Ma è necessario anche il controllo sulla forza pervasiva del mercato. Quest’ultimo tende anche a creare bisogni corrispondenti agli oggetti che produce ed a soggiogare le libertà e le capacità critiche delle persone in un sistema perverso, pubblicitario e informativo. Ciò mette in crisi la stessa formazione dell’opinione pubblica e il sistema di controllo popolare, incidendo sulla cultura di massa. In gioco sono la funzione delle regole e il comportamento democratico delle istituzioni, la speranza di legalità della politica e nella politica, con sempre maggiore difficoltà di controllo delle operazioni politicamente rilevanti. Il mercato si pone solo il problema della distribuzione, mentre lo Stato realizza prevalentemente la ridistribuzione. Con l’attuale situazione economica la distribuzione delle perdite e dei costi sociali avviene sempre a livelli di fasce di cittadini più ampie con l’aumento delle povertà ed emarginazione, mentre si è persa la capacità di ridistribuire la ricchezza prodotta che è il compito più alto della solidarietà sociale e politica. La visione di una società in cui vi sia giustizia sociale, equità, libertà, partecipazione democratica, coesione e solidarietà non può essere considerata un’utopia, ma deve vederci impegnati, proprio in un momento come questo, per regolare realisticamente un mercato che non imponga il suo modo di pensare e di agire, imponendo ad ognuno di noi la sua scala di valori al punto che l’uomo venga misurato esclusivamente in termini di costi e benefici. Certamente nelle attuali società, come in passato, non vi è separabilità dell’economico dall’umano, ma questo deve indurre la politica a riacquistare la sua centralità e il sindacato, insieme alla politica e alla classe imprenditoriale, a configurare nuovi rapporti tra economia ed etica, tra economia e diritto, tra economia e politica.

Separatore

Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti: “Tra Cgil, Cisl e Uil ci sono sensibilità diverse: ma o si riesce a fare un passo avanti tutti insieme oppure un accordo separato sulle regole non avrebbe senso”.

di Antonio Passaro

Angeletti, chi ci legge ha già conosciuto l’evoluzione della trattativa per la riforma del sistema contrattuale. Tra pochi giorni, infatti, giovedì 24 luglio, si svolgerà una sessione del confronto con la Confindustria decisamente importante per conoscere la strada che sarà imboccata. Resta la speranza di concludere entro la fine del mese di settembre. Ma è davvero, al momento, una prospettiva ancora realistica?

La strada è decisamente in salita e il prossimo appuntamento è cruciale. Oggi le posizioni sono distanti sia riguardo all’indice inflativo di riferimento per il rinnovo dei contratti nazionali sia in merito al peso economico da attribuire a questi ultimi. Se queste differenze saranno superate, a settembre il confronto potrà proseguire. Altrimenti non vedo quale miracolo ci potrà portare ad un accordo.

Via l’inflazione programmata, qual è il nuovo indice che si sta approntando?

Nel nuovo sistema – lo abbiamo ribadito a chiare lettere – non ci sarà più l’inflazione programmata, ma un sistema di calcolo come quello adottato in Europa. Ciò significa che saremo al riparo da operazioni politiche e misureremo l’andamento dei prezzi così come avviene in Germania e in Francia. Tutto questo ci sarà – così come ci sarà anche una crescita dei salari reali con la contrattazione di secondo livello – se supereremo le attuali differenze e se a settembre firmeremo l’accordo.

Che la riforma del sistema contrattuale sia necessaria per far crescere i salari reali lo abbiamo detto da queste stesse pagine in più di una circostanza. Non mi pare che, a questo punto, ci sia molto altro da aggiungere se non attendere l’esito dell’incontro del 24 luglio, sperando nel prossimo numero di poter dar conto di positivi avanzamenti. Ma un’ultima domanda vorrei fartela. Proprio in queste ore è stato firmato il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del commercio solo da Uil e Cisl. Quale ripercussione può avere la vicenda di questa categoria sul tavolo generale della riforma?

Rispondo brevemente. Che tra Cgil, Cisl e Uil ci siano sensibilità diverse non è un mistero. Ma ciò che è avvenuto nella categoria del commercio non avrà alcuna conseguenza sul tavolo della riforma del sistema contrattuale. Sia chiaro che o si riesce a fare un passo avanti tutti insieme oppure un accordo separato sulle regole non avrebbe senso. Per il resto, sono proprio d’accordo con te: è meglio non aggiungere altro e attendere l’esito dei prossimi incontri. Ne riparliamo a settembre!

E allora cambiamo argomento. Cosa pensi della cosiddetta “Robin Tax” e delle critiche che, al proposito, sono state rivolte al ministro Tremonti?

Io credo che sulla Robin tax abbia ragione Tremonti e che, invece, sbagli chi sostiene che non si possano tassare le banche e le compagnie petrolifere perché altrimenti si trasferirebbero sui consumatori i costi derivanti da queste maggiori tasse. Se ciò fosse vero, vorrebbe dire che non si potrebbe tassare nessuna impresa e che, alla fine, unici soggetti da tassare sarebbero operai e impiegati. Semplicemente inaccettabile…

Intanto l’economia va decisamente male. I recenti dati su produzione industriale, fatturato e ordinativi sono sconfortanti. Qual è la tua opinione?

I dati sono preoccupanti e confermano l’opinione unanime che si sta andando incontro ad un rallentamento dell’economia che coinvolge anche l’Europa e il mondo. Per quel che ci riguarda, abbiamo un problema in più: che non aumentino le differenze tra noi e gli altri Paesi con cui dobbiamo competere. D’altro canto, è difficile che si produca se non si vende. Lo abbiamo detto molte volte e in tante occasioni: siamo un Paese che produce prevalentemente beni di consumo e la caduta dei consumi in Italia è dovuta sostanzialmente alla perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. E per far crescere l’economia ci sono solo due ricette: fare investimenti e rilanciare i consumi, aumentando i salari e riducendo le tasse sul lavoro dipendente e sulle pensioni. E’ paradossale, ma da noi i salari scendono e il costo del lavoro sale. La ragione di ciò sta nella scarsa produttività e la soluzione a questo problema sta nel collegare l’aumento dei salari all’aumento della produttività. Ecco perché il rafforzamento della contrattazione di secondo livello è decisiva. Ma qui torniamo su un punto che avevamo deciso di lasciare in sospeso, per il momento…

Nei ragionamenti di alcuni si torna a parlare di “autunno caldo”. Che ne pensi?

Io consiglierei di evitare la ripetizione di formule logore. Di autunno caldo ce n’è stato uno in condizioni sociali ed economiche profondamente diverse. Quelle successive sono state tutte parodie. Resta il problema salariale, non da oggi ma da qualche anno. Un problema che non è mai stato affrontato in maniera seria e che non è stato mai risolto. Noi abbiamo dato delle indicazioni precise. Per assumere decisioni conseguenti, vediamo prima se e come quelle indicazioni saranno raccolte.

C’è anche un problema inflazione…

Sì è vero, ma è soprattutto un problema di speculazioni. I governi e le autorità monetarie dovrebbero preoccuparsi di combattere le speculazioni che generano inflazione. Al contrario, una politica economica ossessionata dall’inflazione rischia di essere una politica economica che conduce alla recessione. Bisogna concentrarsi sulla scarsa crescita, sul calo della domanda interna e sui bassi salari. Questo è il punto.

E intanto nel pubblico impiego si ripropone il problema del rinnovo contrattuale. Che fare?

E’ un problema serio. La discussione sul pubblico impiego deve essere complessiva e deve riguardare i salari, l’aumento di produttività e le norme che governano lavoro e retribuzioni. Si possono discutere criteri diversi per la loro erogazione, ma le quantità economiche non possono essere eliminate. Altrimenti lo sciopero, a settembre, sarà inevitabile

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]