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MAGGIO 2008

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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Il numero di aprile
APRILE 2008

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SOMMARIO

Editoriale
Il risultato elettorale ha disegnato un nuovo scenario. Come confrontarsi?- di A. Foccillo
Intervista al Segretario Generale della UIL Luigi Angeletti, La nostra nuova frontiera: puntare sulla produttività per ridistribuire la ricchezza e far crescere i salari. - di A. Passaro

Sindacale
Legge 194 si: senza pregiudizi ma - finalmente – da attuare tutta intera - di N. Nisi
Perché il Contratto UNICO tra Autoferrotranvieri e Ferrovieri - di D. Del Grosso e S. Fortino
La programmazione del Fondo per le Aree Sottoutilizzate nella politica regionale unitaria 2007-2013” - A cura dell’Ufficio Politiche Regionali
“All’offensiva per comitati aziendali europei più forti” - di M. Sacchettoni

Economia
Dalla spirale del declino alla spirale della crescita. - di V. Russo

Società
Il nostro domani in pericolo, ma come è peggio per l’Africa - di P. Nenci
Ci sono problemi? Speriamo nel gioco! - di G. Salvarani

Approfondimento
Welfare State - di A. Foccillo

Attualità
Figli di un dio minore – di A. Ponti

Internazionale
IV Vertice sindacale Unione Europea – America Latina e Carabi - di A. Carpentieri

Agorà
Berlusconi in realtà è capo del centrosinistra - di Gipa

Cultura
Leggere è rileggere: ERNEST HEMINGWAY e GOFFREDO PARISE A CONFRONTO – di G. Balella
Ravenna Città d’arte: Le cento città – di L. Gemini
Shine a light - di S. Orazi
Le iniziative dell’Istituto di Studi Sindacali: Edmondo De Amicis, il socialista, educatore e scrittore - di P. Saija

Inserto
Quando non si poteva cantare l’inno dei lavoratori - di P. Nenci

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EDITORIALE

Il risultato elettorale ha disegnato un nuovo scenario. Come confrontarsi?

Di Antonio Foccillo

Dopo i risultati elettorali sarebbe opportuno avviare una riflessione a più voci per valutare come sono cambiati i parametri di riferimento politico e sociale e come nella società italiana, di fronte alle paure sul piano economico, e sulla sicurezza personale, si sia determinato una chiusura a riccio di tipo quasi corporativo.

A nessuno può sfuggire che soprattutto le regioni del nord hanno dimostrato una volontà di difendere soltanto le proprie prerogative ed hanno fatto diminuire nelle coscienze delle persone l’importanza di due valori che erano stati fondamentali negli anni passati quali: quelli della solidarietà e della coesione sociale. A fronte di processi che diventano sempre più soprannazionali e globali si è affermato un ritorno al proprio particolare - localistico - che magari difende anche il piccolo interesse, ma non la generalità. Oggi dobbiamo fare i conti con una concentrazione produttiva, concentrazione finanziaria e assenza di vincoli sui mercati finanziari mondiali e tutto questo costituisce una “miscela esplosiva” che porta sempre più al divorzio tra economia reale e finanziaria. Lo stesso sindacato, in questi anni ha dovuto giocare sempre in difesa. Troppo impari erano le forze in campo, è mancata la volontà di individuare un modello alternativo, perché vi è stata un’adesione acritica al modello della “competition is competition”. Oggi vi è bisogno di una “nuova” capacità propositiva. Certo non è facile, ma bisogna farlo. Dopo un periodo lungo, anche in Italia, di privatizzazioni, esternaliz-zazioni, deregolation, flessibilità e delocalizzazioni è ora di fare una riflessione critica su cosa è cambiato in positivo o in negativo e come ha influito sulle persone e sui loro diritti. Per tutto questo, se si vogliono riproporre valori condivisi che contengano quei principi fondamentali sostanziati dalla Carta Costituzionale, tutte le forze di progresso, compreso il sindacato, debbono riprendere la strada di ricostruire momenti di formazione e di discussione per riconfermare non solo l’obiettivo dell’emancipazione dai bisogni, ma, soprattutto, per riaffermare la capacità di militanza critica e valoriale, per arrivare ad una società diversa che si prefigga anche di tutelare il più debole, che non preveda come dato strutturale una forte esclusione sociale, nello stesso tempo premiare anche il valore e le capacità del singolo (merito e bisogni). Se il valore di riferimento è il progresso sociale e collettivo, prevale un modello solidale che aiuta l’individuo ad esprimersi creativamente, senza angosce competitive, libera-mente, senza coercizioni commerciali. Infatti, la sinistra deve liberarsi da un complesso di colpa, per cui libertà e democrazia, sviluppo e creatività, sembrerebbero essere diventati patrimonio dell’ideo-logia neoliberista. È vero l’esatto contrario: il neoliberismo significa libertà dei grandi capitali e non dell’uomo. Il neo liberismo, inoltre, è contro la piena democrazia: è un’ideologia oligarchica che prevede una scarsa partecipazione alle scelte e che coinvolge solo gli strati elevati in quanto attori principali, con diritti superiori agli altri, poiché possiedono gli strumenti economici che possono indirizzare i consumi e decidere i destini della collettività. (Siamo passati dal cittadino che ha diritti al primato del consumatore).

Il neoliberismo si basa sulla competizione estrema e quindi prevede un vincitore, ma anche uno sconfitto e questo si ritroverà in una situazione poco invidiabile. La conseguenza è che chi non regge il ritmo forsennato della competizione resta fuori, è escluso, e ciò vale per le società nazionali ed ancora di più a livello internazionale. Ma anche la creatività non è prevista dal neoliberismo, ostacola l’omologazione.

Forse per questo motivo la sinistra ha portato il suo revisionismo o sulla strada del continuismo o su quella di ricercare uno sbocco molto in sintonia con una società strutturata su modelli opposti ai suoi. Si è vergognata di dire qualcosa di diverso, per paura di essere etichettata, si è dunque omologata alla legge del mercato senza individuarne le regole per affermare la società più giusta e più equa. Occorre prendere atto di ciò e vivere lo shock seguente, perché è l’unica possibilità di uscire dal vicolo cieco in cui la sinistra si ritrova, oppure si può far finta di nulla e proseguire così, ma come detto in precedenza essendo consapevoli di trovarsi su un terreno che non è fertile ai valori della sinistra e che, col tempo, rischia di diventare ancora meno fertile, forse intollerante ed ostile. Le aspettative generate da un nuovo equilibrio politico non giustificano sempre e comunque i tempi e i modi di far politica delle forze che di quel muta-mento dovrebbero essere portatrici.

La frammentazione sociale tanto diffusa e irreversibile nella nostra società, è compressa e mortificata dall’incomprensione e dalle rigidità spesso conver-genti del sistema istituzionale, del sistema politico, del sistema di relazioni sindacali. Ciò rischia di determinare alla lunga, specie fra i giovani, un sentimento di diffidenza verso la politica aprendo un varco pericoloso a tendenze reazionarie di riflusso o di riscatto personale. Nello stesso mercato del lavoro si sta creando una degenerazione delle tutele e delle garanzie, con il proliferare di professionalità sempre più particolari, con contratti atipici e con poca dimestichezza con la stessa rappresentanza sindacale che è, addirittura, rifiutata per paura che possa essere d’ostacolo nel prosieguo del proprio rapporto di lavoro. E talvolta, invece, perché ritenuta non adatta ad ottenere risultati che si ritiene di poter perseguire meglio da soli. Infine, i diritti civili, le questioni ambientali, le problematiche dei consumatori, le diverse professionalità, le politiche dei prezzi e delle tariffe, le politiche energetiche, il risparmio, le politiche industriali, la ricerca e la formazione sono spesso portate avanti da altri soggetti. Tutto questo, se non diventa politica di assieme, frammenta ancora di più le differenze sociali. Bisogna ricostruire un tessuto di rappresentanza collettiva che produca un coagulo di interessi soggettivi in forma unitaria, entro cui, attraverso la mediazione politica, essi si fondono con l’interesse generale. Occorre ricreare presupposti per parlare alle persone, smuovere apatie, far diventare sogni realtà, altrimenti ognuno di noi si chiuderà in se stesso e non riuscirà a partecipare o a rappresentare la società e le sue articolazioni. Si tratta di un percorso di innovazione, anche culturale, per evitare appiattimenti e confusioni di ruoli. Oggi più di ieri esistono ancora molti squilibri territoriali, sociali ed economici che rischiano di aggravarsi se si lascia spazio agli egoismi ed ai particolarismi che sono stati l’espressione fondante della scelta verso la “nuova” politica. Non si battono gli egoismi corporativi se non ci si rinnova. Pertanto bisogna affrontare la necessità di sviluppare scelte e comportamenti che apportino alle organizzazioni quelle capacità di cambiare lo stesso modello di partecipazione e organizzativo, che va ridisegnato alla luce anche dei cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro e della società. E’ fuor di dubbio che la riduzione della sovranità dei singoli Paesi sulle decisioni dei processi economici e il poter legislativo affidato alle Regioni, a seguito della legge sul federalismo, porranno l’esigenza di riformulare la politica economica e sociale. Bisogna avere la volontà di comprendere meglio la società moderna nella quale operiamo, di scandagliare più a fondo una realtà nuova che avanza, si prepara e dobbiamo tutti insieme contribuire ad organizzarla secondo una scala di valori e di possibilità coerenti con i nostri ideali. Oggi, ancora di più di ieri, in questa società vi è bisogno di far vincere una cultura, che valorizzi proprio le singole intelligenze e con forza si confronti liberamente con la realtà, traducendo le sue intuizioni e le sue valutazioni in una politica diversa. Una politica che rivalorizzi l’individuo, i suoi bisogni e le sue necessità e intorno ad esso si organizzi la società. Ma bisogna, anche, ridistribuire la ricchezza prodotta, attraverso strumenti che sono già noti, ma non per questo superati: un fisco più giusto; i salari in grado di salvaguardare veramente il potere d’acquisto delle famiglie, il controllo dei prezzi e tariffe, etc. Ricostruire uno stato sociale, riformandolo in modo che almeno i diritti minimi siano garantiti. Riaffermare un senso di solidarietà e non di divisione fra le diverse generazioni, dove le nuove abbiano riconoscenza per il livello di vita che è stato loro consegnato. Per questo il sindacato ha varato la piattaforma sulla nuova politica contrattuale che è andata al confronto con i lavoratori: una piattaforma che risponde a domande emerse anche nell’ultima campagna elettorale. In primis rispondere alla crisi del potere d’acquisto, ridiventando, di nuovo, autorità salariale, con l’abbandono dell’accordo di luglio del 93, che era stato importante in quel momento per portare l’Italia in Europa, ma che poi aveva contribuito a ridurre proprio la dinamica salariale e delle pensioni e a spostare risorse dai salari al capitale. Per far ciò la proposta punta su richieste economiche molto più aderenti alla inflazione reale e con uno spostamento al 2° livello di contrattazione di parte di salario legandolo alla produttività. La seconda tematica affrontata è relativa alla richiesta di maggiore partecipazione e democrazia. Infatti, la piattaforma ripristina un circuito di nuova democrazia e partecipazione effettiva che coinvolga direttamente tutti i lavoratori nelle scelte, non solo di contenuto della contrat-tazione, ma anche dei propri rappresen-tanti con la generalizzazione delle rsu.

Questa piattaforma è collegata strettamente a quella presentata sulle politiche fiscali che aveva, già, avuto il consenso dei lavoratori. Le due proposte vivono in simbiosi ed affrontano le due questioni in grado di ridistribuire realmente la ricchezza.

Contemporaneamente bisogna proseguire nella capacità propositiva in grado di favorire processi che tendano ad ampliare il lavoro, ma anche politiche di formazione che preparino al lavoro e che consentano di conservare o recuperare il lavoro.

Troppo importante diventa la conoscenza e la capacità professionale nel mercato del lavoro legato alle possibilità della rete. Per questo va salvaguardato il sistema formativo pubblico e nettamente migliorato anche sulla capacità di adeguarsi al nuovo mondo del lavoro. La sfida di rendere il sistema Italia competitivo va intesa anche a migliorare la qualità dei servizi pubblici. L’attuale situazione ha prodotto, per effetto delle esternalizzazioni, privatizzazioni e scarsa funzionalità, una sperequazione fra cittadini sempre più evidente. Se questo processo si amplifica, tanto da toccare tutti i campi dei diritti minimi, tutelati dalla Costituzione, rischia di creare una nuova divisione fra classi, con il passaggio alla povertà. In conclusione se si vuole innovare e ricreare una coscienza collettiva e solidale qualsiasi proposta, per essere efficace, richiede un ampio consenso civile, che deve saldarsi sull’alleanza delle forze innovatrici che sono disponibili. In tal senso il sindacato può rappresentare un referente irrinunciabile. Solo così, e con un’azione congiunta, si possono ricostruire le basi affinché la politica ritorni ad appassionare le coscienze e ridiventi strumento di partecipazione ed emancipazione civile, democratica e sociale.

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La nostra nuova frontiera: puntare sulla produttività per ridistribuire la ricchezza e far crescere i salari. Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti

di Antonio Passaro

Angeletti, quello di maggio è stato oggettivamente un mese denso di importanti novità, un mese di svolte rilevanti su molti fronti: l’insediamento del nuovo Esecutivo, l’elezione di Emma Marcegaglia al vertice di Confindustria e – ultimo ma non ultimo – l’accordo tra Cgil, Cisl e Uil sulla riforma del sistema contrattuale. Insomma, davvero un nuovo quadro. E allora andiamo per gradi e cominciamo da quest’ultimo avvenimento. Si può dire che siamo a metà dell’opera?

Non c’è dubbio: aver trovato un’intesa tra Cgil, Cisl e Uil rappresenta un passo avanti sulla strada della riforma del sistema contrattuale. Lo abbiamo già detto più volte: il vecchio modello, quello del 1993, è servito per disinflazionare l’economia ed ha funzionato fino a quando l’inflazione è diminuita. Ma ormai da molti anni, ha esaurito il suo compito e bisogna sostituirlo. Il nostro obiettivo, ora, deve essere quello di far crescere i salari dei lavoratori dipendenti. La nostra nuova frontiera deve essere quella della crescita dei salari reali. La proposta di Cgil Cisl Uil ha una sua logica e noi attendiamo risposte altrettanto logiche e coerenti dagli imprenditori. Se, ad esempio, anche Confindustria riconosce che ci sono bassi salari, significa che occorre trovare il modo per farli crescere questi salari più di quanto cresce l’inflazione. Ecco perché sono necessari strumenti contrattuali articolati, azienda per azienda, territorio per territorio.

Insomma, bisogna confermare il contratto nazionale ed estendere la contrattazione di secondo livello. A chi paventa rischi di ridimensionamento si potrebbe rispondere che lo slogan deve essere: più contrattazione, più salario?

Sia ben chiaro: noi non faremo mai modifiche contrattuali per ridurre i salari. Il contratto nazionale è irrinunciabile perché serve a difendere i salari, in modo omogeneo e dovunque, dall’aumento dei prezzi. Ecco perché bisogna eliminare definitivamente il riferimento all’inflazione programmata - che è ormai da lungo tempo solo una mera categoria dello spirito - e costruire un nuovo parametro fondato sull’inflazione realisticamente prevedibile che sia realmente in grado di difendere il potere d’acquisto. E’ necessario, inoltre, puntare sulla produttività per ridistribuire la ricchezza e far crescere i salari reali. E questo obiettivo lo si può conseguire solo con la diffusione della contrattazione di secondo livello, scontando il fatto che i salari non crescono tutti insieme e allo stesso modo ma in maniera differenziata, perché differenziata è la crescita dell’economia.

Insomma, più soldi nelle tasche dei lavoratori dipendenti e dei pensionati…

Deve essere così, anche nell’interesse dell’economia nazionale e, dunque, di tutti i cittadini. In questi ultimi anni si sono spostati dieci punti di Pil dai redditi dei lavoratori dipendenti e pensionati ad altri redditi. Diciassette milioni di lavoratori dipendenti hanno perso potere d’acquisto a causa di uno spostamento di reddito, per proporzioni e velocità, paragonabile a quello che si può verificare in periodo di guerra. Non dobbiamo dimenticare che oltre il 70% degli italiani trae il proprio reddito dalla vendita di beni e servizi ad altri cittadini italiani e che meno del 30% trae reddito dalle esportazioni. Ebbene, oggi, le imprese che fanno riferimento a questa seconda categoria stanno ottenendo buoni risultati. Le altre – che, come abbiamo detto, sono la maggioranza – non vanno bene perché si rivolgono agli italiani che hanno sempre meno soldi per acquistare i loro beni e servizi. Insomma, bisogna far crescere redditi e consumi interni, se vogliamo trovare una soluzione anche alla scarsa crescita dell’economia nazionale.

E una delle leve è quella contrattuale: da qui la proposta sindacale. In questo quadro si inserisce l’elezione di Emma Marcegaglia ai vertici della Confindustria. La relazione di insediamento ha toccato il capitolo dei rapporti con il Sindacato e anche quello della riforma del sistema contrattuale. Qual è il tuo parere?

Ho trovato condivisibile la relazione della Marcegaglia proprio in riferimento ai rapporti con il Sindacato. Io credo davvero che si possa passare ad un sistema di relazioni in cui ci sia un minor tasso di conflitto e una ripartizione più equa dei benefici per una crescita che riguardi sia le imprese sia i lavoratori. Presenteremo la nostra proposta e chiederemo subito di aprire un confronto: attendevamo l’insediamento ufficiale per una richiesta formale di incontro. Noi siamo pronti, abbiamo la volontà di fare questo confronto e di chiuderlo prima dell’estate. Nessuno si illuda, tuttavia, che sarà una passeggiata: vedremo se avremo davanti a noi imprenditori davvero desiderosi di aumentare i salari, il cui basso livello, oggi, in Italia, è quasi da scandalo sociale.

E’ già in atto un percorso che riguarda la proposta sindacale. Come sta procedendo?

Abbiamo fatto un direttivo di Cgil Cisl Uil che ha approvato la proposta praticamente all’unanimità con un sol voto contrario. Mentre parliamo, continuano a svolgersi centinaia di assemblea per un confronto con i lavoratori da cui emergono segnali molto incoraggianti. Abbiamo ritenuto giusto e opportuno, infine, illustrare il documento anche al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sottolineando il valore delle proposte in esso contenute e ringraziandolo per l’attenzione da lui più volte riservata ai temi del lavoro, della sicurezza e della tutela dei redditi dei lavoratori e dei pensionati.

E veniamo ora al nuovo Governo. Riduzione delle tasse sugli straordinari e abolizione dell’Ici: detto, fatto. Nel primo Consiglio dei ministri, quelle scelte prospettate dall’Esecutivo sono state realizzate. Qual è il tuo giudizio?

Premesso che sono pregiudizialmente favorevole ad ogni forma di riduzione delle tasse, credo che, con gli stessi soldi, si sarebbe potuto far di meglio. Come è noto, quella fiscale è l’altra leva da azionare per risolvere il problema della crescita dei salari e dell’economia. E, a questo proposito, penso, ad esempio, che la detassazione degli straordinari costituisca solo un primo passo e non il punto di arrivo: bisogna ridurre le tasse a tutti i dipendenti. In Italia, sugli stipendi gravano troppe tasse. Le nostre retribuzioni lorde non sono particolarmente più basse di quelle dei francesi e dei tedeschi e sono persino superiori a quelle degli spagnoli. Ma le retribuzioni nette sono di gran lunga inferiori, proprio perché paghiamo troppe tasse. Il Governo desse attuazione ad un punto del suo stesso programma, che condividiamo e sosteniamo: riducesse le tasse sulla tredicesima. Questa sarebbe una misura convincente.

E le infrastrutture?

Se vogliamo che la crescita non sia un’utopia, bisogna fare le infrastrutture, dall’energia ai trasporti, alle grandi opere come il ponte sullo Stretto di Messina. In Italia c’è sempre un’argomentazione per non fare. Non prendere le decisioni, facendo prevalere sulla maggioranza le ragioni di un’esigua minoranza, blocca la crescita.

Da questo punto di vista, l’approccio iniziale del nuovo Esecutivo sembra essere positivo…

Si. L’importante è che all’idea di puntare sulla crescita dell’economia seguano sempre scelte coerenti.

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