Far ripartire la trattativa, fa ripartire il Paese
OTTOBRE 2018
Sindacale
Far ripartire la trattativa, fa ripartire il Paese
di   Pino Turi

 

E' questo l’incipit che ha animato l’assemblea dei quadri del pubblico impiego della UIL tenuta a Roma il 9 ottobre scorso. Ripercorrendo il lungo percorso che ha portato alla conclusione della trattativa – dall’accordo del 30 novembre 2016, una vera e propria pietra angolare, il presupposto logico, giuridico e politico - si sono ricomposti i vari passaggi che hanno visto i diversi Esecutivi, che si sono alternati alla guida del Paese, in una sostanziale continuità. Un’azione partita dal Governo Berlusconi, poi Monti, Letta e da ultimo Renzi: in cima alle misure di contenimento della spesa ci sono sempre stati i contratti dei pubblici dipendenti.

Un blocco che si è protratto per poco meno di un decennio e ha pesantemente inciso non solo sui salari reali dei lavoratori ma anche su ruolo e funzioni degli stessi e sulla qualità dell’azione pubblica. Il tutto compendiato dal blocco del turn–over, che ha ulteriormente decretato lo stato di crisi dell’azione pubblica, aperto alle consulenze, le più disparate e dispendiose. Dipendenti sempre meno e sempre più mal pagati! Consulenze inefficaci e costose! È di tutta evidenza come il contratto di lavoro recentemente sottoscritto trascini dietro di sé una serie di problemi e questioni irrisolte che, considerata la ristrettezza dei tempi a diposizione, saranno la base di discussione della nuova tornata contrattuale che si chiede di aprire nell’immediato.

Il Sindacato, la UIL in particolare, come sempre forza laica solida e responsabile, valutando come l’imminenza delle elezioni del 4 marzo avrebbe prodotto uno sconvolgimento della geografia parlamentare, ha cercato di capitalizzare al meglio la volontà dell’Esecutivo Gentiloni di chiudere la trattativa. Da troppo tempo i dipendenti pubblici erano stati messi in attesa. In un Paese indebitato, sempre alla ricerca di risorse finanziarie, sarebbe stato poco lungimirante aprire la nuova legislatura con una situazione già molto deteriorata e senza un contratto. I fatti, ci stanno dando ragione! Adesso servirà più tempo per programmare la ripartenza, soprattutto per riprendere quel confronto con i lavoratori che è indispensabile per affrontare una nuova fase e radicare gli esiti positivi del contratto a cui ne vanno aggiunti di nuovi, per neutralizzare e danni prodotti da una politica che ha fatto dell’unilateralismo decisionale uno dei suoi tratti distintivi, che con questo Governo sembrano ancora permanere.

Dalla concertazione negata, targata Brunetta, alla disintermediazione di Renzi, la politica dell’ultimo ventennio ha troncato piuttosto nettamente con quei percorsi evolutivi che avevano caratterizzato il Legislatore degli anni Novanta e che avevano aperto all’adozione di modelli organizzativi tutti incentrati sulla condivisione e partecipazione. Da quella fase critica per le vicende drammatiche della politica (Tangentopoli), ma feconda per gli intendimenti che l’animarono, derivò un periodo molto intenso che portò all’adozione della contrattazione decentrata, dell’autonomia scolastica come sede dell’offerta formativa dello Stato, eventi che introdussero una ventata nuova nella P.A. Poi, dopo i blocchi, arrivò la democrazia incrinata e inficiata dai provvedimenti di Brunetta, che ne ha determinato una lunga fase declinante. Ora emerge forte l’esigenza di avviare una intensa azione elaborativa che sia in grado di riannodare le giuste aspettative non solo dei dipendenti, ma anche quelle di un Paese alle prese con azioni di modernizzazione prodotte sino ad ora all’insegna della discontinuità e della limitata condivisione.

Il contratto di lavoro, tra i tanti effetti positivi, ne ha determinato uno che prevale sugli altri: il ripristino del valore del contratto che riprende forza e valore di legge e che diventa lo strumento regolativo per eccellenza, duttile e flessibile, per rispondere ai veloci cambiamenti in atto. All’unilateralismo della legge si contrappone, ora, il dualismo del contratto. Ripreso lo strumento contrattuale, adesso occorre tornare a trattare il merito delle tante questioni tuttora pendenti, a partire dal contratto sulla dirigenza scolastica che deve (ri) definire il profilo professionale, in coerenza con l’autonomia scolastica, una comunità che ha rilevanza costituzionale. La scuola deve fare ancora i conti con una delle riforme, la 107, più controverse della storia repubblicana, la cui impostazione dirigista deve essere totalmente ricondotta nell’alveo di un modello condiviso e concertato, per consentire quell’autogoverno della Scuola che lo pone in posizione di libertà ed indipendenza dalle forze politiche e di Governo.

Riprendere e riformare profondamente i percorsi di approdo al mondo del lavoro (l’alternanza scuola-lavoro), che continuano a dividere non solamente il Sindacato di categoria dalla Confindustria, ma che deve essere meglio compreso dai livelli Confederali, apparsi nelle ultime posizioni, poco in sintonia con il ruolo e le funzioni della scuola pubblica statale che non si può e non si deve trasformare in una grande agenzia professionale finalizzata al lavoro, ma deve mantenere il suo ruolo di orientamento e di inclusione universale, basata sulla conoscenza e sulla cultura. Serve una scuola che insegni una cultura “borghese” e liberale, intesa come ricerca di aspettative in grado di intercettare quell’ascensore sociale che ha fatto della Scuola, il suo fattore di miglioramento e sviluppo socio economico in cui gli studenti trovano la strada per esaltare il proprio talento. Occorre isolare i luoghi comuni, le omologazioni e pensare ad una società che si evolve sulle diversità e che non può essere pianificata con una scuola che indirizzi solo al lavoro esistente. Lo studio è esso stesso lavoro! È emancipazione e futuro.

Negli anni ’80 il Sindacato, con l’accordo sulle 150 ore, portava gli operai a scuola. Ora le ideologie neo liberiste stanno allucinando una classe dirigente incerta, imbambolata da una società in crisi, che si illude di superala, portando gli studenti in fabbrica. C’è veramente tanto da fare e per farlo servirà il massimo della condivisione, oltre che una dotazione finanziaria decisamente più congrua, che già nella Legge di Stabilità deve trovare una prima risposta significativa e non simbolica, un coinvolgimento pieno dell’intera società chiamata a cambiare il paradigma della sua visione non solo economica, ma anche sociale. Arriviamo a questo appuntamento con una situazione economica e sociale molto degradata. Le prime mosse del governo gialloverde rivelano tratti di forte problematicità, le manovre in deficit di natura keynesiana, verso le quali il sindacato non mostra alcun pregiudizio, anzi sono viste con favore e rivendicate da tempo, mostrano però il limite della scarsa e divergente visione dei contraenti il contratto di governo e puntano essenzialmente al contingente, senza una visione ed una prospettiva di più lungo termine.

Lotta all’immigrazione clandestina e alla povertà sono due temi prevalenti, ma non esclusivi, le politiche sullo sviluppo mostrano, invece, pesanti limiti e non lasciano intravvedere significativi elementi di positività. Manca una visione prospettica e i nodi storici (dopo l’ILVA, la TAP, la TAV) rivelano posizioni retoriche e, in taluni casi, antistoriche e antiscientifiche. Recentemente stanno emergendo profonde divisioni all’interno della stessa compagine di governo dove iniziano a prevalere i diktat leghisti, sino ad ora piuttosto sopiti. Le esternazioni del Ministro Bussetti in tema di maggiore autonomia in ambito scolastico da concedere alle Regioni Emilia Romagna, Friuli e Lombardia riportano alla mente le posizioni dell’allora Governo Berlusconi (Ministri Tremonti - Gelmini), che quei propositi di secessione tentarono di imporre all’inizio del terzo millennio. Un Governo che volle perseguire la via della devolution, approvò anche una legge di modifica della Costituzione che i cittadini bocciarono in un referendum.

I cittadini Italiani amano la loro costituzione che, per la Scuola, è particolarmente attenta in termini di garanzia di libertà ed indipendenza dagli Esecutivi e da ogni forma di condizionamento politico se, è vero come è vero che, nella fiducia degli italiani, è al secondo posto dopo le Forze dell’Ordine. La lezione dei referendum (anche quello del 4 dicembre) non è evidentemente servita ed è stata rapidamente metabolizzata nella memoria delle forze politiche, non certo degli italiani. Si ripropone, ancora il tema della bassa statura culturale di una classe dirigente, tutta orientata alla gestione del potere, improvvisata e incapace di elaborare, prima ancora che praticare, un modello di società moderno ed evoluto, condiviso dai cittadini. Continuamente ignorata la centralità della Costituzione italiana, unico punto di vera unione del nostro Paese. Come sempre, ripartiamo dalle divisioni e dalle in-condivisioni. Al sindacato spetta innanzitutto un compito di riunificazione e di riaggregazione dell’intero Paese, sul terreno dei bisogni concreti dei lavoratori che oltre ai bisogni immediati e contingenti, vorrebbero poter contare su una prospettiva di sviluppo e di sicurezza sociale che il contratto di lavoro può contribuire a realizzare, guardando al merito delle tante questioni che interessano i lavoratori e non agli schieramenti.

Un ruolo già svolto anche in periodi drammatici - come quando il Paese era sotto l’attacco del terrorismo, all’epoca di Tangentopoli - superato dalla grande unità che tutte le crisi inducono. Ora con i legastellati in conflitto con l’Europa e con i mercati, servirebbe altrettanta unità. Una grande opportunità per il sindacato Confederale, dopo l’esilio forzato ed infausto, decretato dall’inedita politica liberista di un governo di sinistra. Ancora una volta il Sindacato può contribuire a pacificare il Paese. Speriamo che non emergano gli spettri del peggior populismo che è l’anticamera dell’autoritarismo e della divisione. Le Categorie del lavoro pubblico della UIL hanno dato la loro convinta adesione e rilanciato il tema: avviare il negoziato per rinnovare i contratti di lavoro subito, ma non solo. A volerlo cogliere, c’è molto di più.

 

 

*Segretario Generale UIL Scuola

 

 

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