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DICEMBRE 2013

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Editoriale
Una “nuova” proposta - di A. Foccillo
La legge di stabilità: è stata un’occasione persa. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale Uil  - di A. Passaro

Sindacale
“Gli anziani, una risorsa per il Paese” - di R. Bellissima
Carrozza eguaglia e supera Gelmini - di A. Civica
La vittoria della Uilm alle elezioni per il rinnovo Rsu della Uilm di Taranto - di R. Palombella
2013: anno strategico per il coordinamento dei lavoratori dell’Artigianato UIL per la Bilateralità artigiana - di G. Briano
Il mosaico Italia che perde i pezzi (III) - di P. Nenci
Novembre 2013 esplode la protesta degli autoferrotranvieri genovesi - di F. Gioiele e di A. Cannavacciuolo
Immigrazione: dalla crisi economica, l’occasione per cambiare - di G. Casucci
VII Congresso Fitel - Dalla centralità dei Cral al territorio, nuove strategie per la qualità del tempo libero - di S. Fortino

Economia
L’Italia in declino - di G. Paletta

Il Corsivo
Il fenomeno Matteo o il Matteo fenomeno? - di Prometeo Tusco

Agorà
Africa Auguri! - di P. N.

Cultura
La mafia uccide solo d’estate, di Pif - di S. Orazi

Inserto
La nave Italia si disincaglia? Previsioni per il 2014 - di P. Nenci

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EDITORIALE

Una “nuova” proposta

Di Antonio Foccillo

La funzione del sindacato, negli ultimi periodi, è sempre più messa in discussione. E’ evidente che l’evoluzione storica dei rapporti all’interno del mondo del lavoro e della società si trasmette anche attraverso il ruolo e l’azione del sindacato che influisce sulla ripartizione del reddito, sulle scelte relative alla produzione e agli investimenti, ed, anche, se sempre meno, sulle scelte di politica economica del Paese.

Quindi, in un momento di grande crisi economica, come quella che stiamo vivendo, nel nostro Paese l’azione del sindacato non può essere di grandi conquiste e ciò, naturalmente, ridimensiona la sua funzione. Ma da questo a dire come si fa che addirittura è paragonabile ai partiti politici c’è ne corre. Pertanto, per dimostrare, ancora una volta che la sua funzione è importante, oggi più di ieri nelle condizioni di evoluzione dei processi di democraticità che avvengono attraverso la distribuzione delle eguaglianze e delle libertà, deve aggiornare gli strumenti e le scelte per il raggiungimento e il perseguimento delle proprie finalità.

Un tema che caratterizza le dinamiche di valorizzazione politica e di interpretazione strategica è il rapporto che si presenta fra capitale e lavoro. Rapporto che, nel passato, si è contraddistinto nella conflittualità tra gli stessi attori sociali, determinata da condizioni di netta divaricazione tra il capitale e lavoro, in una struttura economica industriale che determinava la reazione egualitarista del sindacato, prodotta da una differenza di classe che operava come fattore solidaristico tra i lavoratori. Per cui l’esperienza operante negli anni passati era quella dell’opposizione antagonistica tra impresa e lavoro, tra interessi del capitale ed interessi del lavoro; antagonismo contrattuale e sociale che il sindacato sosteneva per il superamento del divario presente nella distribuzione dei redditi e delle risorse, raccogliendo in questo il consenso di una base occupazionale a sostanziale omogeneità di inquadramento e identità lavorativa.

Oggi, le condizioni di maturazione del rapporto capitale e lavoro, tra impresa e lavoro si presentano profondamente trasformate. Non che siano venuti meno i termini, piuttosto è la loro relazione che ha subito un mutamento. La frantumazione delle professionalità e delle identità occupazionali; il passaggio verso un’impresa sempre meno caratterizzata ideologicamente nella figura del padrone, ma condotta invece, come società economica, da figure specificatamente collocate nella funzione dirigenziale, distinte dal capitale; lo stesso capitale che ha assunto caratteri e connotazione più impersonali e funzionali; i processi di ristrutturazione del tessuto industriale con tendenza al decentramento e alle delocalizzazioni degli insediamenti, e con la riduzione in percentuale del numero degli addetti presenti per unità produttiva. Tutto ciò, insieme ai mutamenti delle tipologie del lavoro, sempre più flessibile e precario, che interessano una progressiva deideologizzazione dei rapporti e una notevole flessione della spinta conflittuale e antagonista, portano il sindacato alla soglia di un necessario rinnovamento dei criteri di applicabilità e proiezione politica e sociale.

Pure, conservando la finalità di essere sindacato, deve aggiornare gli strumenti e contesti strategici con i quali promuoverla. Superando quel pregiudizio che crede che quanto più dura e la conflittualità tanto più sono difesi gli interessi dei lavoratori. Contrariamente le condizioni attuali del mercato del lavoro e dell’economia limitano le possibilità di reazione conflittuale e di lotta del passato.

Oggi, di fronte alle tante novità, sociali, produttive, economiche e finanziarie, bisogna riscoprire nuove forme di controllo e di partecipazione all’organizzazione dell’impresa, che interessa in questo caso, appunto, la formazione del capitale. Vi è stato recentemente un convegno internazionale della Uil che ha disquisito su questa tematica, ridiventata importante nella dialettica fra capitale e lavoro.

Parliamo della partecipazione dei lavoratori all’azionariato delle imprese, che potrebbe rappresentare nell’opinione corrente una sorta di linea di confine il cui superamento porterebbe alla trasformazione della natura del sindacato o il suo ridimensionamento e alla sua emarginazione. Ci si dimentica che forme di partecipazione ci sono già: dagli enti bilaterali ai fondi pensione integrativi che hanno dato buona prova di compartecipazione bilaterale e dovrebbe essere ancora allargate alla gestione dei fondi aziendali sanitari. Si tratta quindi di compiere un ulteriore passo in avanti.

Non si può non rilevare la situazione paradossale attualmente esistente, per la quale lavoratori e collettività, ad esempio, si trovino nella condizione di accollarsi degli oneri per consentire ad aziende di procedere a ristrutturazioni, per poi trovarsi del tutti “disarmate” di occasioni e strumenti di intervento, una volta che quelle stesse aziende, producono e distrubuiscono profitto, oppure i costi che vengono sempre pagati da lavoratori e cittadini quando queste aziende, come in questi momenti, mettono in cassa integrazione, ordinaria o straordinaria, i loro dipendenti o quando licenziano. Una situazione esemplare di “socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti” che non richiede, per essere percepita, di scomodare nessun dogma ideologico.

Quindi, bisogna riproporre con forza, proprio oggi, la partecipazione dei lavoratori all’interno dell’azienda, a partire dall’azionariato dei dipendenti. La partecipazione azionaria dei dipendenti può essere esaminata sotto differenti punti di vista, sia come partecipazione alla formazione del capitale d’impresa, sia come strumento di democrazia economica. Di questi tempi è veramente necessaria. D’altra parte, anche se nel contesto italiano, europeo e mondiale attuale e con un sindacato, proprio nel settore industriale, diviso, questa proposta può apparire come velleitaria, ciò non toglie che essa può costituire il progetto più organico di trasformazione graduale dei rapporti di proprietà che realizza compiutamente la democrazia economica senza ridurre o sopprimere la democrazia politica. Proprio le nuove connotazioni che delineano il mercato economico, i rapporti sociali, le culture e i processi finanziari, consentono un approccio alle relazioni contrattuali diverso e rinnovato. Sicché introdurre forme di azionariato dei lavoratori, si rende possibile senza snaturare con ciò il ruolo contrattuale stesso.

Infatti, pensare ad una maggiore partecipazione all’impresa non è in antinomia con il contesto della prassi contrattuale, anzi, noi proponiamo di assumere alle competenze contrattuali anche la distribuzione degli utili dell’azienda sul reddito attraverso forme flessibili e diverse che non sono solo il salario. L’obiettivo sarà di un aumento di un aumento della redditività aziendale, attraverso l’ottimizzazione dell’uso delle risorse.

Le forme di azionariato dei lavoratori, naturalmente, possono essere differenti, secondo le finalità e secondo la titolarità del diritto di proprietà, che può essere individuale o collettivo. Diverse possono essere anche le forme di pagamento: le azioni possono essere cedute dall’azienda a un prezzo simbolico e politico, oppure ad un prezzo di mercato, oppure utilizzando una quota della retribuzione con il tfr.

L’iniziativa politica e sindacale, se si condivide la proposta, potrà distribuirsi su due versanti: uno specificatamente contrattuale, l’altro di natura legislativa. Nei contratti di secondo livello si può prevedere il diritto, non l’obbligo, di opzione da parte dei dipendenti di una quota determinata degli aumenti di capitale, nella forma di un pacchetto di azioni finalizzato. Secondo quest’ipotesi la società potrà riconoscere ai dipendenti il diritto di acquisire, in un determinato tempo prefissato, una certa quota di azioni, al costo del momento in cui è fissata la disponibilità del pacchetto. Per cui se le azioni aumentano di valore i lavoratori acquistandole ne avranno un guadagno, contrariamente se le azioni dovessero diminuire di valore potranno essere acquistate, senza alcun danno per i dipendenti.

Sul fronte legislativo si può prevedere di stabilire, nel caso di aumenti di capitale sociale, quando il capitale sociale è superiore ad una certa cifra, che ai dipendenti sia riservata l’opzione per la sottoscrizione di almeno una certa percentuale. Si potrebbe prevedere che il legislatore definisca agevolazioni fiscali in merito, subordinandole ad un vincolo di non alienabilità dei titoli per un certo periodo di tempo.

Se si condivide questa proposta di azionariato dei dipendenti vorremmo che si potesse aprisse uno specifico dibattito sul senso e sul significato, oggi, del ruolo contrattuale, visto le nuove dimensioni finanziarie, economiche e sociali, dato che, proprio in momenti di crisi, in Germania è stata la strategia che ha ridato fiato alle aziende e reddito ai lavoratori.

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La legge di stabilità: è stata un’occasione persa. Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, il 2013 è stato uno degli anni più difficili per l’economia del nostro Paese. L’Italia non è uscita dalla recessione e ci sono stati peggioramenti significativi a livello occupazionale. Nel consueto discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha evidenziato come questo 2013 sia stato un anno tra i più pesanti e inquieti, chiedendo agli italiani e alla politica, coraggio e cambiamento. Cosa ne pensi?

Il Presidente della Repubblica, nel suo intervento, ha saputo coniugare i problemi concreti e quotidiani delle persone con quelli dello sviluppo e della coesione sociale. Abbiamo condiviso sia l'invito alla politica a fare essa stessa i sacrifici per uscire dalla crisi sia la sua consueta attenzione ai temi del sociale e del lavoro. Abbiamo particolarmente apprezzato, infine, il fatto che non abbia chiesto agli italiani di avere fiducia, ma di avere coraggio.

Per il sindacato, Dicembre è stato un mese importante e ricco di impegni, a partire dalle manifestazioni in tutta Italia per cambiare la legge di stabilità. Cgil, Cisl e Uil, infatti, sono scese in piazza con i lavoratori e i pensionati. Quali sono state le ragioni delle proteste?

In tutta Italia si sono svolte manifestazioni, presidi e assemblee per ribadire un chiaro messaggio: 'Per il lavoro la legge di stabilità va cambiata'. Purtroppo non è stato così. In Piazza, a Roma, lo scorso 14 dicembre, Cgil, Cisl e Uil hanno ribadito dal palco che per favorire la ripresa del Paese le priorità sono quelle di aumentare le detrazioni fiscali, rivalutare le pensioni, risolvere il problema degli esodati, sbloccare i contratti pubblici, finanziare gli ammortizzatori in deroga e i contratti di solidarietà. Problemi concreti che devono ancora essere risolti dal Governo e dal Parlamento.

La legge di stabilità, infatti, è stata approvata senza i cambiamenti richiesti a gran voce dai sindacati. Come giudichi questa scelta del Governo?

E’ stata un’occasione persa. La legge di stabilità, come abbiamo cercato di spiegare in ogni modo, avrebbe potuto rappresentare quella spinta alla nostra economia di cui abbiamo bisogno soprattutto attraverso una vera e consistente riduzione delle tasse sul lavoro. La legge, così com’è, non fa nulla per sostenere la crescita e l'occupazione. Non abbiamo bisogno di stabilità fine a se stessa. Purtroppo, questa legge non modificherà in meglio la situazione occupazionale che si determinerà nel 2014.

Eppure c’è chi da segnali positivi e ottimisti per il nuovo anno.

Sarebbe bene che non si professasse ottimismo e che non si facessero previsioni positive, peraltro, risultate sino ad ora tutte sbagliate. Si rischierebbe, infatti, di essere addirittura offensivi, soprattutto nei confronti di tanti italiani che non hanno purtroppo nessun motivo per essere ottimisti. Per quanto ci riguarda, non siamo rassegnati e non abbiamo nessuna intenzione di rassegnarci: continueremo a sviluppare la nostra iniziativa per una svolta di politica economica, anche dopo la legge di stabilità, per l’intero paese.

Cambiamo argomento. La Uil ha presentato uno studio, aggiornato, sui costi della politica, dimostrando che tali costi possono essere ridotti senza compromettere il funzionamento della nostra democrazia.

Proprio così. Secondo le nostre analisi, i costi della politica sono ulteriormente aumentati, raggiungendo la cifra di 23,2 miliardi di euro. Senza ombra di dubbio, è possibile ridurli di almeno 7 miliardi. Basti pensare che, in Italia, ci sono 1,1 milioni di persone che vivono direttamente, o indirettamente di politica, ovvero il 5% del totale degli occupati del nostro Paese. Non ce lo possiamo più permettere.

Abbiamo perso oltre 1 milione di posti di lavoro in questo Paese ma nemmeno un assessore. Si usino queste risorse per ridurre le tasse a lavoratori, ai pensionati e alle imprese virtuose.

Ritieni che l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti sia un passo verso la riduzione dei costi della politica?

Nonostante i timidi segnali fatti registrare negli ultimi tempi la Uil ritiene che una parte preponderante della spesa improduttiva del nostro Paese sia rappresentata, ancora, dai cosiddetti ''costi della politica'', che non sono riconducibili solo agli stipendi degli eletti, quanto all'abnorme numero di strutture e centri di costo spesso inefficienti ed inefficaci. Ci vorrebbe più coraggio da parte della politica italiana per ridare forza e credibilità al proprio ruolo, con delle vere riforme atte a riordinare e semplificare l’assetto istituzionale del Paese.

A tal proposito, sono molti quelli che criticano i contributi statali ai Patronati e ai Caf che, però, forniscono ai cittadini e anche allo Stato servizi essenziali.

Lo Stato versa ai Caf i contributi per un servizio di consulenza offerto ai cittadini per pagare le tasse. I costi rimborsati dallo Stato sono al di sotto di quelli industriali e questo è illegale. Per quanto riguarda i Patronati, si tratta di organismi sotto il controllo diretto del ministero del Lavoro e offrono un servizio ai cittadini che altrimenti andrebbero ad aumentare le file agli sportelli pubblici.

Restando sull’argomento, quest’anno si sono celebrati i 20 anni di attività del Caf – Uil.

Non abbiamo festeggiato solo un anniversario ma anche un successo. Per dei sindacalisti non era facile gestire una vera e propria azienda ma è grazie alla passione e alla spinta non solo professionale di coloro che vi lavorano, che i Caf sono riusciti a fare dell'assistenza una vera missione politica e non un business. Negli anni, il Caf della Uil ha effettuato più di 2 milioni di prestazioni e più di un milione di 730 gestiti attraverso una organizzazione capillare in tutto il territorio.

Un’ultima domanda. La Fiat ha annunciato di aver raggiunto un accordo in base al quale il Lingotto acquisirà la restante quota di Chrysler. Quest’accordo potrebbe essere motivo di preoccupazione? La Fiat potrebbe, ora, spostare i suoi interessi fuori dall’Italia?

Come Uil accogliamo positivamente l'acquisizione di Chrysler da parte della Fiat. E' la Fiat che ha comprato Chrysler: Marchionne è l'amministratore delegato ed Elkann il Presidente. Chi conta sono loro due, conta cosa decidono di fare, non dove sono. La Fiat si è impegnata con i sindacati a produrre nuovi modelli a Mirafiori e Cassino. La vicenda Chrysler ha rallentato il piano degli investimenti, ma ora l'operazione è conclusa. Non è previsto l'aumento di capitale, le risorse finanziarie non dovrebbero esser un problema per gli investimenti. I modelli li hanno e sanno già quali vetture produrre. Si tratta solo di avviare e partire.

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