Il punto sull’autonomia differenziata
OTTOBRE 2018
Attualità
Il punto sull’autonomia differenziata
di   Sara Tucci

 

L'autonomia differenziata prevista dall’art. 116 della Costituzione è argomento oggetto di discussione negli ultimi tempi. Fortemente pretesa dalle Regioni che ne hanno fatta richiesta ma anche aspramente criticata di chi è, invece, preoccupato per l’unità del nostro sistema paese soprattutto in relazione a particolari materie quali ad esempio scuola o sanità. Vediamo qual è lo stato dell’arte e soprattutto cosa è previsto dalla nostra Carta Costituzionale. Ebbene, la disposizione dell’art. 116 comma terzo, introdotta mediante la riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, prevede che la legge ordinaria possa attribuire alle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni [...]”. L’articolo indica, quindi, le materie oggetto dell’ambito di applicazione dell’autonomia differenziata, circoscrivendole a quelle contenute nell’art. 117 comma terzo riguardante la legislazione concorrente Stato-Regioni e ad alcune specifiche contenute nel secondo comma, che sono invece di competenza legislativa esclusiva statale e che riguarda: l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, l’ecosistema e i beni culturali.

Il procedimento prende avvio su iniziativa regionale, fase che può essere eventualmente preceduta da un referendum dal valore meramente consultivo, com’è avvenuto in Lombardia e Veneto il 22 ottobre 2017 conclusosi con esito positivo, oppure attivarsi, come in Emilia Romagna, su impulso del Presidente della Regione, con l’approvazione da parte dell’Assemblea regionale. La richiesta del regionalismo differenziato va presentata al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali, cui segue la consultazione degli enti locali i quali emettono un parere non vincolante, sempre che la Regione, nell’ambito della propria autonomia, non ritenga di disporre diversamente. Da quel momento scatta l’obbligo per il Governo di avvio dei negoziati, da attivarsi entro sessanta giorni dal loro ricevimento cui però non segue nessun obbligo di conclusione dell’intesa, che se invece sottoscritta, va presentata alle Camere. L’intesa deve rispettare i principi di cui all’articolo 119 della Cost., fra cui quindi: il rispetto dell’equilibrio di bilancio e l’obbligo di concorrere all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, il principio della disponibilità di risorse autonome, l’integrale finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite e l’impossibilità di ricorrere all’indebitamento se non per finanziare spese d’investimento.

L’approvazione della legge deve avvenire a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Passando ora nello specifico, le succitate Regioni, nel febbraio 2018, hanno sottoscritto con il Governo le pre-intese, nelle quali si possono evidenziare molti elementi in comune riguardanti: la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, tutela della salute, istruzione, tutela del lavoro, rapporti internazionali e con l’Unione Europea. Tutte e tre le regioni si riservano, inoltre, la possibilità di estendere il negoziato, in un momento successivo, ad altre materie. La parte contenente le disposizioni generali è identica e stabilisce tra l’altro una durata degli accordi pari a dieci anni. Al termine, l’intesa cessa i propri effetti e dopo aver effettuato la “verifica dei risultati fino a quel momento raggiunti” si potrà eventualmente procedere al rinnovo dell’intesa o alla sua rinegoziazione. È stata, altresì, prevista una modificabilità dell’intesa nel corso del periodo di vigenza, ammissibile nell’ipotesi in cui “nel corso del decennio si verifichino situazioni di fatto o di diritto che ne giustifichino la revisione” e a condizione che sulle modifiche ci sia accordo tra lo Stato e la regione interessata. Per quanto riguarda le risorse, una Commissione paritetica Stato-Regione è competente a determinare le risorse da assegnare o trasferire alla stessa. Le risorse finanziarie vengono determinate in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale e quantificate in modo da consentire alla regione di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite. Quale parametro iniziale occorrerà prendere a riferimento la spesa storica sostenuta dallo Stato nella regione in questione, riferita alle funzioni trasferite o assegnate.

Tale criterio sarà tuttavia oggetto di progressivo superamento a beneficio dei fabbisogni standard, da definire entro un anno dall’approvazione dell’Intesa. Le materie oggetto delle intese spaziano dalle politiche del lavoro fino all’istruzione o alla tutela salute e dell’ambiente. Per quanto riguarda le politiche del lavoro, ad esempio, in base agli accordi, le Regioni in questione avranno autonomia legislativa e organizzativa con le corrispondenti stabili risorse finanziarie in materia di politiche attive del lavoro. Vincolo nell’esercizio dell’autonomia è il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) come definiti dal decreto legislativo n. 150/2015. Nell’accordo con la Regione Lombardia è menzionato anche l’art. 18 del d.lgs. 150/2015 relativo ai centri per l’impiego costituiti dalla Regione per svolgere attività di orientamento e di ausilio nei confronti dei disoccupati e dei lavoratori beneficiari di strumenti di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro e a rischio di disoccupazione. È poi prevista in tutte e tre le pre-intese una competenza legislativa per integrare il sistema regionale di prestazioni attive a sostegno del lavoro con le prestazioni passive erogate dallo Stato e una competenza legislativa a introdurre misure di vigilanza funzionali alla regolazione e al funzionamento delle politiche attive, da esercitare in raccordo con i competenti Ispettorati territoriali del lavoro.

Per quanto concerne l’istruzione, le pre-intese di febbraio prevedono che le suddette Regioni potranno avere competenza sulla programmazione dell’offerta d’istruzione regionale avendo quali vincoli la salvaguardia dell’assetto statale dei percorsi d’istruzione e il rispetto delle relative dotazioni organiche. Inoltre una competenza legislativa per realizzare un sistema integrato d’istruzione e formazione professionale e nella definizione dell’organizzazione delle fondazioni Istituti Tecnici Superiori (ITS) e specifici standard organizzativi e gestionali per il raccordo tra istruzione tecnica superiore e formazione universitaria professionalizzante, previa intesa con l’Ufficio scolastico regionale. Ed ancora, competenza a programmare l’attivazione di un’offerta integrativa di percorsi universitari per favorire lo sviluppo tecnologico, economico e sociale del territorio con la possibilità d’istituzione di fondi regionali. In tema della salute le intese prevedono maggiore autonomia in vari campi: dal rimuovere  specifici vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale a una maggiore autonomia in materia di accesso alle scuole di specializzazione ivi incluse: la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi e l’integrazione operativa dei medici specializzandi con il sistema aziendale.

Inoltre, è stata prevista la possibilità di stipulare, per i  medici, contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” e, tra le altre, una maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende e degli enti del SSN. V’è da dire che queste sono solo le prime tre Regioni che hanno intrapreso questo percorso, ma ce ne sono già molte altre che hanno dichiarato l’intenzione di iniziare le trattative con lo Stato (ad esempio Campania, Lazio, Umbria etc…). Ad oggi, c’è da evidenziare una maggiore attenzione del Governo per questa materia, dovuta alle particolari forze che lo compongono e dichiarata anche nel DEF 2018 in cui viene sottolineato che: “Una priorità è costituita dall’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione concernente l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario. Sulla questione è già stato avviato un percorso con tre Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) nel 2017 e nei primi mesi del 2018. Si tratta, quindi, di portare a compimento l’attuazione di disposizioni così rilevanti per il sistema delle autonomie territoriali del nostro Paese.”.

Inoltre, v’è da segnalare proprio sulla scorta della spinta governativa in merito al regionalismo differenziato, il documento del 18 ottobre della Conferenza Stato-Regioni intitolato “Le Regioni e le nuove sfide del regionalismo” in cui queste concordano, tra le altre, di “affermare la centralità e il ruolo propulsivo delle Regioni nel processo di definizione dei nuovi assetti istituzionali volto alla realizzazione della “autonomia differenziata”, individuando un percorso procedurale e uno strumento per tutte le Regioni che vi faranno richiesta”. È bene monitorare questo processo, ad ora in gran fermento, in quanto potrebbe comportare l’attribuzione alle Regioni di ingenti poteri in materie particolarmente delicate, comportando uno scollamento sostanziale della politica nazionale e quindi dell’unità del sistema paese in materie cruciali, con la probabile conseguenza dell’accentuarsi degli squilibri tra le diverse realtà territoriali.

 

 

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