Autonomia differenziata: tutelare i diritti di cittadinanza
GIUGNO 2019
Il Fatto
Autonomia differenziata: tutelare i diritti di cittadinanza
di   Antonio Foccillo

 

In un recente Consiglio dei Ministri si è riaffrontato il tema dell’autonomia differenziata da approvare, riproponendo una questione che diventa sempre più intricata e soprattutto nebulosa e segreta nei suoi contenuti definitivi. Tanto è vero che la Corte dei Conti con il Procuratore Generale, Alberto Avoli, ha denunciato che: “assai deleteri sarebbero gli effetti delle autonomie trainanti se essi finissero per far crescere solo alcune regioni, chiuse in una visione territoriale puramente localistica, fra l’altro a lungo andare perdente in un contesto europeo e mondiale sempre più incentrati su aggregazioni trasversali, economiche, finanziarie e anche sociali e culturali1”. Mentre l’Università di Napoli ha sostenuto: “Il percorso intrapreso rivela la dirompente radicalità delle misure proposte, incentrate sul massiccio trasferimento di competenze dello Stato alle Regioni del Nord… Il disegno, assai mal celato, è quello di drenare verso i territori del Nord – e verso gli apparati politico-istituzionali in essi operanti – la quasi totalità delle risorse provenienti dalla fiscalità generale…2”.

 

Per noi della Uil che veniamo dalla cultura laica e socialista sostenere il decentramento di alcune funzioni non ha mai preoccupato anzi abbiamo ritenuto essenziale permetterlo per avvicinare le funzioni statali ai cittadini nei vari territori. Questa autonomia, tuttavia, sarebbe condivisa maggiormente da noi se si affermasse nel rispetto degli artt. 116, 117 e 119 della Costituzione, perché solo così facendo avverrebbe negli ambiti di una garanzia per tutti, seppur con qualche margine di ambiguità sicuramente da specificare. L’esperienza di mezzo secolo di ordinamento regionale dimostra che il sistema non è perfetto anzi avrebbe bisogno certamente di modifiche soprattutto nel funzionamento dello Stato. Se non lo si fa, cambiando completamente l’organizzazione, il finanziamento e la struttura della pubblica amministrazione, mantenendo però una regia centrale, non si potrà continuare ad assicurare a tutti le garanzie costituzionali. I principi di giustizia, uguaglianza e solidarietà, il diritto al lavoro, la tutela delle fasce sociali più deboli rischiano di essere considerati ormai superati dalle nuove forze politiche. Da più di dieci anni è in corso in Italia, come in tutto il mondo, un processo di trasformazione e redistribuzione della ricchezza e del potere politico ed economico che ha reso incerte quelle prospettive di consolidamento e allargamento della democrazia e di quei diritti fondamentali dell’uomo che erano divenuti, dopo la seconda guerra mondiale, le basi di ogni società civile e moderna. In questo contesto di crescente instabilità sociale, si è consumata una gigantesca ristrutturazione industriale che, mentre accelera il cambiamento, contemporaneamente introduce, accanto ai vecchi irrisolti conflitti socioeconomici, nuovi motivi di contrasto. Gli effetti della crisi politico-economica, che si trascina da anni, sommati all’incontrastata ripresa di idee conservatrici e liberiste, minacciano i valori e le conquiste di un lungo e faticoso processo di politica riformatrice. Queste politiche neo liberiste hanno chiesto allo stesso Stato di ritirare il suo perimetro di intervento, senza considerare che facendo così si contribuisce all’impoverimento dei cittadini. Il diritto di cittadinanza è tutelato dallo Stato e dalla garanzia che esso attraverso la Pubblica Amministrazione rappresenta su tutto il territorio. Quel modello di Welfare State contro cui quotidianamente in questi anni si sono scagliati liberisti e monetaristi, in un movimento divenuto trasversale a quasi tutti gli schieramenti politici. Come se ciò non bastasse, la proposta sull’autonomia rafforzata per far acquisire maggiore autonomia ad alcune regioni del nord rischia di vanificare ancora di più il ruolo unificante dello Stato e di produttore di benessere per tutti i cittadini, rinnegando la solidarietà e affermando l’egoismo e nello stesso tempo non riconoscendo più i diritti di cittadinanza stabiliti dalla Costituzione. Noi pensiamo che lo Stato debba mantenere, pur in un’articolazione dei poteri, un raccordo centrale sulle politiche, che si attui mediante poteri di coordinamento, controllo, riequilibrio e di supplenza in funzione di tutela e solidarietà nazionale, non abbandonando, di conseguenza, le sue funzioni costituzionalmente riconosciute.

 

A quest’opera di smantellamento del vecchio modello di welfare si è accompagnata un altrettanto pervasiva campagna di disfattismo nei confronti del Parlamento, delle Istituzioni e dei partiti, che ha minato la credibilità agli occhi dei cittadini delle forme di rappresentanza e di tutto quello che è pubblico. La mancata soluzione dei problemi istituzionali, dei quali si è discusso per anni, e l’inadeguatezza dei provvedimenti adottati stanno disgregando i valori sociali e la stessa credibilità dello Stato. Non si tratta di un problema di poco conto, anzi se ne parla troppo poco! Riguarda tutti noi, perché si stanno sgretolando goccia a goccia i pilastri su cui si è costruito il nostro modello di società. Come si diceva, l’Amministrazione pubblica ha sempre mutuato il suo potere dallo Stato che, in quanto tale, è per antonomasia un soggetto autoreferente. Ma se il suo ruolo si restringe e si praticano solo politiche economiche di tagli, addirittura lineari, alla P.A vengono a mancare i mezzi umani, culturali e finanziari con cui lavorare. Da tempo la Uil si è interrogata su queste problematiche considerando che nel nostro Paese si sta incrinando il fondamento stesso dello Stato di diritto. La crisi dello Stato investe ormai problemi elementari della vita collettiva. Siamo in presenza di un degrado così profondo di rapporti basilari della vita civile quali le istituzioni rappresentative, la pubblica amministrazione, il sistema politico, gli interessi sociali organizzati, per cui ogni singolo momento del tessuto connettivo  socio-politico si trova ad essere coinvolto nella crisi de suo immediato interlocutore istituzionale, attraverso una progressiva cancellazione di ruolo e di rappresentanza, che lentamente, passo dopo passo, sembra mettere in discussione i principi stessi da cui ha preso origine l’esperienza della Stato repubblicano. La discussione sull’autonomia differenziata sarà ancora più deleteria nella divisione fra varie regioni e cittadini della Repubblica, nata per battere le politiche di secessione e con la conseguente legiferazione sul decentramento dei poteri con la modifica dell’art.116 della Costituzione. Quelle norme furono velocemente approvate e la stessa cosa sta avvenendo oggi per rispondere ad un limitato numero di cittadini italiani. Il cambio della struttura dello Stato ed il passaggio alle regioni di 23 funzioni nazionali dovrebbero avere una approfondita discussione, coinvolgendo tutti i cittadini italiani. È troppo importante la questione per avere voluto mantenere troppo nascosta l’eventuale soluzione. La comunità, quale quella intesa della Costituzione con i suoi valori di coesione, di solidarietà e di pari opportunità su tutto il territorio nazionale, è stata modellata assegnando una serie di funzioni allo Stato, proprio per far riconoscere tutti i consociati in quella come comunità come la propria. Il vero problema, proprio perché noi non abbiamo un approccio ideologico di rifiuto in assoluto, è infatti quello delle materie da attribuire al decentramento e quali materie invece debbono per forza essere gestite dallo Stato. Abbiamo visto cosa è successo alla sanità, dove venti regioni si sono strutturate in modo autonomo creando solo ulteriori divisioni fra regioni e territori con realtà più funzionali ed altre peggiorate. Il ché ha dato vita ad un pellegrinaggio di famiglie, che non potevano essere curate nelle strutture del mezzogiorno, verso quelle del Nord. Allo stesso modo sarebbe deleterio immaginare che la scuola, per l’importanza che nel sistema formativo della cittadinanza riveste, istituzionalizzi una sua spaccatura in regioni diverse con programmi diversi e orientamenti diversi. “Il rischio è di determinare una completa disarticolazione” dell’intero sistema istruzione “con l’indebolimento della scuola nelle regioni del mezzogiorno e dunque della speranze di emancipazione e progresso connesse al buon funzionamento dell’intera filiera formativa che lega scuola e università….” … “Né risulterebbe irreparabilmente minata l’unitarietà del diritto allo studio 3”. Per questo non accettiamo questa logica della divisione e dell’egoismo ma ci stiamo battendo per contrastare questo disegno e per rendere consapevoli tutti i cittadini dei rischi per tantissimi e dei vantaggi per pochi che già, tra l’altro, vivono in una situazione migliore rispetto agli altri. È vero che non esistono in questo momento tanti valori condivisi in base ai quali chiedere solidarietà e aggregare interessi diversi, soprattutto a causa della frammentazione delle rivendicazioni e degli egoismi soggettivi, amplificati dai nuovi modelli sociali. In mancanza di una ridefinizione delle garanzie di coesistenza delle differenze culturali e valoriali, correttamente contrapposte nella dialettica politica, difficilmente si potranno trovare convergenze che diano, alle diversità economiche sociali e politiche, il senso di una sintesi ideale che le accomuna nello Stato. Per noi, devono mantenersi nello Stato, e anzi rafforzarsi, le funzioni di indirizzo, di ordinamento, di programmazione generale e di amministrazione delle funzioni nazionali non decentrabili quali l’istruzione, la sanità, l’assistenza, etc., assegnando poi al livello periferico delle amministrazioni regionali le funzioni legislative, di programmazione e organizzazione per le competenze proprie e per quelle che lo Stato trasferisce loro.

 

Negli ultimi tempi si sta assistendo a una maggiore attenzione, anche mediatica, sul tema dell’autonomia differenziata, complici, tra le altre, le recenti e insistenti dichiarazioni di esponenti della Lega, sia al Governo che nelle regioni del nord, che spingono ad approvare velocemente i provvedimenti sul regionalismo differenziato, dando seguito ai procedimenti già attivi in tre Regioni da circa un anno. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno intrapreso l’iter procedurale verso la fine del 2017 e nel febbraio dello scorso anno sono arrivate a sottoscrivere (con l’allora Governo Gentiloni) tre pre-intese nelle quali si possono evidenziare molti elementi in comune. Le materie spaziano su più fronti e su materie rilevanti e d’interesse nazionale che vanno dalle politiche del lavoro fino all’istruzione o alla tutela salute, come già detto, e dell’ambiente. La grandezza del “fenomeno” la si riscontra non solo dalla portata delle materie attribuibili alle Regioni ma anche da quante Regioni ne stiano facendo richiesta. Il Ministro Stefani ha, infatti, asserito che dal suo insediamento, hanno intrapreso ufficialmente il percorso anche Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Piemonte e se si considerano anche le Regioni che hanno anche solo dichiarato di volerlo intraprendere, si arriva alla quasi totalità. In considerazione della sua portata, è bene monitorare questo processo, visto il possibile passaggio di poteri in materie particolarmente delicate.

 

Il rischio concreto è che si arrivi a uno scollamento sostanziale dell’unità politica nazionale e conseguentemente del sistema Paese in materie cruciali e con la probabile conseguenza dell’accentuarsi degli squilibri tra le diverse realtà territoriali. Altro vulnus è la mancanza di ruolo del Parlamento, che dovrebbe avere il solo compito di “ratificare” o meno un testo, senza poter minimamente intervenire. Bisogna, invece, che il Parlamento pretenda di discutere e, soprattutto, emendare questa riforma. Dobbiamo vigilare sul fatto che qualsiasi sia l’ipotesi, essa non possa esser fatta fra pochi intimi ma debba, rallentando il processo, interessare l’intero Paese. Per questo, rinnovo il nostro appello a farsi promotori in ogni territorio di una discussione ampia e partecipata, per far sì che solo dopo di queste si vadano eventualmente a ratificare le intese. È essenziale rilanciare la questione per creare un’opinione pubblica consapevole, cosa che non è avvenuta fino ad oggi. La Uil sta continuando a promuovere su tutto il territorio una discussione per coinvolgere quanto più possibile la cittadinanza, non facendone una battaglia ideologica ma ribadendo però che, comunque vadano le cose, i principi di solidarietà, coesione e di unità dello Stato vanno sempre fermamente salvaguardati.

 

 

1Relazione Annuale del Procuratore Generale della Corte dei Conti.

 

2Università di Napoli: “Contro questo regionalismo differenziato per un sistema universitario equo ed efficiente.

   

   3Università di Napoli: “Contro questo regionalismo differenziato per un sistema universitario equo ed efficiente.

 

 

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