Ilva: una vertenza storica
OTTOBRE 2018
Sindacale
Ilva: una vertenza storica
di   G. Turi

 

L'Accordo Sindacale del 6 settembre1 scorso segna la fine di un percorso lungo poco più di sei anni, che si è intrecciato con le complesse vicende della vita politica del Paese, rimanendo sempre in cima alle priorità di tutte le compagini di governo che si sono succedute e che si sono dedicate a ricercare le migliori soluzioni possibili. La crisi della siderurgia ionica irruppe devastante sulla scena politica nazionale con il sequestro degli impianti da parte della magistratura ionica: era il 26 luglio del 2012. Durante questa lunghissima fase, gli impianti non hanno mai smesso di produrre, seppure a ritmi ridotti (meno di sei milioni di tonnellate a fronte degli oltre nove dell’epoca Riva). Il teorema non scritto di questi anni è stato rappresentato dal connubio: bassa produzione – basse emissioni, binomio resosi necessario per rientrare nei livelli emissivi compatibili con quelli impressi nei diversi provvedimenti autorizzativi (AIA), che sono stati adottati dai diversi titolari del Ministero dell’Ambiente (Prestigiacomo, Clini, Orlando, Galletti).

I livelli occupazionali sono rimasti inalterati, con un ricorso sistematico ad un regime di cassa integrazione incentrato su un mix di CIG straordinaria e di contratti di solidarietà, tutti integrati da trattamenti salariali (10%), per sostenere poco più di 14.000 lavoratori, sparsi tra i diversi stabilimenti (Milano, Genova, Novi Ligure, Racconigi, Taranto, Marghera, Legnano, Paderno, Dugnano e Salerno). Tutto questo ha comportato perdite di esercizio ingenti (quantificate in circa 30 milioni di € al mese), che hanno paradossalmente rappresentato il primo impegno tangibile dello Stato nell’equilibrare i livelli occupazionali con il rispetto dei parametri ambientali. Ciò ha infatti significato accettare che un’impresa lavorasse “in perdita” e che lo Stato si impegnasse a ripianare i debiti che nel frattempo si andavano accumulando, in ciò stando sempre molto attenti a non incappare nella disciplina degli “aiuti di stato”, che l’Unione Europea ha sempre minacciato, nemmeno troppo velatamente, di applicare.

Ancor prima, lo Stato si rendeva protagonista di un’azione di “esproprio” nei riguardi della proprietà (la famiglia Riva), rea di aver prodotto una situazione di “disastro ambientale”: ne rilevava la gestione e la affidava ad un sistema commissariale (gestione pubblica) che ne ha condotto l’esercizio e che rimarrà in attività anche oltre il fitto/vendita. Ma il protagonismo dello Stato nel corso della vertenza ha raggiunto punte mai toccate nella storia della manifattura italiana, con il recupero di una quantità ingente di capitale (poco oltre un miliardo di euro) dalla ormai ex proprietà (i Riva), per finanziare quegli interventi di bonifica che la stessa aveva omesso di effettuare negli anni in cui aveva avuto la proprietà piena dello Stabilimento. Il principio del “chi inquina, paga” trova in terra ionica la sua prima applicazione! Tre passaggi, questi ultimi, che hanno segnato, in modo del tutto innovativo, il ruolo dello Stato in una gestione di manifattura privata, qual è stata quella dell’ILVA; una vicenda che entrerà a pieno titolo sia nei manuali di diritto, per la corposa serie di provvedimenti legislativi e per le importanti decisioni della magistratura, sia nella letteratura industriale del Paese.

Una dozzina di provvedimenti, tra leggi e decreti, sono serviti a traghettare la fabbrica dalla crisi alla sua sopravvivenza ed hanno impegnato tutti gli Esecutivi che, nel frattempo, si sono avvicendati (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). Al momento, solo il governo Conte non ha emanato alcun provvedimento, ma ha comunque raccolto l’imponente eredità degli esecutivi precedenti ed ha finalizzato la vertenza. Uno sforzo importante quello impresso da questi Governi, che hanno fatto della continuità d’azione la propria filosofia operativa, in un clima durissimo, connotato da uno scontro senza precedenti sui temi del lavoro, dell’ambiente e della salute, che ha impegnato le migliori energie della politica, della comunità scientifica e di quella accademica oltre che di quella imprenditoriale. La ricerca di un equilibrio tra lavoro, ambiente e salute ha comportato l’adozione di misure straordinarie: la copertura dei parchi minerari primari e secondari (un’opera ciclopica, unica al mondo, sia per la dimensione dell’area da coprire che per i costi, pari a più di 300 milioni €), la chiusura integrale dei nastri trasportatori e di tutte le vie che conducono il minerale dalle navi ai parchi (il che significa chilometri di coperture), l’abbattimento degli inquinanti più insidiosi con l’introduzione di nuove tecnologie (bat), il rifacimento integrale degli altiforni (solo il numero 5 comporterà un costo di 250 milioni €), l’adozione di una serie corposa di interventi sulla protezione delle falde e sul trattamento delle acque. Questo solo per citare le misure più rilevanti.

In questo, il Sindacato, come vedremo meglio in seguito, ha segnato importanti percorsi evolutivi della sua linea politica, arricchendola ed estendendola a quei bisogni che prendevano sempre più corpo nella società civile. Il tema del lavoro si è completato ed integrato con la centralità del ruolo, che ha assunto sempre più quello della “sicurezza sui luoghi di lavoro” in un’accezione ampia che, proprio nel corso della vertenza ILVA, ha visto finanche “contrattualizzati” i temi dell’”ambiente” e del “rapporto fabbrica – comunità”La novità dell’Accordo del 6 settembre non riguarda soltanto la sua valenza sindacale, che pur ha tratti di rilevantissima significazione tecnico-politica, ma consiste nell’aver adottato una tecnicalità del tutto innovativa, in quanto, con i due ADDENDUM (1 e 2), PIANO INDUSTRIALE e PIANO AMBIENTALE, ne hanno costituito parte sostanziale ed integrante, proponendo un rapporto pieno ed equilibrato con le comunità che, negli anni della crisi, hanno prodotto un protagonismo (istanze sociali e ambientali) che non poteva essere ignorato.

Nello specifico, in un’ottica squisitamente sindacale, l’Accordo, sotto i profili occupazionali, giuridici ed economici, assicura tutela piena a tutti i lavoratori dei diversi siti del Gruppo. La locuzione “zero esuberi” ha quindi trovato accoglimento nelle diverse fasi che interesseranno la vita della fabbrica nel corso del sessennio 2018 – 2023: 10.700 lavoratori saranno assunti subito, la parte residua sarà collocata in CIGS (è peraltro previsto il loro impiego parziale nel corso dell’opera di bonifica e di lavori sociali), con obbligo di assunzione di quella parte che non avrà trovato una collocazione stabile nel corso del medesimo periodo: una vera e propria clausola integrale di salvaguardia. Una dote cospicua (100.000 €) accompagnerà quei lavoratori che, in modo del tutto volontario, non intenderanno proseguire l’esperienza della vita di fabbrica. Trattamenti giuridici e salariali (fondamentali e accessori), riconosciuti integralmente ed in piena continuità con il rapporto lavorativo precedente, completano il quadro. Al di là di questi aspetti, con l’ADDENDUM 2, su specifica richiesta del Ministro dello Sviluppo Economico, la nuova proprietà si è assunta obblighi ulteriori rispetto a quelli già previsti nel Contratto.

 

La loro valenza ci induce ad una trattazione specifica di merito per comprendere meglio la portata dell’Accordo2:

a) eliminare o ridurre al minimo le fonti inquinanti, attraverso l’implementazione delle misure di tutela ambientale e l’accelerazione dei tempi di esecuzione degli interventi ambientali;

b) vincolare l’incremento della produzione, in particolare quella superiore a 8 milioni di tonnellate,

all’impiego di processi di produzione alimentati a gas o di processi alternativi a basso utilizzo di carbone;

c) attuare misure di economia circolare;

d) anticipare ed implementare l’avvio delle attività del Centro di Ricerca, che saranno finalizzate all’individuazione di nuove tecniche produttive a minore impatto ambientale per lo stabilimento di Taranto;

e) introdurre misure di conoscenza e di trasparenza nei confronti delle comunità locali nonché interventi che ne supportino la crescita e il benessere;

f) attuare forme di tutela e di promozione dell’utilizzo dei fornitori locali di beni e servizi. Con queste sei “clausole” viene quindi ridisegnato un nuovo e diverso rapporto tra la Fabbrica e la Comunità, nel quale la prima diventa soggetto fortemente propositivo con l’obiettivo di interagire con la seconda per favorirne la sua crescita.

 

Il rilievo, del tutto innovativo, di questi aspetti è da ricercare nella volontà, da parte dell’Impresa, di concorrere a stabilire un nuovo equilibrio, auspicabilmente stabile e durevole, tra lavoro – ambiente a salute. Conclusa positivamente la vertenza sindacale, una nuova sfida attende ora il Sindacato: la gestione di un accordo ampio, articolato e complesso, che interessa sicuramente la Fabbrica ma anche la Città. Un’ulteriore prova di maturità ! Occorrerà dimostrare nei fatti che gli equilibri, disegnati nei diversi provvedimenti, conducano alla piena, pacifica convivenza della Fabbrica con la Comunità ionica. Una valutazione finale attiene al ruolo svolto dal Sindacato, più specificamente dalla UIL e dalla UILM.

In ogni momento della vertenza, la nostra Categoria, la UILM, ha prima orientato e poi  determinato le scelte che si andavano compiendo. Ripercorrendo l’intero excursus della vicenda si scoprono, pieni, i tratti della continuità, soprattutto nella sua fase conclusiva (gli ultimi tredici mesi). L’ultimo miglio (quello caratterizzato dalla discontinuità politica tra Calenda e Di Maio), il più delicato, è stato totalmente e sapientemente governato da Rocco Palombella: netto ed autorevole il suo imprinting nella conclusione della vertenza; inoltre, sulla “clausola di salvaguardia” (zero esuberi), ha speso tutta la sua esperienza e professionalità, chiudendo il cerchio di una trattativa che entrerà di diritto nella letteratura aziendale.

Da ultimo, particolare non irrilevante, una annotazione dovuta: l’ambito è stato presidiato autorevolmente dai colleghi in fabbrica, in maniera così rilevante e pregnante da contenere il ricorso a manifestazioni pubbliche di protesta (ne contiamo una sola, pur amplissima e partecipata, in sei anni) ma garantendo ai lavoratori il massimo delle tutele occupazionali e salariali. Un grandissimo lavoro, fatto da una grande Organizzazione in concorso tra tutte le sue componenti. Da luogo del degrado ambientale e sociale, Taranto assurge ad un ruolo di primaria importanza nel panorama della manifattura italiana. La “strategicità dell’acciaio per l’economia del Paese” è stata autorevolmente prima difesa e poi riaffermata dal Sindacato ionico.

 

 

*Segretario Generale UIL Taranto

 

1 VERBALE DI ACCORDO sottoscritto il 6 settembre 2018 presso il Ministero dello Sviluppo Economico tra AM INVESTCO e ORGANIZZAZIONI SINDACALI.

2 ADDENDUM al “Contratto di affitto con obbligo di acquisto di rami di azienda”, sottoscritto quale parte integrante dell’Accordo Sindacale.

 

 

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