Umiliati e arrabbiati – Passato, Presente e Futuro del Movimento Operaio americano
DICEMBRE 2019
Approfondimento
Umiliati e arrabbiati – Passato, Presente e Futuro del Movimento Operaio americano
di   Roberto Campo

 

Il libro di Steven Greenhouse, che per 14 anni per il New York Times si è occupato di lavoro e sindacato, merita di essere conosciuto anche da noi, pur scontando che difficilmente verrà tradotto in Italiano. Nonostante tutte le differenze tra il mondo del lavoro statunitense e il nostro, i fenomeni che descrive ci sono per molti versi familiari. Il libro non è solo interessante, ma è bello, già a partire dalle citazioni d’apertura. Quella di Frederick Douglass, lo straordinario personaggio che, nato schiavo, divenne un importante intellettuale americano: “if there is no struggle, there is no progress” (se non c’è lotta, non c’è progresso). E quella di Thomas R. Donahue, presidente del sindacato americano AFL-CIO: The only effective answer to organized greed is organized labor (la sola risposta efficace all’avidità organizzata è il movimento dei lavoratori organizzato). “Milioni di Americani sanno poco sulle conquiste fatte dai sindacati nel corso della storia americana e di quanto il movimento dei lavoratori abbia avuto un ruolo importante, ancorché spesso misconosciuto, nel fare dell’America la grande nazione che è oggi” - scrive Steven Greenhouse nell’introduzione. Il sindacato ha dato il contributo decisivo alla creazione della più vasta classe media del mondo. Di contro, il declino dei sindacati ha contribuito ad aggravare tutti i maggiori problemi del Paese: la crescete diseguaglianza dei redditi, la stagnazione dei salari, la mobilità sociale in diminuzione, il gran numero di lavori sottopagati, oltre che il legarsi della politica sempre più alle corporazioni e ai finanziatori più ricchi e sempre meno al movimento dei lavoratori. Oggi in America c’è il sindacato più debole di tutti i Paesi avanzati. Un presente spesso orribile, un passato duro ma con momenti gloriosi. C’è però anche un futuro, che potrebbe riservare sorprese positive: Greenhouse racconta diversi episodi che farebbero pensare ad un’inversione di tendenza rispetto al declino del sindacalismo americano. Il libro, dunque, è costruito in tre parti, che si intrecciano: una sul passato del sindacalismo americano; una seconda sul suo lungo declino, a partire da metà anni ’70; una terza, su una serie di vicende recenti che fanno sperare in un riscatto.

 

Le conquiste del passato

Tra gli episodi del passato trattati nel libro:

• la sollevazione delle 20.000 camiciaie di New York del 1909;

• lo sciopero sit-down allo stabilimento di Flint, Michigan, della General Motors del 1936-37;

• lo sciopero dei lavoratori della raccolta rifiuti di Memphis del 1968.

Altri episodi che vengono solo sommariamente citati: l’organizzazione sindacale dei Knights of Labor; i primi scioperi ferroviari; lo sciopero tessile di Lawrence, Massachusetts, del 1912; l’anarco-sindacalismo dei Wobblies; gli scioperi generali di Minneapolis e San Francisco del 1934; lo sciopero delle piccole acciaierie del 1937.

 

Le ventimila camiciaie di New York (1909)

La vita di fabbrica all’epoca era durissima: divieto di canto, di risa, di parola; perquisizioni arbitrarie; molestie sessuali; estorsione di caparre per garantire la non iscrizione al sindacato. Il personaggio-chiave di questo conflitto fu Clara Leimlich, ebrea, immigrata ucraina a New York. I proprietari delle fabbriche risposero alla mobilitazione con la serrata, l’uso di bande di prostitute e teppisti contro le lavoratrici e i picchetti. Polizia e giudici furono apertamente ostili alle lavoratrici. Un magistrato dichiarò che lo sciopero era contro Dio e la Natura (e G. B. Shaw lo prese in giro per questo). La Leimlich subì un duro pestaggio, che anni dopo commenterà così: “unions aren’t built easy” (i sindacati non sono facili da costruire). Il 22 novembre 1909 si tenne un’assemblea di massa alla Cooper Union’s Great Hall. Il Presidente della AFL, la confederazione americana, non vedeva bene lo sciopero delle camiciaie e sottovalutava le donne. Poi prese la parola Clara Leimlich, in yiddish, e chiese lo sciopero generale. Si giurò per lo sciopero, che un giornalista definì “a show of women’s power” (una dimostrazione del potere delle donne). Le richieste: settimana di 52 ore; un aumento del 20% del salario; ferie pagate; basta con il costo di ago e filo a carico delle lavoratrici; riconoscimento del sindacato, l’International Ladies’ Garment Workers’ Union (ILGWU). Tra gli slogan del durissimo sciopero, che verrà ricordato come the uprising of the 20.000 (la sollevazione delle ventimila), questo: “starve to win, or you’ll starve anyhow” (fate la fame per vincere, o la farete comunque). L’aiuto, insperato, decisivo, venne dalla… brigata impellicciata, la mink brigade, alcune delle donne più ricche di New York, che solidarizzarono con le scioperanti. Si giunse così all’apertura del negoziato, ma permaneva il rifiuto di riconoscimento del sindacato, per cui lo sciopero continuò. Molte aziende cominciarono a cedere. La Blanck-Harris non riconobbe il sindacato, ma accettò che vi fossero degli iscritti. Il commento della Leimlich: “well, we showed them!” (be’, gliel’abbiamo fatta vedere!). Questo sciopero vittorioso ispirerà quello dei mantellai del 1910, che si chiuderà positivamente con un Protocollo di Conciliazione e Arbitrato.

 

Lo sciopero sit-down alla General Motors (1936-37)

Cos’è uno sciopero di tipo “sitdown”: invece della modalità tradizionale di sciopero, in cui gli scioperanti sostavano davanti ai cancelli della fabbrica, esposti a freddo, pioggia e neve, spesso oggetto di attacchi polizieschi, e con i crumiri che intanto prendevano il loro posto in fabbrica, con lo sciopero “sit-down” i lavoratori restavano in fabbrica, occupavano il loro posto di lavoro. La General Motors non era solo grande, era colossale. Sfidarla sembrava fuori della portata dei lavoratori. L’epicentro dello sciopero fu lo stabilimento di Flint, nel Michigan. Lo sciopero fu una vera e propria battaglia, il più importante sciopero del secolo in America. Walter Speck lo celebrò con questo lavoro, The Mural, del 1937, dipinto per la sezione Local 174 della UAW, il sindacato dei lavoratori dell’auto. Lo sciopero di Flint della General Motors vide il sindacato dell’auto, la UAW, United Automobile Workers, muovere i primi passi. La General Motors mobilitò le sue spie: nel 1936, ben 5 su 13 componenti dell’esecutivo sindacale a Flint erano spie GM o Pinkerton. Le riunioni sindacali entro i confini della città di Flint erano proibite. Il potere dei capi era assoluto, la fabbrica abbrutente. La vicenda di Flint è anche intrecciata con le novità intercorse nel sindacalismo americano con la nascita del CIO (Congress of Industrial Organizations), nel 1935, organizzato per industria e non per mestiere. Tra CIO e AFL lo scontro fu grande e culminò con la rottura del 1938. La UAW decise di andare con il CIO (come si vede anche nel murale di Speck). La rottura si recupererà nel 1955, con la fusione e la nascita della AFL-CIO. La UAW chiedeva a GM un negoziato nazionale, che l’azienda rifiutava. Ne venne fuori un’eroica battaglia, in cui GM mise in campo anche un sindacato giallo, la Flint Alliance. Il New Deal, però, aiutava la sindacalizzazione. L’atteggiamento del Presidente Roosevelt, favorevole al negoziato tra le parti in General Motors, fu prezioso. Frances Perkins, Segretario del Lavoro con Roosevelt, intervenne con decisione a favore degli scioperanti e strapazzò Alfred Sloan, il Presidente della GM. Frances Perkins aveva visto, da ragazza, l’atroce incendio alla camiceria Triangle Waist Factory di New York, il 25 marzo del 1911, in cui erano morti bruciati 146 lavoratori, soprattutto ragazze, dell’Est Europa e Italiane. Quel rogo la segnò. Diventata una riformatrice sociale, ricorderà quel tragico sabato come il giorno in cui nacque il New Deal. A proposito del rogo del 1911, Greenhouse ricorda un’altra grande donna del sindacalismo americano, Rose Schneiderman, ebrea, di origine polacca, femminista e socialista, e il suo discorso memorabile alla commemorazione dei 146 morti: “non è la prima volta che delle ragazze vengono bruciate vive in questa città (…); la vita di uomini e donne vale così poco mentre la proprietà è così sacra” …

L’accordo arrivò dopo 44 giorni di lotta. Il giorno dell’accordo, i lavoratori sfilarono trionfanti, al canto di Solidarity Forever, l’inno sindacale scritto nel 1915 da Ralph Chaplin, sulla melodia di John Brown’s Body/ Battle Hymn of the Republic. Una delle strofe dice: siamo stati noi lavoratori ad arare le praterie / costruire le città dove commerciano / scavare le miniere, costruire le fabbriche / posare milioni di miglia di rotaie / e ora ce ne stiamo privi di tutto e poveri / tra le meraviglie che abbiamo costruito / ma l’unione ci restituirà la forza! Dopo Flint, arrivarono gli accordi Chrysler 1939 e Ford 1941.

 

Memphis 1968

Un’altra lotta sindacale vittoriosa, che si andò ad intrecciare con la lotta per i diritti civili. I giovani afro-americani tornati dalla guerra, al Sud trovano lo stesso Sud razzista di sempre. “Boy”, vengono chiamati questi giovani neri, ma non sono ragazzi, sono uomini. “I am a Man”, proclamano con orgoglio. Martin Luther King apprezzò la lotta sindacale che in quell’anno fatale si svolse nel settore dei rifiuti, a Memphis, e si spenderà per l’alleanza tra movimento per i diritti civili e movimento sindacale. Non vedrà la fine vittoriosa della lotta sindacale dopo 65 giorni di sciopero, assassinato proprio a Memphis, il 4 aprile 1968. Nel Dopoguerra, i sindacati sono più forti; imprese e sindacati cominciano a considerarsi partner e non nemici mortali; si praticano forme di tripartitismo. Il personaggio di più grande spicco è Walter Reuther, che sarà anche un amico della UIL. Greenhouse lo definisce “costruttore della classe media”. Walter Reuther era un dirigente della UAW, il sindacato dell’auto, e seguiva la General Motors. La sua impostazione andava oltre gli obiettivi salariali, ma puntava alla costruzione di un mondo migliore. Aveva idee socialiste e una visione confederale: “Vogliamo progredire insieme alla comunità e non a spese della comunità” e “ìl sindacato non si batte per una fetta più grande della torta nazionale ma per una torta più grande.” Per Barry Goldwater, Reuther era più pericoloso dello Sputnik. Il sindacalista subì un pestaggio dalla polizia privata di Ford. Reuther denunciava la politica di massimizzazione dei profitti ai danni di salari e consumi e sosteneva che i lavoratori devono beneficiare degli incrementi di produttività della loro azienda. Sui consumi, Reuther citava espressamente Keynes e la necessità di innescare un circolo virtuoso che scongiurasse una nuova depressione. Ebbe un ruolo importante nello sciopero sit-down del 1936-37 alla GM di Flint, Michigan, e fu protagonista dello scontro titanico tra la UAW e la GM del 1945 (tuttavia, molto più pacifico di quello del 1936-37). I lavoratori GM erano stufi dei bassi salari del tempo di guerra. Per GM, i salari non dovevano avere a che fare con il livello dei profitti. La vertenza richiese la mediazione di Truman. L’ondata di scioperi del 1946 non fu gradita agli Americani, tanto che la UAW di General Motors patì un certo isolamento, e Walter Reuther dovette accettare un accordo non pienamente soddisfacente, a causa degli orientamenti non favorevoli dell’opinione pubblica. Nel 1947, Walter Reuther divenne Presidente della UAW. Engine Charlie Wilson, presidente GM, offrì un accordo innovativo: durata di due anni invece che di uno; pace sociale; condivisione degli aumenti di produttività; protezione dall’inflazione. L’accordo del 1948 stipulato su queste basi fu innovativo e rispondente a due dei punti su cui Reuther insisteva di più: la condivisione degli aumenti di produttività e la tutela dall’inflazione. Subito dopo, superato il trauma di un attentato in cui venne ferito, Reuther lavorò per un’ulteriore innovazione: l’introduzione nella contrattazione di benefici sociali. In un primo momento, Reuther aveva sperato da Truman in un equivalente americano del NHS britannico, il servizio sanitario nazionale, ma i repubblicani cavalcavano l’onda anti-sindacato e promossero leggi anti-sindacato, tra cui il Taft-Hartley Act, tuttora efficace. Fu così che Reuther si convinse che se non si potevano avere benefici sociali dal Congresso, li si sarebbe chiesti ai tavoli negoziali. GM propose un contratto da 5 anni, Reuther ci volle dentro pensioni e sanità. L’accordo GM-UAW, con i 5 anni di vigenza, pensioni, salute, inflazione, salario di produttività, verrà chiamato Treaty of Detroit, il Trattato di Detroit (1950), e produrrà la più vasta e ricca classe media dell’Occidente. Dal 1948 al 1973, fu in vigore negli Stati U un contratto sociale di fatto. Al netto dell’inflazione, crebbero produttività (96) e salari (91). Gli anni del maggior potere dei sindacati sono stati anche gli anni delle minori diseguaglianze.

 

Gli anni del declino del sindacato

I fattori del declino:

- globalizzazione;

- atomizzazione della gig economy;

- guerra delle multinazionali al sindacato.

Greenhouse analizza lo stato delle union, parafrasando il discorso sullo stato dell’Unione dei Presidenti degli Stati Uniti d’America. Si è persa la voce – dice. Sempre più spesso, si sceglie QUIT (the job) invece di VOICE: abbandonare, lasciare il lavoro, rinunciare, invece di protestare, di battersi. Sono tante le storie di lavoratori che se la passano male che Greenhouse racconta: una cuoca, un softwarista alla Disney, una cassiera incinta, un dipendente di un autolavaggio, un’infermiera, un tassista di Uber, un’insegnante di musica alle elementari che arrotonda da McDonald, un lavoratore che si divide tra due lavori (Burger King e Pizza Hut), si sobbarca il pendolarismo quotidiano, e nemmeno così riesce a farcela: a casa, niente riscaldamento, niente assistenza sanitaria… La vita ha preso una brutta piega per milioni di lavoratori negli Stati Uniti. Si è rotto qualcosa di fondamentale nel modo con cui molti datori di lavoro americani trattano i dipendenti. Profitti e azioni su, salari giù. Quattro Americani su dieci non sono in grado di fare fronte a spese impreviste di 400 $. Si è avuto uno scontro di due visioni: massimizzazione del profitto contro prosperità condivisa. Alle elezioni del 2016, milioni di lavoratori frustrati hanno votato per Trump (ma la sua amministrazione è piena di personaggi business over workers, attivi a favore delle imprese e contro i sindacati, su diversi temi: sicurezza, assistenza sanitaria, straordinari retribuiti, fondi pensione). Molti lavoratori sono stressati dal clopening (close + open): chiudono a mezzanotte e tornano per riaprire alle 7-8. L’eccezionalismo americano ha oggi una specificità anti-lavoratori: niente malattia retribuita, vacanze, maternità. La globalizzazione ha comportato la competizione con lavoratori dai bassi salari. L’occupazione industriale è caduta: da 19.5 milioni nel 1979 a 12.8 milioni oggi. Evapora la sicurezza lavorativa, avanza il precariato. Le molestie sessuali sul posto di lavoro sono frequenti. Automazione e Intelligenza Artificiale mettono a rischio molti posti di lavoro. Auto e camion a guida automatica entrano in scena. Salari e produttività, che erano cresciuti insieme nel periodo 1948-1973, non sono più appaiati nel periodo 1973-2016. Manager che nel 1965 guadagnavano 20 volte lo stipendio di un operaio, nel 1990 lo guadagnavano 59 volte; oggi addirittura 312 volte. 50 milioni di lavoratori guadagnano meno di 15 $ l’ora. Il salario minimo è 7,25 $ l’ora, meno che nel ’68. Ore lavorate: in America, 1.780 l’anno pro-capite: più che Giapponesi, Tedeschi, Francesi, Britannici. I sindacati sono sulla difensiva a causa di calo iscritti, legislazione anti-sindacati, decisioni ostili della magistratura. Il sindacato viene accusato di interferire con il libero mercato e di sostenere il big government, l’intervento dello stato in economia e nella società. Numerose le leggi contro la quota sindacale in occasione dei rinnovi contrattuali. Colossi come Walmart ed Amazon si rendono protagonisti di brutte storie contro i lavoratori e i sindacati. È evidente il declino dell’influenza politica dei lavoratori. Gli Americani condividono diversi obiettivi pro-lavoratori, ma tutto ciò non si trasforma in politica. Finanziamenti elettorali: il business batte di gran lunga il labor. Lo stesso per il lobbismo: 3 miliardi di $ contro 45 milioni. C’è di che essere preoccupati per il futuro del lavoro in America, con lavoratori che saltano le cure mediche che non possono permettersi, si arrabattano tra falso lavoro autonomo e forzature affinché si scelga per le controversie di lavoro l’arbitrato in alternativa all’andare in giudizio. L’anti-sindacalismo americano è virulento: il sindacato viene visto come nemico (in nessun altro paese avanzato siamo a questo livello). L’autore offre un’ampia panoramica di casi. Lo sfruttamento di Uber raccontato da un autista Uber, che come reagisce, riceve una email di “disattivazione” (che Uber dovrà poi rimangiarsi). Un lavoratore T-Mobile (call center) che passa dal premio al licenziamento perché si è sindacalizzato. C’è poi il manager Amazon, che diffonde fake news anti-sindacato. Lo union busting, l’attività di demolizione del sindacato, conta negli Stati Uniti 2.000 specializzati. È una guerra senza onore. Questo anti-sindacalismo militante è un’attività di massa: 63% dei datori di lavoro indagano se i loro dipendenti sono sindacalizzati; 34% hanno licenziato sindacalizzati; etc. Walmart fa uso di video anti-sindacali e preferisce chiudere un’unità piuttosto che avere il sindacato in casa. Bill Haslam, governatore del Tennessee, si è subito mosso contro la UAW che cercava di sindacalizzare la Volkswagen di Chattanooga (2014): l’azienda non aveva problemi all’ingresso del sindacato, ma i politici della zona e le altre aziende sì, argomentando che il sindacato porta anche big government e tasse. Alla fine, la UAW perse, di poco, la votazione. Perse anche alla Nissan. Nikki Haley, la governatrice della South Carolina, si era a sua volta distinta contro i sindacati: le union sono not needed, not wanted and not welcome (i sindacati non servono, sono indesiderati e non benvenuti) – mise in chiaro (2012). E così, abbiamo due Caroline senza sindacato: solo il 2.7% di densità sindacale. Il Sud è sempre stato difficile per il sindacato. Greenhouse ricorda l’Operazione Dixie del 1946, con cui si voleva sindacalizzare il Sud. La CIO mandò 20 sindacalisti per Stato. Fu un insuccesso. Un episodio di employer militancy (militanza imprenditoriale anti-sindacato) si è visto all’opera nell’acciaieria Allegheny Technologies di Pittsburgh, Pennsylvania, che mise in atto una serrata, procedette con le sospensioni degli scioperanti e con l’uso, illegale, di sostituti degli scioperanti. Questa volta, però, la vittoria arrise ai lavoratori, che nel 2016 ottennero che l’azienda si rimangiasse il two-tier contract, che crea due trattamenti diversi tra i neo-assunti, con bassi salari, e i lavoratori con anzianità aziendale, sistema odioso che scava un fossato tra lavoratori. Un altro recente caso di lockout (serrata) ha raggiunto la durata record di oltre 20 mesi. L’esito è stato negativo per i lavoratori. Parliamo dello zuccherificio ACS (American Crystal Sugar), con stabilimenti in North Dakota, Minnesota e Iowa, dove i lavoratori hanno infine accettato col 55% di sì un contratto di concessioni all’azienda che inizialmente era stato bocciato dal 96% dei lavoratori.

 

Il rapporto deludente con i Democratici

Nel 2008 i leader sindacali (tra cui Sweeney, il Segretario Generale della AFL-CIO) si attribuirono molti meriti per la vittoria di Obama. Decisivi furono gli Stati industriali: Ohio, Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, Minnesota. Gli iscritti al sindacato votarono per Obama (67-30). Il voto dei bianchi, complessivamente favorevole a McCain (57-41), tra i sindacalizzati ha visto prevalere Obama (57-40). La differenza l’ha fatta il sindacato. Le richieste sindacali a Obama: stimolo al rilancio dell’economia e posti di lavoro. Inoltre, si chiede il Card Check, che rende più facile la sindacalizzazione: con la maggioranza dei consensi dei lavoratori di un’azienda si chiede il riconoscimento direttamente al datore di lavoro senza referendum tra i lavoratori. Ma i democratici furono molto tiepidi nel fare quanto le union chiedevano loro. Obama era in difficoltà nel sostenere la legislazione chiesta dal sindacato. Obama ha deluso e fatto arrabbiare le union (anche con il TPP). Si impegnano più i repubblicani a demolire i sindacati di quanto non si impegnino i democratici per rafforzarli, nonostante tutto quello che le union fanno per i Democratici. Il 2009 segnò un buon momento per i sindacati che però non produsse i frutti legislativi attesi. La legislazione anti-union si diffuse ulteriormente. Gli effetti delle leggi anti-sindacato si videro con il crollo delle iscrizioni. Nelle elezioni del 2016, la Clinton vinse di misura nei punti di forza sindacali, ma l’Ohio fu perduto. Le leggi anti-sindacato cosiddette del right to work (non pagamento delle quote contrattuali) diedero a Trump il margine per vincere in Wisconsin e Michigan. Le promesse di Trump: riportare a casa i posti di lavoro, rivitalizzare l’industria, essere duro su immigrazione e commercio. I bianchi della classe lavoratrice si sentivano minacciati dagli immigrati e dalle politiche pro-minoranze. E anche dalle donne. I settori operai di industria, costruzioni, servizi si sentono abbandonati dal Partito Democratico. Grande distanza tra Hillary Clinton e gli operai: Hillary ha un working-class problem. E i Democratici sono percepiti come il partito dello status quo elitista. L’errore dei Democratici fu quello di focalizzarsi su temi divisivi e tralasciare quelli economici.

 

Le responsabilità sindacali del declino delle union

Ci sono anche colpe sindacali nel declino del sindacato americano: corruzione, mancanza di visione, inerzia, burocratizzazione, discriminazioni (delle donne; razziali); tendenza ad alienarsi potenziali alleati politici. Casi emblematici di corruzione e metodi mafiosi: dai portuali dell’east coast, raccontati anche nel film di Elia Kazan, Fronte del porto, 1954, ai teamster (camionisti) di Jimmy Hoffa, magistralmente interpretato da Al Pacino in The Irishman di Martin Scorsese, 2019. Si riposa sugli allori, ma non basta limitarsi alle vertenze e agli aumenti salariali, ci sarebbe voluta una più ampia visione sociale e maggiore combattività. Si è invece passati dal sindacalismo sociale di movimento al sindacalismo d’affari, da leva di progresso a difesa corporativa di interessi organizzati. C’è stato un infiacchimento della militanza (la cosa sta bene anche ai leader). Ma così il sindacato sarà disarmato quando arriverà l’era Reagan. In particolare, gran miopia mostrò George Meany, Presidente della AFL-CIO dal 1955 al 1979, il sindacalista più potente (Time gli dedicherà una sua copertina). Personaggio sgradevole, si vantava di non aver mai fatto un picchetto o guidato uno sciopero. Meany non voleva occuparsi di nuove sindacalizzazioni, aveva la mentalità del vecchio sindacalismo di mestiere. Non investiva per reagire al declino degli iscritti. Gli elevati tassi di sindacalizzazione in settori quali acciaio, auto, gomma, carta, con densità sindacale all’80%, lo facevano sentire forte; le nuove aperture al Sud, di aziende non sindacalizzate, venivano semplicemente ignorate. Walter Reuther lo criticava, invano. Finalmente con il dopo-Meany è arrivata, dopo ventiquattro anni, la svolta progressista, con John Sweeney Presidente AFLCIO, carica che ricoprirà nel periodo 1995-2009, ma molti danni erano a quel punto stati fatti.

Due tappe emblematiche del declino del sindacalismo americano:

- il disastroso sciopero dei controllori di volo (1981);

- la crociata del Governatore Scott Walker per ridurre il potere del sindacato nel settore pubblico del Wisconsin (2011).

 

Il sindacato dei controllori di volo fallisce uno sciopero e perde tutto (1981)

Tra il sindacato PATCO (Professional Air Traffic Controllers Organization) e l’amministrazione Carter ci fu uno scontro così duro che il sindacato fece votare per Reagan (che aveva trascorsi sindacali e ai controllori di volo fece un po’ di promesse). Robert Poli era il presidente di PATCO. La piattaforma PATCO 1981 era obbiettivamente esagerata: aumenti del 27% del salario; 1.5% di incremento per ogni 1% in più di inflazione; settimana di 4 giorni. L’amministrazione Reagan dapprima spinse per un accordo. Il voto per lo sciopero andò male; Poli accettò l’accordo, che non soddisfaceva adeguatamente la piattaforma; l’accordo venne bocciato; Poli divenne inaffidabile per la controparte. PATCO, abituato a vincere, non pensa che questa volta potrebbe perdere. Inoltre, commette l’errore di dare per scontato che la partita l’avrebbe giocata la FAA, amministrazione federale per il volo, e non la Presidenza. Reagan si schiera contro i controllori di volo, minaccia i licenziamenti e conquista l’opinione pubblica. Critiche AFL-CIO a PATCO: azioni illegali da lavoratori molto ben pagati contro un Presidente popolare… Il segretario dei trasporti critica Poli; i piloti si mettono contro i controllori. La sconfitta di PATCO deprime tutto il sindacato e galvanizza gli imprenditori, con l’emergere di forme di militanza manageriale, anti-sindacato. Prima della sconfitta di PATCO, i sindacati erano considerati invincibili. Anni ’80: va tutto storto per il movimento dei lavoratori. 1983: sconfitti i minatori del rame, la Phelps Dodge Corporation rimpiazza gli scioperanti; poi, altra batosta nel legno; poi ancora alla Greyhound. Un’ondata di sconfitte devastanti per i sindacati. Gli shock petroliferi 1973 e 1979: il petrolio balza da 3 a 31 dollari al barile. Inflazione; deficit commerciale; declino della produttività; disoccupazione crescente; la devastazione del Mid-West; la Rust Belt; i tagli nell’acciaio e nell’auto (auto: 760mila addetti nel 1978, 490mila nel 1980). Sacrifici UAW per salvare Chrysler (sacrifici anche in Ford e GM, nonostante meno in difficoltà di Chrysler); la rinuncia al premio GM di fine anno (che aveva negoziato Walter Reuther): ma così si rompe il legame salario-produttività. La competizione con Europa e Giappone cambiò la possibilità delle fabbriche USA di auto di corrispondere alti salari. Arriva la deregolazione. Impossibile competere sui costi: epidemia di chiusure e tagli salariali. Greenhouse riporta uno scambio di battute tra Reuther e un dirigente Ford sull’automazione: “i robot non si iscrivono al sindacato”, commenta il dirigente; “ma nemmeno comprano le auto Ford”, replica il sindacalista. Il pareggio ottenuto nello scambio spiritoso non si ripete nella realtà. Nuove tecniche di macellazione comportano tagli di posti di lavoro e salari; i container abbattono i tempi e abbassano le qualifiche necessarie per scaricare una nave; la convenienza di localizzare l’impresa all’estero è stata resa possibile dalle tecnologie; ora tocca ai call center; il ricatto della delocalizzazione è diffuso, si veda ad esempio la GE (General Electric), che passa dalla filosofia dell’alleanza tra l’impresa e i lavoratori a quella con i soli azionisti. La finanziarizzazione e la retribuzione dei manager in azioni hanno spinto la massimizzazione di profitti e azioni. Le sagge raccomandazioni della Business Roundtable, la Tavola Rotonda del Business, di non pensare solo agli azionisti, ma anche alla società e agli stakeholder, che guardano al lungo termine, sono state abbandonate nel 1997, quando la Business Roundtable ha cambiato musica e cominciato a seguire il verbo di Milton Friedman, secondo cui contano solo gli azionisti: fine della nozione di bene comune.

 

L’assalto ai sindacati del settore pubblico: Wisconsin 2011

Il governatore del Wisconsin, Scott Walker, va allo scontro con il sindacato del settore pubblico: si può negoziare esclusivamente sul salario, e non oltre l’inflazione. Grande movimento in risposta. Begli slogan: “United We Bargain, Divided We Beg” (uniti contrattiamo, divisi mendichiamo). E belle manifestazioni nel Wisconsin. Ma vince Walker. La nuova legge aumenta i contributi previdenziali e sanitari a carico dei lavoratori e congela i loro salari per due anni. Impoverimento dei lavoratori pubblici. Niente più permessi sindacali retribuiti. La testimonianza di una sindacalista: “People ask: Why should I join the union? I struggle to answer that every day” (i lavoratori mi chiedono: perché mai dovrei iscrivermi al sindacato? Ogni giorno mi batto per rispondere a questa domanda). Reagan contro i controllori di volo è un modello per Walker. Nel programma elettorale di Walker non c’era nulla da far presagire la sua lotta anti-sindacale. Poi, con la scusa di problemi di bilancio, l’attacco al sindacato per ridurne potere negoziale, finanze e potere politico. Niente più trattenute sindacali, niente più quote contrattuali. Votazione annuale sull’accettazione del sindacato. Contratti solo annuali. Quando Walker annuncia il suo piano, scatta l’immediata reazione degli insegnanti. Il contratto collettivo nel settore pubblico cominciò proprio nel Wisconsin, nel 1959 (la legge dei tempi di Roosevelt valeva solo per il privato). Ora, dopo la sconfitta dei lavoratori del settore pubblico, il Wisconsin ha l’8,1% di densità sindacale, sotto la media nazionale. Walker riuscì a mettere contro privati e pubblici. Problemi per i sindacati non solo con gli Stati a guida repubblicana ma con la Corte Suprema: vedi la sentenza 2018 Janus contro AFSCME (favorevole al lavoratore che rifiuta di pagare la quota contrattuale). Duro confronto tra chi riconosce le ragioni del sindacato che vuole evitare i free riders, i viaggiatori a sbafo, quelli che beneficiano del rinnovo contrattuale ma non riconoscono alcunché al sindacato, e dall’altra parte chi sostiene che i passeggeri sono dei dirottati, non dei “portoghesi”: due punti di vista opposti. Trump twitta soddisfatto per la sentenza. Dopo la sconfitta, Paul Spink, il nuovo presidente dell’AFSCME, parte alla riscossa. La sua strategia è parlare ai dipendenti pubblici e al tempo stesso al pubblico, evidenziando che se manca il sindacato dei lavoratori pubblici è male anche per il pubblico.

 

Gig Economy

La gig economy è basata su APP, come Uber. Un modo per andare oltre i padroni? In realtà, spesso questi lavori non remunerano né liberano, sono spesso solo un altro nome per lavori malpagati. Più che micro-imprenditori, micro-salari. Indipendenti spesso significa niente minimo di paga e niente straordinario, niente copertura sanitaria, niente ferie pagate, niente contributi. Lavoretti di traduzioni, per esempio: si finisce con il pagare il lavoro 2-3 $ l’ora… E i licenziamenti sono facili. Greenhouse ci parla poi del lavoro in nero (moonlightning) nella gig economy. Ad esempio, quello per Mechanical Turk (di Amazon), ribattezzato MTurk, un servizio internet di crowdsourcing che permette ai programmatori informatici (i requester) di coordinare l’uso di intelligenze umane per eseguire compiti che i computer, a oggi, non sono in grado di fare. I requester chiedono ai turker di raggiungere obiettivi (HITs: human intelligence tasks). Per esempio, identificare artisti in un CD, scegliere le foto migliori di un negozio; etc. Lavori spesso non pagati, e Amazon non interviene. Si è suggerito un rating dei requester per evitare ciò. Un turker ha paragonato il lavoro per MTurk agli sweatshop ottocenteschi, infime botteghe ad alto sfruttamento; altri evocano il lavoro domestico industriale nel tessile di 120 anni fa. I gig worker non si incontrano praticamente mai, non c’è un luogo, una gigosfera in cui incontrarsi. C’è una enorme asimmetria di potere tra possessori delle piattaforme e lavoratori. Si possono immaginare camere sindacali virtuali (virtual union hall)? Non solo per sfogarsi, ma per individuare obiettivi comuni e usare strumenti come petizioni, codici di condotta, facendo vivere la Carta di Francoforte sul lavoro basato su piattaforma.

 

Uber

Uber abbassa unilateralmente le tariffe e alza le sue percentuali, aumenta il numero dei suoi tassisti… I suoi autisti non sono affatto indipendenti, ma dipendenti (con quello che deve significare in termini di sanità e previdenza). Uber è la più grande piattaforma americana e dispone di 500mila autisti che, a differenza degli altri lavoratori della gig economy, non sono tra loro isolati. Da loro potrebbe venire un’esplosione organizzativa. Si avverte in Uber una voglia di sindacato …

 

Un’inversione di tendenza?

Recenti inattesi successi:

- la lotta per i 15 $ l’ora (cominciata nel 2012);

- la Coalition of Immokalee Workers (raccolta del pomodoro in Florida);

- il successo della Culinary Workers Union Local 226 di Las Vegas (ristorazione);

- la partecipazione alla Kaiser Permanent;

- gli scioperi degli insegnanti del 2018;

- la Los Angeles Alliance for a New Economy;

- nuove realtà che si sindacalizzano.

 

La lotta per i 15 $ l’ora

Il SEIU (Service Employees International Union: sindacato dei settori salute, cura, servizi) ci provò una prima volta nel 2011, con la campagna Fight for a Fair Economy (lotta per un’economia giusta). Non andò bene, furono oscurati da Occupy e la sua retorica sulle diseguaglianze. Al secondo tentativo, condotto dal SEIU insieme a un movimento di base, New York Communities for Change, si decide di provare a mobilitare i 65mila lavoratori dei fast food di New York (molti newyorchesi poveri sono impiegati nei fast food: paga bassa, niente carriera, licenziamenti facili). Da qui nacque la lotta per i 15 dollari (Fight for $ 15), che otterrà il raddoppio e più delle paghe minime. Un movimento dei lavoratori poveri, con una piattaforma essenziale: minimo 15 $ l’ora e il riconoscimento del sindacato (e pratica della trattenuta sindacale). C’è una nuova voglia di sindacato. I pochi che sanno qualcosa del passato parlano di fare come il CIO del secolo scorso… C’è voglia di sciopero. Si parte all’attacco. Come sindacalizzare la McDonald? Unità per unità o tutta insieme? Quale sciopero può funzionare? Non il tradizionale sciopero campale, senza limiti di tempo, ma scioperi di un giorno. Il primo sciopero alla McDonald: 29 novembre 2012. Epico come una lotta del passato, con le paure della vigilia, e poi il successo: come quello dei tessili di inizio Novecento! Greenhouse racconta la storia di Adriana Alvarez e di come si impegnò nel movimento per i 15 $. Maltrattamenti, cazziate pubbliche, part-time involontario. Si decide per una petizione, ma non si ottiene l’incontro. Però la paga viene aumentata, per far cessare la lotta. Ci si batte per la malattia. Si subiscono riduzioni di orario come rappresaglia. Molestie sessuali diffuse. Un licenziamento per rappresaglia, poi ritirato. Una dichiarazione significativa di un lavoratore: “I don’t want to be in poverty forever” (non voglio essere povero per sempre). Lo stereotipo sui lavoratori dei fast food descritti come studenti che vogliono guadagnare un piccolo budget, quando invece spesso sono padri e madri di famiglia che non ce la fanno a far quadrare i conti. Cominciano i successi importanti. Seattle approva i 15 $: grandissima vittoria, 19 mesi dopo lo sciopero di New York. Seguono San Francisco (referendum vinto dai Sì: 77-23) e Los Angeles. Cuomo, governatore dello Stato di New York, istituisce un wage board, un tavolo sulle retribuzioni, e poi si schiera con i lavoratori in presenza di un rifiuto dell’azienda a negoziare. Il wage board diventa un sostituto della trattativa diretta. In California, la vittoria più grande. La presidente di SEIU, Mary Kay Henry, sogna ad occhi aperti, felice: ciò che sembrava impossibile … Cede anche la Disney. E anche Amazon. È cominciato il cammino – questa la speranza - per trasformare il settore dei servizi nella prossima classe media, come Reuther fece per l’industria. Bello l’insegnamento che trae un lavoratore della Burger King di Kansas City: “the one thing that works is boots on the ground, marching and organizing will never grow old” (la sola cosa che funziona sono gli stivali sul terreno, marciare ed organizzare non diventerà mai obsoleto).

 

Le campagne di Immokalee, Florida: dal peggio al meglio

Quello della raccolta del pomodoro era un mondo comandato dai caporali. Soprattutto ad Immokalee, nella Contea di Collier, in Florida. Poi, nel 1993, nacque la CIW (Coalition of Immokalee Workers), non un classico sindacato, perché nel settore agricolo non ne sono previsti, ma un’organizzazione molto creativa che adottò un comportamento diverso da quello tipico dei sindacati, e puntò all’unione delle due voci, quella (debole) dei lavoratori e quella (forte) dei consumatori. Anche in questo caso, dapprima i produttori rifiutarono di negoziare. La CIW allora prese di petto la Taco Bell, grande acquirente di pomodori della Florida, e partì con il boicottaggio. Richieste: un codice di condotta e un penny in più a libbra per i lavoratori. Scontro duro, intervenne anche Carter. Quattro anni dopo, l’accordo. Tocca alla McDonald, investita dalla Campaign for Fair Food (campagna per un cibo equo). Scende in campo anche il segretario generale della confederazione AFL-CIO, Sweeney. McDonald cede. La CIW e quelli della campagna per il cibo equo si muovono sul piano privato, senza coinvolgere le istituzioni. Dopo la McDonald, è la volta di Burger King. Sembra una lotta dì altri tempi, con persino l’utilizzo da parte dell’azienda di una spia. Poi, però, cede anche Burger King. E arriva finalmente l’accordo con la Pacific Tomato Growers: si rompe il fronte dei produttori. Poi, firma Lipman, il produttore più grosso. Poi, vittoria su tutta la linea. Si definisce l’orario di lavoro. Meno cazziate pubbliche. Contrasto alle molestie. Le campagne di Immokalee passano dall’essere il peggio all’essere il meglio per i lavoratori. La campagna per il cibo equo allarga il suo raggio. Si fa un nome la “sceriffa” e “giudice” Laura, pensionata, volontaria per Fair Food Program. Anche la Walmart, notoriamente anti-sindacale, accetta il programma Fair Food.

 

Il sindacato dei lavoratori della ristorazione: Culinary Workers Union Local 226, Las Vegas

Da studiare il caso di questo sindacato della ristorazione per i suoi straordinari successi. È un sindacato multietnico, tipo rank-and-file (di base), che forma i suoi quadri a partire dai posti di lavoro. Capace di muoversi anche sul piano politico, dove usa con grande efficacia il porta a porta (75mila elettori contattati nel 2016, un esercito che bussa alle porte per far registrare le persone agli elenchi elettorali). Vitale sconfiggere i candidati anti-sindacali. Obiettivo: gli elettori riluttanti (sarà così che eleggeranno la prima donna ispanica al Senato). Organizzarsi attorno ai temi prima che ai candidati. L’importanza dell’ascolto. Ben il 95% dei lavoratori pagano la quota contrattuale nonostante la legge li esenti dal farlo. È passata l’idea che non rimani solo se c’è il sindacato. L’apertura del Mirage a Las Vegas, 1989: il sindacato riesce ad entrare. Poi, lo scontro con Frontier, nel 1991: uno degli scioperi più lunghi, coronato da vittoria. Bene anche con MGM: si ottiene l’istituzione della commissione congiunta su tecnologia e posti di lavoro.

 

La Partecipazione alla Kaiser Permanent

Un gigante del settore salute. Buonissime relazioni industriali. Cooperazione management-sindacato. Ma non è sempre stato così. La KP è nata con i progetti di assistenza sanitaria anni ’30-’40. Negli anni ’90, sono arrivate le difficoltà, che l’azienda ha pensato di fronteggiare tagliando il personale. La KP è diventate irriconoscibile, la  famiglia si è rotta – dicevano i lavoratori. Sweeney (AFL-CIO) mette KP davanti a un bivio: guerra o partenariato nell’affrontare il ricollocamento dei lavoratori. KP sceglie la partecipazione (1997). Il pacchetto concordato: un anno di salario e formazione se la propria postazione di lavoro non c’è più. Uno dei migliori programmi di ricollocamento del Paese: 95% di successo. Gli infermieri criticano il partenariato vigente in KP per ragioni ideologiche, ma spesso si hanno più cose in comune con il management di quante dividano. E in un quadro di partenariato, si possono ottenere importanti vittorie, come quella sul destino del laboratorio di ottica, che la KP voleva chiudere e che invece resterà aperto. La sfida del contratto di gruppo. Tra le soluzioni concordate, quella per l’assenteismo, basata sulla distinzione tra malattie lunghe e malattie brevi. Il commento di una lavoratrice della Kaiser Permanent, divenuta sindacalista: il partenariato è come il tuo matrimonio, devi badare che continui a funzionare.

 

Gli insegnanti prendono la febbre del #RedforEd

I sindacati degli insegnanti erano abituati a ottenere pochi risultati e a sviluppare molta conflittualità tra loro. Poi, qualcosa è cambiato, a partire dalla West Virginia, con un movimento indipendente dai sindacati. In West Virginia, i sindacati non stipulano il contratto collettivo ma fanno lobby per ottenere paghe più alte e calmierare il costo dell’assistenza sulla salute. Da qui, lo slogan che riassume i loro obbiettivi: PAY and PEIA (Public Employees Insurance Agency). In questa mobilitazione, un ruolo importante ha avuto il libro di Jane McAlevey, No shortcuts: niente scorciatoie, non si può fare a meno di mobilitarsi. Un manuale che circola tra gli attivisti e stimola nuove idee per la lotta. Viene aperta una pagina FB, la temperatura sale. Partono e-mail ai consiglieri. Cresce una voglia di sciopero. Si evoca la battaglia di Blair Mountain, West Virginia, del 1921, in cui più di diecimila minatori si batterono contro tremila unità delle forze dell’ordine rinforzate con agenti anti-sciopero in quella che è stata la più grande sollevazione dalla guerra civile. Ed ecco che il genio esce dalla lampada. La mobilitazione cresce per gradi. Si comincia invitando gli insegnanti ad indossare qualcosa di color rosso. Da qui, il nome del movimento, #RedForEd, rosso-per-l’istruzione, che vuole unire insegnanti e studenti. Perché il rosso: è stato detto che il riferimento era agli scuolabus, di colore rosso, oppure alle mele che tradizionalmente venivano donate agli insegnanti, oppure ancora alla matita rossa degli insegnati, ma i detrattori del movimento vi hanno visto la politicizzazione del movimento. Si raggiunge un primo accordo, che viene contestato. Poi, arriva la vittoria (2018): +5% di salario; un impegno sul PEIA. Il movimento cerca di non disperdersi, ma di restare organizzato. Lo sciopero della West Virginia ha imitatori. In Oklahoma, 24mila membri del gruppo FB raggiunti in un giorno. Critiche salutari dalla base ai sindacati, che finalmente si decidono a muoversi. A differenza del caso della West Virginia, qui il rapporto con il sindacato c’è, anche se è quasi sempre polemico. La governatrice dell’Oklahoma fa aperture, giudicate insufficienti. Ma il sindacato vuole mettere fine allo sciopero, il che provoca tensioni con la base. La delusione non provocò, però, l’abbandono della lotta, ma vide il movimento impegnarsi nelle più straordinarie primarie mai viste, che costarono il seggio a una dozzina di esponenti repubblicani. È poi la volta di Phoenix, Arizona. Qui, il movimento, la cui sigla è AEU (Arizona Educators United), lavora insieme al sindacato, con qualche dissenso, ma il rapporto è funzionante. Gli obiettivi: +20% di stipendio; ripristinare i tagli fatti alla scuola; niente più tagli alle tasse fino a che  l’Arizona non raggiunge la spesa media per alunno. Uno slogan del movimento: “I don’t want to strike, but I will” (non voglio scioperare, ma lo farò). Manifestazioni imponenti per l’Arizona. Aperture e fine sciopero (con polemiche), ma è un successo, con un governo repubblicano costretto a fare concessioni. C’era il timore che con il sindacato di mezzo, gli amministratori repubblicani sarebbero stati meno disponibili, ma è risultato ben evidente che c’erano insegnanti repubblicani impegnati nella lotta. L’importanza di Facebook in queste mobilitazioni: aiuta a vincere il fattore paura (che è più forte in Arizona che a Chicago); è più efficace dei delegati quanto a capillarità (ma se FB è ideale per mobilitare, poi per durare ci vogliono i sindacati). Il risultato di avere un movimento di massa organizzato è uno dei lasciti più importanti della lotta. Da ricordare pure il movimento del 2019 a Los Angeles: partecipano anche i genitori; galvanizza persone in genere non partecipi. Obiettivi: per una scuola migliore, non solo per il contratto. Un successo.

 

Come Los Angeles divenne pro-Labor

L.A. era anti-sindacale. Poi venne messa in campo una coalizione senza precedenti per Los Angeles, La LAANE (Los Angeles Alliance for a new Economy), che divenne punto di riferimento per i lavoratori malpagati del privato. Con un gran ruolo giocato dagli immigrati, che contribuirono alla rivitalizzazione del sindacato. Obbiettivo: eleggere politici che poi agiscano per i lavoratori. In questo ambito, si è realizzata la più grande sindacalizzazione dopo quella alla Ford nel 1941: il SEIU e gli home-care workers, cure domiciliari: 74mila (1999). La legge di Los Angeles sul minimo vitale: la più ampia, si applica anche ai sub-fornitori, e riguarda non solo il minimo ma anche l’assistenza sanitaria. Nel 2014, la campagna per i 15.37 $ per i lavoratori degli hotel ($ 8 era il minimo di paga a L.A.). I lavoratori degli hotel erano in povertà: una leva contro la diseguaglianza reddituale. Uno slogan della LAANE sembra la versione californiana del sindacato dei cittadini: “to improve people’s lives, it is necessary not just to help workers on workplace but to help assure them affordable housing, clean air and water, and much more” (per migliorare la qualità della vita delle persone, è necessario non solo aiutare i lavoratori sul luogo di lavoro, ma assicurare loro case abbordabili, aria ed acqua pulite, e tanto altro).

 

In conclusione

Avranno i lavoratori americani voce in capitolo sul lavoro e in politica? In gioco, il futuro dell’economa americana e della democrazia americana. Bisogna cambiare il sistema di finanziamento delle campagne politiche; i finanziamenti dal mondo degli affari sono 16 volte di più di quelli sindacali. Ci vorrebbe una riforma costituzionale per ridurre il peso di Big Money in politica, e più finanziamento. Il 46% dei non sindacalizzati vorrebbe il sindacato: parliamo di 55 milioni di lavoratori, che potrebbero aggiungersi ai 14,8 milioni di già sindacalizzati. Si arriverebbe così a una potenziale densità sindacale del 44%, quando invece in realtà i sindacalizzati sono solo il 6,4% nel privato e il 10,5% in totale. È troppo facile licenziare i sindacalisti, troppo tardi arrivano i risarcimenti; ci vorrebbero multe che fanno male; introdurre la giusta causa; equiparare i diritti dei lavoratori ai diritti civili. L’articolo 18 dell’italiano Statuto dei Lavoratori non era poi così superato, e Steven Greenhouse invoca una norma contro la libertà di licenziare senza motivo: “One audacious proposal is to replace America’s at-will employment system (in which most workers can be fired for any cause, or no cause) with a rule that says workers can only be fired for “just cause” (una proposta audace è rimpiazzare il sistema americano del libero licenziamento - in virtù del quale la maggior parte dei lavoratori può essere licenziata per qualsivoglia motivo, o senza alcun motivo - con una regola che dica che i lavoratori possono essere licenziati solo per “giusta causa”). Ma anche i sindacati devono migliorare se vogliono essere protagonisti di una  riscossa del lavoro. Maggior ricambio, più democrazia, migliore comunicazione, rivendicazioni materiali ma anche visione: una volta di più, bread and roses, il pane e le rose, per richiamare lo slogan associato allo sciopero delle lavoratrici tessili di Lawrence, Massachusetts, del 1912, e ai comizi di Rose Schneiderman: si lotta non solo per sopravvivere, ma per vivere. Tra le storie di successo che Greenhouse racconta, c’è la vittoria del 2015 alla General Motors, con i lavoratori che ottengono l’abbandono da parte dell’azienda del two-tier system, la differenziazione contrattuale dei nuovi assunti dal resto dei dipendenti. L’autore riporta il commento di una lavoratrice che ha partecipato alla lotta: “I don’t want to live in a world where there aren’t unions” (non voglio vivere in un mondo senza sindacato).

 

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