Se l´obiettivo fosse la decrescita felice, in Sicilia saremmo già a metà dell´opera
OTTOBRE 2019
Sindacale
Se l´obiettivo fosse la decrescita felice, in Sicilia saremmo già a metà dell´opera
di   Claudio Barone

 

 

Se l’obiettivo fosse la decrescita felice, in Sicilia saremmo già a metà dell’opera. Per la decrescita ci siamo, la felicità ancor non si vede. Questo è quello che emerge in controluce anche dall’ultimo rapporto di Confcommercio Sicilia: “Economia della felicità”. Basti pensare al calo dei consumi che dal 2008 ad oggi segna meno otto per cento (a fronte del meno quattro per cento dell’Italia). Dal punto di vista dei settori produttivi, dopo la frenata del settore agricolo, che dava qualche speranza di ripresa, l’unico effettivamente in crescita è quello turistico che quest’anno ha visto un ulteriore più tre per cento di visitatori, la maggior parte stranieri. A fare la parte del leone è la crocieristica confermando che per la Sicilia la centralità nel Mediterraneo fa della portualità un terreno fondamentale per lo sviluppo. Peccato, però, che per le Zone economiche speciali, strumento concepito per valorizzare le grandi aree portuali, la Regione siciliana ha preferito polverizzare al massimo l’individuazione delle aree senza scommettere su progetti validi.
 
 
Per il sistema aeroportuale prosegue il risiko per il controllo degli scali di Palermo e Catania che tra dimissioni di consigli di amministrazioni e privatizzazioni bloccate restano comunque in crescita. Mentre sono al collasso gli aeroporti di Birgi e Comiso. L’aereo rimane pressoché l’unico collegamento tra l’isola e il continente. Rfi si è guardata bene dall’investire con il risultato di una rete fatiscente per i pendolari nell’isola e della impraticabilità dei collegamenti ferroviari con il continente. Anche il sistema viario è allo sfacelo. Sono state recensite più di diecimila interruzioni sulle strade principali e secondarie. Emblematica la situazione della Palermo-Agrigento: quattro ore per 100 chilometri e mille edili e 50 aziende dell’Indotto che attendono ancora lo sblocco della crisi di Cmc Ravennate. Il rapporto fra la Regione e l’Anas è inoltre complicato dalla non chiarezza sul ruolo del Consorzio autostrade siciliano, storico carrozzone che dichiarava di volersi accorpare all’Azienda di Stato ma che oggi si punta a rilanciare. Per le infrastrutture il problema di fondo resta la spesa ordinaria al Sud che non rispetta il fantomatico vincolo del 34 per cento. Non c’è in realtà nessuno strumento coattivo e si può al massimo verificare ex post quale sia stata l’effettiva distribuzione delle risorse.
 
 
Proprio per questo il direttore generale per la Politica regionale della Commissione Ue, Marc Lemaitre, in una recentissima comunicazione ha minacciato per l’Italia il taglio dei fondi strutturali per il Sud che - rileva - dovrebbero essere risorse aggiuntive ma invece vengono utilizzati in sostituzione della spesa ordinaria per opere pubbliche. La capacità di spesa delle risorse comunitarie da parte della Regione è comunque bassissima. Per alcune misure meno del due per cento. Il presidente Musumeci in questi giorni ha riunito il gotha della burocrazia regionale per chiedere un colpo di reni che incrementi, entro il prossimo 31 dicembre, la spesa del 25 per cento, passando in un mese da 300 a 400 milioni, pena la restituzione delle somme a Bruxelles. Va ricordato che il Consiglio di giustizia amministrativo ha condannato la Regione siciliana a rifondere 12 milioni di euro a New Energy per un impianto fotovoltaico bloccato da ritardi nelle autorizzazioni. Nel settore della Green Energy di positivo c’è che la 3Sun ha annunciato un investimento di 80 milioni che consolida 300 posti di lavoro per l’ibrido HJT, nuova generazione di fotovoltaico. Sempre nell’Etna Valley, STMicroelectronics ha concluso gli investimenti per 300 milioni di euro sui nuovi microchip al carburo di silicio ma preoccupa che gli ulteriori due miliardi vengano destinati fuori dalla Sicilia. A Termini Imerese Blutec, con le sue vicende giudiziarie, ha portato solo al proseguimento della cassa integrazione sino a dicembre 
2019. Senza un coinvolgimento di Fca, pare difficile un rilancio dell’area. Il principale settore industriale siciliano rimane l’Oil che rappresenta più del 60 per cento dell’export isolano. A Priolo sono in programma significativi investimenti da parte degli algerini di Sonatrach, subentrati a Exxon. Preoccupazioni, invece, per i russi di Lukoil che minacciano di rinunciare alla raffinazione e a rimanere solo per lo stoccaggio mentre la Regione siciliana continua a non ascoltarli. A Gela è partita la green refinery che garantisce 900 lavoratori mentre restano a spasso migliaia di metalmeccanici ed edili dell’Indotto. Fermi gli investimenti di due miliardi previsti dall’Eni destinati al risanamento ambientale e alle due piattaforme Vega e Cassiopea che dovrebbero essere realizzate non più off shore ma on shore. Si ritardano ancora le autorizzazioni da Roma c’è un concreto rischio di disimpegno dell’Eni. Il presidente della Regione Musumeci continua a bloccare i termovalorizzatori e lascia fiorire decine di proposte, una più bella e avveniristica dell’altra, ma assolutamente inconsistenti. Così la gestione dei rifiuti è ancora nel caos.
 
 
La legge di riforma del settore continua ad essere annunciata ma non deliberata anche per il piccolo dettaglio di un debito da due miliardi e dodicimila persone da ricollocare. Così oggi si smaltiscono tutti i rifiuti nelle discariche private mentre l’unica pubblica, Bellolampo, è al collasso e da Palermo l’immondizia viaggia in camion verso Catania per 250 chilometri. A volte, però, lo stesso carico di rifiuti è fatto tornare indietro con il rischio ambientale che si può facilmente immaginare. La Regione siciliana rimane bloccata su tutto, non si capisce se per l’inconsistenza della maggioranza all’Ars o per una scelta deliberata. Anche sul bilancio manca ancora il giudizio di parifica da parte della Corte dei Conti e, quindi, c’è il rischio tecnico di default. Da tempo l’assessore al Bilancio, Armao, ha avviato una trattativa con Roma sulla necessità di spalmare in dieci anni 400 milioni di debiti ma ancora oggi il problema non è stato risolto. Nel frattempo è stato bocciato il Collegato che, accanto a spese abbastanza opinabili, prevedeva poste indispensabili come ad esempio le risorse per la sopravvivenza del teatro Bellini di Catania. Per completare il quadro ricordiamo la crisi dei call center con ventimila addetti: quattromila di Almaviva - ma non solo - in una condizione di grave incertezza. Aumenta la conflittualità. Scendono in piazza i lavoratori dei Call center, meccanici, edili e anche i dipendenti regionali che da circa un mese sono in stato di agitazione. Il reddito di cittadinanza costituisce certo un ammortizzatore per una condizione di povertà diffusa ma ha un tiraggio basso per una serie di vincoli tecnici e certo non può indirizzare verso sblocchi occupazionali che non esistono. Occorre che i governi, regionale e nazionale, prendano atto della drammaticità della situazione in Sicilia e cambino passo. Noi, la Uil Sicilia, ci battiamo per difendere lavoratori e pensionati ma anche per rimanere un riferimento per quei giovani che non vogliono accettare un destino di precariato o di emigrazione e che chiedono la possibilità di costruire un futuro dignitoso nella propria terra”. 
 
 
 
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