Immigrazione  - Ivana VERONESE
Immigrazione, il problema che stiamo rimuovendo
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07/01/2020  | Immigrazione.  

 

I flussi in questa fase sono ridotti, ma i leader italiani ed europei dimostrano di non avere alcuna consapevolezza della grande questione africana

 

Di Goffredo Buccini | 02 gennaio 2020

 

(https://www.corriere.it/In un Paese meno intossicato dalle fazioni, la drastica riduzione degli sbarchi di migranti non sarebbe esibita come un trofeo ma vissuta come una dolorosa necessità. Tale era, nell’estate 2017, quando ne pose le premesse l’allora ministro degli Interni pd Marco Minniti tramite i controversi accordi con la Libia (quel giugno si erano registrati sino a 12 mila arrivi in 48 ore, la preoccupante proiezione per fine anno era di oltre 200 mila sbarchi). E tale dovrebbe restare — un’esigenza di autotutela di cui certo non rallegrarsi — anche adesso, quando invece leader assai popolari, e che si proclamano cattolici, polemizzano tra loro per rivendicarne la paternità come un festoso traguardo: neanche fosse da festeggiare l’evidenza, palesata in tutti i rapporti di fonte Onu, di migliaia di profughi, tra cui donne e bambini, intercettati in mare da pirati travestiti da guardacoste di Tripoli e segregati in campi simili a lager da aguzzini spesso legati all’inverosimile governo libico.

 

La vicenda pone in questione più aspetti, il primo dei quali attiene all’attribuzione politica. Che gli sbarchi siano crollati con Minniti (e dunque prima dell’avvento al governo di Matteo Salvini) è pura evidenza statistica: nel giugno 2017, prima degli accordi con i capitribù libici, erano stati 23.524; nel giugno 2018 (con Salvini entrato al Viminale proprio quel mese, dunque non ancora in grado di incidere sul tema) furono 857. Comparando i primi sei mesi del 2017 con i primi sei del 2018 (Minniti ministro fino al 1° giugno) la diminuzione fu del 77% e su base annua si passò da 119.369 a 23.370 sbarchi. Questa diminuzione è certo proseguita con Salvini agli Interni e il trend si è anzi rafforzato: gli sbarchi del 2019 sono stati 11.471; ma appare improprio che il capo leghista e il premier Conte, versione Uno o Due che sia, se ne contendano i meriti. Indiscutibile merito di Salvini è invece avere interrotto già agli esordi con il suo approccio «muscolare» una prassi europea secondo la quale tutti i profughi restavano sigillati in Italia nell’indifferenza dei nostri partner: ma sugli «effetti collaterali» della sua politica contro le Ong (decine di migranti bloccati per giorni in mezzo al mare) dovranno pronunciarsi il Parlamento e, eventualmente, la magistratura. Molto lontana dalla realtà è comunque la rivendicazione del leader leghista di avere fermato «l’immigrazione clandestina» tenendo «i porti chiusi». Innanzitutto perché, come abbiamo appena ricordato, gli arrivi irregolari erano stati già da mesi ridotti a numeri, se non irrilevanti, del tutto accettabili per un Paese di 60 milioni di abitanti. E poi perché, come lo stesso Conte ha di recente spiegato, i nostri porti non sono mai stati davvero chiusi: erano soltanto preclusi alle Ong. L’80% degli sbarchi avveniva per via autonoma con battelli di fortuna che approdavano indisturbati sulle nostre coste spesso a poche centinaia di metri dalle navi Ong tenute in stallo per decreto salviniano: navi Ong che erano meri specchietti per le allodole a uso tv, sacrificate alla narrazione della «difesa dei confini». Passato Salvini, la nuova titolare degli Interni, Luciana Lamorgese, con approccio assai meno ideologico, ha smorzato lo scontro con le organizzazioni non governative e aperto più sereni dialoghi con Germania e Francia sulla redistribuzione dei rifugiati.

 

Ristabilita un minimo di verità sull’iter politico della faccenda, vale la pena di affrontarne l’aspetto etico: se cioè sia o meno un merito il modo attraverso il quale si è giunti a fermare le partenze dalla Libia, sovvenzionando contro i migranti bande travestite da pubbliche autorità. Minniti, che ha scontato una dura ostilità nel suo stesso partito, ha sempre sostenuto che quegli accordi, necessari a scongiurare una «emergenza democratica» in Italia, fossero un primo passo, cui sarebbero dovute seguire la piena presa di controllo delle agenzie Onu sui campi e l’apertura sistematica di corridoi umanitari. Nulla di tutto questo è accaduto allora. Ma ciò che più colpisce ora è l’assoluta rimozione del problema nelle coscienze di buona parte della nostra classe politica e della società civile. Quasi che la sicurezza del nostro spicchio di mondo (sicurezza, sì, perché l’immigrazione incontrollata pone questioni securitarie, con buona pace delle anime belle) implichi i tormenti di tanta parte di mondo di fronte a noi. Quasi che si possa procrastinare in eterno la soluzione di un problema (le ragioni sottese alla spinta migratoria) affidandosi a qualche feroce buttafuori da noi stipendiato ai nostri confini.

 

E qui si cade sul terzo aspetto della vicenda: l’assoluta mancanza di visione dei leader nostrani. Franco Venturini ha ben spiegato il 31 dicembre su queste colonne i rischi per l’Italia nello scenario libico. Non serve a consolarci il fatto che siamo in buona compagnia: non esiste al momento un politico europeo che dimostri, al di là degli angusti interessi della propria nazione, consapevolezza della grande questione africana e del peso che essa avrà per noi tutti, nei decenni a venire. Lasciare che a giocare la partita in Africa siano regimi illiberali come quelli retti da Putin, Erdogan o Xi Jinping sarebbe l’ultima triste prova dell’irrilevanza geopolitica dell’Unione Europea. Più che litigare sul totem degli sbarchi, maggioranza e opposizione su questo dovrebbero confrontarsi: magari con saggezza bipartisan.