Lavoro Italiano - EDITORIALI  - Antonio FOCCILLO
La rivincita
Il numero di gennaio 2018
pubblicoimpiego_big624.jpg
05/02/2018  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

“Fiducia nelle istituzioni e partecipazione rappresentano aspetti importanti del rapporto tra i cittadini e lo Stato. L’indagine Demos per Repubblica riporta un quadro senza particolari cambiamenti rispetto allo scorso anno. Dal disamore pubblico e dal distacco verso le istituzioni emergono segnali inquietanti per la democrazia. Almeno: per la democrazia “rappresentativa”. Oggi, quasi metà dei cittadini pensa che i partiti non servano. Che la democrazia possa farne a meno. Perché i partiti e i politici sono corrotti. Quanto e anche più che ai tempi di “Tangentopoli”. E se una larga maggioranza di italiani (62%) crede ancora che la democrazia sia preferibile a ogni altra forma di governo, si tratta comunque di una componente in calo costante. Rispetto a dieci anni fa: 10 punti in meno. Così non sorprende, ma preoccupa anche di più, che quasi 2 italiani su 3 ritengano che oggi il Paese dovrebbe essere guidato da un “uomo forte”. Un sentimento comprensibile, vista la sfiducia verso le istituzioni pubbliche e verso i soggetti politici. Eppure, a maggior ragione, inquietante. Tanto più se ci voltiamo indietro. A ripercorrere la nostra storia. A riflettere sul nostro passato. Tuttavia, questo “Paese senza” non ha perduto la speranza. (1)”

 

Molte volte mi sono interrogato, su questa rivista, intorno a queste tematiche ed oggi alla luce di questo rapporto voglio riprendere alcune considerazioni.

 

Siamo ormai alla fine di un’importante stagione i cui processi si stanno esaurendo e che ha spalancato la soglia di una nuova fase, in cui l’avvenire, purtroppo, si presenta come una scommessa. Il futuro, quindi, non è più programmabile secondo le regole certe statuite dalla Costituzione, ma richiede di essere affrontato con modi e scelte totalmente diverse da quelli del recente passato.

 

Anche se un mutamento può prodursi anche in seguito a una trasformazione della sensibilità politica, in grado di estendere per esempio il terreno di applicazione dei diritti. Invocare la troppa sensibilità dei costituenti per negare diritti che – oggi – sono percepiti come vitali, giusti e indispensabili, sarebbe forse legittimo da un certo punto di vista, ma piuttosto debole dal punto di vista politico, perché una norma priva di un sostegno, in senso lato, ‘politico’, difficilmente può resistere senza trasformarsi nell’oggetto di un’insofferenza diffusa e senza essere percepita come una ‘ingiusta’ violazione di diritti fondati. In altri termini, per quanto si possa ritenere doveroso che i principi fondamentali delle Costituzioni siano preservati e rispettati, non si può affatto escludere che quei principi vengano addirittura modificati, senza che – in via ipotetica – non vi sia una transizione verso un regime non democratico che si potrebbe produrre, basta vedere la demagogia ed i populismi che stanno vincendo in tutta Europa. E, soprattutto, non si può ipotizzare che quei principi – per quanto effettivamente ‘al di sopra’ del conflitto politico – possano completamente sottrarsi a un radicale mutamento politico, a una modificazione netta delle relazioni di potere e del contesto sociale.

 

La naturale reazione a queste vicende rischia innanzitutto, per estrema semplificazione, di assimilare il malcostume politico all’essenza stessa della democrazia, a cui si sommano l’insofferenza verso le autonomie, causata dagli effetti derivanti dall’assenza di controlli sulla gestione di fondi pubblici, e una indifferenza preoccupante verso i partiti, accreditando così l’idea che solo la gestione centralistica possa assicurare la virtuosità.

 

Weber vedeva il Potere come moralmente fondato e giuridicamente disciplinato ed individuava una tensione fra i due elementi entro la quale è costantemente destinata a muoversi la politica. In questa tensione si individuava il limite tragico della politica, dibattuta tra la fedeltà incondizionata al valore e la coscienza lucida dell’impossibilità di realizzarlo nel mondo.

 

Oggi la nostra classe politica in considerazione del fatto che il suo ideale politico non è conseguibile si è portata oltre queste contrapposizioni, ignorando il suo supremo scopo di un razionale ordine sociale, organizzato secondo principi morali, per cedere alla coscienza fredda e senza illusioni di una inutile ricerca del bene comune che perciò è stato sostituito con quello personale. Ciò non delegittima la funzione politica ma questa classe politica travolta nell’intrico dell’esistenza umana, stretta – come dice Ritter - da contrasti di interessi razionalmente insolubili e da quell’insufficienza morale con cui ogni essere umano sconta le conseguenze della sua misteriosa doppiezza di natura (2).

 

La politica tradizionale non è stata capace di dare una risposta concreta alle disfunzioni e alle inefficienze della nostra macchina istituzionale e politica, e soprattutto alla sfiducia drammatica dei cittadini nei confronti del sistema. Ne deriva la poca fiducia nei partiti e nel Parlamento, per i sistemi elettorali che hanno ridimensionato la sovranità popolare, e ciò mette in discussione la democrazia di una Repubblica che non crea fiducia.

 

Per cercare di dare una risposta a questo stato di sfiducia, innanzitutto, bisogna decidere se si ritiene di rafforzare le istituzioni indebolendo il ruolo dei partiti, come è nelle democrazie maggioritarie dove le leadership sono fortemente personalizzate e investite direttamente dal popolo, oppure rafforzare i partiti come unica difesa dello stato sociale, poiché essendo venute meno le premesse del compromesso socialdemocratico, per continuare a garantire un livello di adeguato di servizi e prestazioni pubbliche, deve intervenire la politica, e cioè i partiti. Ciò impone la fine della strategia del maggioritario, delle primarie, della personalizzazione dei leader perché indeboliscono i partiti, mentre l’idea di un partito società, dotato di una forte cultura politica va nella direzione opposta. Bisogna rivedere come fare selezione delle classi dirigenti perché non si può più usare il criterio dei pacchetti di voti come in passato, ma anche le moderne primarie scardinano il partito come organizzazione e accrescono il ruolo dei finanziatori esterni. Bisogna ripristinare metodi basati sulle capacità politiche dimostrate sul campo. Nella crisi si è fatta strada l’idea che la via individuale al benessere non funziona più e quindi i partiti possono tornare a essere terminali di una domanda di futuro ma per farlo devono smettere di essere macchine per la carriera. In definitiva devono ritornare ad essere credibili.

 

La nostra idea di credibilità, però, non attiene agli eventi politici che si sostiene abbiano determinata la sfiducia. Per noi la credibilità politica è chi risulta attendibile e/o vero. Questa convinzione si collega al concetto di coerenza, cioè la conformità fra le proprie convinzioni e l’agire pratico. In sintesi, coerenza è fare ciò che si dice ed essendo coerenti si amplia la propria credibilità.

 

Un Governo è credibile se instaura una relazione di fiducia, onestà e sincerità con i suoi cittadini, se è in grado di far fronte ai bisogni plurimi della collettività; se è capace di stimolare uno spirito di collaborazione fra i suoi pubblici uffici, se è in grado di instaurare un dialogo costruttivo e formativo con tutte le categorie sociali.

 

Inoltre, siccome la credibilità di un governo cambia quotidianamente, in ragione della conferma della coerenza o meno fra quanto i cittadini percepiscono e osservano e i programmi politici dichiarati, sarebbe auspicabile un sistema informativo limpido, trasparente ed efficace che permetta uno scambio informativo efficiente.

 

Stiamo per avviare un’ennesima campagna elettorale per rinnovare il Parlamento e ci troviamo sommersi da un profluvio di dichiarazioni, contraddittorie, immotivate, irrealistiche, iperboliche. Oltretutto fra i politici non c’è nessuno, che pur essendo in politica da vent’anni e magari anche da trenta, abbia l’onestà intellettuale di assumersi, almeno pro quota, qualche responsabilità del disastro, economico e morale, in cui è caduto il nostro Paese. Ogni responsabilità viene scaricata sull’avversario.

 

Ecco qui quella naturale reazione che porta ad assimilare il malcostume politico all’essenza stessa della democrazia, invece, la politica e quindi i partiti devono battersi per la ricerca di una nuova equità e per la sconfitta della linea neoliberista in economia. Queste devono diventare le sue battaglie, rafforzando coesione, solidarietà e pari opportunità.

 

Lo stesso Rapporto Demos, però, analizza anche lo stato delle altre istituzioni e fotografa, invece, la crescita solo dei sindacati confederali tra +6 (Uil e Cisl) e +8 (Cgil) punti percentuali. Sarebbe stato utile spacchettare anche Cisl e Uil perché sono organizzazioni ognuna dotato di vita propria non possono essere messe insieme nei sondaggi e confuse come se fossero un’unica realtà.

 

Si riapre così il dibattito sul sindacato, proprio nel periodo in cui taluni settori dell’opinione politica e pubblica continuano a considerare il sindacato “fuori moda” risulta evidente che esso rimane, a dispetto dei suoi detrattori, un soggetto essenziale in una società dove la partecipazione e la democrazia si sono appannate. È evidente quindi che, ancora una volta, è messa in gioco la funzione rappresentativa del sindacato, che necessariamente deve essere e dovrà continuare ad essere reale. È vero va trasformato il movimento sindacale perché è variato il modo dello sviluppo dell’aggregazione sociale ed esso deve aprirsi alle nuove realtà ma ciò non implica il dover abdicare alla sua funzione ideologica.

 

L’idealità, cioè il pensiero, la cultura e le concezioni di vita e del mondo sono parte importante del movimento sindacale in quanto attore sociale. Rinnovarsi, allora, coincide con il rinnovato compito, squisitamente politico e sociale, volto a determinare i valori, le equità e, in definitiva, la democrazia della società. Quindi se l’efficacia dell’azione sindacale passa ancora e sempre nel concorrere alla costituzione della libertà e delle eguaglianze, allora proprio su tutto ciò il sindacato deve costruire il suo impegno progettuale e strategico. In questi anni questi ultimi governi soprattutto hanno minacciato la funzione di rappresentanza del sindacato, ponendo fine alla concertazione per mettere in discussione non solo la credibilità del sindacato italiano, ma anche la sua funzione nella nuova società non più basata sul lavoro.

 

Dunque occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto; oggi questo è ancora possibile, come lo stesso rapporto Demos sostiene in quanto fa intravedere che ancora c’è speranza nel futuro.

 

Le strategie sulle quali il sindacato confederale deve riflettere sono, prevalentemente, relative alle risposte da dare oggi ai nuovi bisogni, non dicendo solo no, sebbene in qualche occasione credo sia legittimo e necessario dire no, ma in molte altre, invece, è opportuno fare proposte, aggredire le problematiche in un’ottica autenticamente riformista che punta al progresso sulla base di valori e principi storicamente acquisiti nel patrimonio genetico del mondo del lavoro italiano: diritti e solidarietà sociale che si declinano attraverso uno stato sociale rinnovato, più efficiente e rispondente alle esigenze mutate, ma che non abbandona ed esclude nessuno, salvaguardando pari opportunità e libertà per tutti i cittadini.

 

Deve ritornare ad essere un soggetto in grado di battersi per una società diversa in cui coesistono i diversi strati della società, in cui i diritti e le garanzie siano esigibili. Troppo tempo si è perso ed oggi va recuperata quell’anima riformista per riaffermare valori sociali che facciano andare avanti il lavoratore e che rispristino il valore del lavoro.

 

_________________

 

1) Ilvo Diamanti - Italia, un paese senza più fiducia, ma che scommette sull’impegno – Rapporto Demos 2017

2) Ritter, Il volto demoniaco del potere, tr. it. di E. Melandri, Il Mulino, Bologna 1971