Lavoro Italiano - EDITORIALI  - Antonio FOCCILLO
Corsi e ricorsi storici. La Storia si ripete
Il numero di aprile 2017
pubblicoimpiego_big624.jpg
25/04/2017  | Pubblico_Impiego.  

 

di Antonio Foccillo

 

Perchè si affannano tutti a sostenere che il sindacato è in crisi? Troppo gratuite sono le voci che si levano a decretare la povertà, il declino del movimento sindacale e della sua qualità rappresentativa e, poi, sono le stesse che, in questi anni, sono state fautrici di un neo liberismo che ha deregolarizzato l’intero sistema socio-economico. Ma sono le stesse che in questi anni, con una sorta di recrudescenza ostracistica, hanno investito partiti, istituzioni e anche personaggi singoli.

 

Si tratta di un qualunquismo esasperato, che si cela dietro grida iconoclastiche e allarmistiche, del quale sono espressione alcune autorevoli figure che hanno padronanza dei mezzi d’informazione e della politica del Paese. Vi è questa riviscenza distorta della pratica dell’ostracismo, un’ autocompiacenza nel sentirsi tutori di una pretesa morale pubblica che da altri sarebbe stata dimenticata. Per cui ecco l’abuso falsamente ingenuo di importanti canali di pensiero della società, attraverso i quali si offre una generalizzazione di tutto e di tutti e di conseguenza si crea sfiducia in tutti e in tutto.

 

Noi crediamo che sia fondamentale, proprio per sviluppare il contenuto di democrazia della società, che la critica, il confronto e quindi la conoscenza vengano affrancati da quegli accenti così massimalistici e manichei che ci ricordano lontane epoche di inquisizione, dove chi esercitava il dominio della conoscenza, ben poco giudicava giudicandosi, ma piuttosto perpetrava un’intolleranza che aveva le vesti della soppressione del vero.

 

Queste denunce che si paludano di un laicismo ideologico, questa esasperazione dello sfascio, determinano una tale sfiducia nei confronti del sistema politico e sindacale che spesso porta il cittadino a convincersi di poter esautorare le istituzioni, attraverso una propria giustizia privata e a difendersi da solo.

 

Nei confronti del sindacato, infatti, ogni giorno, con regolarità impressionante, qualche commentatore dei fatti economici e del lavoro, sui mass-media, non fa altro che parlare, con compiacenza, della presunta fine del sindacato confederale.

 

Un’ultima vicenda, cioè l’esito del referendum dei lavoratori di Alitalia, ha provocato un diluvio di analisi e commenti rivolti a sentenziare che ormai il sindacato non rappresenta più i lavoratori e la prova sarebbe proprio il ricorso al referendum. Il bello che sono gli stessi che avrebbero sostenuto la fine del sindacato anche se non si fosse verificata la volontà dei lavoratori, sostenendo che, non avendo fatto il referendum, si fosse avuto paura del giudizio dei lavoratori.

 

In ordine di tempo, Luigi Covatta, su il Mattino del 30.4.2017, in un articolo dal titolo: “Il lavoro non muore, ma il sindacato si”, ebbene fa una lunga analisi sul lavoro che cambia, anche condivisibile, e conclude: “in Italia i sintomi della crisi finale (del sindacato n.d.a.) sono conclamati” ma per uscirne la ricetta che propone è molto banale e cioè: “in passato l’autorità del sindacato si è fondata sulla sua capacità di leggere correttamente l’evoluzìone del contesto economico-sociale: condizione indispensabile per andare oltre il coorporativismo e rappresentare il mondo del lavoro”. Totò diceva: “ma mi faccia il piacere”.

 

Tanto è! Prima di analizzare il perchè di tante critiche, vorrei ricordare una precedente esperienza degli anni 80, che testimonia la ripetitività delle analisi e dei giudizi di parte.

 

“Et voilà, signori si parte, nuovo giro nuova corsa, la giostra ricomincia, la giostra va su, la giostra va giù”.

 

è bastato il voto contrario dei lavoratori aeroportuali per ricominciare la classica tiritera sul sindacato in crisi che non rappresenta più i lavoratori.

 

Dove sono andati a finire i commenti positivi dopo la massiccia presenza dei lavoratori alle iniziative del sindacato? Suvvia signori un po’ di coerenza, un po’ più di obiettività nel giudicare il sindacato.

 

Anche nei giudizi vi è una dilatazione fra chi ha l’esigenza di interpretare a modo suo la società e, soprattutto, vendere copie in più di giornali, e chi valutando la “querelle” dal punto di vista del diritto afferma (Scognamiglio, diritto del lavoro alla Sapienza) che il contratto non debba essere ratificato dalla base ma che ciò è un semplice vezzo del sindacato, in quanto la rappresentanza dei lavoratori, il sindacato ce l’ha sempre e non è tenuto a dimostrarlo ogni volta...

 

Scriveva Tiziano Treu sul Giorno “inviterei alla cautela nel trarre conclusioni affrettate e generali su una crisi irreversibile del sindacalismo confederale, tanto più che per la vittoria dei no al referendum degli aeroportuali è stato decisivo il voto di Fiumicino, area tradizionalmente affetta da fenomeni di degrado manageriale e sindacale particolarmente accentuati e fortunatamente non comuni”.

 

Infatti, in questo settore l’intesa contrattuale è stata respinta per diversi motivi: dall’incapacità delle strutture intermedie del sindacato e dei suoi dirigenti, a quel livello, a saper governare e rappresentare i lavoratori, a chi in queste occasioni vuole contrapporsi al sindacato, tanto da considerare la vittoria dei no, una sconfitta di Uil, Cgil, Cisl, a chi ancora vuole dirottare l’interesse della gente e delle forze politiche verso particolari resistenze a danno di proposte unificanti come quelle su fisco, sulla sanità e sui trasporti.

 

Certamente vi son ancora problemi nei rapporti con i lavoratori da parte del sindacato, occorre ripensare il modo di fare sindacato sopratutto nelle politiche dei trasporti, della scuola e della sanità, non è più sufficiente la politica di ieri; occorrono maggiore democrazia e regole che valgono per tutti; una più ampia consultazione ed un più esteso collegamento con gli altri lavoratori che rappresentano l’utenza dei servizi pubblici.

 

Ma questo non può far dire, come scriveva la Mafai su la Repubblica, “che il sindacato oggi è meno credibile perchè ha sbagliato la sua politica da San Valentino ad oggi, perchè la battaglia sulla concertazione, sulla politica dei redditi, sulla riduzione dell’inflazione è fallita”....

 

Non discutiamo la legittimità di un’opinione, come quella espressa dalla Mafai, ma ci sembra che nel suo articolo ci sia troppa enfatizzazione del fenomeno Cobas e delle sue rivendicazioni, sottacendo che alcuni degli assunti che considera “nuovi” elementi del dibattito sindacale (riconoscimento del merito e della professionalità, nuove regole di democrazia interna al sindacato) sono anche tematiche introdotte da un sindacato, quale la Uil, che da sempre ha fatto una battaglia prima di tutto per il rinnovamento del modo di fare sindacato.

 

Cari signori va riletta – e nel vostro caso va anche riscritta – la storia sindacale di questi ultimi anni con maggiore obiettività e chiarezza.

 

Per il caso particolare di Fiumicino vanno allora previste delle verifiche, per definire nuovi ambiti di trattativa, ma questo non può significare nuovi disagi, né continuare a dividere i lavoratori fra chi ha condiviso la chiusura del contratto e chi la ritiene ancora aperta.

 

In generale sul sindacato e sul suo futuro va fatta un’analisi al proprio interno, molto più ampia, per dargli soprattutto una strategia unitaria, che dopo gli anni della concertazione non ha più avuto. Vanno, inoltre, approfonditi i criteri per formare gruppi dirigenti, puntando di più sulla professionalità; vanno trovati nuovi modelli organizzativi, ma soprattutto vanno privilegiati i caratteri di una solidarietà vera che da sempre è l’essenza del mondo del lavoro...

 

Pensate era l’editoriale dal titolo: “La Giostra” per la rivista Polis della Uil Lombardia del maggio 1988.

 

Quanta analogia con oggi, con le analisi e con le attuali critiche, ma anche con la situazione dei lavoratori del comparto aereoportuale.

 

Bisognerebbe analizzare con più attenzione le situazioni e non fare solo una critica impietosa senza valutarne con obiettività le cause della crisi.

 

Il sindacato in questi anni di crisi economica ed occupazionale, oltre che produttiva, in questi anni di grandissima austerity è stato l’unico soggetto che ha dovuto, purtroppo, in difesa, mantenere il rapporto con i lavoratori cercando di limitare i danni.

 

La inconsistenza della politica che ha influito sui governi e sulle scelte economiche, tutte regressive e penalizzanti per i lavoratori e i cittadini, che non hanno certo dato una mano a risolvere le questioni sociali e con discutibili interventi, in qualche caso addirittura con decisioni simili ad un colpo di stato, hanno sostituito la politica, rimasta con tecnici e governi eletti con persone dell’establisment economico. Intellettuali che si sono caratterizzati per essere in un assordante silenzio.

 

Economisti che vantavano la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia e la politica di austerity come le uniche panacee per rilanciare l’economia. E allora si sono determinate condizioni di crisi profonda: destabilizzazione del lavoro a tempo determinato, licenziamenti e interventi economici assurdi, come l’inserimento del fiscal compact nella Costituzione, oppure i tagli allo stato sociale che hanno allargato di più la povertà in Italia.

 

Dove erano questi commentatori pronti a vedere la pagliuzza del sindacato e non vedere la loro trave di un tacere o assecondare ricette deleterie e dirompenti? Allora addosso al sindacato. Ma a chi giova? Chi ne usufruirà del declino sindacale? Non certo i lavoratori.