VOUCHER  - Ivana VERONESE
Veronese: non abolirli del tutto, ma utilizzarli per specifici e determinati tipi di prestazione
Lo studio UIL
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19/07/2018  | Occupazione.  

 

 

Le “origini” dei voucher (definito a suo tempo “Lavoro occasionale accessorio”) risalgono al 2003, ma la sua prima effettiva applicazione si è registrata solo a partire dal periodo della vendemmia del 2008.

 

Ecco perché i dati amministrativi dell’Inps di cui ci siamo avvalsi per produrre questo elaborato, fotografano un andamento dei voucher dal 2008 fino al 2017 (ultimo anno di vigenza di questo istituto a seguito della sua abrogazione avvenuta con D.L. 25/2017, convertito in L.49/2017). I picchi di crescita di utilizzo dei voucher si sono registrati negli anni in cui le modifiche normative ne hanno ampliato il campo di applicazione oggettivo (settori produttivi) e soggettivo (tipologia di committenti e prestatori di lavoro).

 

Da tale estensione ne è derivato inevitabilmente, e soprattutto grazie ad un costo del lavoro quasi nullo per il committente, un uso indiscriminato e poco controllato dell’istituto.

 

Nella pratica, e le tabelle sottostanti lo dimostrano, si è assistito ad un negativo “effetto sostitutivo” di lavoratori potenzialmente subordinati (quindi, con tutele piene in costanza di rapporto di lavoro e con garanzia di misure di sostegno ed integrazione al reddito nelle fasi di crisi o di perdita del posto di lavoro), con voucheristi cui la normativa non ricollegava alcuna di queste tutele se non un’esigua contribuzione previdenziale ed assicurativa.

 

Non è certo questo il mercato del lavoro che vorremmo si ripetesse per il futuro. Non è certo questo il tipo di occupazione che conferirà “dignità” al lavoro ed alle lavoratrici e lavoratori.

 

A seguito dell’abrogazione dei voucher è stata introdotta nel nostro ordinamento la “prestazione di lavoro occasionale” (c.d. PrestO), quale istituto ideato dal legislatore per far fronte ad esigenze brevi ed occasionali di lavoro. A tutt’oggi, però, la sua applicazione risulta essere molto bassa. Pur in presenza di tale nuovo istituto che, tuttavia, non può essere definito, così come anche il suo predecessore, un “contratto di lavoro”, in questi giorni  si sente sempre più spesso parlare di un ritorno ai voucher.

 

La nostra posizione è sempre stata quella di non abolirli del tutto, in quanto possono effettivamente essere utili a contrastare sacche di lavoro nero in specifici e determinati tipi di prestazioni lavorative.

Ne scongiuriamo fortemente, però, una loro reintroduzione in quei settori dove esistono già tipologie contrattuali che riescono a conciliare la richiesta di eccezionalità e temporaneità della prestazione con la piena tutela delle lavoratrici e dei lavoratori.

 

Siamo, quindi, profondamente contrari ad un loro nuovo ingresso soprattutto in agricoltura e nel turismo, dove la stagionalità è già disciplinata dalla contrattazione collettiva di settore e dove, esigenze del tutto eccezionali e straordinarie di prestazione lavorativa, trovano una loro regolamentazione nei contratti di natura subordinata vigenti.

 

Non c’è, quindi, alcuna necessità di andare alla ricerca di ulteriori strumenti normativi che colmino situazioni già previste e tutelanti questo target di occupazione. Introdurre i voucher in questi settori significherebbe, infatti, produrre l’effetto opposto a ciò che l’attuale Governo si prefigge di contrastare: la precarietà.

 

Auspichiamo, quindi, che la nuova disciplina sui voucher vada nella direzione di regolamentare situazioni del tutto eccezionali, meramente occasionali e di brevissima durata, che attualmente non sono governate dalla normativa e, soprattutto, dalla contrattazione collettiva.  

 

 

 

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