Tutti ormai sappiamo che la crisi economica mondiale, seconda soltanto alla Grande Depressione del 1929, ha colpito in maniera particolare i Paesi più sviluppati investendo l’intera Europa. Torna in mente il film “La vita è meravigliosa” di Frank Capra in cui il tema della crisi economica mette in luce la crisi esistenziale del protagonista che si spinge fin quasi al suicidio. Capra mette così al centro della vita sociale il valore dell’individuo e l’idea secondo cui nessun uomo può essere considerato un fallimento. Ecco, in questi anni difficili, sembra proprio essersi appannato il valore intrinseco dell’uomo e del lavoro come strumento di emancipazione, dignità e partecipazione alla vita sociale e allo sviluppo mondiale e del proprio Paese.
Già dal 2009, una forte contrazione della produzione e della domanda ha portato l’estendersi della crisi in tutti i Paesi del mondo occidentale con gravi recessioni e con vorticosi crolli dei PIL. Una crisi che ha visto tutti gli Stati esposti all’influenza dei mercati e degli organismi economici sovranazionali. Noi abbiamo sempre sostenuto che non si potesse progettare uno sviluppo basandosi esclusivamente sulla finanza anziché sulla centralità del lavoro. Avevamo ragione.
I segni di questa drammatica situazione sono molti, i più evidenti e traumatici riguardano il lavoro e il reddito: i cittadini sono stati costretti così a far fronte alle difficoltà mettendo mano ai propri risparmi e investimenti. Sono poi cambiati gli stili di vita e i comportamenti sui consumi, con evidenti ripercussioni sull’equilibrio tra offerta e domanda. Circa un italiano su due, oltre a vivere una situazione difficile contingente, è preoccupato per i propri figli, altamente scolarizzati ma senza lavoro, oppure precari e molto spesso costretti a raggiungere altri Paesi europei per trovare un lavoro.
I costi della crisi, così, non si distribuiscono equamente. Coinvolgono in modo più pesante quelli che hanno perso il lavoro o ne sono ai margini, come tutto il mondo precario giovanile, o quelli che erano già fuori dal mercato del lavoro con un rischio maggiore per le donne. Ciò vale anche per i pensionati che oltre al calo del potere d’acquisto hanno subito le conseguenze dei tagli al Welfare ed è per questo che in questa categoria è assolutamente indispensabile ripristinare il sistema di perequazione.
I dati Istat di questi giorni ci confermano un trend ancora negativo della disoccupazione che a gennaio è balzata al 12,9% mentre nel resto d’Europa si ferma, dato comunque non confortante, al 12%. Sfioriamo quindi i 3,3 milioni di disoccupati ed è un dato drammatico raggiunto solo nel 1977. Tra i giovani i senza lavoro sono il 42,4%: 690 mila persone. Dato ancora più drammatico quello del Sud del Paese che arriva ad un tasso di disoccupazione giovanile del 50%.
Questa crisi ha così eroso il vecchio modello di sviluppo senza trovarne uno alternativo e la violenza della competizione globale ha prodotto fratture nel mondo dei diritti di cittadinanza e di rappresentanza collettiva dei lavoratori.
Questa situazione ha generato un’emergenza e noi, che siamo orgogliosi di essere anche il Sindacato dei cittadini, ce ne dobbiamo assolutamente occupare: il riconoscimento del principio di cittadinanza come elemento unificante e qualificante del Sistema Paese. Tutto ciò richiede un impegno a tutto campo, partendo dai livelli nazionali e proseguendo nei livelli territoriali in un ruolo del Sindacato aperto ad una visione e ad una contrattazione europea che riaffermi il valore del capitale umano.
Abbiamo deciso tutti insieme di cambiare profondamente il nostro modo di “fare sindacato” passando ad un “sistema a rete” strutturato, progettato e regolato nei rapporti e nell’attribuzione delle responsabilità.
Con questo nostro nuovo modello di organizzazione vogliamo puntare a raggiungere – in modo migliore - un maggior numero di lavoratrici e lavoratori, pensionati, giovani in cerca di lavoro: in una parola tutti i cittadini. Allo stesso tempo vogliamo rafforzare i rapporti tra i gruppi dirigenti e le strutture, facendo patrimonio delle diverse esperienze e sensibilità che da sempre riconosciamo come valore. Per questo abbiamo deciso, all’interno del quadro generale strategico, alcuni adeguamenti organizzativi:
valorizzare le presenze dei luoghi di lavoro, rafforzare l’insediamento territoriale, ottimizzare il nostro impegno in Europa, rendere più moderne le nostre strutture orizzontali, creare maggiori sinergie nel sistema delle Categorie, realizzare l’integrazione del “Sistema dei Servizi Uil”, coordinare più efficacemente le politiche di proselitismo, qualificare i gruppi dirigenti anche attraverso la formazione, diffondere e socializzare il sistema di comunicazione, perseguire un sempre più efficace utilizzo delle risorse economiche. Questi gli obiettivi definiti nella Conferenza di Organizzazione e dei Servizi dell’Ottobre 2012 che possiamo così sintetizzare: la UIL ovunque, per tutti, di tutti, su qualsiasi questione è al fianco dei cittadini attraverso l’attività delle Categorie, dei territori, dei nostri servizi e degli enti strumentali di cui ci siamo dotati nel corso degli anni.
Con questi nuovi innesti strutturali saremo certamente in grado di affrontare un Congresso che dovrà guardare non a quello che si è fatto ma a quello che dovremo saper fare per il futuro dei lavoratori e dell’Italia.
Siamo di fronte ad una crisi della politica che non investe solo il nostro Paese ma che da noi ha assunto apici preoccupanti. L’idea che la politica non sia più al servizio dei cittadini, e quindi entità da combattere, è ormai un sentire comune. Noi, al contrario, crediamo nella politica. Essere un Sindacato laico ed indipendente non ha mai voluto dire indifferenza nei confronti della politica. Al contrario ci siamo costantemente identificati nei valori e nei principi espressi dalla Sinistra sociale europea. Per questo ci aspettiamo che la politica possa, al più presto, riconquistare la fiducia del Paese e tornare ad essere la politica con la P maiuscola. Vogliamo calarci nella politica e dialogare con essa perché nessuno potrà mai convincerci che sia indifferente scegliere una cosa piuttosto che un’altra. Vogliamo tornare ad appassionarci come cittadini e come rappresentanti del mondo del lavoro. Pensiamo infatti che la profonda crisi morale ed etica in cui siamo precipitati possa essere superata soltanto in una nuova casa della politica che ricostruisca un rapporto democratico con i cittadini anche attraverso i rinnovati dettati costituzionali, la trasparenza nelle scelte ed un rinnovato valore della legalità.
Il Governo dovrà quindi necessariamente confrontarsi con noi non solo sul lavoro, che dovrà tornare ad assumere un ruolo centrale, ma anche sul modello di sviluppo che immagina e su quali strumenti utilizzare per far fronte ad una crisi che ha creato povertà e generato incertezze e preoccupazione. Per quanto ci riguarda dovremo essere in grado, lungo il percorso congressuale, di immaginare nuove strade per ricomporre l’ormai frammentato mondo del lavoro. Impegnarci perché si torni ad una Società più solidale che guardi ai lavoratori, ai precari, ai giovani ed al mondo dei pensionati.
Questo è quello che ci attende e la scelta di iniziare, fin dalle prime stesure, a condividere in modo ampio e partecipato con tutto il gruppo dirigente le tesi congressuali vuole essere il nostro rinnovato modo di vivere, discutere ed elaborare la linea politico-sindacale della Uil dei prossimi anni.
Parleremo dell’Europa che sovrintende qualsiasi nostra analisi: il modello europeo di questi anni, basatosi su politiche liberiste e di austerità, ha prodotto una grave recessione e causato diseguaglianze nella distribuzione delle ricchezze e del benessere. Il modello sociale europeo, che poteva e doveva essere un esempio per il resto del mondo, ha finito per indebolirsi, poiché i governi hanno erroneamente pensato che si potesse superare la crisi riducendo i sistemi di protezione sociale, le pensioni, la sanità ed i diritti nel lavoro.
E’ quindi ormai evidente il fallimento delle politiche europee che hanno inoltre accentuato il divario tra il Nord ed il Sud dell’Europa, determinando, per quanto riguarda l’Italia, una crisi generalizzata con un aggravamento maggiore nel Mezzogiorno che già subiva le difficoltà, ormai secolari, della rinascita e dello sviluppo. Dal nord al sud assistiamo a scene, cui non eravamo abituati, di lavoratori, disoccupati cronici, imprenditori sul lastrico che per sopravvivere affollano i centri della Caritas.
L’Europa che ha preteso sacrifici, che non è stata capace di unificarsi realmente, dovrà trovare una nuova via. La Banca Europea non potrà più soltanto seguire l’andamento dell’inflazione ma dovrà essere dotata di capacità monetaria per favorire lo sviluppo dell’intera Europa proprio per ricostruire la coesione sociale persa.
Per questi motivi dovremo immaginare nuovi modelli economici e sociali, uscendo da una logica puramente difensiva, riproponendo e riaffermando la centralità di una reale democrazia economica del lavoro e del sociale. In un momento come questo la solidarietà tra gli individui, le pari opportunità, i diritti di cittadinanza debbono tornare ad essere temi centrali dello Stato che prima di ogni altra cosa dovrà garantire alle persone più fragili un livello di vita accettabile.
Infatti, al contrario di quanto fosse necessario, l’intervento dello Stato si è ridotto attraverso le privatizzazioni e la riduzione degli investimenti nella Pubblica Amministrazione, continuando a criminalizzare i dipendenti pubblici come se tutto quello che stava avvenendo fosse derivato dal loro lavoro. La Pubblica Amministrazione deve invece costituire il cardine del sistema politico e sociale anche attraverso la valorizzazione delle competenze e dell’esperienza dei suoi lavoratori che debbono tornare ad essere riconosciuti quale irrinunciabile risorsa . Proprio per questo dobbiamo pretendere la ripresa immediata della contrattazione per il rinnovo contrattuale ormai bloccato da anni.
Affronteremo il tema della fragilità, diventata ormai strutturale, del nostro sistema produttivo incapace di innovarsi anche a causa dei mancati investimenti pubblici e privati. La presenza delle grandi imprese si è andata drasticamente riducendo fino a diventare quasi residuale. Inoltre, la capacità imprenditoriale del nostro sistema, caratterizzata da una accentuata presenza di piccole e medie imprese, ha subito le conseguenze di un sistema complesso, spesso inaccessibile, di accesso al credito. In questo contesto non c’è da stupirsi se, oltre all’aumento della disoccupazione, sia cresciuto il lavoro nero giunto al 12,2%. Interi territori, da nord a sud, sono stati investiti da una crisi industriale senza precedenti: dalle imprese con reali crisi finanziarie, autenticamente in pericolo, a quelle che invece hanno scelto di delocalizzare dove il costo del lavoro è più basso ma dove anche i diritti sono minori.
Per tutte queste ragioni occorre una politica industriale che sia di nuovo caratterizzata dal rilancio degli investimenti pubblici e privati, da una nuova era di ricerca ed innovazione, anche tramite la green economy e la sostenibilità ambientale, che continui a puntare sulle storiche caratteristiche manifatturiere del nostro Paese.
Da anni sosteniamo che sia indispensabile innovare e consolidare il sistema delle infrastrutture che rappresentano un altro cardine per lo sviluppo. Con l’aggravarsi della crisi ed i tagli alla spesa pubblica, le opere pubbliche hanno subito un vero e proprio declino raggiungendo il -52% di interventi. Su questo versante bisognerà pretendere scelte certe ed organiche anziché specifici provvedimenti destinati a singole opere così come fino ad oggi è stato fatto.
Occorrerà poi intervenire con decisione a favore di una nuova politica fiscale che affronti alcuni nodi fondamentali: la riduzione delle tasse sul lavoro, gli interventi sui trattamenti previdenziali, il potenziamento della tassa sulle transazioni finanziarie e un serio e concreto impegno nel contrasto all’evasione fiscale.
Per quanto riguarda la previdenza abbiamo avuto profonde divergenze con tutti gli ultimi Governi. Abbiamo raggiunto il culmine dopo il varo della Legge Monti-Fornero che per noi è stata una mera operazione di cassa (lo stato risparmierà circa 80 miliardi di euro in dieci anni). Questa legge ha invece causato un ulteriore impoverimento dei pensionati, ha creato incertezze sui diritti, ha messo in gravissime difficoltà il mondo degli esodati e quello dei lavoratori non adeguatamente protetti. In un momento come questo la Riforma Fornero va abolita. Abbiamo bisogno di ricostruire l’intero sistema pensando anche alle pensioni del futuro. Dobbiamo ritornare ad una previdenza che, oltre alla sostenibilità finanziaria, reintroduca le caratteristiche di flessibilità, gradualità e solidarietà. Dobbiamo far crescere la previdenza complementare, una delle migliori cose prodotte dal dialogo sociale di questi ultimi anni, allargando la partecipazione dei lavoratori mediante una reale esigibilità del loro diritto di voto.
Per ultimo, e non certo per importanza, vorrei accennare ad uno dei grandi problemi che affliggono il mondo del lavoro e che ha bisogno di risposte concrete: la precarietà. Sosteniamo l’estensione dei diritti ed un lavoro sempre meno precario non solo per i giovani, che difficilmente trovano spazi, ma anche per tutti coloro che sono stati espulsi durante questi anni di crisi. Non abbiamo preconcetti ma siamo certi che ridurre diritti a chi ne possiede non ne concede automaticamente a chi non ne ha. Non vogliamo sottrarci al confronto ma non accetteremo che qualcuno decida senza la nostra partecipazione e condivisione su un tema che riguarda direttamente gli interessi, la vita, i diritti e il futuro di quel mondo di lavoratori che continua ad attendere risposte e che noi ogni giorno rappresentiamo.
Questi alcuni dei temi al centro del nostro dibattito congressuale, dove dovremo occuparci anche di: scuola e formazione, ricerca e sviluppo, diversità di genere e pari opportunità, quadri e artigianato, handicap, diritto all’abitare, conservazione dell’ambiente, green economy e molti altri.
Abbiamo di fronte un momento difficile che non ha precedenti ma vogliamo accettare la sfida ed assumerci le responsabilità che derivano dalla volontà di tutelare al meglio il mondo che rappresentiamo. La nostra nuova sfida partirà certamente da quello che saremo in grado di decidere e costruire nel nostro prossimo Congresso. Un Congresso che sono sicuro sarà realmente partecipato, dove le donne e gli uomini della nostra Organizzazione sapranno mettere a disposizione le proprie esperienze e le proprie idee.