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MARZO 2007

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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FEBBRAIO 2007 

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SOMMARIO

Editoriale
Il senso di una proposta - di Antonio Foccillo

Intervista
Intervista a Luigi Angeletti - di Antonio Passaro

Approfondimenti
La nostra storia: una grande passato, un formidabile futuro.  Interviste a Raffaele Vanni, Ruggero Ravenna, Giorgio Benvenuto, Pietro Larizza, Camillo Benevento di Piero Nenci

Attualità
Il lavoro ed il cambiamento del mercato - di Nirvana Nisi

Interviste
Il sindacato e i ministri del lavoro del passato: Gianni De Michelis e l’accordo di San Valentino - di P. N.

Sindacale
Si è avviata la stagione dei congressi sindacali europei. Il prossimo sarà quello della Ferpa - di Gianni Salvarani
Le alternative Dispute resolutions: conciliazione ed arbitrato di Tiziana Riggio

Economia
Economia globale. Scenari e cambiamenti - di G. Paletta

Mercato del lavoro
Verso un contratto di inserimento per il tramite delle Agenzie del lavoro. Quale ruolo per la bilarità di Carmelo  Prestileo

Europa
Insieme dal 1957 - di A. Ponti

Agorà
La riforma del settore televisivo - di M. A. Lerario
Precari …a tempo indeterminato - di Marco Abatecola
La sinistra mondiale ed il banchiere dei Poveri di M. Ballistreri

Cultura
Leggere è rileggere - di G. Balella
La memoria fotografica del lavoro - di T. Casale

Internazionale
Perù: una realtà difficile per il sindacato democratico di Alfredo Carpentieri

Inserto
XIX Rapporto Eurispes, di P.N.

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EDITORIALE

Il senso di una proposta

Di Antonio Foccillo

Il 5 marzo 1950 nasce la Uil, ma le sue origini vanno ricercate in fermenti più lontani nel passato che ci fanno dire che, in effetti, essa ha più di cento anni, come tutto il movimento sindacale in Italia. La Uil in questi anni si è pienamente affermata nella sua identità sociale, consolidata nel riconoscimento storico e culturale, nonostante la sparizione dei partiti di riferimento ideale che aveva all’inizio della sua storia. Possiamo affermare che la Uil sorge da una specifica necessità storica, quella di contrastare e rifiutare l’intenzione comunista di egemonizzare il sindacato, attraverso una prevaricazione della strumentalità politica dell’opposizione e della funzione contrattuale. Infatti, una volta allontanato il Partito comunista dal Governo ad opera di De Gasperi, il sindacato rappresentava per il Pci il terreno fertile ove spingere e dilatare un antagonismo politico di matrice extra parlamentare e destabilizzante. Dall’altra però si andava consolidando invece quella componente di origine cattolica che all’opposto mirava a contenere il movimento sindacale all’interno di un’azione diversamente egemone da quella comunista, ma ugualmente riduttiva del pluralismo sociale e politico del sindacato. Il ruolo dei partiti, in quegli anni, era molto condizionante sul sindacato e la conseguente mancanza di autonomia da parte dello stesso, fece manifestare i primi scontri politici interni e il verificarsi delle lacerazioni che portarono alla scissione della Cgil e alla formazione della Uil e della Cisl. Così si formarono tre organizzazioni che avevano specificità ideologiche propositive che andavano a contribuire in maniera uguale alla crescita del movimento sindacale, diversa era invece la considerazione che veniva a propagarsi nel mondo sindacale sulle tre organizzazioni. Infatti, grazie ad una maggiore capacità organizzativa e politica, Cisl e Cgil potevano lanciare più capillarmente i loro propositi, attutendo per contraltare l’estensione del messaggio lanciato della Uil. E’ da questo fatto che derivava in molti una non corretta visione del ruolo esercitato dalla Uil, nel contesto sindacale italiano. Un’osservazione però attenta ai fatti della storia sindacale del nostro Paese riesce a far emergere la funzione “storica” svolta da questo sindacato, sia nel difendere un patrimonio di cultura sindacale non espresso dalle altre organizzazioni che nel proporre contributi innovativi. Inizialmente, infatti, la Uil ha rappresentato e ancora rappresenta una garanzia indispensabile al pluralismo sindacale non ridotto alla contrapposizione di due orientamenti monolitici e selettivi, i quali avrebbero altresì alimentato politicamente la funzione dei sindacati in una presenza determinata da motivazioni estranee al loro effettivo compito sociale. Infatti, la Uil non rifiutava la battaglia per un mutamento del sistema, ma lo vedeva in senso riformistico e presupponendo, conseguentemente, un sindacato portatore di un progetto forte di proposte politiche. Ed in tal senso va valutata la sua proposta per politiche di partecipazione alla macro e microeconomia. Una politica che legava lo sviluppo del Paese ad un’analisi dei comparti produttivi, per un’incentivazione delle aree considerate in ritardo per lo sviluppo dell’intero sistema. Un’impostazione che vedeva come avversario, non il singolo soggetto produttivo e il sistema nel suo insieme, ma quelle parti del sistema che erano obsolete e incapaci di rispondere in maniera adeguata allo sviluppo economico in atto. Per questo essa accetta un’impostazione finalizzata alla realizzazione di forme cogestionali destinate a migliorare sia la produttività che naturalmente il reddito, e quindi il benessere dei singoli lavoratori. Sul terreno più propriamente sindacale la Uil rifiuta l’impostazione ugualitaristica ritenendola demagogica. Da qui emerge la necessità di tutelare la responsabilità e la professionalità nel lavoro. Possiamo dunque affermare che la Uil ha contribuito in maniera determinante alla necessità per il mondo del lavoro di un pluralismo, e quindi alla possibilità di una rappresentatività complessiva del sindacato, fondata sul rapporto diretto fra strategia politica e consenso sociale. La Uil ha mantenuto in vita un patrimonio di proposizione sindacale che sarebbe andato disperso senza la sua nascita. Un contenuto che è servito a migliorare tutto il movimento sindacale. In questo ruolo la Uil ha saputo così accrescere una propria specificità di organizzazione, dapprima quale soggetto di mediazione al bipolarismo politico sindacale, in seguito maturando un ruolo più fortemente propositivo, capace di aggregare l’intero movimento sindacale sui progetti e smuovendo così la tendenza alla staticità e al conservatorismo che caratterizzava le altre organizzazioni. Quindi un’azione che è diventata non solo di ricerca e riconoscimento della progettualità, ma ha anche innescato mobilità e dinamismi nel movimento sindacale e nella società. Contro una condizione di Cgil e Cisl, data la loro elevata quota di consenso e rappresentatività, che si è caratterizzata come un’inclinazione all’immobilità della politica, dovuta al bisogno di trattenere e conservare la propria rappresentanza, e che diventava quindi inevitabilmente un atteggiamento rituale e ripetitivo, al cospetto delle trasformazioni e del nuovo, la Uil, invece, ha saputo incessantemente fermentare i parametri e le modalità politiche della propria azione anche con una velocità travolgente addirittura, a volte, anticipatrice degli eventi. Ricordo i tanti passaggi di questa strada: prima il protagonismo e la partecipazione, in seguito la concertazione e la politica dei redditi, poi l’attenzione per la professionalità e le nuove identità sociali, per arrivare alla fase del sindacato dei cittadini. Infine, in questi ultimi anni, all’esaltazione dell’autonomia ed al riconoscimento degli interlocutori senza nessuna preclusione e con il massimo rispetto. In questi anni travagliati di grandi stravolgimenti politici, di riproposizione di un bipolarismo più accentuato e di fronte alle adesioni più da tifosi che da protagonisti oggettivi delle vicende politiche la Uil ha sempre saputo svolgere un’azione di confronto sui contenuti, a prescindere dall’interlocutore che li proponeva, riprendendo nella società italiana quelle sue motivazioni ideali che l’hanno fatta forte in questi tanti anni di attività: il riformismo, la laicità, la tolleranza, la difesa del pluralismo e la valutazione delle proposte solo sul piano dei contenuti. Si tratta, in sostanza, di un solo filo rosso che segna la crescita costante di un sindacato che ha saputo fare cultura, produrre idee e valori. L’azione della Uil, in questi anni non si è solo indirizzata a superare vecchi tabù o a trovare rimedi a difficoltà di ruolo contrattuale del sindacato, ma ha cercato di far ritrovare al sindacato uno spazio di impegno sociale che interpreti in modo moderno le esigenze nuove del lavoratore-cittadino. L’idea di una politica dei redditi equa, sempre sostenuta dalla Uil, ha inoltre pesato molto nello sforzo di risanamento che il paese ha compiuto con successo; la necessità di collegarsi al “mondo” delle nuove tecnologie ha portato, come conseguenza, la possibilità di affermare nuove professionalità. E’ vero anche che ad un risultato come quello di aver introdotto nel Paese, nelle relazioni sindacali e nella cultura, importanti e significative svolte ed evoluzioni non ha corrisposto sempre un uguale consenso e un uguale quantità di rappresentati. Ma questa è la nostra anomalia, e cioè la disomogeneità fra una fertilità politica e strategica e una capacità organizzativa e operativa non sempre sufficiente. Abbiamo saputo tradurre in progetti politici e in realtà contrattuale quello che sempre di nuovo la società ed il sistema economico – sociale mano a mano venivano maturando, senza però saper altrettanto tradurre questo in un risultato organizzativo, e quindi di aggregazione e adesione della Uil. Proprio qui, allora, è il terreno prioritario dell’impegno cui siamo chiamati oggi: quella di far corrispondere ad una scelta politica un’uguale capacità di sostegno organizzativo. La politica della Uil di oggi e per il futuro deve quindi rivolgersi a riconoscimenti di quanto è indispensabile promuovere ed accrescere la consapevolezza del valore strategico che assume l’organizzazione, quale ambito di strutturazione, orientamenti e gestione delle scelte politiche. Anche se negli ultimi anni questa incapacità si è abbastanza ridotta, basti guardare la crescita costante degli iscritti e dei voti in tutti i momenti elettorali dove ha riscosso notevoli risultati. Infine, deve riproporre l’obiettivo di costruire una nuova unità d’azione fra le tre confederazioni. Si tratta di costruire percorsi di democrazia chiari e nuovi, di assicurare la presenza delle confederazioni nei luoghi di lavoro con esigenze di partecipazione e di espressione dei lavoratori che si sono appannati. Si tratta di proseguire la sua battaglia per spiccare un ulteriore salto di qualità in termini di strategia, organizzazione, presenza nell’opinione pubblica di grande respiro anche se con i piedi per terra e il conforto di risultati reali.

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Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, nello scorso mese di febbraio, il governo è stato battuto al Senato su una questione di politica internazionale. Prodi si è dimesso ma il Presidente della Repubblica ha rinviato lo stesso Esecutivo alle Camere per verificare se effettivamente avesse la fiducia. La crisi si è risolta, ma una spada di Damocle sembra pendere ancora su questo governo. Qual è il tuo parere?

Oggettivamente non è una situazione facile poiché il margine di cui gode la maggioranza al Senato è davvero molto risicato. Tuttavia, la capacità di governare non è solo legata ad una questione numerica: un governo che riesca a fare una buona politica e a coagulare intorno ad essa il consenso della gente può, in qualche modo, sopperire a questo handicap. Ad oggi, mi pare che questo Governo non abbia ancora una posizione univoca non solo sulla politica internazionale ma anche sulla politica economica. E questo spiega i ritardi nella stessa convocazione dei tavoli su sviluppo e welfare.  

Al momento in cui scriviamo, non è ancora giunta alcuna convocazione. Con quale spirito i Sindacati affronteranno il confronto?

Il documento messo a punto da Cgil, Cisl e Uil è una vera e propria piattaforma. E quindi, come ogni piattaforma, chiediamo che venga discussa e affrontata. Ma se le nostre proposte fossero respinte ci comporteremo di conseguenza. Se ci dovessimo trovare di fronte a nessuna risposta o a risposte insoddisfacenti, la mobilitazione del Sindacato sarà inevitabile. Per quanto riguarda il ritardo nell’avvio della discussione, comprendiamo che il governo sia uscito da poco da una crisi politica e che abbia la necessita di chiudere la partita sull’Afghanistan, ma il vero motivo è che – lo abbiamo detto prima- non è ancora definitiva una posizione comune. Noi siamo pazienti, ma la pazienza ha un limite.

C’è dunque una scadenza per questa trattativa?

Nel memorandum si era parlato del 31 marzo con particolare riferimento al tema delle pensioni. Quel termine può essere considerato indicativo. E’ ovvio, tuttavia, che le scelte devono essere effettuate prima del varo del Dpef e un eventuale accordo complessivo va fatto prima di quella data.

Come sta andando la consultazione?

Stiamo facendo una consultazione vera per creare un consenso diffuso sui principi che vogliamo affermare e che vogliamo tradurre in risultati concreti. Peraltro, la Uil è stata la prima a sostenere che le soluzioni adottate sul fronte fiscale non erano adeguate a sostenere i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Credo di poter dire che la consultazione ci stia rafforzando. Questa è una piattaforma utile per il confronto con il Governo e riteniamo che alcune parti potranno essere oggetto di un’intesa. A quel punto saremo pronti a votare su un eventuale accordo, perché noi pensiamo di fare un buon accordo: non ci saranno soluzioni impopolari, prevediamo una conclusione positiva e non temiamo di assumerci un impegno forte. Ma questo ce lo potrà confermare solo l’andamento della trattativa.

Resta ancora aperta la questione salariale. Ciò che di negativo è successo sul fronte fiscale è ormai noto. E le difficoltà emerse in materia di politica contrattuale potranno essere superate?

Intanto voglio ribadire che la Uil continuerà a rivendicare con forza la riduzione delle tasse sui redditi da lavoro dipendente e da pensioni. Questa resta una questione non risolvibile facendo leva sull’Irpef, che non è un efficace misuratore della ricchezza dei singoli contribuenti se è vero come è vero che, stando ai dati ufficiali, i maestri guadagnerebbero più dei gioiellieri. Meno tasse sul lavoro: questa è la nostra priorità. E per ottenere questo obiettivo occorre seguire altre strade che la Uil ha già indicato da molto tempo. Per quanto riguarda poi la politica contrattuale, io credo che su questo terreno avremo delle serie difficoltà. Tuttavia, sono altrettanto convinto che un cambiamento del sistema contrattuale nella direzione da noi propugnata si determinerà quasi naturalmente: avverrà da sé. Noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di rendere il nostro sistema un po’ più produttivo. Più produttività e aumento dei salari in termini reali: questo significa farla finita con la logica difensiva, questo è il cuore del nostro messaggio.

Cambiamo argomento. Negli ultimi tempi c’è stata una seria e preoccupante reviviscenza del terrorismo. La magistratura e le forze dell’ordine hanno portato alla luce questo fenomeno prima che potesse trasformarsi in tragedia. Preoccupano molto, tuttavia, le reiterate manifestazioni, quasi spavalde, di “presenza” del terrorismo. Qual è il tuo giudizio?

Purtroppo, in Italia, il terrorismo sta dimostrando di essere un fatto endemico, è come un virus che non siamo riusciti a debellare definitivamente e che ogni tanto emerge in maniera più o meno violenta. Noi siamo rimasti sorpresi dall’intensità e dalla vastità della presenza del fenomeno terroristico: pensavamo fosse una pagina ormai chiusa della storia del nostro Paese mentre purtroppo non è così.

Il terrorismo è un grave problema per tutti e di tutti, anche se sembra coinvolgere particolarmente il Sindacato. Che fare?

Il terrorismo è un problema per noi sia perché ne siamo il bersaglio sia perché rischiamo di esserne delle vittime politiche, anche se la cosa ci sembra ingiusta. Questo terrorismo non è quello delle Brigate Rosse. Le BR avevano una base ideologica e letture ideologiche. Questo terrorismo invece parte da un’idea politica secondo cui i conflitti politici e sociali devono essere risolti con l’uso della violenza. Gli obiettivi appaiono simili a quelli che si pongono alcune forze dei movimenti: non vogliono colpire al cuore lo Stato ma vogliono che sia eliminata la precarietà, che siano smantellate le basi americane e così via. E pensano poi che le manifestazioni pacifiche non servano a nulla ma che, invece, bisogna colpire. Il rischio però è che, in termini politici, non ci sia soluzione di continuità tra i terroristi e il resto: abbiamo sottovalutato il problema. Quei manifesti che parlano, con toni violenti, della questione di Vicenza o della precarietà sono da condannare e chi vuole stare con noi li deve condannare: bisogna fissare un limite tra noi e loro. Oggi, insomma, non né più tollerabile ciò che ieri era tollerato.

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