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MAGGIO 2007

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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APRILE 2007 

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SOMMARIO

Editoriale
Tre questioni su cui riflettere… di A. Foccillo

Intervista
Pensioni e Pubblico Impiego: se il Governo non cambia è sciopero generale.
Intervista di L. Angeletti di A. Passaro

Agorà
La Feneal e le radici riformiste della Uil. Intervento di L. Angeletti

Sindacale
Il sindacato per la salute e per la sicurezza nei luoghi di lavoro di P. Carcassi

Attualità
Le Donne, segno della Memoria per non dimenticare la Storia di N. Nisi
La famiglia “a rate”. Un rischio o un’opportunità?  di L. Santini
Il futuro degli Enti Previdenziali di P. Larizza

Approfondimenti
La concorrenza possibile nei servizi pubblici locali. Il rischio del Mercatismo di A. Botto
V° Congresso Adoc di P. Nenci
Il Garante “frena” la Cassazione: il controllo delle e-mail aziendali solo in caso di emergenza di T. Riggio

Economia
Una nuova realtà di G. Paletta
Una dimensione sociale per la globalizzazione di A. Ponti

Internazionale
Cambia qualcosa in Colombia? di A. Carpentieri

Forum
Intervista a Cristian Carrara di M. Abatecola
Fenomeno Blog di M. Alessandra
Il distretto tessile pratese nella globalizzazione di A. Cicchese

Cultura
Leggere è rileggere di G. Balella

Inserto: Voci del primo maggio di P. Nenci

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EDITORIALE

Tre questioni su cui riflettere...

Di Antonio Foccillo

Questo editoriale è diverso dal solito, in quanto voglio affrontare, in modo molto sintetico, tre temi che stanno facendo discutere, per fornire qualche spunto di riflessione. Le morti sul lavoro, il riemergere del fenomeno eversivo e il diffondersi della violenza nelle città, con riferimento in particolare ai cittadini immigrati. Credo che si debba aprire un dibattito, non solo nella nostra organizzazione, prima che esplodano in tutta la loro drammaticità e determinino un imbarbarimento della situazione sociale.

La prima riflessione riguarda le morti sul lavoro.

Non è un caso che il 1° maggio il sindacato lo ha dedicato a questo problema per farlo riemergere quale elemento centrale della propria strategia e trovare soluzioni ad un’emergenza che non può essere più nascosta. Una vera strage, numeri che devono farci vergognare. Un paese civile non può permettersi queste cifre e non può ignorare come questo triste fenomeno sia direttamente collegato anche agli altri due successivi punti. La mancata rappresentanza degli interessi del mondo del lavoro nella politica e la mancanza di regole e valori condivisi nella società producono una pressione tale sul singolo lavoratore, da portarlo anche all’incidente mortale. Ciò avviene perché vale solo la legge del profitto, ad ogni costo. Il Presidente Napolitano ha voluto sottolineare questo scandalo, anch’Egli, proprio nel giorno della festa del lavoro, una scelta giustissima e volta proprio a denunciare lo svuotamento di valori e principi anche nel mondo della politica e, direi, sottovalutato dall’intera società. Dovrebbe diventare un tema da mettere all’ordine del giorno dell’agenda, non solo sindacale ma anche politica e della sinistra in particolare che deve essere, per definizione, colei che difende e tutela i diritti e gli interessi del mondo del lavoro. Ma se gli unici punti di riferimento restano la produttività, il risparmio dei costi, la competitività e la flessibilità intesa come precarietà, allora come pensiamo di poter modificare lo stato delle cose? È improponibile. Per cambiare le cose si deve ritornare a fare politica dal basso, ma proprio nel senso di politica di base, anche sui posti di lavoro e quindi il sindacato è il primo soggetto che deve rilanciare il proprio ruolo ed implementarlo, contro l’eversione e contro una tendenza a far passare come obsoleta la cultura del lavoro, intesa letteralmente come parte attiva della società, da tutelare nei diritti e negli interessi, legittimamente così come le altre parti sociali. Allora si deve tornare a parlare di diritti del lavoro, di sviluppo sostenibile e di valori sociali condivisi. I lavoratori lo sanno bene. Sanno bene, infatti, che se da un ponteggio cade un operaio rumeno muore così come un operaio italiano, allora non ha più senso nessuna strumentale e populista polemica sugli stranieri e si deve portare avanti, insieme, una battaglia di civiltà e progresso. Battaglia che in questi ultimi anni si è molto affievolita perché tutta la cultura che aveva portato negli anni 70, a partire dallo statuto dei lavoratori, ad affermare una legislazione sociale garante dei diritti e delle tutele del mondo del lavoro non ha più ritrovato quel vasto consenso che aveva saputo creare. Oggi i valori dominanti sono altri e sulla base dell’affermato primato dell’economia si stanno cancellando anche tanti elementi importanti di garanzia che fanno un Paese civile e democratico.

La seconda riguarda il terrorismo.

Le recenti manifestazioni di appoggio e/o solidarietà verso le persone fermate poiché sospettate di terrorismo, rendono evidente la necessità di aprire una discussione, a tutto campo, sulla questione. Il fenomeno terrorista, infatti, è stato certamente sottovalutato. Su vari livelli e con diverse responsabilità si è pensato che la stagione drammatica degli “anni di piombo” si fosse definitivamente chiusa. In realtà abbiamo potuto vedere che una latente rete di sostegno è stata sempre in vita e, negli ultimi tempi, ha fatto registrare una significativa crescita. Il movimento sindacale ha il dovere di riflettere sui motivi di una ripresa del consenso verso l’eversione armata nei luoghi di lavoro. Anche altri soggetti hanno, forse, trascurato inizialmente il fenomeno in ripresa, ma al sindacato spetta il ruolo di chi vive il rapporto quotidiano con i lavoratori e non può non percepire così importanti deviazioni dalla dialettica democratica. È indiscusso che il diritto del lavoro abbia registrato qualche rovescio in questi ultimi anni. Negarlo significa disconoscere la realtà e offrire una sponda proprio ai settori eversivi, che sul mancato riconoscimento dei bisogni di sicurezza e tutela avvertiti da una consistente fascia di lavoratori gioca le proprie disperate carte. Anche le forze della sinistra hanno, nei fatti, assunto una forma di pensiero che nega le categorie del lavoro e quelle del capitale, precipitosamente cancellate dal lessico ma sempre vive nella società reale. Esistono infatti i capitalisti ed esistono i lavoratori, ma questi, sbagliando, non si sentono più tutelati e riconosciuti, non si sentono più rappresentati e quindi diventano l’oggetto del desiderio dell’eversione. Il sindacato è l’unico soggetto che ancora conserva un rapporto diretto con il mondo del lavoro, ma deve implementarlo anche attraverso una qualificata influenza sul mondo della politica, riconducendo i temi del lavoro nel dibattito politico. Sono dunque necessari chiari punti di riferimento politico, affini ad una parte della società (il mondo del lavoro) senza ovviamente per questo essere contrari ad altre parti. Il problema è che la politica, negli ultimi anni, si è limitata solo a rappresentare gli interessi della parte più forte della società, magari sperando che la sua soddisfazione avrebbe generato un deflusso positivo per tutto il resto della società. Si debbono, inoltre, cancellare dal dibattito eccessi verbali e soprattutto considerare gli altri come avversari e non come nemici. Dobbiamo rilanciare l’idea di una contrapposizione ideologica di rifiuto di qualsiasi forma di violenza, comunque si manifesti. Dobbiamo riaffermare la cultura del dialogo e della partecipazione e soprattutto della legalità. La democrazia si afferma e si difende attraverso il pluralismo ed il confronto sereno che stimoli la partecipazione di tutti. Coloro i quali negano questi principi ed affermano, viceversa, l’aggressione ed il ricorso alle armi per farsi una presunta “giustizia” debbono essere messi al bando dalla società.

Terza ed ultima, la violenza e gli immigrati.

Il drammatico assassinio della giovane sulla metropolitana romana, per opera di un’altra giovane, rumena, ha riaperto un dibattito a volte dai toni preoccupanti sulla violenza nelle nostre città e sul ruolo degli immigrati, in particolare dai paesi dell’est. Al di là del caso giudiziario, che peraltro coinvolge una cittadina comunitaria, devono far riflettere i contesti in cui si vivono le maggiori difficoltà. Le periferie urbane. Anche in questo caso si tratta di una materia quasi sparita dalle discussioni della politica. Ma è proprio sui mezzi di trasporto pubblico, sempre sovraffollati, che si scontrano le povertà. È l’esempio paradigmatico di una “guerra tra poveri” che non interessa alla politica troppo attenta alle grandi formule e alle grandi iniziative rilanciate dai mass media, unico interlocutore riconosciuto. Per evitare di far scivolare la periferia italiana nel razzismo e nella violenza è necessario investire seriamente sulla cultura e sulla sicurezza. Sono due versanti differenti, ma devono essere affrontati entrambi. La scuola deve tornare ad essere un soggetto attivo di promozione sociale, per i cittadini italiani delle periferie e per gli immigrati ed i loro figli. La scuola invece vive un’evidente fase critica e certo non per colpa di chi vi lavora. Investire sulla scuola pubblica è fondamentale per favorire il dialogo tra le diverse culture e promuovere lo sviluppo individuale e collettivo. In un contesto maggiormente favorevole anche dal punto di vista culturale si possono, chiaramente, proiettare anche più adeguate politiche della sicurezza che non rendano, ad esempio, tante giovani immigrate schiave della prostituzione. L’insieme delle politiche della sicurezza non deve essere strumentalizzata con risvolti razzisti e discriminatori. Ciò che serve è legalità, mentre spesso l’illegalità è funzionale a settori dell’economia che prosperano nel sommerso e ne traggono benefici, anche dal punto di vista politico. Un problema complesso ma non troppo: è comodo agitare lo spauracchio dell’extracomunitario cattivo e nascondere così tutte le contraddizioni di una società senza regole e senza più valori condivisi. Ma è anche vero che bisogna ricostruire nelle nostre città la sicurezza. Troppi sono i casi di microcriminalità che impauriscono le persone e le fanno rinchiudere sempre di più. Si ha paura del diverso, lo si teme e a volte si pensa che non vi è soluzione alla prevaricazione. Non si può continuare a non tener conto di questo problema. Il cittadino ha diritto alla sicurezza. Non ascoltare questo richiamo e far finta di niente lascia spazio ad una difesa individuale che rischia di indebolire la convivenza ed i principi di solidarietà. Bisogna al più presto affrontare questi problemi che, da diversi punti di vista, angosciano le persone, per tentare di risolverli con il concorso di tutti.

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Pensioni e Pubblico Impiego: se il Governo non cambia è sciopero generale! Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, mentre stiamo per dare alle stampe questo numero della rivista, due sono le questioni che tengono banco dal punto di vista sindacale: quella delle pensioni, arrivata al dunque con il primo confronto sul tema specifico dello scorso 9 maggio, e quella del pubblico impiego con la proclamazione dello sciopero generale della categoria per il prossimo giugno. Cominciamo da quest’ultima vicenda. Era già stato siglato un accordo tra parti sociali e governo per il rinnovo del contratto. Cosa è successo?

È successo che sul rinnovo del contratto del Pubblico impiego il governo ha cambiato posizione, rimangiandosi gli impegni assunti. Avevamo anche stabilito dei criteri per legare il secondo livello all’efficienza e alla produttività, ma la direttiva di applicazione non ne tiene alcun conto. A questo punto, non possiamo più stare alle sole promesse, è necessario che il contratto sia firmato e che i lavoratori ottengano quanto già convenuto con la sigla del memorandum. Finché non ci sarà questo risultato, non potremo far altro che scioperare.

L’altro argomento caldo di questi giorni è quello delle pensioni. Si continua a parlare di aumento dell’età pensionabile. Secondo le conclusioni del Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale del ministero del Lavoro, l’incentivo rappresentato dal cosiddetto superbonus non avrebbe funzionato. Qual è il tuo parere?

Non sono d’accordo: ha funzionato eccome. Sono state decine di migliaia le persone che, pur potendo andare in pensione, hanno deciso di prolungare la propria attività lavorativa fruendo degli incentivi previsti da quel provvedimento. Sul meccanismo da adottare per ottenere questo risultato siamo pronti ad ogni discussione. Non ci opponiamo, come è noto, all’allungamento dell’età pensionabile, ma il sistema deve essere flessibile, basato cioè sugli incentivi e sulla libera scelta dei lavoratori. Noi siamo in grado di dimostrare, numeri alla mano, che non c’è alcun bisogno di intervenire sulle pensioni. In Europa, siamo quelli che pagano i contributi previdenziali più alti e che hanno i salari e le pensioni più basse lavorando, mese più mese meno, quanto i francesi o i tedeschi. Inoltre dopo le riforme degli anni ’90 abbiamo il minor debito previdenziale d’Europa. Non c’è nessun allarme, e nessuna necessità di mettere mano al sistema.

Resiste anche la discussione sui coefficienti. Si parla della possibilità di un loro ritocco al ribasso, seppur in maniera selettiva. Cosa ne pensi?

È un’eventualità confusa che non risolve i problemi. Ciò che vogliamo è, invece, un confronto serio che parta dall’azzeramento degli attuali criteri di calcolo per elaborarne degli altri più corretti. I coefficienti di trasformazione fanno parte del sistema previdenziale e non possiamo semplicemente farli sparire, ma così come sono stati costruiti sono inapplicabili, basati su parametri sbagliati e su previsioni errate. Basti pensare che le previsioni di crescita erano state fissate all’1 per cento e che gli ingressi degli immigrati erano stati stimati pari alle 50.000 unità annue: oggi invece siamo ad una crescita che viaggia verso il 2 per cento e abbiamo oltre 250.000 immigrati regolari. Senza contare, poi, che era stato stabilito che i fondi integrativi partissero ben dodici anni fa e invece partiranno solo dal mese di giugno di questo anno. E la revisione dei coefficienti era, di fatto, legata ad un periodo di consolidamento della previdenza complementare. Parlare dunque di una riduzione dei coefficienti significa non tener conto della realtà dei fatti.

Padoa – Schioppa ha lanciato un out – out: senza intesa, resta la legge attuale, quindi, lo scalone.

A suo tempo, abbiamo già fatto uno sciopero generale contro lo scalone e non ne siamo pentiti. Se dovesse realmente essere riproposto lo scalone, in qualunque forma, torneremo dai lavoratori, per spiegare loro che questa è una scelta sbagliata, da contrastare. 

Dunque, lo sciopero…..

Si. Lo abbiamo già fatto a suo tempo e lo rifaremo. Se il governo non dovesse abolire lo scalone, allora lo sciopero generale sarà inevitabile.

Cambiamo argomento. “L’Italia riparte dal Lavoro”: è stato questo lo slogan scelto per la Festa del Primo Maggio. Il lavoro come motore della crescita è stato il messaggio che è partito dal palco di Torino e da quello del consueto concertone di Piazza San Giovanni. Ma come si restituisce valore al lavoro?

Semplice. Devono crescere i salari reali dei lavoratori dipendenti che, negli ultimi cinque anni, sono cresciuti meno dell’inflazione. I nostri salari sono tra i più bassi d’Europa. Questo trend è insostenibile non solo dal punto di vista sociale ma anche in termini economici: costituisce un vero e proprio freno allo sviluppo.

Il Primo Maggio, quest’anno, si è tinto anche del triste colore del lutto. Purtroppo, siamo costretti a registrare più di tre morti al giorno sul lavoro, mentre gli infortuni sono oltre un milione l’anno. Cosa fare?

La situazione sta degenerando, è una vera strage. C’è ancora troppo lavoro nero o grigio e ci sono ancora condizioni che favoriscono il massimo ribasso negli appalti, con tutto ciò che ne consegue in termini di mancanza di sicurezza. Bisogna affrontare e risolvere con urgenza questi problemi.

Un’ultima domanda. Nella scorsa settimana hai incontrato la cancelliera tedesca Angela Merkel per illustrare i contenuti del documento dei sindacati dei Paesi Ocse sul lavoro e sulle politiche sociali, nell’ambito degli incontri per il G8. Di cosa avete parlato?

Abbiamo parlato dei principali problemi che colpiscono tutti i Paesi del G8 e, in particolare, dell’incertezza sui posti di lavoro. Non si crea più buona occupazione, una questione che riguarda realmente tutti i paesi del G8. Une delle ragioni sta nella mancata redistribuzione della ricchezza. In realtà, più questa viene diffusa più si autoproduce, ed è proprio ciò che bisognerebbe fare per conseguire una crescita stabile dell’economia e una conseguente crescita dell’occupazione.

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