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GIUGNO 2006

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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SOMMARIO

EDITORIALE
Un Congresso nella continuità di valori e strategie, di Antonio Foccillo

INTERVISTA
Intervista a Luigi Angeletti, di Antonio Passaro

SINDACALE
Intervista a John Monks, Segretario Generale
Confederazione Europea dei Sindacati

CONGRESSO UIL
XIV Congresso UIL: considerazioni e proposte

LE GRANDI INTERVISTE
Il ritorno delle Brigate Rosse, intervista ad Antonio Lupacchini
di Antonio Foccillo

ATTUALITÀ
Previdenza complementare, mercato del lavoro, immigrazione di Giampiero Bonifazi
I cinquanta anni della Corte Costituzionale: significato di un anniversario
di Maurizio D’Orta

ECONOMIA
Formez, le ragioni di un successo e le nuove potenzialità, di Carlo Flamment
Capitalismo competitivo e crisi morale della società, di Giovanni Paletta

CULTURA
Leggere è rileggere, di Gianni Balella
La tutela del lavoro intellettuale, di Natale Antonio Rossi
Un esubero in Turkestan

INTERNAZIONALE
I giovani e la Confederazione Europea dei Sindacati, di Marisa Di Martino

INSERTO
La voce dei Congressi UIL, di Piero Nenci

Separatore

EDITORIALE

Un congresso nella continuità di valori e strategie

di Antonio Foccillo

Il Congresso di un’organizzazione democratica, come è il sindacato, è un momento importantissimo. Esso serve non solo a verificare lo stato dell’organizzazione, la sua compattezza, la sua tenuta, la sua forza ed anche la capacità di aggregazione della politica del suo gruppo dirigente, ma soprattutto ed essenzialmente ad individuare la strategia, intesa come definizione delle linee guida generali applicate per impostare le azioni concrete tese a raggiungere l’obiettivo fissato per i prossimi anni.

Ebbene, se dovessimo guardare alle esperienze di altri, vedremmo che, in tutto il mondo occidentale, gli effetti combinati della globalizzazione, del liberismo, delle delocalizzazioni e deregulation hanno prodotto flessibilità, indebolimento di alcuni diritti e riduzione del peso del sindacato, nel tentativo di confinarlo sempre più in una logica aziendale per poi accusarlo di corporativismo.

Anche in Italia questi processi hanno prodotto alcuni danni, in verità limitati perché il sindacato confederale è ancora forte dal punto di vista della rappresentatività e aggregazione del consenso, che derivano proprio dalla sua caratterizzazione confedereale.

Il punto è proprio quello di mantenere il carattere confederale, cioè un sindacato che sia in grado di entrare nei processi politici, economici e sociali con l’intenzione, senza conservatorismo, di prevederli, anticiparli e gestirli. Certo negli anni sono cambiate tante cose:

Di fronte a ciò piuttosto che chiudersi in difesa il sindacato confederale deve uscire allo scoperto ed indicare un suo modello di società e di regole condivise, un modello di stato sociale, una partecipata gestione dell’economia e delle scelte economicamente. In sintesi deve ritornare a fare politica, avendo la consapevolezza di essere soggetto rappresentativo di un vasto mondo e che in una società democratica e pluralista ogni soggetto è legittimato e accettato anche per la sua capacità propositiva, che partendo dagli interessi particolari li inquadra sempre in un quadro di compatibilità generale del Paese.

Il sindacato italiano, in cento anni di storia, si è conquistato ampio credito per la serietà delle sue proposte: quando ha difeso il Paese e le sue istituzioni; quando ha chiesto sacrifici ai lavoratori per far uscire il paese dalla crisi e assicurare un futuro migliore a tutti i cittadini; quando ha affermato principi di solidarietà, giustizia sociale, emancipazione, diritti e doveri.

È stato un protagonista positivo della nostra storia, un fattore aggregante della coesione e non può che continuare ad esserlo, ritrovando le capacità di proporsi con le sue elaborazioni, con le sue strategie, tese sempre ad affermare politiche di sviluppo e modernizzazione, senza conservatorismi e conflitti ideologici.

In questi anni la Uil, in particolare, ha caratterizzato il suo approccio con i problemi sempre in senso partecipativo e mai solo conflittuale. La sua storia è fatta di politiche e azioni riformiste, nel senso delle conquiste graduali e non distruttive della convivenza civile. È una organizzazione laica e tollerante che ha scelto la logica del pluralismo, della non demonizzazione del pensiero altrui, anzi si è battuta per affermare il diritto di ognuno a poter esprimere le sue idee.

È stata determinante nei processi di innovazione e modifica degli stantii rituali sindacali, facendo prevalere le motivazioni frutto del proprio patrimonio culturale e della sua storia. Da questo congresso può uscire un’immagine più coesa e più forte se continuiamo ad agire secondo il nostro Dna e la nostra identità. La Uil è nata per contrastare egemonie, dogmi e ideologie.

Ha scelto la strada dell’indipendenza e dell’unità, sempre nella convinzione di essere in grado di competere con gli altri sulla base delle proprie idee e della propria capacità interlocutoria capace di cambiare le cose attraverso la partecipazione. È un’organizzazione che può essere un modello ancora oggi. Buon congresso a tutti.

Separatore

Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Allora, Angeletti, Romano Prodi è il nuovo Presidente del Consiglio. La maggioranza parlamentare, seppur di stretta misura, è appannaggio del centrosinistra. Inizia una nuova stagione politica. Cosa succede per il Sindacato?

Per il Sindacato credo che non succeda nulla di nuovo. Il nostro obiettivo resta, come sempre, quello di difendere gli interessi dei lavoratori e dei pensionati e il nostro giudizio sul nuovo governo terrà conto esclusivamente del merito delle decisioni che saranno assunte. Certo, è del tutto ovvio che noi presumiamo che la nuova maggioranza possa essere più attenta alle istanze che rappresentiamo. Ma solo le scelte che saranno operate concretamente ci potranno dare una conferma di questa nostra aspettativa.

E a proposito di merito, non mi pare che le prime proposte abbiano suscitato il tuo plauso. “Cominciamo male”, hai dichiarato alle agenzie a proposito dell’intenzione manifestata da Padoa Schioppa di fare ricorso ad una manovra-bis. Cosa non ti convince di quell’idea?

Intanto, vorrei ricordare che, nei mesi scorsi, si era sostenuto che il nuovo governo non avrebbe fatto ricorso alla cosiddetta politica dei due tempi. Si era affermato cioè che non si sarebbe perseguito, prima, l’obiettivo del risanamento e, poi, quello dello sviluppo. L’Italia, in realtà, non ha bisogno di nessuna manovra aggiuntiva. Il problema risiede in un rapporto deficit-pil troppo elevato e questo problema si risolve facendo crescere il prodotto interno lordo nel 2006 oltre l’1,5%. Se questo accadrà, avremo un ben altro scenario. Insomma, bisogna perseguire e attuare politiche per lo sviluppo: questo deve essere l’obiettivo primario del nuovo governo.

E quali devono essere queste politiche per lo sviluppo?

Sono mesi che ribadiamo queste nostre posizioni…

È vero, ma siamo all’immediata vigilia del Congresso Uil e, forse, non guasta ribadire le proprie idee ai delegati che saranno a Roma alla fine di questo mese di giugno...

Allora partiamo dal principio. Tra il 2001 e il 2002 il prodotto interno lordo è passato dal 2,4% allo 0,4%, d’un colpo solo e da quel momento il Pil ha fatto sempre registrare valori vicino allo zero. Questo è il primo dato. Dal 2002 i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti del 2% mentre i redditi da lavoro autonomo e da impresa sono cresciuti dell’11,7%. Ciò vuol dire che, in questo periodo di tempo c’è stato uno spostamento gigantesco di risorse da un parte della popolazione all’altra e, dunque, che una parte della popolazione si è relativamente impoverita. E si è impoverita quella parte dei cittadini che ha un’alta propensione marginale al consumo...

Dunque, calo dei consumi, crollo della domanda interna, il sistema produttivo ha frenato e l’economia arranca. Giusto?

Esattamente. I lavoratori dipendenti e i pensionati non hanno avuto più risorse a disposizione necessarie per incrementare la domanda interna e la crescita del Paese si è fermata. Bisogna far crescere i redditi da lavoro dipendente e da pensioni, se vogliamo dare una scossa all’economia e vogliamo rapidamente invertire questa tendenza generando un meccanismo opposto a quello che tra il 2001 e il 2002 portò ad una riduzione di due punti del pil.

E anche qui sono costretto a chiederti di ribadire quali sono le leve che bisogna azionare per ottenere questo risultato...

Ribadisco volentieri quello che ho detto nei tanti congressi territoriali e di categoria ai quali ho partecipato. Noi abbiamo solo due leve a disposizione per ottenere subito questo risultato: la politica fiscale e la politica contrattuale. Devono essere ridotte le tasse sul lavoro. A questo proposito, abbiamo indicato anche una tecnica che ci sembra la migliore in assoluto, rapida, efficace ed economica: detassare gli incrementi contrattuali per i prossimi quattro anni. Poi, abbiamo bisogno di una nuova politica contrattuale che, avendo come obiettivo la crescita, faccia crescere i salari reali. Dobbiamo approntare, dunque, un nuovo modello contrattuale che confermi il contratto nazionale ma che diffonda nel modo più capillare possibile la contrattazione di secondo livello per ridistribuire la produttività in azienda o sul territorio.

Si può dire, insomma, che c’è un problema di redistribuzione della ricchezza come fattore di giustizia sociale ma anche come elemento di efficienza economica? E, dunque, si può sostenere che proprio per quest’ultimo motivo, tutto il Paese dovrebbe avere interesse all’attuazione di quella politica nella prospettiva immediata dello sviluppo?

Si, è proprio così. Oggi bisogna capire che la ricchezza complessiva aumenta se essa viene distribuita: non esiste un Paese ricco se la maggioranza dei suoi cittadini si avvicina alla soglia della povertà. Da questo punto di vista, potremmo sintetizzare che i mali dell’Italia sono due: bassi salari e bassa produttività. Questa condizione impedisce lo sviluppo. E il Sindacato deve chiedere coerentemente al nuovo governo l’attuazione di politiche che risolvano questi problemi, nell’interesse dei propri rappresentati ma anche del Paese nel suo insieme.

Passiamo ad altri due argomenti. Da un lato, le pensioni, dall’altro, lavoro e flessibilità; mi pare che siano questi i due argomenti che hanno catalizzato l’attenzione delle cronache economiche e sindacali nei primissimi giorni del governo Prodi. Ne vogliamo parlare?

Sulle pensioni non c’è molto da dire: bisogna semplicemente abolire il cosiddetto “scalone” che all’inizio del 2008, d’un solo colpo dall’oggi al domani, costringerebbe una parte di lavoratori ad andare in pensione tre anni dopo. La soluzione da adottare, invece, è quella di lasciare liberi i singoli lavoratori di decidere, sulla base delle proprie convenienze, quando andare in pensione. Peraltro, non c’è alcun bisogno di allungare l’età pensionabile che, oggi, è in linea con la media europea ed è quindi già più alta dell’età prevista per legge. C’è poi il capitolo della previdenza integrativa: è necessario avviarla sin da subito.

E sul tema delle flessibilità e della Legge Biagi?

La legge Biagi non va abolita ma solo modificata e migliorata in alcune sue parti che sono oggettivamente poco applicate o inapplicabili. Il punto però è un altro: il lavoro flessibile deve costare l’1% in più del lavoro “ordinario”. Non sarà mai possibile abolire la flessibilità per far fronte alle esigenze delle produzioni cicliche. Ma il lavoro flessibile, purtroppo, sta sostituendo quello ordinario, semplicemente perché costa meno. E così non va bene.

“Il lavoro vera ricchezza del Paese” è il titolo del XIV Congresso della Uil. Dopo quattro anni, il lavoro è ancora una volta al centro delle riflessioni e delle proposte della nostra Confederazione...

Dopo quello che abbiamo detto, vorrei rispondere a questa domanda, con una brevissima battuta. L’articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Noi continuiamo a crederci.

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