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AGOSTO 2007

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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GIUGNO 2007 

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SOMMARIO

Editoriale
Non è la logica delle divisioni intergenerazionali che può ridare slancio e fiducia nel futuro a questo Paese! – di A. Foccillo

Intervista
A proposito dell’accordo su previdenza, lavoro e competitivit. Intervista a Luigi Angeletti - di A. Passaro

Attualità
Il protocollo d’Intesa su previdenza, lavoro e competitività - di D. Proietti
Acqua e cultura dello sviluppo sostenibile - di P. Carcassi
La competitività del sistema-Paese e la qualità dei servizi: una sfida per il sistema dei trasporti - di N. Nisi
Dalle rendite vitalizie degli antichi alla previdenza di oggi - di P. Nenci

Internazionale
“Stiamo cambiando la Bolivia con una visione indigena”. Intervista a S. E. Esteban Elmer Catarina, ambasciatore della Repubblica di Bolivia in Italiana - di A. Carpentieri

Europa
Quale Europa? - di G. Paletta
L’Europa che ci aspetta - di A. Ponti
Il Consiglio dell’Unione Europea - di C. Cedrone

Sindacale
Occorre ridefinire il campo semantico del diritto del lavoro - di M. D’Orta
10a Assemblea dell’artigianato UIL. Intervista a Franco Lago - A cura del servizio Artigianato

Economia
DPEF e sviluppo - di A. Croce

Agorà
Anniversario della scomparsa di Sandro Pertini - di G. Salvarani
Un nuovo paradigma meridionale - di M. Ballistreri
Ecoturismo. Una nuova scelta per una nuova vacanza - di M. A. Lerario

Cultura
Leggere è rileggere - di G. Balella
Il mercato cinematografico Italiano e il difficile iter per l’uscita di una film - di L. Gemini
Elezioni SIAE 2007-2011 - Vittoria della UIL - di N. A. Rossi

Inserto
L’Italia ha superato gli esami ma deve studiare ancora molto - di P. Nenci
Indici di tre anni di attività di Lavoro Italiano

Separatore

EDITORIALE

Non è la logica delle divisioni intergenerazionali che può ridare slancio e fiducia a questo paese!

Di Antonio Foccillo

L’inizio dell’estate 2007 ha registrato una, forse, prevedibile complicazione nei negoziati tra Governo e parti sociali. L’argomento più complesso è stato, senza dubbio, quello della riforma delle pensioni. Abbiamo valutato positivamente il fatto che il Governo abbia di fatto recepito il lavoro del tavolo in materia di aumento alle pensioni, attraverso il decreto che, così come per gli ammortizzatori sociali, garantisce una prima fase di redistribuzione per l’equità sociale. Ma ciò non toglie che il problema di fondo, quello dell’abolizione dello “scalone” non si è risolto come avremmo voluto. Abbiamo sempre considerato essenziale nel nostro modo di essere, il dialogo, per raggiungere un’intesa finalizzata a garantire a tutti i lavoratori, nel rispetto delle diverse storie e aspettative. Anche questa volta abbiamo ribadito questa nostra disponibilità, ma non possiamo non sottolineare che qualsiasi modifica che si voglia fare al sistema debba sempre confermare il diritto ad andare in pensione senza sottostare a logiche illiberali e non rispettose di situazioni come quelle di operai che fin da giovanissimi vivono di lavori usuranti. Per questo motivo abbiamo sempre sostenuto che fosse giusto puntare su incentivi che rispettassero i principi di libertà e volontarietà del lavoratore. Il recente accordo sottoscritto con il Governo, fra luci ed ombre (di cui parleremo in altri articoli) è una prima fase di un recupero anche degli interessi per i giovani che dovrebbe mettere fine a tante polemiche. Anche se ci sembra che non sia stato vissuto da tutti con lo stesso grado di responsabilità. La Uil pur non valutandolo completamente positivo ha voluto sottoscriverlo, convinta che può essere significativo proprio verso quella prospettiva di coesione e di sviluppo del Paese che ci deve sempre orientare. Ci sarà ancora da lavorare e per questo ribadiamo che tra le altre cose rivendichiamo ancora in materia previdenziale anche la perequazione automatica al 100% di tutti i trattamenti pensionistici ed abbiamo apprezzato la volontà di congelare la revisione dei coefficienti di trasformazione, con l’istituzione di una apposita commissione per studiare la materia. La fase è difficile, abbiamo giudicato positivamente l’avvio da parte Governo della detassazione degli aumenti contrattuali, strumento importante per la crescita e lo sviluppo.

Prese di posizioni e contraddizioni del nostro sistema complicano ancora di più la situazione. La recente vicenda della contrapposizione, alimentata strumentalmente da varie parti, fra giovani e anziani è sintomatica di un tempo che cerca di ridurre il peso delle rappresentanze sociali per influenzare le scelte economiche in una logica ultraliberista. Come si può pensare di rifiutare questa campagna denigrando, invece, che confrontandosi.

E’ interesse dei giovani smantellare un sistema pensionistico che ha garantito la dignità di chi ha lasciato il lavoro, confermando quei principi di tutela previsti dalla Costituzione?.

E’ interesse dei giovani mantenere al lavoro sempre di più gli anziani per poi scontrarsi con un mercato del lavoro bloccato e che non gli permette di trovare spazi, in quanto occupati proprio da quelli che non si vogliono mandare in pensione?

E’ interesse dei giovani modificare i coefficienti per il calcolo della pensione, nell’ottica di un cambiamento in peggio delle loro pensioni?

Se si è rotto il patto generazionale, allora la domanda è: come lo si rivive se non si accetta il dialogo ma si mette uno contro l’altro, con l’unico scopo di indebolire le due generazioni?

Oggi il problema è come ricostruire una prospettiva di sviluppo che favorisca nuova occupazione vera e duratura, uno sviluppo che produca ricchezza e che sia distribuita in modo più equo e più giusto.

Poi se i giovani vogliono dire la loro sulle strategie sindacali hanno un modo molto più forte che è quello di entrare e partecipare direttamente alle scelte e alla vita sindacale in modo da confrontarsi anche con le altre figure professionali presenti.

Passando al tema del Dpef che dovrebbe essere, nelle intenzioni del Governo e negli auspici degli italiani, lo strumento utile, superata l’emergenza dei conti pubblici, a garantire la crescita sostenibile (si prevede il 2% del PIL per l’anno in corso) e l’equità sociale rischia, invece, di non poter raggiungere quegli obiettivi che si propone. Gli obiettivi, infatti, sono condivisibili, ma come si raggiungono questa è un’altra storia. L’esempio che vale per tutti è il capitolo Pubblica amministrazione. Si parla – che novità! – di modernizzazione ma che cosa avverrà di concreto? La lunga storia della P.A. ci spinge ad essere prudenti. La mancanza di chiarezza all’interno del Governo e l’esasperazione di parti sociali portatrici di interessi forti, ci rende difficile individuare un percorso virtuoso in questa complessa fase. A complicare le cose giunge, infine, la voce di Bruxelles. Proprio nel momento in cui appare chiaro che l’Europa non riesce a darsi una vera unità politica, il commissario Almunia esprime le sue critiche e preoccupazioni sul Dpef presentato a Roma. Su questo punto credo valga la pena soffermarsi.

Le nostre perplessità sul metodo di confronto o sul merito – in particolare sulle pensioni, ma non solo – rischiano di affievolirsi di fronte alle esternazioni europee. Ciò perché, a dire il vero, suscita quasi indignazione questa contrapposizione tra un ridotto impegno sul processo di unificazione continentale che si registra in maniera sempre più evidente e il persistente, quasi fastidioso, insistere per intervenire, anche piuttosto pesantemente, sulle materie economiche e in particolare sulle tematiche sociali, come sono appunto quelle relative al sistema previdenziale (inoltre i dati europei, messi a confronto, smentiscono la necessità di alzare l’età pensionabile in Italia). È difficile spiegare perché un’istituzione spesso ridimensionata su tanti aspetti, debba poter continuare a dire la sua solo ed esclusivamente sulla necessità di tagliare la spesa pubblica e comunque sul modello di società che dobbiamo darci. Qui il discorso deve diventare assolutamente di principio: se viene meno la legittimazione politica di una qualsiasi istituzione, viene meno la delegittimazione democratica che può imporre modelli o scelte diverse. In definitiva e a prescindere dai contenuti del Dpef e perfino dei destini della riforma delle pensioni, questa Europa può ancora continuare ad intervenire solo nella logica economica imposta dalla Bce in maniera così consistente?

Con rammarico – da europeista convinto – devo dire di no! Al di là del fatto che noi riteniamo di poter dimostrare che non è vero che l’eliminazione dello “scalone” e un Dpef più orientato alla redistribuzione e all’equità sociale, possano minare la stabilità dei conti pubblici, a questo punto credo che la considerazione più importante sia un’altra. Se questa Europa rinuncia al suo ruolo politico deve assumere fino in fondo questa scelta, ponendosi un freno complessivo.

Dopo diversi anni di percorso continentale siamo arrivati ad una svolta. L’Europa forse ha voluto crescere troppo rapidamente e alcune contraddizioni vengono fuori. Vale la pena di risolvere nell’insieme, altrimenti si rischia di delegittimare tutto quanto è stato fatto. La storia, del resto, ci dice che tutto inizia e tutto finisce, non si deve sottovalutare nessuna criticità e il sindacato in particolare dopo il recente congresso della CES deve realmente “passare all’attacco” per non limitarsi a semplici slogan. L’Europa deve avere una sua coerenza di fondo, senza la quale appare un soggetto debole, utile solo a riproporre, in definitiva, politiche neoliberiste che invece hanno fatto il loro tempo in tutto il Mondo. In Italia settori che si dicono riformisti non lo hanno ancora capito e continuano a parlare sulla base di slogan svuotati e privi di qualsiasi contenuto riformista. In questi giorno la stampa ha voluto affiancare le nostre valutazioni a quelle del Prc, sottolineando la stranezza della circostanza. Angeletti ha voluto ricordare ai “cosiddetti riformisti che dovrebbero smetterla di usare il riformismo per dare ragione a Confindustria”… “E poi dicono di essere socialisti…“ ha – giustamente – aggiunto! Credo che il punto sia proprio questo: in questo paese, purtroppo anche grazie al contesto europeo, che comunque da noi si dilatata in maniera significativa, non si riesce a discutere per fare le riforme, poiché interessi molteplici e consistenti spingono per proseguire una vera e propria politica di demolizione dello stato sociale e di un modello di società. La Uil, senza per questo dover snaturare il proprio DNA, continuerà ad opporsi a questa politica e farà di tutto per raggiungere intese soddisfacenti per ridare slancio e fiducia nel futuro a questo Paese.

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A proposito dell’accordo su previdenza, lavoro e competitività. Intervista a Luigi Angeletti

di Antonio Passaro

Angeletti, allora, dopo 14 anni siamo ad un altro 23 luglio: il Protocollo su Previdenza, Lavoro e Competitività ha visto la luce proprio nello stesso giorno in cui si firmò, nel 1993, il “mitico” Protocollo” sulla concertazione e sulla politica dei redditi. Corsi e ricorsi storici?

Si tratta di due contesti politici diversi e di due fasi economiche sostanzialmente differenti. Ma, certamente, entrambi gli accordi hanno un valore importante per il mondo del lavoro. Nel 1993 c’era un problema serio che atteneva al risanamento della nostra finanza pubblica e al controllo delle dinamiche inflative, il tutto nella prospettiva dell’ingresso del nostro Paese nell’area dell’euro. In quel contesto e in coerenza con quell’obiettivo, si affermò una politica dei redditi che ha governato anche le dinamiche salariali di questi ultimi anni. Oggi siamo in una condizione diversa in cui l’obiettivo non è più quello del risanamento bensì quello della crescita. E il nuovo accordo si muove verso questa nuova direzione.

Nel 23 luglio del Governo Prodi, però, la vicenda previdenziale ha assunto un posto di primo piano. Non è forse più omogeneo il paragone tra questo accordo e quello sottoscritto nel 1995 con il Governo Dini…

Non è un problema di paragoni quanto piuttosto di contenuti. Ora, non c’è dubbio che il capitolo sulla previdenza sia quello più ponderoso ma gli aspetti qualificanti si riscontrano anche negli altri capitoli dell’accordo. D’altronde, l’intera vicenda è stata vissuta, anche mediaticamente, con un’attenzione forte sulla questione pensionistica e, in particolare, su quella relativa al cosiddetto scalone. Ma ci sono molti altri aspetti che meritano di essere valorizzati e che i milioni di lavoratori e pensionati interessati o coinvolti sapranno apprezzare.

L’accordo, dunque, sarà sottoposto alla consultazione dei lavoratori?

Certamente, e sarà una consultazione vincolante: l’ultima parola spetta ai lavoratori.

Intanto la Uil ha espresso un giudizio positivo e ha firmato l’intesa…

I Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di sottoscrivere l’ipotesi di accordo raggiunto col governo sulla base del mandato ricevuto dai singoli organismi sindacali. Per quanto ci riguarda, la Direzione della Uil ha valutato in modo positivo l’accordo e ha votato all’unanimità con un solo astenuto. Ciò nonostante, lo ribadisco, la consultazione con i lavoratori sarà vincolante. A settembre sarà convocata una riunione degli Esecutivi e prenderà il via la consultazione in tutti i luoghi di lavoro.

In passato, c’era qualcuno che sosteneva che un buon accordo deve scontentare entrambe le parti in causa. Qual è la parte di questo accordo che ti è meno piaciuta?

Non sono soddisfatto del meccanismo individuato per superare lo scalone. Noi avremmo preferito l’adozione degli incentivi: ci sembrava un modo intelligente per risolvere la questione dell’allungamento dell’età media effettiva di pensionamento. Ma le resistenze, soprattutto nel mondo politico, sono state enormi e hanno, di fatto, impedito questa scelta.

Tuttavia, a fronte di una soluzione non gradita, è passata almeno l’idea dell’ampliamento della platea dei lavori usuranti. A questi non si applicheranno le nuove regole per il pensionamento. E’ un dato positivo?

Si. Abbiamo stimato che saranno circa un milione e mezzo i lavoratori interessati  e questo ci sembra un importante fattore di equità. Almeno per questi lavoratori, l’età per il pensionamento sarà ancora quella prevista dalla “Dini”. Resto comunque convinto dell’idea che lasciare libere le persone di decidere quando andare in pensione, incentivandole a prolungare il proprio tempo di lavoro, sarebbe stata l’idea migliore.

Quali sono invece i punti che apprezzi di più di questo Protocollo?

Ce n’è più d’uno, a partire dall’incremento per le pensioni basse, che è il primo punto dell’intesa, sino all’ultimo capitolo che è quello dedicato alle donne. Ma sono due, secondo noi, i punti qualificanti dell’intesa: riguardano i giovani e la contrattazione di secondo livello.

Cosa è previsto per i giovani?

L’intesa prevede la revisione dei criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione. Grazie a ciò, il tasso di sostituzione non sarà inferiore al 60% mentre, a normativa vigente, sarebbe stato inferiore al 50%. Una conquista, questa, volta a garantire ai giovani, insieme alla previdenza complementare, un futuro pensionistico migliore. Le pensioni dei giovani, dunque, aumenteranno, smentendo cosi le accuse rivolte al Sindacato in merito ad un presunto conflitto tra generazioni.

E a proposito, invece, della contrattazione di secondo livello?

Abbiamo finalmente ottenuto la detassazione degli incrementi contrattuali di secondo livello. Grazie alla forte pressione sindacale, saranno destinati 150 milioni alla detassazione di una quota delle risorse contrattate per i premi di risultato. Si è affermato così un principio che la Uil porta avanti da tempo: valorizzare efficacemente la contrattazione per ottenere un aumento dei salari dei lavoratori dipendenti.

Può essere considerato un primo passo verso un fisco più giusto?

Come è noto, sono anni che chiediamo la detassazione degli aumenti contrattuali. Questo è davvero un primo passo importante verso questa direzione. Abbiamo aperto una breccia.

Un’ultima domanda. Le cronache giornalistiche danno conto di quanto travagliato sia stato il confronto. E’ vero che hai detto che avresti firmato se avessero previsto questo capitolo sulla detassazione?

Si è vero. Per la Uil era un punto decisivo che avrebbe spostato la bilancia verso un giudizio complessivo positivo. Ho chiesto che nell’accordo fossero previste risorse per la detassazione. Alla fine il Governo ha ceduto. E la Uil ha firmato.

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