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SETTEMBRE 2018

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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LUGLIO - AGOSTO 2018

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SOMMARIO

Il Fatto
- La Democrazia oggi! - di A. Foccillo
- L’Italia ha bisogno di un nuovo New Deal. Intervista a Carmelo Barbagallo Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
- La Questione Previdenziale - di D. Proietti
- Dobbiamo ritornare ad incidere sulle politiche economiche - di R. Bellissima
- Così abbiamo salvato l’Ilva - di R. Palombella
- Ritorno al futuro. Riprendiamo i percorsi evolutivi interrotti - di P. Turi
- Crollo di ponte Morandi Genova attende la ricostruzione, la Liguria la ripartenza: “Per la Uil occorre un patto sociale forte e duraturo che vada oltre gli annunci di una campagna elettorale permanente ”.- di M. Ghini
- UIL CAMP - di G. Zignani
- UIL CAMP il racconto della coordinatrice Uil giovani Emilia Romagna - di E. Sambataro
- Superamento della precarietà nel Pubblico Impiego. Il percorso, i dati, gli strumenti e le risorse.- di A. Fortuna
- Piattaforma di proposte per la legislatura 2018-2023 - di Uil Cgil Cisl Alto Adige

Attualità
- Un nuovo sistema fiscale per rilanciare il Paese - di B. Francia e F. Porcelli
- L’avvio del nuovo anno scolastico - di F. Ricci

Agorà
- Il sindacalismo italiano e il Sessantotto - di R. Campo
- I sindacati Uil dal ’50 al ‘68 Un prezioso “dizionario” compilato da Myriam Bergamaschi - di P. Nenci
- L’11 settembre - di S. Tucci

Il Ricordo
- Cordoglio della UIL per scomparsa di un grande studioso - di A. Foccillo

Inserto
- Che bella razza! - di P. Nenci

 

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EDITORIALE

La Democrazia oggi!

di Antonio Foccillo

Stiamo vivendo una stagione di cambiamenti, spesso contrari agli interessi generali, che dimostrano, ancora una volta, di essere inadeguati a rappresentare una vera svolta. Troppa distanza, per non dire altro, fra chi decide e chi ne subisce le conseguenze. Oggi, però, le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo. Sono gli effetti odierni, da prima, della lunga crisi iniziata nel mondo nel 2007, e, poi, delle misure adottate sull’altare dell’emergenza. Su tutto ciò, si è rischiato di immolare la democrazia europea, per effetto delle imposizioni dei burocrati europei che hanno preteso la costituzionalizzazione delle regole dell’austerità, bloccando, così facendo, qualunque proposizione di modelli economici, sociali e politici alternativi.

La causa profonda del processo storico che potrebbe destrutturare la democrazia nella sua ispirazione fondamentale sta proprio nel fatto che la democrazia contemporanea, nata negli Stati–nazione, è stata insidiata dalla globalizzazione e dall’Austerity, cosi come quella classica ha perso terreno dinanzi a un processo di mondializzazione del potere.

Carlo Fusi, analizzando questi accadimenti, sostiene che: “Privati delle loro protezioni ed esposti alla bufera della competizione globale che ha provocato la concentrazione in poche mani di una colossale ricchezza aumentando le disuguaglianze e sgretolato l’intera classe media, le sue certezze ed il suo benessere economico, un numero crescente di cittadini ha cominciato a dubitare anche della bontà dei meccanismi democratici di rappresentanza … il successo travolgente di partiti e movimenti che si dicono populisti e sovranisti dipende dal fatto che recuperano un orizzonte “protettivo” nei riguardi di bisogni considerati irrinunciabili… (1)”.

In Italia, inoltre, lo scontro politico ha prodotto l’abbandono della coesione e ogni gruppo politico sostiene solo le tesi del proprio schieramento pertanto sono venute meno quelle posizioni di mediazioni fra interessi diversi e di solidarietà fra le persone. Cosicché l’unità del corpo sociale è stata continuamente divisa: governanti e governati, società economica e società politica, nord e sud, pubblico e privato. Sono aumentate le distanze fra i cittadini perché vi è stata, purtroppo, la crescita della povertà, dilatatasi anche a quei ceti prima considerati non a rischio. Nello stesso tempo ha conquistato terreno il fenomeno di una nuova emarginazione sociale.

Secondo Claudio Cerasa: “L’epoca della disintermediazione non ha generato solo una disaffezione progressiva verso i corpi intermedi, e verso ogni forma di intermediazione, ma ha fatto crescere sempre più nelle nostre società, e nelle nostre famiglie, una necessità di avere risposte letteralmente immediate… Le risposte immediate non possono essere anche mediate, a problemi complessi spesso non immediati, porta inevitabilmente a farti concentrare più su capi espiatori che sulle soluzioni… La vera sfida della società aperta oggi prima di combattere il populismo è quella di governare l’impazienza provando a far diventare l’attesa non un vizio ma una virtù (2)”.

In questi anni si è determinato un mutamento netto anche dell’ordine costituzionale e questo sta avvenendo nel contesto di una realtà ancora almeno formalmente democratica. Ma misure legislative e alcune prassi hanno affermato una sorta di “dittatura” della minoranza organizzata e hanno compresso i soggetti della democrazia. Bisognerebbe, invece, mantenere, in un sistema che ancora voglia essere democratico, pesi e contrappesi, per evitare la cosiddetta “dittatura” della minoranza.

Oggi, più che modifiche elettorali andrebbero ristabilite le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nell’imbarbarimento.

Sul piano economico l’Italia da alcuni anni continua a pagare l’assenza di una politica economica orientata a promuovere e sostenere la crescita, congiuntamente ad un vero smarrimento di una propria politica industriale. I Governi hanno concentrato la loro attenzione esclusivamente al miglioramento dei conti pubblici, con scelte che hanno pesantemente penalizzato i lavoratori dipendenti, i giovani e i pensionati. Il necessario perseguimento di politiche volte al risanamento è stato fine a se stesso ed ha avuto come conseguenza quella di aggravare la recessione in atto nel nostro sistema economico e produttivo. Il limite maggiore dell’azione economica dei Governi è stato proprio quello di non sostenere sviluppo e crescita. Pertanto, da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze. Troppi in questi anni hanno lavorato per distruggere la cultura del dialogo e del rispetto dell’altro ed hanno accentuato le difficoltà delle istituzioni, mettendone in risalto soltanto gli errori e, così facendo, hanno delegittimato i rappresentanti delle istituzioni stesse e qualsiasi elemento di partecipazione democratica.

Bisogna, invece, essere capaci di proporre “un patto per il progresso” tra soggetti autonomi, portatori di interessi diversi e con gradi diversi di responsabilità istituzionale, culturale e sociale, ma tutti uniti contro il rischio di imbarbarimento della convivenza civile. La parte sana della società deve evidenziare nel Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante situazione di povertà economica e infrastrutturale e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico–istituzionale, che stiamo vivendo. Non v’è dubbio che tale svolta, richiederà un complesso sistema di regole, capaci di rendere più trasparenti e controllati. Si devono ricercare tutte le “condizioni per la democrazia”, come le definisce il sociologo americano Lipset (3), che siano in grado di assicurare lo sviluppo di un autentico Stato di diritto, una divisione effettiva dei poteri, l’autonomia della Magistratura, un ruolo attivo delle forze sociali e dei partiti. Diventa, quindi, pressante un impegno comune affinché il confronto sia ricondotto nell’ambito e nel rispetto dei diversi ruoli istituzionali, seppure nel contesto di una dialettica di contrapposizione politica. E, in una società in cui la democrazia rappresentativa sembra al tramonto, la gente vive la politica come un corpo estraneo, lontano, inafferrabile.

In aggiunta la “deriva leaderistica” ha concorso pesantemente a rafforzare questa espropriazione del diritto di poter partecipare alle decisioni collettive, autonomamente e criticamente, producendo crescenti fenomeni di rigetto nei confronti di “questa” politica, misurabile nell’aumento esponenziale del non–voto, o di movimenti anticasta la cui identità viene mistificata parlandone in termini di “antipolitica”. La legittimazione sostanziale della democrazia sta nella sua radicale alienità dalla rivoluzione e dal terrorismo. Ne consegue che la violenza verbale, la delegittimazione reciproca di maggioranza e opposizione, vanno evitate perché eccitano intolleranza e scontro tra i cittadini. La democrazia è colloquio in ogni luogo sociale, a partire dalla sua istituzione fondamentale che è il Parlamento. Eppure, nel corso della storia umana, la preferenza a volte è stata a favore del governo di pochi o di nazionalismi e dittature che insediavano un uomo solo al comando. La distorsione sistematica dei fatti e dei loro significati ad opera della demagogia e della propaganda o la verità celata dalla ragion di Stato o il perseguimento d’interessi spesso illegali o egoistici inducono una violenza psicologica nei cittadini con l’effetto di limitarne la libera determinazione dei comportamenti nell’esercizio dei diritti individuali e collettivi. La trasparenza della vita pubblica è condizione delle scelte libere e responsabili delle persone. Se queste scelte non sono né libere né responsabili, la democrazia diventa finzione di riti e procedure formali con il vizio originario di una coscienza violata e offuscata. In una democrazia rappresentativa non può non essere il Parlamento, ove si conduce una leale competizione tra maggioranza e opposizione, il luogo della più alta visibilità della libertà di coscienza.

Ma vi è un secondo valore costitutivo della democrazia contemporanea ed è la cultura, che diventa un problema politico, quando se ne scopre la forza, impiegabile sia a vantaggio dello Stato sia per la causa della libertà dei cittadini. La democrazia stessa ha bisogno di un consenso libero e critico dei cittadini, per non cadere nelle coazioni demagogiche di una propaganda politica alimentata dall’ignoranza, dalla disinformazione, dalla formazione intellettuale o subcultura faziosa. Tutti sintomi che sembrano preparare l’eclissi della democrazia stessa, che prelude non ad un vero e profondo cambiamento, ma a possibili fuoriuscite autoritarie dalla crisi, nuove deleghe in bianco alla tecnocrazia o al populismo. Le alternative, vagheggiate di Democrazia Diretta, invocata con il Discorso agli Ateniesi (4), oppure ricordando l’esperienza dell’Islanda e la sua rivolta con tanto di normazione retroattiva, o ancora la fantasmatica Democrazia Deliberativa di Popper (5), ove si ipotizza che un intero popolo possa divenire “Gruppo in fusione” che, sempre e perennemente mobilitato, decide su tutti e su tutto, sono tutte soluzioni che non hanno la forza per dichiarare la fine della democrazia rappresentativa, anche perché ignorano il problema fondamentale che non sta nel sistema di funzionamento della democrazia ma nell’assenza di valori ideali, sociali su cui deve basarsi lo stare insieme di una comunità nazionale.

Si impone, pertanto, proprio alla luce di queste considerazioni, l’esigenza di ripensare le regole della convivenza democratica, perché la democrazia è riconoscimento reciproco, è garanzia di pluralismo, è tutela delle diversità, è doveri e diritti, tutti principi che nell’attuale realtà sembrano essere stati messi da parte.

Su queste tematiche le battaglie sindacali possono essere ancora vincenti e soprattutto coinvolgendoli in particolare, se si continua a guardare la società, i cittadini, i lavoratori, i giovani in una nuova ottica di partecipazione e non come comparse passive di scelte fatte da altri. Il movimento sindacale deve essere una forza sociale portatrice di un’identità con un ruolo progettuale che gli faccia riconoscere il suo essere interlocutore sociale. Il sindacato, infine, proprio per la sua storia di organizzazione pluralista e riformatrice, deve imporre il recupero del confronto dialettico, che si svolga nella completa libertà d’espressione e nel rispetto dell’interlocutore. Solo così si rafforza il sistema democratico violato, da chi, invece, rifiuta il confronto (6).

_______________

1) Il socialismo è morto? Viva il socialismo!, Il Dubbio 26.9.2018
2) C. Cerasa, Manifesto contro la politica on demand, Il Foglio 27.9.2018
3) S.M. Lipset, 1963, L’uomo e la politica, le basi sociali della politica, Edizioni di Comunità, Milano
4) Pericle, Discorso agli Ateniesi, pronunciato nel 431 A.C.
5) G. Pairetti, Democrazia deliberativa una ricostruzione critica, Manifestolibri
6) A. Foccillo, 2016, Democrazia Economia e Sindacato, Aracne editore, Roma

 

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L'INTERVISTA

L’Italia ha bisogno di un nuovo New Deal. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, dopo un botta e risposta tra il Governo e l’Unione Europea, è stata approvata la manovra finanziaria con un deficit al 2,4% (per uno o per tre anni). Qual è il giudizio del Sindacato di via Lucullo?

Daremo un giudizio articolato sulla manovra nei prossimi giorni, quando leggeremo i testi. Intanto, possiamo ribadire che la Uil, insieme al sindacato europeo, è sempre stata contraria all’austerità e favorevole a scelte che puntino a rilanciare l’economia. Dobbiamo, però, discutere su come utilizzare le risorse disponibili per ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni, per fare investimenti e per discutere di assistenza e previdenza. Il nostro giudizio sulla manovra dipenderà dalla capacità di rispondere a queste esigenze di merito dalle quali dipendono la ripresa dell’economia e dell’occupazione.

Nei giorni che hanno preceduto l’approvazione di quella che è stata definita la Manovra del Popolo, la UIL ha sollecitato il Governo a realizzare una manovra che puntasse al rilancio dell’economia. Come si può intraprendere il cammino della crescita, facendo debito?

Come dicevo, aspettiamo di vedere i testi e di capire, dunque, se le risorse che verranno postate serviranno per la ripresa economica oppure no. Se riprende l’economia i debiti si ripagano, se l’economia continua a ristagnare i debiti non si riescono a pagare. Non vogliamo fare le cassandre e siamo disponibili a fare la nostra parte, ma serve il confronto. Con il dialogo e la partecipazione si possono ottenere ottimi risultati.

Barbagallo, tra le rivendicazioni sindacali principali della UIL c’è la modifica della Riforma sulle pensioni, in linea con l’azione già avviata con il precedente Governo. Tra le ipotesi c’è “quota 100”. Cosa ne pensi?

Continuano a circolare varie ipotesi. Bisogna fare attenzione, quota 100 può aiutare qualcuno, ma scontentare tantissimi. Anche con questo Governo, dobbiamo continuare la nostra battaglia e fare breccia nella legge Fornero. Noi abbiamo le nostre proposte per intervenire su questo capitolo: occorre continuare a cambiare la legge reintroducendo una reale flessibilità di accesso alla pensione tra i 62 e a 63 anni, senza alcuna penalizzazione; procedere con la separazione della previdenza dall’assistenza e con la definizione degli altri lavori gravosi o usuranti. Anche qui, aspettiamo di confrontarci con il nuovo Esecutivo.

Sull’insieme di tutti questi temi – lavoro, pensioni, fisco – la UIL ha riunito il proprio Esecutivo, durante il quale hai rilanciato la proposta, già avanzata in occasione del Congresso, di una piattaforma per la rinascita e lo sviluppo del Paese. Qual è l’obiettivo?

La piattaforma unitaria nasce dall’idea che l’Italia abbia bisogno di una sorta di New Deal per risalire dalle ultime posizioni delle classifiche europee: una piattaforma unitaria, dunque, per la rinascita e lo sviluppo del Paese. L’8 ottobre si riuniranno le Segreterie di Cgil, Cisl e Uil per definire la piattaforma da indirizzare, successivamente, al Governo per illustrare le nostre richieste e avviare un dialogo per la definizione di provvedimenti necessari al rilancio strutturale dell’economia e del lavoro nel nostro Paese.

Su cosa si dovrebbe fondare questo “New Deal” tutto italiano?

Riteniamo siano fondamentali investimenti pubblici e privati in infrastrutture materiali e immateriali, nonché la riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Occorre, inoltre, approntare nuovi modelli di produttività e di partecipazione. Nella piattaforma unitaria dovranno rientrare anche la riforma del sistema previdenziale e le prospettive occupazionali per le giovani generazioni.

I giovani. Si tratta di un tema caro alla UIL, che proprio in quest’ultimo periodo ha lavorato per abbracciare una generazione spesso lontana dal raggio sindacale. Quali sono le iniziative messe in campo?

Da sempre la Uil, si preoccupa dei giovani. La bussola da seguire è dare loro un futuro nel nostro Paese, liberandoli dalla precarietà, creando lavoro stabile. Il percorso è quello del dialogo e un confronto aperto e senza filtri lo abbiamo avuto in occasione di “Uil Camp”, un corso di formazione per giovani, organizzato dalla Uil Emilia Romagna, nella location informale di un campeggio della riviera romagnola. In quell’occasione ho dialogato direttamente con i partecipanti sui temi dell’economia, del sociale e dell’azione sindacale, non sottraendomi neanche a varie riflessioni di carattere personale sulla difficoltà e sul valore dell’impegno nel Sindacato.

Un’altra iniziativa messa in campo dalla UIL è la visita ai campi di concentramento e di sterminio Auschwitz – Birkenau. Un viaggio emotivamente coinvolgente e culturalmente formativo, insieme a 100 ragazzi e a Sami Modiano, sopravvissuto alla Shoah e organizzato in collaborazione con l’Irase e la Uil Scuola. Si tratta dell´epilogo di un lungo percorso di informazione e formazione, caratterizzato anche da momenti di intenso confronto con il mondo ebraico e con i suoi rappresentanti.

Cambiamo argomento. Si è da poco conclusa una delle trattative più faticose e lunghe della storia sindacale. Stiamo parlando della vicenda Ilva.

Sì, è proprio così. È stata una trattativa molto complessa e grazie alla lotta dei lavoratori e alla determinazione e competenza della categoria al tavolo abbiamo ottenuto un accordo. Un risultato positivo autenticato dal plebiscitario sì dei lavoratori dell’ILVA che rappresenta la prova più lampante della bontà dell’intesa, così faticosamente voluta e costruita dalla categoria, dell’altissimo livello di rappresentatività del Sindacato. Questo eccezionale risultato è il degno esito della lunga lotta dei lavoratori per lo sviluppo, l’occupazione, la sicurezza e l’ambiente a Taranto e in tutto il Paese.

A suggellare questo accordo, è stata indetta un’Assemblea nazionale convocata proprio per celebrare questo importante traguardo. Cosa rappresenta questo accordo?

L’accordo per l’Ilva potrà essere la svolta per la reindustrializzazione del nostro Paese e, per il Sindacato, rappresenta un momento di orgoglio per tutta l’Organizzazione che ha vissuto come una propria vittoria la firma di questa intesa. Artefice principale il Segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, che durante l’Assemblea ha ripercorso i passaggi più delicati della lunghissima vertenza, davanti a una platea di tute blu della UIL e del vicepremier e ministro del lavoro e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio.

Per concludere, un’ultima domanda. All’inizio del mese di settembre hai partecipato al Vertice L20 in Argentina. Quali sono stati i temi trattati e quali le posizioni portate avanti dalla Uil?

Al centro della tavola rotonda del G20 dedicato al lavoro e al sociale abbiamo affrontato il delicato tema dell’immigrazione e dei suoi risvolti occupazionali. Ritengo che la questione migrazione non debba essere affrontata solo secondo logiche emergenziali, ma in una prospettiva di medio e lungo periodo. Per la Uil, bisogna tenere conto delle molteplici e differenti cause del fenomeno e puntare a politiche di sviluppo per i Paesi d’origine dei migranti, a politiche di equa redistribuzione della ricchezza globale, altrimenti nel medio e lungo periodo non saremo in grado di fronteggiare l’enorme pressione migratoria che proverrà da quelle aree. Peraltro, una corretta gestione di tale complessa realtà rappresenta un presupposto per garantire la pace nel mondo.

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