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OTTOBRE 2014

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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SOMMARIO

Il Fatto
Per il sindacato, oltre alle questioni ideali, ancora oggi resta l’impegno per il lavoro l’obiettivo fondamentale - di A. Foccillo
Resterò legato alla UIL in cui ho vissuto per oltre quaranta anni. Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
Vogliamo una stagione contrattuale diversa, innovativa, sfidante, aperta verso il futuro - di B. Attili
La Piattaforma Uila per il futuro dell’Italia e dell’Europa - di S. Mantegazza
Il sindacato: Una sentinella della democrazia - di G. Torluccio
Anche in Emilia Romagna un nuovo modello economico e sociale - di G. Zignani
“L’intelligenza e lo sviluppo” - di P. A. Massa
Liguria: lo smantellamento della concordia può dare il via al filone industriale dei poli di riciclaggio - di P. A. M.
Osservazioni sulla “presunta” riforma della P.A - a cura dell’Ufficio politiche economiche e del pubblico impiego

Attualità
Se un sistema non funziona, è evidente che il problema è nell’insieme e non nel singolo - di S. Gasparrini
Cambiano le regole sullo sciopero nel trasporto aereo - di G.C.Serafini

Economia
FMI: L’Italia come la Grecia - di G. Paletta

Agorà
L’attacco al SSN non viene dall’azione dei Fondi e Casse ma dai “tagli lineari” - di S. Veronese
Diario di viaggio tra le Ande, il passato e il presente del Perù - di G. Casucci
L’Africa alla grande guerra - di P. Nenci

Il Corsivo
Gli eterni tavoli di crisi - di Prometeo Tusco
Gli abbagli di Susanna e dei suoi amici - di Prometeo Tusco

Cultura
Il giovane favoloso, di Mario Martone - di S. Orazi

Inserto
“Cari amici e compagni”. Quando ancora si scrivevano le lettere - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Per il sindacato, oltre alle questioni ideali, ancora oggi resta l’impegno per il lavoro l’obiettivo fondamentale

di Antonio Foccillo

La giustizzia aggiustata” di Trilussa

“Giove disse a la Pecora: - Non sai

quanta fatica e quanto fiato sciupi

quanno me vengi a raccontà li guai

che passi co’ li Lupi.

E’ mejo che stai zitta e li sopporti.

Hanno torto, lo so, nun c’è questione:

ma li Lupi so’ tanti e troppo forti

pe’ nun avè raggione!”

Ho voluto iniziare questo articolo con una bella poesia di Trilussa che ben rappresenta il conformismo dei nostri tempi. Quante lodi al principe ed ai suoi cortigiani si leggono o si sentono e quanti replicanti fanno a gara nello spiegare le giuste scelte del Presidente del Consiglio e, contemporaneamente, denigrare coloro i quali le mettono in discussione e vorrebbero almeno discutere per poterle cambiare.

Il problema di fondo, per non dar ragione a Giove che consiglia alla pecora di evitare di lamentarsi perché è fiato sprecato, è tentare di immaginare dietro a quelle scelte quale società si voglia costruire e quali valori la sottendono.

Non è certo una società democratica dove pluralismo e rappresentanza vengono svilite e con fastidio sopportate. Non è società coesa e solidale quella che riduce le condizioni di vita delle persone, aumentando le tasse a chi le paga e non scova gli evasori. Non è società civile quando non si vede il continuo allargamento delle povertà e della disoccupazione. Non è società di benessere collettivo quando non si prende atto che i consumi sono ridotti al lumicino, anche dei generi alimentari, perché il poter di acquisto dei salari e delle pensioni diminuisce sempre di più. Non è una società giusta ed equa quando vi sono incampienti, esodati, inoccupati e cassa integrazione, quest’ultima è l’unico elemento che ancora evita la protesta sociale. Non è società tutelata quando l’unica prospettiva per avere un posto di lavoro al massimo sono solo i contratti a tempo o cosiddetti “atipici”. Non è una società includente quando si riduce sempre più il perimetro dello Stato ridimensionando lo stato sociale e colpendo la Pubblica amministrazione ed i suoi dipendenti che ne sono l’espressione massima.

Certo ci diranno che stiamo esagerando, ma noi siamo convinti che chi governa si deve far carico di tutto quello che la Costituzione garantisce perché è la carta che stabilisce quali sono i valori su cui tenere insieme la nostra società.

Il nostro congresso che andremo a celebrare deve partire proprio dall’assunto che “i Lupi pur essendo tanti e forti non hanno ragione” e discutere proprio di quali valori nella società vogliamo affermare per dare risposte alle domande che abbiamo posto.

Il congresso dovrà servire, non solo a verificare lo stato dell’organizzazione, la sua compattezza, la sua tenuta, la sua forza ed anche la capacità di aggregazione della politica del suo gruppo dirigente, ma soprattutto ed essenzialmente, ad individuare la strategia, intesa come definizione delle linee guida generali, che debbono essere applicate per impostare le azioni concrete tese a raggiungere l’obiettivo fissato per gli anni a venire.

Ebbene se si dovesse guardare all’esperienza di questi anni, si dovrebbe costatare che, in tutto il mondo occidentale, gli effetti combinati, della globalizzazione, del “neo” liberismo, della vittoria della finanziarizzazione dell’economia, delle delocalizzazioni e della deregulation hanno prodotto flessibilità, indebolimento di alcuni diritti e riduzione del peso delle associazioni dei lavoratori, per tentare di confinarle sempre più in una logica aziendale, mettendo in discussione la loro capacità di rappresentanza ed il contratto nazionale, per poi accusarle di corporativismo. Anche in Italia questi danni si sono prodotti, grazie ai tre ultimi governi, tral’altro non eletti dai cittadini.

Certamente sono cambiate tante cose in questi anni: dalla composizione quantitativa e qualitativa del mercato del lavoro ad un fisco che è sempre meno in grado di essere distributore di ricchezza; da un sistema infrastrutturale sempre più vecchio ad una politica europea che ha creato più emarginazione, disoccupazione e povertà, etc.

Il sindacato deve reagire a questo stato di cose. Il punto è proprio quello di mantenere il carattere confederale, cioè di un sindacato che sia in grado di entrare nei processi politici, economici e sociali con l’intenzione, senza conservatorismi di prevederli, anticiparli e gestirli. Il sindacato confederale deve uscire allo scoperto ed indicare un suo modello di società e di regole condivise, un modello di stato sociale, una partecipata gestione dell’economia e delle scelte economiche. In sintesi deve ritornare a fare politica, avendo la consapevolezza di essere soggetto rappresentativo di un vasto mondo e che in una società democratica e pluralista ogni soggetto rappresentativo è legittimato anche per la sua capacità propositiva. Proposta che punti al progresso sulla base di valori e principi storicamente acquisiti nel patrimonio genetico del mondo del lavoro italiano. Mi riferisco a diritti e solidarietà sociale, che si declinano attraverso uno stato sociale rinnovato, più efficiente e rispondente alle mutate esigenze, ma che non abbandona ed esclude nessuno.

Il Sindacato, proprio in questo momento in cui il governo Renzi, non passa giorno, che afferma che non sa che farsene del sindacato, può continuare a lanciare idee alternative soprattutto tra i lavoratori ed i cittadini, anche attraverso l’organizzazione di espressioni di dissenso pacifiche e simboliche, che comunque diano la misura di un consenso crescente ad una politica confederale che nasca da una elaborazione propria. Ci sono cose molto semplici, ma fondamentali, sulle quali è opportuno battersi ed avviare una riflessione per generare proposte e modelli alternativi a quelli imposti dalle politiche economiche “neo” liberiste che anche in questo governo trovano fondamento.

Oggi, per effetto della finanza, e non della produzione, che ha generato questa situazione di crisi, il passo indietro dell’umanità è duplice: economico e sociale. Si può contrastarlo solo se si discute su diritti e valori sociali, poiché altrimenti si parla solo sui numeri, secondo le leggi del mercato, senza compiere nessun passo in avanti. Infatti, c’è sempre una forbice più ampia fra ricchi e poveri, in Italia e nel mondo, tra cittadini e tra continenti, tra chi può usufruire delle nuove tecnologie e del progresso e chi né è escluso, sempre più. Il problema politico è quello della liberazione sociale che, nell’era della civiltà tecnica non solo non è stato risolto, ma anzi è stato abbandonato. A questo punto si porrà il problema di chi saprà definire un progetto sociale diverso da quello che deriva dalla logica strumentale del “neo” liberismo.

Si chiede, pertanto uno sforzo elaborativo molto forte non solo alla Politica con la “P” maiuscola, ma anche al sindacato che ci faccia uscire dalla logica degli slogans e dal generico modernismo e che spinga a non limitarsi più al quotidiano.

Per il sindacato, oltre alle questioni ideali che lo portano a cercare una mediazione fra l’idea della centralità della persona e quelle di equità, giustizia sociale ed uguaglianza, ancora oggi resta l’impegno per il lavoro che è, infatti, il processo principale di emancipazione dell’uomo, che gli consente di contribuire al progresso della collettività e deve essere riconosciuto, in base a criteri che il sindacato, in quanto rappresentante degli interessi collettivi dei lavoratori, dei pensionati degli inoccupati e dei giovani, può e deve valorizzare. Diritti contrattuali, stato sociale, servizi pubblici, occupazione sono la base su cui il sindacato deve elaborare una nuova progettualità, per acquisire consenso nella società ed evitare che si ripropongono situazioni unilaterali, frutto della sola logica economica-finanziaria. Solo una proposta forte, articolata e condivisa può sfuggire alla logica politica attuale, soprattutto se, caratterizzandosi per il merito, guadagna anche l’autorevolezza che le deriva dall’essere generata autonomamente, senza passare per vie collaterali e dall’impatto che produce nella dinamica sociale, in tutti i suoi aspetti. Il sindacato, proprio per la sua storia di organizzazione pluralista e riformatrice, deve imporre il recupero del confronto dialettico, nella completa libertà d’espressione, si può essere in completo disaccordo, ma resta un punto fermo, il rispetto dell’interlocutore, che rappresenta un diverso punto di vista, sul quale confrontarsi senza dogmi ed in maniera tollerante. Così e solo così si rafforza il sistema democratico violato da chi, invece, rifiuta il confronto. Questo, in effetti, è il problema dell’attuale politica, prevale la battuta rispetto al dialogo ed anche in questo senso, ribadisco, il sindacato può portare il proprio bagaglio d’esperienza che, anche in questi anni difficili, ha costruito tutta la sua storia ed il suo modo di essere.

Questi sono solo alcuni contenuti che siamo convinti saranno affrontati dal nostro congresso.

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Resterò legato alla UIL in cui ho vissuto per oltre quaranta anni. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, è arrivato il tempo: questa è l’ultima intervista che concedi a Lavoro Italiano da Segretario generale della UIL. La tua annunciata decisione è giunta a compimento. Dal 19 al 21 novembre si celebrerà il Congresso nazionale: in quella sede non ti ricandiderai e, dopo 14 anni, passerai il testimone...

Sì, c’è un tempo per tutto. Si è compiuta una fase ed è giusto che io passi la mano. È stata una delle esperienze più belle della mia vita sindacale. Ho avuto l’onore di guidare un’Organizzazione solida e ben strutturata, un’Organizzazione che ha una storia, ma che avrà un futuro altrettanto importante. Il suo gruppo dirigente e i suoi delegati hanno le capacità necessarie a dare continuità al progetto di crescita del nostro sindacato. Resterò legato alla UIL in cui ho vissuto per oltre quaranta anni, cercherò di dare ancora un mio contributo.

Hai qualche rimpianto?

Come è normale che sia, ci sono stati alcuni momenti esaltanti e altri, invece, molto difficili. Le trasformazioni di questo scorcio di secolo sono state epocali e gli effetti sull’economia così penetranti da indurre molti nostri concittadini a cambiare stile di vita. Il problema resta quello dello sviluppo e dell’occupazione. La UIL ha cercato di dare le migliori risposte possibili e, soprattutto, ha avanzato proposte sollecitando i Governi ad attuarle. Due sono state le nostre battaglie diventate patrimonio collettivo: la riduzione delle tasse sul lavoro e la riduzione dei costi della politica. Abbiamo portato avanti queste nostre idee e siamo riusciti a coinvolgere non solo la CISL e la CGIL, ma anche molta parte dell’opinione pubblica. Ora sono diventati temi all’ordine del giorno, oggetto di dibattito e anche di primi provvedimenti legislativi. Da questo punto di vista, sono molto soddisfatto. Ho un solo rimpianto: il mio ruolo mi ha portato, naturalmente, a parlare più con sindacalisti che con lavoratori. Avrei voluto fare qualche assemblea in più. Ecco, credo che, per attribuire concretezza alla nostra riforma organizzativa, dobbiamo impegnarci ad avere più sindacalisti che parlino con i lavoratori. Questo ci farà aumentare i consensi e ci aiuterà a rendere ancora più grande la nostra UIL.

In questo mese di ottobre, finalmente, Renzi si è deciso a convocare i sindacati. Tuttavia, non sembra che il premier sia intenzionato a riaprire una stagione di vero dialogo. Qual è la tua opinione?

A noi i riti non hanno mai interessato né, tantomeno, ci sentiamo orfani della concertazione, una buona pratica che appartiene però a una determinata fase storica ormai conclusa. Per noi è importante solo che vengano assunte decisioni positive per il Paese e, perciò, in quell’incontro, abbiamo indicato ciò che pensiamo si debba fare per rilanciare l’economia e puntare allo sviluppo. Renzi dice che per fare le leggi non deve trattare con i sindacati, ma con il Parlamento: è giustissimo. Il premier, però, dimentica un particolare: per comandare si può fare da soli, ma per governare bisogna conoscere le persone che vuoi governare. Perché le decisioni possano essere concretamente applicate, occorre conoscere la realtà si cui si vuole incidere. Per fare delle scelte, cambiare la realtà e, in una sola parola, governare, è necessaria la partecipazione di coloro che sono governati. È mai possibile pensare di realizzare, ad esempio, politiche pensionistiche o industriali a prescindere dalla valutazione delle persone che ne saranno coinvolte? La risposta l’ha già data la famosa vicenda degli esodati: hanno voluto fare di testa loro e hanno generato un mostro. Questo Esecutivo pensa di continuare su quella strada? E allora sappia che, così come non si può andare in paradiso a dispetto dei Santi, così non si può restare per troppo tempo al Governo di un Paese a dispetto dei governati.

Insomma, la UIL non chiede di essere attore della politica economica del Paese, magari mettendo il veto a scelte che il Governo vuole operare, ma chiede di poter essere ascoltato e di potersi confrontare su proposte di merito che riguardano i propri rappresentati. È così?

Io penso che lo spessore dei problemi occupazionali, delle crisi aziendali e le difficoltà nel rimettere in moto l’economia siano tali da non poter essere risolti neanche dallo spirito rivoluzionario di questo Governo. Per fare qualche riforma non bisogna patteggiare tutto. Nel Paese, però, ci sono organizzazioni che rappresentano lavoratori, pensionati, industriali: si verifichi la loro capacità di volere e di realizzare cambiamenti.

Sul merito, quali sono i provvedimenti da assumere in tempi brevi?

Bisogna estendere gli 80 euro ai pensionati e agli incapienti e rivalutare le pensioni; si devono rinnovare i contratti del pubblico impiego; occorre proseguire nella riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti, mentre le si deve ridurre solo alle aziende virtuose che investono e assumono. Infine, ma non ultimo, è necessario mettere in campo una politica che spiani la strada a investimenti pubblici e privati. Ovviamente, tutto questo è più facilmente realizzabile se, contemporaneamente, si riducono gli sprechi nella Pubblica Amministrazione e i costi della politica, si semplifica la legislazione, si cambiano le norme che favoriscono la corruzione e l’evasione fiscale.

Su questi punti non ci sono sostanziali differenze tra CGIL, CISL e UIL. Eppure non si riesce a imbastire un percorso di iniziative unitarie. Anzi, la CGIL è andata per conto proprio organizzando la manifestazione che si è svolta lo scorso 25 ottobre. Come mai?

Intanto vorrei ricordare che i pensionati, il 5 novembre, e i pubblici dipendenti, l’8 novembre, di tutt’e tre le Organizzazioni sindacali saranno in piazza per sollecitare il Governo ad assumere provvedimenti relativi alle loro categorie. E le Confederazioni saranno al loro fianco. Ciò detto, però, è vero che avevamo proposto a CISL e a CGIL di organizzare una lunga e diffusa azione di contrasto alle scelte non condivisibili dell’Esecutivo. La CGIL, invece, ha fatto una scelta che considero speculare a quella di Renzi, solo che il premier vuole giocare quando dice lui e sul terreno che sceglie lui. Ecco perché penso che quello della CGIL sia un errore di tattica: non sono bravi a capire come contrastare le scelte di questo tipo di Governo. Iniziative spot non sono efficaci. Non basta uno sciopero. Non dobbiamo illuderci che basti un solo colpo. Occorre una lunga campagna di iniziative unitarie perché dobbiamo riuscire a far capire le nostre opinioni e le nostre ragioni all’opinione pubblica, a quella parte dei cittadini che non ha la possibilità di ascoltare ciò che propongono i sindacati.

...Metterla sul piano politico, dunque, è un errore?

Certo, è un errore, perché non è sufficiente manifestare, ma bisogna dimostrare che abbiamo alle spalle milioni di persone che si battono per problemi non politici, ma concreti. Se, invece, la mettiamo sul piano politico, Renzi vincerà sempre tre a zero. Il Governo segue una linea chiara: vuole dimostrare che i Sindacati sono una cosa inutile e del passato, che sono appassionati ai riti. Questa è l’immagine che Renzi cerca di trasmettere a milioni di italiani: se noi recitiamo la parte che lui vuole assegnarci, abbiamo poche speranze che la nostra azione ottenga buoni risultati.

Non hai escluso, però, il ricorso all’arma dello sciopero generale...

Lo sciopero generale non è escluso, ma - lo ripeto - deve essere preceduto da una lunga campagna di mobilitazione. Uno sciopero generale adesso, sarebbe interpretato solo come un tentativo per far cadere il Governo, cosa che a noi non compete e che, comunque, andrebbe molto male

In queste ore, la vicenda della AST di Terni è emblematica delle difficoltà del nostro Paese. Tu hai proposto, quale extrema ratio, la sua nazionalizzazione. Perché?

Noi siamo favorevoli alle imprese private e se abbiamo bravi imprenditori, va bene. Se però non ne abbiamo, non possiamo rassegnarci alla chiusura delle fabbriche e, dunque, lo Stato deve farsene transitoriamente carico. Così ha fatto Obama che ha nazionalizzato aziende in crisi, fino a quando non sono arrivati buoni imprenditori come, ad esempio, Marchionne per la Chrysler. Per quel che riguarda, in particolare, la AST di Terni, il Governo non può fare il mediatore: deve dire se la siderurgia è ancora, oppure no, un settore strategico e assumere scelte conseguenti. Ecco perché dico che se la Thyssen dovesse perseguire, anche lentamente, nell’obiettivo di chiudere la fabbrica, non ci sarebbe alternativa: bisognerebbe nazionalizzarla. Il Governo deve dire con determinazione alla Thyssen di rivedere il piano industriale, perché non possiamo permetterci di perdere un chilogrammo di acciaio o un solo occupato: senza fabbriche siderurgiche la crescita resta solo una parola.

Angeletti, anche in CISL, da poche settimane, c’è stato un passaggio di consegne: Annamaria Furlan ha sostituito al vertice Raffaele Bonanni. Cosa dici a questi due tuoi compagni di lavoro?

Ad Annamaria vanno i miei più sinceri e affettuosi auguri. È una donna che conosce bene il mondo del lavoro e sono certo che ricoprirà il nuovo incarico conseguendo risultati importanti. Abbraccio Raffaele, un autentico sindacalista che nel corso della sua esperienza ha lasciato il segno, un compagno leale e sincero di tante battaglie.

...E al tuo successore cosa dici? E a tutti noi?

Ne parliamo al Congresso...

E allora, caro Luigi, lascia che siamo tutti noi a ringraziarti con immenso affetto. Hai reso ancora più grande la nostra UIL, l’hai guidata in uno dei momenti più difficili della storia politica, economica e sindacale del nostro Paese. Siamo orgogliosi di averti avuto come nostro Segretario e siamo felici che tu abbia deciso di restare all’interno dell’Organizzazione per continuare a dare il contributo delle tue idee. Personalmente ti devo tantissimo: mi hai spalancato un mondo di opportunità e mi hai fatto crescere professionalmente e umanamente. Sono onorato di essere stato il tuo addetto stampa per oltre un ventennio. Ti abbraccio, tutta la UIL ti abbraccia.

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