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OTTOBRE 2007 

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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Il numero di settembre
SETTEMBRE 2007

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SOMMARIO

Editoriale
Un’importante prova di democrazia partecipata – di A. Foccillo

Intervista a L. Angeletti
Il risultato del Referendum è la dimostrazione che i lavoratori sono il vero valore del nostro Paese! - di A. Passaro

Sindacale
Iniziativa “sciogli ogni dubbio” dal programma “Guadagnare salute” - di N. Nisi
Fisco e democrazia - di D. Proietti

Attualità
“Il rinnovo del Contratto Nazionale dell’edilizia. Le priorità: qualità, sicurezza e dignità del lavoro” - di G. Moretti
Consumi: sempre più giù - A cura dell’Adoc

Società
Il lavoro che cambia – di P. Nenci

Economia
Crisi dei Subprime - di G. Paletta
Libertà d’investimento e Linee guida Ocse: qual è la situazione? - di A. Ponti
Una politica per il lavoro, la famiglia e la crescita sociale - una proposta di welfare

Internazionale
America latina e Italia: una relazione che si rilancia. Diritti del lavoro e globalizzazione: la testimonianza di Carlos Rodriguez Diaz – di A. Carpentieri

Agorà
Il bisogno costa sempre due o più di quanto si dovrebbe pagare – di G. Salvarani
Per una Repubblica non fondata sulle tribù – di C. Benevento
La soap opera: oltre il pregiudizio un concreto esempio di rimediazione - di S. Maggio

Cultura
50 pittrici espongono nella sede nazionale della Uil a Roma – di N. A. Rossi
Quando hanno inizio i sogni delle donne? Cosa sogna una donna - di M. G. Brinchi
Leggere è rileggere: Giovanni Arpino – di G. Balella
“Michael Clayton” - di S. Orazi

Inserto
Il pianeta università-  a cura di P. Neri e P. Nenci - con Intervista al seg. Gen. Uilpa Ur, A. Civica

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EDITORIALE

Un’importante prova di democrazia

Di Antonio Foccillo

L’esito della consultazione tra i lavoratori e i pensionati sull’accordo per il welfare è molto importante. Importante perché si è dimostrato che in Italia è forte la democrazia e la voglia di partecipazione delle persone è sempre viva, basta valutare il fatto che nel ’95, data dell’ultima consultazione, i partecipanti furono di meno rispetto ad oggi. Questo dovrebbe far riflettere coloro che vivono di politica spettacolo e di televisione sul fatto di quanto importante sia ritornare fra gente e permettere alla stessa di essere protagonista, per ascoltare anche le loro opinioni.

E’ importante perché testimonia ancora una volta che il sindacato italiano è rappresentativo del mondo del lavoro. Ed è una sconfitta per coloro che continuano a insinuare presunti distacchi e incapacità di rappresentare.

E’ importante anche considerare le opposizioni ed i malesseri che pur ci sono stati perché le persone vivono le loro angosce, soprattutto dovute ai problemi a cui non riescono ad avere risposte, a partire dal lavoro, la sicurezza sul lavoro, la necessità di tutelare il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. Per non parlare di coloro i quali svolgono lavori usuranti e non sono in grado di restare ancora a lavoro. Se poi a queste aggiungiamo anche le problematiche esterne come la casa che non si trova, la sicurezza che diventa sempre più un’emergenza, il bisogno di istruzione per tutti ed un fisco che non sia repressivo con i deboli, si spiega anche così il no.

Bisogna, infine, valutare anche l’impegno di migliaia di militanti sindacali ai quali deve andare il nostro ringraziamento. Hanno svolto un lavoro egregio prima per spiegare i contenuti dell’accordo in migliaia e migliaia di assemblee e poi organizzativo molto importante per raccogliere i voti e lo hanno fatto bene. Hanno dimostrato che esiste ancora la militanza. In questi giorni di sterili e pericolose polemiche sulla politica, è arrivata una risposta positiva ed in controtendenza. È possibile impegnarsi, collettivamente, senza aver bisogno di ricorrere a forme demagogiche e strumentali di organizzazione della piazza.

Non si può non sottolineare la grande partecipazione dei lavoratori e dei pensionati italiani, che hanno risposto all’appello fatto da Uil, Cgil, Cisl riconfermando di riconoscere le organizzazioni sindacali quali interlocutore privilegiato nell’affermazione della dinamica sociale. Milioni di lavoratori hanno deciso di andare a votare, non importa se a favore o contro il testo dell’accordo. Avrebbero potuto disertare le urne confederali, non l’hanno fatto. È un segnale chiaro di fiducia e di credibilità. Anche chi è contrario si sente riconosciuto nelle urne confederali perché sono le urne del mondo del lavoro italiano.

Uil, Cgil, Cisl hanno fatto registrare un doppio risultato positivo in termini organizzativi, sia per aver messo in piedi una efficiente e trasparente struttura elettorale sia per aver ottenuto il consenso di milioni di lavoratori e pensionati che hanno usufruito di questa struttura.

Noi rispettiamo tutti i voti, anche quelli contrari, e i lavoratori italiani lo sanno.

È chiaro che, in ogni caso, non possiamo non essere soddisfatti per il risultato positivo raccolto dai voti favorevoli all’intesa.

L’accordo di luglio, tra le parti sociali ed il governo, infatti, rappresenta un significativo passo in avanti nella pratica concertativa e consente di risolvere alcune gravi ingiustizie del nostro sistema, rilanciando una politica per lo stato sociale. Poteva essere un accordo migliore? Può darsi, ma come tutti gli accordi poteva anche essere peggiore e credo che, in realtà, nella logica dell’accordo che deve andare bene a tutte le parti sociali, questo accordo va bene in particolare ai lavoratori, ai giovani, alle donne ed ai pensionati.

Sappiamo già perché: elimina la macroscopica ingiustizia dello “scalone” e gradualizza una tendenza comunque richiesta dall’evoluzione della società; evidenzia la peculiarità di specifiche attività lavorative, quelle usuranti, che non possono non ottenere un trattamento differenziato; interviene positivamente sulle attuali pensioni più basse; prevede inoltre un miglioramento della legislazione sul lavoro a tempo determinato che rappresenta un passo in avanti per tanti giovani.

Si poteva fare di più? Non credo, certo avremmo voluto fare di più ma questa soluzione rappresenta probabilmente l’equilibrio più avanzato che le organizzazioni sindacali potevano raggiungere. I lavoratori e i pensionati italiani lo hanno capito.

Inizia, per la prima volta dopo tanto tempo, uno spostamento di ricchezza da una parte della società verso l’altra. Sarà una quantità non eccessiva, ma è comunque il segnale, importante, della inversione di una tendenza che è stata per troppi anni negativa nei confronti del mondo del lavoro. Un indiscutibile successo, strategico.

Ricomincia a ricostruire un valore di coesione e non di divisione fra le generazioni.

Questo risultato è soddisfacente, dunque, anche perché ci consente di guardare al futuro con ottimismo, c’è stato un cambio di impostazione, è finita la penalizzazione ideologica del mondo del lavoro e se si potrà continuare su questa strada i diritti potranno riprendere ad ampliarsi, gradualmente, con riforme che noi vogliamo tornino ad essere acquisitive per il lavoro e non più intese esclusivamente come strumenti per affermare la flessibilità dei neoliberisti.

Questo risultato è soddisfacente anche perché zittisce gli autori di polemiche fuorvianti, inutili che danneggiano il mondo del lavoro e favoriscono quel clima di rissa e demagogia che non ci appartiene. Il sindacato confederale italiano ha saputo conservare una tradizione. Il sindacato è rimasto l’unico luogo in cui uomini e donne, anche in questi anni di politica spettacolo, hanno continuato a discutere, animatamente, a confrontarsi in dibattiti che comunque generano quella identificazione collettiva di cui ha bisogno la democrazia. Una parte, piccola, dell’estrema sinistra ha voluto inserire un elemento di disturbo in questa tre giorni di democrazia e trasparenza. È rimasta sola. Si può essere contrari ad un accordo, è legittimo. Ma non si deve infangare il lavoro e la militanza di tanti attivisti sindacali e non si deve irridere la partecipazione di milioni di lavoratori e pensionati che sono andati a votare. Il rispetto è un valore dell’uomo. Il rispetto delle regole e il rispetto del lavoro. Chi non rispetta le regole e il lavoro è molto vicino a chi ideologicamente non rispetta il lavoro e le regole, vale a dire i neoliberisti, quelli del mercato selvaggio. Noi, invece, rispettiamo anche chi ha votato contro l’accordo. Ci sono argomenti su cui discutere, il testo è passato tra i lavoratori e i pensionati e il sindacato si impegnerà affinché questo testo diventi legge dello Stato, ma è chiaro che successivamente si deve aprire un dibattito su come dare una risposta a chi ha avanzato dubbi, legittimi.

Questo risultato è, infine, soddisfacente perché spiana la strada all’accordo anche nel difficile cammino parlamentare. La dimensione del successo dei voti favorevoli è così convincente che anche forze scettiche hanno smussato le posizioni assunte precedentemente. Noi riteniamo che, nel rispetto sempre dovuto all’autonomia del parlamento, sia importante che questo accordo non venga snaturato e vanificato nei contenuti. E’ il governo il primo attore che se ne deve fare garante, visto che è il soggetto che deve preservarlo nel dibattito parlamentare. Le prime avvisagllie, con la modifica dell’accordo in Consiglio dei Ministri avevano fatto suonare un primo campanello d’allarme, mentre il recente confronto ed il ripristino della consultazione hanno rimesso le cose apposto. Ma siamo conviti che i legislatori sapranno trovare, anche loro, una attenzione verso questi obiettivi, con una prospettiva di lungo periodo, senza riaprire i contenuti poichè si rischia di rimettere in discussione tutto. Nella logica dei legislatori dovrà, infatti, entrare anche questo criterio: l’accordo recepisce il contributo delle parti sociali e le volontà espresse da queste devono essere tenute in considerazione.

Il sindacato italiano mette a disposizione del paese questo importante risultato. È stata restituita ai cittadini la possibilità di impegnarsi in prima persona, collettivamente, nella cosa pubblica e si è dato ai legislatori un valido strumento per rilanciare, con ottimismo e consenso, una politica della concertazione che ripunti alla valorizzazione dello stato sociale e del mondo del lavoro in particolare. Ci auguriamo che questa possibilità venga messa a frutto, per il bene del paese, evitando di vanificare ed ostacolare il così complesso ma soddisfacente compromesso raggiunto e approvato da milioni di lavoratori e pensionati italiani.

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Il risultato del Referendum è la dimostrazione che i lavoratori sono il vero valore del nostro Paese! Intervista al Segretario generale della UIL Luigi Angeletti

di Antonio Passaro

Dall’8 al 10 ottobre oltre 5 milioni tra lavoratori e pensionati hanno espresso la propria opinione sul Protocollo sul welfare, firmato lo scorso 23 luglio. Il “si” ha vinto con oltre l’80% dei voti. Qual è il tuo giudizio su questo risultato?

Si tratta di un risultato molto importante. Nonostante tutte le polemiche, i rischi di speculazione e di strumentalizzazione politica che hanno preceduto il referendum, oltre 5 milioni di persone sono andate a votare e hanno espresso un giudizio positivo sul Protocollo. Ciò dimostra che i lavoratori vogliono partecipare, vogliono contare e che sono davvero la parte migliore del nostro paese, il suo vero valore. Questo è ciò di cui ha bisogno il nostro Paese.

Però nelle fabbriche, soprattutto nelle grandi fabbriche del Nord, ha prevalso il “no”. Cosa risponde il sindacato al malessere emerso da queste  importanti realtà produttive?

Intanto, va subito detto che il “si” ha prevalso anche in molte grandi fabbriche sia del Nord sia del Sud. In alcune realtà, invece, già durante le assemblee che hanno preceduto il referendum, molti avevano manifestato la loro contrarietà all’accordo. Quei dissensi non sono stati dunque una sorpresa. Ma il risultato complessivo è  molto positivo, considerata anche l’alta partecipazione al voto: abbiamo superato, di gran lunga, la percentuale raggiunta in occasione del referendum sulla riforma Dini. Credo che i dati si commentino da soli.

Altra cosa, invece, è lo stato di malessere che vivono molti lavoratori dipendenti, determinato soprattutto dalla consapevolezza di essere tra coloro che lavorano di più e guadagnano di meno. I lavoratori italiani hanno i salari tra i più bassi di tutta Europa e subiscono una pressione fiscale tra le più alte. E questa è una situazione inaccettabile e insostenibile.

Anche durante la conferenza stampa dello scorso 12 ottobre hai posto l’accento sulla necessità di rivedere la politica fiscale e la politica salariale. I sindacati hanno aperto un nuovo fronte con il Governo?

Decisamente si. Questa è davvero la rivendicazione più importante. Il lavoro in Italia è sottopagato rispetto agli altri paesi e rispetto alla ricchezza che esso produce. È arrivata l’ora di affrontare il problema rinnovando i contratti e riducendo le tasse sul lavoro dipendente, o detassando gli incrementi contrattuali o prevedendo detrazioni a favore dei redditi da lavoro dipendente. È questa l’unica vera politica da attuare.

La Uil sostiene da anni tale posizione. Ora è il Sindacato, nel suo insieme, che finalmente si fa portatore di queste rivendicazioni...

Si, credo che finalmente sia stato raggiunto un livello di consapevolezza molto diffuso sulla necessità di dare attuazione ad una politica fiscale più giusta per i lavoratori dipendenti. Non ancora tutti sono d’accordo sulla soluzione pratica da adottare ma, ormai, Cgil, Cisl e Uil, si stanno muovendo nella stessa direzione. Io credo che sul fisco dobbiamo dare battaglia così come abbiamo fatto sul welfare: bisogna spostare nel giro di poco tempo l’1% del Pil, circa 12 miliardi di euro, a favore dei redditi da lavoro dipendente. E questo lo si può ottenere aumentando le tasse sulle rendite e, lo ripeto, riducendo le tasse sugli aumenti contrattuali per un periodo limitato. Sarà un’operazione rozza ma è l’unica misura efficace. É inutile agire sulle aliquote perchè finora ciò ha prodotto solo disastri e ha favorito i falsi poveri, coloro cioè che dichiarano molto meno di quanto realmente guadagnano.

Quali saranno le azioni a sostegno di queste rivendicazioni?

Faremo una grande manifestazione nazionale a Roma nella seconda metà del mese di novembre, preceduta da 1 o 2 ore di sciopero con assemblee nei luoghi di lavoro per spiegare le ragioni di questa scelta sindacale. Una scelta di equità ma anche a favore dello sviluppo.

Facciamo un passo indietro. Nei giorni scorsi è stato necessario un supplemento di confronto con il Governo per un corretto recepimento, nel provvedimento normativo da presentare in Parlamento, di alcuni punti del Protocollo. La partita, ora, può considerarsi chiusa?

A questo punto, credo proprio di si! Abbiamo fatto un buon lavoro per rendere coerente il disegno di legge con i contenuti dell’accordo, modificando il primo testo uscito dal Consiglio dei Ministri. In quello successivo, concordato con le parti sociali, è stato ribadito il principio secondo cui l’insieme delle politiche attive dovranno favorire un tasso di sostituzione del 60%, garantendo così ai giovani d’oggi pensioni future più dignitose. E’ stato risolto, inoltre, anche il nodo delle finestre d’uscita per chi ha maturato 40 anni di lavoro.

Credo che ci sia stato anche un dato “politico” rilevante: si è restituito alle parti sociali il ruolo di soggetti contrattuali. Ora, spetta al Governo sostenere in Parlamento le ragioni dell’intesa che ha sottoscritto.

C’è chi ritiene che in Parlamento l’accordo possa essere ulteriormente migliorato. Cosa ne pensi?

Se una parte della maggioranza perseguirà l’illusione di migliorare il testo in Parlamento, sarà solo in grado di peggiorarlo. Ciò che conta è che il Protocollo sia approvato così com’è e che il Governo e la maggioranza lavorino per ottenere questo risultato.

Il 20 ottobre il Prc e il Pdci sono scesi in piazza per manifestare contro l’accordo del 23 luglio. Cosa ne pensi?

È stata una manifestazione organizzata da una forza di Governo, e mi è difficile capire se è stata “contro” o “a favore” del Governo. Realmente, mi è sfuggito l’oggetto della manifestazione dal punto di vista del merito. Io penso che fare una generica protesta contro la precarietà non risolva il problema. Per ridurre il livello di precarietà bisognerebbe rendere più conveniente per le imprese l’assunzione a tempo indeterminato e pagare di più i lavoratori precari. Ciò sarebbe un disincentivo per le aziende e l’assunzione a tempo determinato scatterebbe solo per le effettive necessità di produzione dell’azienda. Non mi è parso di vedere questa proposta tra le parole d’ordine della manifestazione del 20 ottobre. D’altro canto, mi chiedo, se la soluzione è nell’abolizione dei contratti a termine, perché chi è al Governo non si impegna per l’emanazione di una simile legge? La verità è che la buona occupazione non deriva dalla legge ma è funzione di buone politiche economiche e di investimenti.

Questa è la strada che dovrebbero percorrere i governi che hanno a cuore la radicale soluzione del problema: le altre sono tutte inutili scorciatoie.

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