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NOVEMBRE 2013

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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OTTOBRE 2013

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SOMMARIO

Il Fatto
Sviluppo, occupazione e contratti - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL
La riduzione delle tasse si è rivelata solo un patetico tentativo e non si è vista nessuna ragionevole iniziativa di politica per la crescita - di A. Passaro

Sindacale
L’Agenda da tavolo 2014 della UIL Servizi - di C. Barbagallo
Le priorità dei Trasporti - di C. Tarlazzi
Soddisfatti per firma protocollo d’intesa con Governo, Regioni e Anci - di G. Torluccio
Caf UIL: i risultati ottenuti e i programmi per il futuro. Ne parliamo con il Presidente, Giovanni Angileri - di C. Abbate
Il mosaico Italia che perde i pezzi (II) - di P. Nenci
Paisiello in bilico. A Taranto anche la cultura…(non) ha prezzo! - di G. Turi

Attualità
Ottimizzare la Pubblica Amministrazione, per la qualificazione della spesa e un’oculata scelta dei tagli. Una efficiente lotta agli sprechi - A cura del servizio politiche economiche e finanziarie e del pubblico impiego
L’Aquila… il punto della situazione a più di 4 anni dal tragico evento - di M. Lombardo
Lo shopping delle compagnie aeree del Golfo da 150 Miliardi di Dollari - di G. C. Serafini

Economia
Casa, una vera patrimoniale con tasse più che raddoppiate - di G. Paletta

Agorà
Ripensare il paradigma della mobilità per le città del terzo millennio - di S. Fortino
La metamorfosi degli italiani - di G. Salvarani

Cultura
Venere in pelliccia, di Roman Polanski - di S. Orazi

Inserto
La guerra delle tasse - di P. Nenci

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EDITORIALE

Sviluppo, occupazione e contratti

Di Antonio Foccillo

Dopo lo sciopero e le manifestazioni unitarie del 15 novembre, si continua la mobilitazione in tutte le realtà territoriali, per la ricerca di un ampio consenso sulle proposte sindacali, all’interno del paese, attraverso una distribuzione a tappeto di milioni di volantini, in modo da far conoscere ai cittadini tutte le richieste sindacali di modifica sulla legge di stabilità.La decisione di proseguire la mobilitazione è avvenuta nel recente direttivo delle tre organizzazioni Uil, Cgil, Cisl. E’ da rilevare che è un percorso che unisce le tre organizzazioni, in un’azione comune, verso un comune obiettivo. Unità d’azione, che si ritrova dopo un periodo complicato di rapporti, ma che non hanno mai degenerato completamente, al punto che adesso le tre organizzazioni si trovano accomunate da finalità che non sono formali, ma raccolgono interessi determinanti e decisivi.

E’ vero che questa unità d’azione non nasconde una differenza di strategia e di azione, che sono ancora forti, ma ciò necessariamente significa l’impossibilità di incontrarsi. Anzi il valore politico di questo momento è quello di un ritrovato spirito di approfondimento, di dibattito, di confronto su temi e finalità che coinvolgono sicuramente le responsabilità e le attenzioni di tutti noi. Certo le diverse condizioni dell’unità d’azione sindacale richiedono molto lavoro di approfondimento, per una strategia che configuri il ruolo del sindacato in un sistema sociale profondamente mutato. Si tratta, in altre parole, di delineare un fondamento di compatibilità unitarie, all’interno delle individualità organizzative, che sappia costituire nel movimento sindacale quell’indispensabile legame che unisca nei metodi e nelle regole la nuova convivenza e i nuovi rapporti fra Uil, Cgil e Cisl. E’ il miglior modo per consolidare questa nuova prospettiva unitaria non può che essere di incontrarsi su temi e scopi accumunati, come lo sviluppo, la fiscalità, l’occupazione, i contratti e cambiare profondamente le scelte della politica economica. Purtroppo, gli indicatori dell’economia italiana sono sempre negativi, nonostante le tante cure, i tanti sacrifici e le moltissime manovre imposte in questi anni. Le previsioni dell’Ocse confermano un’ulteriore contrazione del Pil italiano nel 2013.

Il dato italiano, infatti, è l’unico tra i Paesi del G7 ad essere negativo per l’anno in corso. Purtroppo, la recessione continuerà. Nella media del terzo trimestre, luglio-settembre, l’indice della produzione industriale ha registrato l’ennesimo calo. Infatti, nei primi nove mesi dell’anno la produzione industriale è scesa significativamente rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Siamo arrivati al ventunesimo calo consecutivo, anche se qualche piccolo spiraglio si comincia ad intravedere. Bisogna vedere se è un fuoco di paglia oppure no. Noi siamo sempre più convinti che il Paese abbia bisogno di uno shock perché, essendo in una fase di recessione perenne, non si intravedono sbocchi a breve. L’Italia continua a pagare l’assenza di una politica economica orientata a promuovere e sostenere la crescita, insieme allo smarrimento di una propria politica industriale. Ci vorrebbe la consapevolezza di tutti che siamo al punto di svolta e bisogna, immediatamente, agire in materia economica e fiscale con provvedimenti utili a favorire la possibile ripresa. Infine, senza indugi, bisognerebbe, come sostiene anche l’Ocse, intervenire per sostenere le imprese con la possibilità di un accesso al credito più facile e con investimenti di risorse per finanziare infrastrutture, ricerca e innovazione e garantire occupazione, aumentando salari e pensioni.

Senza aumento dei consumi, non si esce dal baratro. La leva per farlo, come sempre, è la riduzione reale della tassazione sui redditi da lavoro. Siamo al punto di svolta: bisogna, immediatamente, agire in materia economica e fiscale con provvedimenti utili per rilanciare la produzione. Non basta, come fa la legge di stabilità, enunciare che ci sarà una riduzione delle tasse sul lavoro, bisogna realizzarla significativamente. Non si può aspettare ancora. Il problema resta, comunque, la politica di austerity che l’Europa ci impone: è lì che bisogna vincere la partita modificando questa impostazione che ha prodotto moltissimi danni a tanti paesi europei. Nel mese scorso si è certificato qualche leggero aumento delle buste paga rispetto all’inflazione, ma è un dato che si determina in quanto l’inflazione è sempre più in calo.

Anche se questo dato positivo è controbilanciato dalla previsione che senza rinnovi ulteriori, nel 2014, ci sarebbe una discesa della crescita annua delle retribuzioni. Quello che emerge è che, qualche contratto, nonostante la crisi, nei settori privati si è concluso, mentre il pubblico impiego resta ancora fermo. Non è più accettabile, anche perche si continuano a proporre ulteriori tagli in questo settore, nonostante che, dal 2009, si siano già bloccati il contratto nazionale, il contratto di secondo livello ed il salario individuale. Tutto questo ci porta a dire che non si vede, ancora, la fine della fase difficile dell’intera economia.

A ciò si aggiunge una sempre più insopportabile tassazione e una continua caduta dell’occupazione. Purtroppo, si continua a perdere il treno ed anche questa legge di stabilità non raggiunge nessun obiettivo concreto di inversione di tendenza, ma è solo una riproposizione di ricette che hanno fatto il loro tempo e che sono frutto di politiche recessive. Ci vorrebbe una capacità progettuale e negoziale per coniugare il progetto con gli investimenti e modificare l’impostazione delle politiche economiche europee che tanti disastri stanno alimentando.

Lo sviluppo deve essere centrale nell’azione del sindacato in quanto è fondamentale per la ripresa economica e occupazionale. Sapendo che oggi più che ieri la crescita della domanda di lavoro non può essere lasciata al libero mercato. Si deve perseguire, invece, una equilibrata strategia economica che coniughi finalità produttiva con finalità sociale. Disegnando coerentemente uno scenario socio economico nel quale la distribuzione della produttività è regolata da criteri pluralistici e non unidirezionali. L’occupazione, dunque, è oggi lo scopo prioritario, non solo per chi non lavora, ma anche per chi è occupato, perche l’incertezza occupazionale caratterizza non solo chi non ancora è inserito nel mondo del lavoro, ma ormai accompagna anche chi già dispone di un’occupazione. Per questo diventa fondamentale realizzare le condizioni di un rilancio unitario, attraverso il quale il ruolo sociale del sindacato trovi la capacità di affermare una funzione che sia forte, proprio nella coerenza con le dimensioni di determinazione del mondo del lavoro nel Paese. Troppo gratuite sono oggi le voci che si levano a decretare la povertà e il declino del movimento sindacale, e della sua qualità rappresentativa; voci fautrici del liberismo che intende deregolarizzare l’intero sistema socio-economico. Se vogliamo che queste voci siano definitivamente ridotte al silenzio dobbiamo mostrare il pulsare vivo delle nostre capacità.

Capacità che pur attraversando le diverse difficoltà, quelle della crisi economica e della trasformazione strutturale dei modelli produttivi e sociali, hanno dimostrato, in passato, di aver tutelato e difeso, proprio, quelle fasce di lavoro più soggette agli effetti di riduzione del benessere ed equità e devono continuare a farlo.L’altro tema è quello dei rinnovi contrattuali. Ci sono categorie come quelle del Pubblico impiego e del trasporto locale che non rinnovano i contratti da anni e che non li rinnoveranno ancora per molto con questa legge di stabilità, se viene approvata così com’è. Non si possono accettare altri rinvii, perché oltre alla perdita di potere di acquisto di milioni di lavoratori, viene meno la stessa identità del sindacato di autorità salariale e negoziale. Purtroppo non si sta assistendo, internamente ed esternamente al sindacato, ad un interesse pari a quello che occasioni simili precedenti si era manifestato. Va detto che le condizioni storiche sono differenti, diversi sono le priorità.

Ugualmente non possiamo giustificare il disinteresse con l’alibi della crisi economica e dell’aumento della spesa pubblica, dobbiamo trasformare il nostro modo di coinvolgere e interessare. Occorre perciò uno sforzo di sensibilizzazione e di recupero, recuperando proprio nella contrattazione il suo essere strumento di coinvolgimento e di partecipazione dei lavoratori. Il rischio, infatti, è quello di ridurre il rapporto con i lavoratori, in quanto è nel rispetto del ruolo contrattuale dei lavoratori che si esprime prima di tutto l’esperienza quotidiana di una democrazia diretta e partecipata.

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La riduzione delle tasse si è rivelata solo un patetico tentativo e non si è vista nessuna ragionevole iniziativa di politica per la crescita. Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, la battaglia del sindacato per far cambiare la legge di stabilità ha vissuto uno dei suoi momenti più importanti nelle giornate di sciopero che si sono svolte in tutte le città italiane nel mese di novembre. Quattro ore di astensione dal lavoro con manifestazioni territoriali hanno coinvolto tutti i lavoratori. All’inizio del tuo comizio, hai citato un passaggio dell’intervento con cui Letta ha chiesto la fiducia alla Camera. Perché?

In quell’intervento il Presidente del Consiglio aveva sottolineato la necessità che al centro dell’azione di governo ci fosse il lavoro e le politiche fiscali a sostegno di lavoratori e pensionati, ma quell’impegno non è stato mantenuto. La legge di stabilità va in un’altra direzione rispetto a quella tracciata dallo stesso Esecutivo e nega tutte le indicazioni offerte in tal senso anche in occasione del passaggio parlamentare. La riduzione delle tasse si è rivelata solo un patetico tentativo e non si è vista nessuna ragionevole iniziativa di politica per la crescita. Di fronte a queste contraddizioni, lo sciopero era inevitabile.

CGIL CISL UIL e Confindustria avevano sottoscritto a settembre un accordo convenendo su alcuni importanti punti strategici per il rilancio del Paese. Anche quelle proposte sono state ignorate?

Noi avevamo fatto la nostra parte e avevamo prospettato insieme a Confindustria le linee per uscire dalla recessione, indicando scelte e soluzioni assolutamente ragionevoli e considerate tali dallo stesso Letta. Non siamo stati ascoltati, però, e il risultato è stato al di sotto delle aspettative. Persino la Commissione Europea ha sottolineato che questa legge non è in grado di garantire la stabilità e la critica ha riguardato la mancanza di provvedimenti per la crescita piuttosto che l’assenza di rigore.

Questa legge, però, ha stabilizzato il deficit per il 2013...

Sì, è vero, ma lo ha fatto attraverso manovre tradizionalissime. Il contenimento della spesa è avvenuto privando di diritti contrattuali tre milioni di lavoratori del pubblico impiego e bloccando l’indicizzazione delle pensioni. Quindi, siamo di fronte ad una politica economica che è di per sé recessiva. Peraltro, ho avuto l’impressione che con questa legge hanno provato a rendere stabile soprattutto il quadro politico, e non ci sono neanche riusciti.

Quali problemi avrebbe dovuto affrontare questa legge di stabilità?

E’ la compressione della domanda interna che rende impossibile una prospettiva di crescita dell’economia. Le esportazioni, che pure vanno ancora bene, non reggono da sole. Ci vorrebbe una redistribuzione, anche modesta, degli impieghi delle risorse pubbliche, previa riduzione della spesa improduttiva e degli sprechi. Bisogna ridurre non i costi dei servizi, ma quelli organizzativi e di funzionamento. Queste sono alcune delle cose da fare per provare a risolvere la nostra crisi.

Ma qual è la vera natura di questa crisi che sembra non avere mai termine?

Non è una crisi ciclica. Noi ci troviamo a dover fronteggiare un cambiamento profondo dell’economia italiana e della sua capacità a sopravvivere anche nei prossimi anni: è questo in discussione. A nessuno sfugge quanto si sia già disgregato dal punto di vista economico e sociale il nostro Paese.

Dopo il recente risultato elettorale, quale sarà l’atteggiamento della Germania nei nostri confronti?

Le elezioni in Germania sono già avvenute e si sono già messi d’accordo sulla politica economica da attuare in Europa. Dunque, non facciamoci illusioni: non ci saranno aiuti né allentamenti delle regole.

Insomma, non c’è altra scelta: per ottenere un cambiamento della legge di stabilità bisogna dare seguito alla mobilitazione sino all’ultimo minuto...

Sì, è così. Noi non dobbiamo arrenderci, dobbiamo proporre iniziative e mobilitazioni che rompano l’equilibrio politico che si sta cristallizzando sulla legge di stabilità. E’ nostra intenzione rendere esplicito che la maggioranza delle persone non è d’accordo con quell’impostazione. E sono contrari non solo i sindacati ma anche le imprese.

Con la Confindustria un’intesa è stata ribadita anche di recente. Su che piano è stata sancita questa “alleanza”?

Abbiamo cercato di metterci d’accordo con le imprese su un punto assolutamente ragionevole: quello della riduzione delle tasse in funzione della crescita. Noi, in particolare, abbiamo chiesto un provvedimento che preveda lo spostamento automatico delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale alla riduzione delle tasse.

...ma oltre a questa comune e fondamentale rivendicazione, il sindacato ha una sua piattaforma complessiva da sostenere...

Esatto, e dobbiamo sostenerla con una mobilitazione per spostare su quella posizione il consenso dell’opinione pubblica. Solo così potremo ottenere un cambiamento della legge di stabilità.

Dunque, la mobilitazione continua. Con forme innovative: quali sono?

Lo sciopero è sicuramente uno strumento efficace, ma limitato: dobbiamo andare oltre. Ecco perchè faremo una serie di manifestazioni a livello regionale nella giornata di sabato 14 dicembre. Realizzeremo, poi, una campagna di sensibilizzazione diffondendo milioni di volantini, tappezzando le città di manifesti ed esponendo striscioni anche negli stadi. Tutto ciò con l’obiettivo esplicito e dichiarato di spostare il consenso dell’opinione pubblica sulle nostre proposte e di raggiungere così l’obiettivo della modifica della legge di stabilità. E la nostra mobilitazione terminerà solo quando riusciremo ad ottenere questo risultato.

Letta, però, ha promesso che procederà al trasferimento automatico di risorse recuperate verso la riduzione delle tasse. Un’intesa, dunque, è ancora possibile?

Letta ha promesso quello che noi chiediamo. Tuttavia, noi non siamo nella condizione di fare intese sulla base delle aspettative. Noi vogliamo un risultato: i semplici impegni non sono una soluzione. Noi perseguiamo un risultato che sia coerente con ciò che il Governo promette: vogliamo una consistente riduzione delle tasse sul lavoro.

Si riuscirà ad ottenere questo risultato?

Secondo noi sì: vogliamo sperarlo. Nessun Esecutivo è in grado di governare contro la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. E noi siamo convinti che coaguleremo intorno alle nostre proposte la maggioranza dei consensi.  

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