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NOVEMBRE 2011

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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OTTOBRE 2011

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SOMMARIO

Editoriale
Eppure, bisogna uscirne - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL - Vanno modificate soprattutto
le misure previste sul piano previdenziale e fiscali - di A. Passaro

Attualità
Il Sistema Previdenziale, tra sostenibilità e adeguatezza. Per oggi e per domani -
di D. Proietti
Il nostro sistema previdenziale è oggi sostanzialmente sostenibile ed è più stabile
di quello di moltissimi Paesi europei - di R. Bellissima

Sindacale
“Un patto di genere per la salute e sicurezza sul lavoro” - di M. P. Mannino
La speranza riparte dai giovani con gli stivali di gomma - di P. A. Massa
Oltre l’emergenza - di G. Menis
Alenia: intesa raggiunta con i Sindacati sul Piano di Rilancio -
A cura Ufficio Stampa Alenia

Economia
Sovranità nazionale e pareggio di bilancio - di V. Russo
Alla ricerca di una via d’uscita dal labirinto di questi anni - di P. N.
Il gioco del cerino - di A. Ponti

Il Ricordo
Una testimonianza sulla figura di Bruno Visentini - di G. Benvenuto

Agorà
“Una rinnovata classe dirigente”- di S. Pasqualetto
L’attualità dei valori socialisti - di A. Carpentieri
Il web ci rende ricchi? - di G. Mele
Il Rapporto 2010 del Global financial integrità - I cacciatori di corruzione - di P. Nenci
Serve Aiuto? Chiami la polizia! Ma quale? Visto che risulta esservene 14! -
di G. Salvarani

Il Corsivo
Come faremo senza di loro? - di Prometeo Tusco

Inserto
Perché in tanti anni il famoso limite della civiltà si è mosso poco da Eboli?
L’annosa, irrisolta questione meridionale - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Eppure, bisogna uscirne

Di Antonio Foccillo

Queste riflessioni nascono da un osservatore sociale che si confronta con gli attuali fenomeni socio economici e, constatandone le inadeguatezze, a causa dei nuovi principi imposti dall’ideologia neoliberista fondata sull’economia finanziaria, che sta imponendo all’intera umanità costi enormi in termini di disoccupazione, insicurezza, infelicità, si interroga se sia possibile un futuro diverso per la nostra società, per l’Europa e per il mondo. La riflessione si fonda essenzialmente su tre punti: il primo è che deve tornare al centro di tutto la persona; il secondo è fissare regole a livello internazionali per limitare il potere della finanza e imporre una piccola tassa a questa enorme massa economica che si muove; il terzo in Europa, sono ormai essenziali un governo eletto dai cittadini, una Bce che emetta moneta, la modifica dei trattati e investimenti per lo sviluppo svincolati dalla tagliola del rapporto pil/debito. E’ troppo alto, oggi, il prezzo che intere popolazioni devono pagare per alimentare la speculazione di pochissimi gestori della finanza mondiale, che ignorano il problema della corretta allocazione delle risorse disponibili, tuttavia manovrano sul mercato globale grandi masse di denaro virtuale e, bypassando l’economia produttiva e il mondo del lavoro, si arricchiscono solo utilizzando gli strumenti speculativi che il libero mercato ha messo a loro disposizione.Tutto è iniziato con i subprime, nel 2007, ed è proseguito con gli hedge funds, fondi speculativi strutturati in modo da rimanere esclusi dall’ambito applicativo della normativa sull’intermediazione finanziaria e che agiscono sul mercato utilizzando valori assai elevati della leva finanziaria. Ciò permette ad un hedge fund di procurarsi, per compiere operazioni puramente speculative, un indebitamento finanziario mille volte superiore al suo patrimonio netto. Sono loro i grandi accusati della crisi globale, capaci di sconvolgere i mercati con un’enorme potenza finanziaria, dotati come sono di patrimoni pari e superiori a quattro volte il PIL di grandi paesi europei. Non si è mai agito per limitare la loro voracità, eppure le soluzioni ci sono. Una può essere la Tobin tax, che scatterebbe ogni volta che un’azione, un’obbligazione o un altro strumento finanziario venisse comprato o venduto, così come su ciascuna operazione valutaria. Altro strumento, per limitare la vendita allo scoperto, può essere la riduzione dei tempi di liquidazione intercorrenti fra la vendita e il regolamento dell’operazione, oppure il deposito preventivo di titoli e capitali in un conto vincolato presso l’ente preposto alla regolazione degli scambi: un deposito di capitale contro la speculazione rialzista, e un deposito di strumenti finanziari per limitare quella ribassista. L’assenza di questi strumenti di contrasto ci ha fatto assistere, in questi giorni, all’attacco della speculazione all’Italia e all’intero sistema economico europeo. Scrive Matteo Maggiore su un noto quotidiano italiano: “Gli sviluppi politici della crisi dell’euro sono estremamente preoccupanti per il futuro della democrazia in Europa. Si può dire che la crisi sia legata, più che al debito degli Stati, al deficit della sovranità in Europa (…) Quel che preoccupa è l’accento quasi esclusivo posto sul problema del debito. E’ compito dei governi gestire il debito pubblico in maniera prudente. In questo molti governi europei hanno fallito (…) Ma le nazioni non sono negozi e se il pareggio di bilancio fosse l’unico obiettivo della politica, i partiti non sarebbero gran chè utili. Al posto delle elezioni potremmo semplicemente indire i concorsi. I vincitori - con ogni probabilità tutti grandi economisti provenienti da scuole prestigiose - diventerebbero primi ministri”. Quindi in conclusione sostiene: “Se i governi possono contemplare il fallimento del debito, proprio come negozi, allora le notazioni dei fondamentali dovranno credere alle cifre giornaliere più che a qualsiasi potenziale futuro di cambiamento, crescita o solidità politica generale. Più o meno all’improvviso ci ritroviamo prigionieri di una politica a senso unico e con tempi strettissimi: nessun governo nazionale può far altro che decidere quasi esclusivamente il pareggio di bilancio, costi quel costi per i cittadini o le prospettive di crescita”. Se si va indietro nel tempo si vede che tutto comincia con lo storico smantellamento del muro di Berlino Da quel momento sono prevalsi modelli di vita scelti per pura e semplice esclusione, secondo il ragionamento che, caduto il comunismo, l’unico “mondo” in cui l’uomo può trovare la felicità resta il capitalismo. Ne è derivata l’affermazione del pensiero unico, il c.d. neoliberismo, diventato quindi un dogma, che, ignorando i fini sociali dell’azione economica, ha imposto di orientare le risorse economiche verso interessi finanziari-speculativi, invece che produttivi, per perseguire soltanto la logica della massimizzazione dei profitti. Tutto ciò ha evidenziato la divaricazione creatasi tra andamento dell’economia e i processi politico economico-sociali, che ha prodotto la concentrazione della ricchezza in un numero sempre minore di soggetti; l’aumento delle aree di povertà e l’emarginazione e, nello stesso tempo, un incremento delle attività contrarie all’utilità sociale ed una perdita di competitività dell’economia produttiva. Questo modello di capitalismo finanziario, contrario ad ogni forma di solidarismo in nome dell’individualismo competitivo, ha sferrato attacchi sempre più decisi al modello socialdemocratico europeo, fondato sullo Stato sociale. La politica da circa venti anni è debole, vassalla dell’economia, invece di pensare ad un rafforzamento dei sistemi e delle prestazioni sociali, in un momento di così grande difficoltà, si è conformata all’idea neoliberista dello Stato semplice fattore di spesa improduttiva per cancellare la sua funzione di equilibratore della coesione sociale con tagli costanti e significativi dei servizi pubblici, considerati soltanto sperpero di risorse. Quindi l’impianto delle “nuove” proposte politico-economiche si è concentrato principalmente sui tagli alla spesa pubblica senza mai valutare le ricadute sui costi sociali, in particolare alle nuove esclusioni, emarginazioni e povertà. Anzi è andato oltre affermando la necessità della privatizzazione anche di settori di tutela della dignità della persona e di beni primari quale l’acqua. L’Europa, la stessa Unione Europa attenta unicamente all’imperativo della stabilità ha depresso e deprime ogni politica di sviluppo producendo ulteriori diseguaglianze economico-sociali con le sue direttive tendenti a richiamare gli Stati aderenti al rispetto dei parametri economici dettati dalla Bce. In Europa, bisogna riproporre come centrale il problema del sociale e ridare dignità a quei principi di solidarietà, unici correttivi alle spinte egoistiche, che vedono nella povertà ed emarginazione uno scomodo fardello da occultare più che una questione da risolvere. Oggi l’Unione Europea vive un momento molto difficile, le scelte sono definite da alcuni paesi egemoni con ricadute molto disastrose per i cittadini e i lavoratori di altri stati membri, ma anche sulla sopravvivenza stessa della UE. Certamente la vicenda greca ha spinto gli stati europei a manovre finanziarie, fino a pochi anni fa inimmaginabili, che hanno sacrificato una possibile ripresa. Purtroppo le ricette UE e FMI non favoriscono lo sviluppo, infatti, tutto è precipitato e sono state rinviate le scelte strategiche di crescita economica e di sviluppo. Possiamo dire che se l’Europa continua ad avere come bussola esclusivamente il mercato, a cui conferisce la possibilità di decidere il grado di convergenza delle condizioni di lavoro e il progresso sociale, alimenterà ulteriore sfiducia, povertà e malcontento con qualche rischio per la democrazia. Poiché un secolare principio recita che una politica economica senza rappresentatività democratica è intrinsecamente tirannica, l’Europa per imporre democraticamente decisioni economiche a tutti i suoi cittadini deve avere un governo europeo democraticamente eletto da tutti, altrimenti si rischia un pericoloso “default” democratico. E’ vero che esiste già un organismo democratico quale il parlamento europeo che ha acquisito sempre nuovi poteri, ma è e resta un organo di indirizzo e non di decisione. In questo periodo mentre in Italia, a causa dell’affievolirsi del senso di solidarietà, sono venuti meno quei collanti che qualificavano la nostra comunità, in vari paesi europei nella grave situazione di crisi, sono nate contestazioni molto violente, nello stesso tempo, vi è stato un “vulnus” della democrazia, con l’aver imposto alla Grecia di cancellare il referendum sulle misure economiche, e con l’imporre ad alcuni paesi governi non eletti. Vi è quindi un trasferimento di sovranità dal popolo al mercato. Senza un chiaro richiamo ad una politica nazionale ed europea che sia partecipata democraticamente, le costrizioni provenienti da Bruxelles e da Berlino rischiano di accentuare una diminuzione della sovranità nazionale che non corrisponde al suo trasferimento a un livello soprannazionale. Noi, come gli altri paesi europei, avevamo si accettato di rinunciare alla sovranità per riconoscerla ad un’istanza sovraordinata, ma questa ipotesi non si è ancora realizzata. Senza un potere centrale forte e democraticamente legittimato le regole comuni non resistono a negoziati tra governi nazionali formalmente pari fra loro e sostanzialmente in conflitto. Non possono imporre condizioni di vita ai cittadini organismi come la Bce, il FMI e la stessa Unione Europea così com’è non ha neppure grande autorità nei loro confronti. Dobbiamo proporre un governo politico europeo; la modifica dei Trattati; la Banca Europea, non deve restare solo a guardia dell’inflazione, ma deve essere dotata della capacità di emettere moneta, favorendo così lo sviluppo, possibile, solo se gli investimenti e le spese non vengono considerati quali fattori di debito, ma fattori di sicura crescita e progresso. E’ anche vero che Francia e Germania non sono meglio collocate dell’Italia in termini di disavanzo, quindi non ci sembra che Francia e Germania che stanno assumendo il direttorio dell’Europa possano permettersi di darci lezioni, soprattutto in considerazione del fatto che mentre le banche italiane sono sostanzialmente sane, Francia e Germania debbono risanare i loro istituti bancari e ciò sicuramente inciderà ancora più profondamente sul rosso dei loro disavanzi. Intanto l’attacco all’euro costringerà molte popolazioni in Europa ad accettare una forte riduzione del Welfare State e promuoverà la vendita o la svendita dei beni di questi Paesi. L’obiettivo della speculazione promosso dai grandi poteri della finanza mondiale è, dunque, di appropriarsi di buona parte delle ricchezze degli Stati e di milioni di singole persone che vedranno modificare le proprie prospettive di vita e saranno indotti ad accettare forme di privazione della democrazia e della libertà pur di ottenere una maggiore sicurezza. Ma forse l’obiettivo di questa speculazione può essere proprio il controllo della democrazia, infatti, se dovesse essere ridimensionata l’attività del Welfare State, per il quale tutta l’Europa ha lottato per decenni, ogni persona sarebbe più assorbita dai problemi contingenti di come far studiare i propri figli, di come proteggere la salute della propria famiglia, di come sistemare la propria vita futura nella vecchiaia e, nella situazione in cui non avesse la speranza di poter risolvere i propri problemi per il venir meno di quella coesione sociale che solo i sindacati, i partiti, il senso di appartenenza alla collettività nazionale possono mantenere, non avrebbe altra via che accettare la fine dei valori della solidarietà, della fratellanza, dell’uguaglianza e anche della libertà perché sarebbe disposta a perdere in termini di democrazia pur di salvaguardare le proprie esigenze di sicurezza, così com’è accaduto ora in Grecia con la rinuncia al referendum. Per questo riteniamo che sia imprescindibile individuare, proporre e poi sperimentare una nuova forma di Società fondata su un diverso modello economico e sociale in grado di ridare un po’ di credibilità alla politica e far sì che la persona ritorni ad essere al centro di ogni azione economica, sociale e politica. Partiamo dal rimettere in discussione quel modello di sviluppo che ritiene che i costi sociali ed ambientali siano solo sperperi. Per questo la prima azione deve essere quella di riproporre una iniziativa politica a livello europeo per ripristinare condizioni di equilibrio nella gestione delle risorse a favore dell’intera collettività e non solo dei paese egemoni. Quindi contrastare le volontà egemoni di Paesi, come la Germania e la Francia, più attenti alla loro stabilità economica che a quella complessiva dell’intera Europa. Voglio infine ricordare quello che avvenuto in Islanda, poiché questa ci ha dato l’esempio di uno Stato che si riappropria della propria sovranità, contro le terapie recessive e antipopolari del FMI, della BCE, gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell’intero sistema finanziario internazionale, compiendo quella che viene definita una ‘rivoluzione silenziosa’. Gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione. Oggi l’Islanda si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Non sarà questo il modo per risolvere il problema, ma certamente non bisogna arrivare all’esasperazione dei popoli e aspettare che reagiscono in questo modo. Voglio però aggiungere un’ulteriore considerazione che si basa sulla titolarità dello Stato italiano ad esercitare la sua sovranità, atteso anche che, come diceva Carl Schmitt “Sovrano è chi decide lo stato di eccezione” e prosegue “ la normatività è impotente durante gli stati di crisi”. Nel caso attuale tale normatività è rappresentata dal FMI i cui dettami sono stati pedissequamente assunti dalla UE e che non capiamo in base a che cosa viene a certificare la correttezza delle decisioni del Parlamento italiano. In conclusione emerge la necessità che la politica ritorni a svolgere la sua funzione per una “Nuova Era”, liberandosi dalla nefasta influenza che la governa per ripartire con scelte che reintegrino il senso del bene comune in un processo di sviluppo condiviso per il bene di tutti e non di pochi.

Separatore

Vanno modificate soprattutto le misure previste sul piano previdenziale e fiscali. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL.

di Antonio Passaro

Angeletti, mentre diamo alle stampe quest’intervista, si è appena concluso l’incontro che hai avuto con Susanna Camusso e Raffaele Bonanni in merito alla manovra economica varata dal nuovo governo Monti. Cosa è venuto fuori da quello che è, sostanzialmente, il primo appuntamento tra le tre Confederazioni dopo lungo tempo?

Siamo molto preoccupati per le conseguenze che la manovra economica determina su lavoratori dipendenti e pensionati e sulle prospettive di sviluppo del Paese. Per questo motivo abbiamo chiesto, insieme, un incontro al governo Monti per affrontare i problemi derivanti dalla manovra e per ottenere i necessari cambiamenti. Inoltre, per sollecitare la presentazione di emendamenti nella fase della discussione parlamentare abbiamo chiesto un confronto anche con tutti i partiti.

Intanto, sempre mentre scriviamo, le tre Organizzazioni sindacali si apprestano a presentare emendamenti comuni nel corso dell’audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Avete già pensato anche a forme di protesta o mobilitazione comuni?

Certamente. A sostegno di queste rivendicazioni e di questo percorso abbiamo proclamato, per la giornata di lunedì 12 dicembre 3 ore di sciopero, con presidi davanti a tutte le Prefetture d’Italia. A Roma, organizzeremo presidi permanenti davanti alla Camera dei Deputati e al Senato, fino alla conclusione dell’iter parlamentare previsto per la manovra.

Cgil, Cisl e Uil, quindi, sembrano aver ritrovato una comunanza di obiettivi. È così? Pensi che la nuova situazione politica stia favorendo le sinergie con Cgil e Cisl?

I rapporti tra Cgil Cisl e Uil si sono incrinati in merito alle vicende contrattuali. I contrasti veri sono sorti in relazione agli accordi sul nuovo modello contrattuale e ad alcune importanti intese aziendali. E’ su questo terreno che si dovrebbero ricucire gli strappi più rilevanti, perché il ruolo istituzionale del sindacato, sancito anche dalla legge e dalla Costituzione, è proprio quello di contrattare. E a noi sembra che non tutta la Cgil sia attenta a questo particolare. Noi siamo disposti a discutere con gli altri sindacati se ci sono iniziative comuni e obiettivi da raggiungere insieme. Il Sindacato, tutto, deve contribuire al rilancio di questo Paese. Ciò che rivendichiamo è esattamente questo. Per qual che riguarda i rapporti con il Governo, noi, ci comporteremo come sempre: lo giudicheremo dai fatti. E quali sono per noi i fatti, credo sia ormai chiaro a tutti.

Entrando nello specifico, quali sono i provvedimenti della manovra economica del Governo Monti che preoccupano maggiormente la Uil?

La manovra del Governo era stata progettata e presentata al Parlamento e al Paese con tre parole d’ordine: rigore, crescita e equità. Di fatto, la manovra corrisponde solo in parte a questi tre obiettivi. La situazione è difficile ma conciliare il pareggio di bilancio nel 2013 con la crescita e, soprattutto, con l’equità non è impossibile. A preoccupare sono soprattutto le misure previste sul piano previdenziale e fiscale. Ad esempio, la manovra varata introduce nel sistema previdenziale una doppia penalizzazione, che si tradurrà per molte persone in un allungamento dell’età pensionabile e una riduzione della prestazione previdenziale. Per la Uil è il massimo del danno che si potesse fare su questo terreno. Un terzo della manovra preleva risorse dal sistema previdenziale. Sono, dunque, misure introdotte esclusivamente per fare cassa.

Oltre alle misure inique sulla previdenza avevi accennato anche al tema del fisco. Cosa ci dici a tal riguardo?

In Italia, il sistema fiscale rappresenta una delle più grandi storture della storia del nostro Paese e da esso dipendono tutte le difficoltà in termini di occupazione e di bassa crescita. La ricchezza in Italia è concentrata nelle mani di pochi ed è mal distribuita. Ciò contribuisce in maniera rilevante a contrarre i consumi interni. Per queste ragioni, con le misure previste nella manovra, l’economia del Paese potrebbe incorrere in un serio problema di sostenibilità. Attualmente le aziende italiane hanno sopperito a un’evidente contrazione della domanda interna, avutasi negli ultimi anni, attraverso le esportazioni. Ma cosa succederà quando queste non saranno più sufficienti a causa delle difficoltà economiche internazionali? Misure come l’aumento dell’Iva, l’introduzione dell’Ici sulla prima casa o l’innalzamento delle tasse - che graveranno quasi esclusivamente su lavoratori dipendenti e pensionati - previste dalla manovra, avranno un effetto recessivo, perché porteranno inevitabilmente a una riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione.

La manovra contiene anche provvedimenti per la crescita. Quali sono le tue considerazioni in merito? Tutto ciò che è stato previsto per incentivare la crescita dell’economia italiana è a favore delle banche e delle grandi imprese. Per le banche, ad esempio è stata prevista una garanzia dello Stato sulle passività. Per le imprese sgravi sull’Irap. Non siamo contrari a queste norme, ma, come dicevo poc’anzi, queste misure non sono eque perché nella manovra non sono previsti provvedimenti per la riduzione del cuneo fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati.

Un altro cavallo di battaglia della Uil, oltre alla riduzione delle tasse per lavoratori dipendenti e pensioni, è quello che riguarda la riduzione dei costi della politica. Qualche segnale è forse già presente nella manovra, ma non risulta sufficiente.

Sul taglio dei costi della politica, diretti e indiretti, c’è ancora molto da fare. Le misure annunciate dal Governo sono solo un primo segnale in tal senso. Con la stessa determinazione con la quale si è deciso di mettere mano al sistema previdenziale per fare cassa, si sarebbe potuto agire anche sulla riduzione dei costi della politica, ben al di là di qualsiasi atto simbolico, come ad esempio l’annunciato taglio dei vitalizi per i parlamentari. È necessario abbattere gli sprechi della macchina statale se vogliamo uno Stato più efficiente. Senza contare che dai tagli degli sprechi si potrebbero ricavare risorse utili, ad esempio, a rendere strutturale la detassazione della tredicesima. In questo modo si sarebbe dato, quantomeno, un vero segno di equità.

Angeletti, in conclusione, occorre una seria correzione della politica economica, anche in relazione alle difficoltà dell’euro e dell’economia europea. E’ così?

Il nostro Paese sta vivendo una delle fasi più complesse della sua storia, decisamente influenzata da una crisi economica che ha investito l’Europa, nel suo insieme, e le cui cause hanno una matrice finanziaria mondiale. L’evoluzione del quadro politico risente, dunque, di questa particolare condizione. Viviamo immersi in una dimensione europea che continua ad avere elementi di contraddizione, sfruttati appieno da una speculazione finanziaria, attenta esclusivamente ai propri interessi. In questa vicenda, la Banca Centrale Europea potrebbe svolgere un ruolo decisivo che, tuttavia, le viene impedito dalla mancata convergenza di opinioni degli stati membri dell’Unione. E’ in questo contesto che si colloca la manovra finanziaria. Noi vorremmo salvare l’Italia e gli italiani non solo per le prossime settimane, ma per gli anni a venire e le iniziative che abbiamo messo in campo vanno proprio lungo questa direzione. Non ci rassegniamo all’idea di un declino inevitabile.

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