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NOVEMBRE 2009

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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OTTOBRE 2009

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SOMMARIO

Il Fatto
Valori antichi e valori moderni. Il sindacato del futuro - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segr. Generale UIL. Garantire l’occupazione e aumentare
il potere d’acquisto dei salari - di A. Passaro

Sindacale
Conferenza mondiale delle donne - di N. Nisi
Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici - di T. Regazzi
E’ ora di chiudere il contratto della sanità privata - di G. Torluccio
La Uil: la nostra storia. Identità e politica - di L. Marasco
Il nuovo portale web Ital - Uil - Intervista ad Andrea Virgili, direttore generale Ital-Uil -
di A. Carpentieri

Economia
Acqua, fra diritto e mercato. Modelli di democrazia e privatizzazioni - di G. Paletta
10 domande sull’IRAP e altrettante risposte - di A. Ponti
Prosolidar: quando la solidarietà si realizza attraverso il contratto collettivo -
di M. Sacchettoni

Società
Cento giorni all’inizio dei Giochi Paralimpici Invernali di Vancouver 2010 - di L. Pancalli

Il Corsivo
Fenomenologia del potere politico - di P. Tusco

Agorà
Venti anni dopo il crollo del muro di Berlino - di M. Ballistreri
C’era una volta… la lotta di classe - di C. Benevento
“Uniti si vince” - La svolta di civiltà del 1969 - di P. Nenci
Presentazione del libro: “1989 - 2009 I mutanti - Perché i postcomunisti hanno rifiutato
l’opzione socialdemocratica” - A cura dell’Ist. di Studi Sindacali

Il Ricordo
Giovanni Gatti a 5 anni dalla scomparsa - di G. Salvarani

Cultura
Dopo il festival del film e Baaria e il grande sogno - di L. Gemini
Leggere è rileggere - Georges Bernanos: Diario di un parroco di campagna - di G. Balella

Inserto
Una montagna di parole. Una babelica confusione - di P. Nenci

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EDITORIALE

Valori antichi e valori moderni. Il sindacato del futuro

Di Antonio Foccillo

“Il sindacato deve trovare la sua dimensione di soggetto politico per il rafforzamento della democrazia e la modernizzazione economica del Paese visti, non tanto quanto valori in sé, quanto come la condizione preliminare perché i lavoratori possano proseguire il cammino verso la completa emancipazione.” Tale assunto era la dottrina ufficiale della socialdemocrazia e fu ribadita da Turati nel gennaio 1894 ai primi vagiti del socialismo italiano.La violenza rivoluzionaria era dichiarata incompatibile con l’essenza vera del socialismo. Ciò che contava era il moto lento, ma sicuro, del proletariato verso l’emancipazione economica e politica, attraverso la conquista democratica del consenso e lo sviluppo. Nel 1906 il dibattito socialista propose, per la prima volta, anche la trasformazione del sindacato di mestiere in sindacato d’industria, in quanto la ristrutturazione interessava molti settori. Questioni nuove si affacciavano, non solo interne sul piano dell’organizzazione del lavoro, ma anche esterne sul piano della concentrazione dell’impresa. Il controllo del mercato del lavoro e del collocamento diveniva essenziale proprio per rafforzare il ruolo del sindacato dentro e fuori della fabbrica. La formazione di una moderna legislazione del lavoro, la creazione di organismi giurisprudenziali, la definizione della medicina del lavoro, il perseguimento di una legislazione sociale e di tutela, la lotta contro la disoccupazione e per il controllo del mercato del lavoro, la politica di intervento sulle condizioni di vita delle masse popolari (carovita, alloggi popolari, ecc.) spingevano verso un sindacato nazionale.Nei settori dell’istruzione, della salute, dell’igiene, della giustizia, dei trasporti e dei servizi essenziali, il riformismo socialista si faceva paladino non solo della difesa degli interessi di categoria in nome della valorizzazione della professionalità, ma anche della riforma dei servizi in relazioni alle nuove funzioni di uno stato moderno e democratico. Questi valori di allora prefiguravano già l’azione del partito socialista e del sindacalismo riformista, ma sono ancora attuali e possono essere tranquillamente riproposti alla discussione di oggi. Continuando l’evoluzione della nostra storia che, per celebrare i 60 anni, pubblicheremo anche con un saggio a puntate: il primo governo di centrosinistra fu un fermento di grandi innovazioni e di tutele che cambiarono profondamente il nostro Paese: dalla nazionalizzazione dell’energia alla partecipazione dei lavoratori alle riforme; dallo Statuto dei lavoratori al decentramento con l’istituzione delle regioni; dalla riforma sanitaria, previdenziale e dell’assistenza alla riforma della scuola media. Successivamente, in particolare negli anni ‘80, periodo questo che andrebbe rivalutato nel nostro Paese, proprio per il grado di proposte elaborate e praticate, la Uil, i socialisti della Cgil e la Cisl hanno contribuito a rinnovare la politica dalla contestazione del concetto gramsciano di egemonia al problema del nesso fra pluralismo economico e pluralismo politico; dalla partecipazione vista come strumento di democrazia nelle fabbriche al superamento della presunta antitesi fra valori laici e riformisti dai liberali; dalla democrazia interna del sindacato e la sua autonomia dai partiti alla valorizzazione del concetto di società conflittuale, aperta, contro il concetto di società consociativa e con il riconoscimento pieno degli aspetti positivi del mercato e dell’iniziativa imprenditoriale. Altra significativa fase di innovazione è stata quella del decreto di San Valentino, quando per la prima volta è stato posto il problema di contenere l’incremento salariale e rinunciare a punti di contingenza per tenere bassa l’inflazione. Per il sindacato quel periodo, per i riflessi sul piano delle relazioni industriali e della partecipazione alla politica economica, è stato il momento più vivo, tanto da avviare concretamente la stagione della “politica dei redditi” e quella stessa cultura ha prodotto la politica della concertazione, attraverso gli accordi del ’92, del ’93 e del ’98 e poi negli anni 2000. E’ stato un chiaro esempio di politica riformista e di sindacato partecipativo. Abbiamo sconfitto sia il conflittualismo sindacale e sia l’opposizione estremistica della sinistra che aveva organizzato proteste nel Paese e nei luoghi di lavoro, promuovendo addirittura un referendum. Per la verità quel conflitto e l’esito del referendum hanno segnato la sconfitta del massimalismo politico e sindacale, considerato da parte dell’opinione pubblica una posizione nettamente conservatrice in grado di difendere soltanto l’esistente. Quello scontro ha avviato la riflessione nel sindacato, creando poi i presupposti per una diversa gestione della politica e dell’economia nel Paese, quale modello per creare condizioni di reale sviluppo economico, produttivo e occupazionale. Oggi, il problema che si pone è come ricreare un filo rosso che leghi l’esperienza sindacale confederale con le forze politiche che tentano di rinnovare quei valori della tradizione laica e riformista che sono stati patrimonio di tante azioni sindacali e politiche. So bene che vi sono molte riserve ed anche qualche distinguo fra di noi, su come mantenere un rapporto e con chi mantenerlo all’interno dello schieramento politico. Forse non soddisfa tutti, ma è l’unico modo, in questo momento, per cominciare a lavorare affrontando, viceversa, i temi che interessano i cittadini e i lavoratori di questo Paese. A partire da quelli del ripristino di una rappresentanza politica e sociale che abbia i connotati della piena partecipazione, del pluralismo del pensiero, e, del diritto alla costruzione di una società più rappresentativa di tutte le realtà. Subito dopo bisogna rivendicare spazi istituzionali di partecipazione non solo nel Parlamento, ma nell’intera società per ridare consapevolezza ai cittadini che la politica, non può essere il prevalere di una fazione sull’altra, ma la mediazione fra diversi interessi. La competizione nella dialettica è essenziale se si vuole ricominciare a creare condizioni in cui tutti si sentano rappresentati e possano esternare la loro volontà. Infine, sul piano sociale ed economico ancora tanto vi è da fare in un Paese, che negli ultimi anni, è stato negli ultimi posti nella graduatoria di crescita. Bisogna lanciare, in stretto rapporto con il mondo del lavoro, un piano di sviluppo che punti alla trasformazione e alla modernizzazione infrastrutturale, agli incentivi all’occupazione per piccole e medie imprese, ad un abbassamento della pressione fiscale, ad un piano reale di investimenti in formazione, alta formazione e ricerca. Solo ciò può rilanciare il processo di occupazione e ridistribuire la ricchezza in modo più equo e garantito. Il sindacato, ed in particolare la UIL, deve ribadire il ruolo che vuole avere in una società profondamente cambiata e conseguentemente riconfermare la necessità di uno spazio reale per un impegno sindacale, essendosi modificata l’articolazione sociale, la composizione dei lavori e del mercato del lavoro che hanno trasformato esigenze e bisogni della gente. Occorre insieme, ricreare presupposti per parlare alla gente, smuovere apatie, far diventare sogni realtà, altrimenti ognuno di noi si chiuderà in se stesso e non riuscirà a rappresentare la società e le sue articolazioni. L’azione di un’organizzazione sociale si misura sul campo, sulla capacità di consenso che riesce ad aggregare, sulla mobilitazione dei lavoratori, su una spinta ideale che costituisca il cemento stesso della militanza e non sugli steccati che si vorrebbero costruire a tavolino. Non si può chiedere al sindacato in una fase di recessione economica o di ridimensionamento del potere politico, come è avvenuto in questi ultimi anni, di farsi carico dei problemi economici e del paese e poi, quando ritorna la politica o si sviluppa l’economia, lo si vuole ricondurre all’angolo. Bisogna, invece, impegnarlo per contribuire alla redistribuzione della ricchezza prodotta, intervenendo sul fisco per rendere i salari e le pensioni in grado di salvaguardare veramente il potere d’acquisto delle famiglie. Oggi, anche alla luce degli ultimi dati forniti dagli istituti di ricerca, si ripropone la necessità di riconsiderare la politica salariale, perché solo pagando meglio e puntando sulla valorizzazione della professionalità si può poi chiedere migliori servizi, più efficienti e più funzionali. Ricostruire uno stato sociale, in grado di soddisfare soprattutto i più deboli, riformandolo in modo che almeno i diritti minimi siano garantiti da un’amministrazione efficiente. Riaffermare un senso di solidarietà e non di divisione fra le diverse generazioni, dove le nuove abbiano riconoscenza per il livello di vita che è stato loro consegnato. Ricreare condizioni in cui il lavoro non sia sopruso, ma sia garantito in modo da far emergere una nuova stagione di tutele. Si tratta di un percorso di innovazione, anche culturale, per evitare appiattimenti e confusioni di ruoli e soprattutto per ridare lo spazio necessario ad uno strumento di partecipazione e democrazia pluralista e partecipata quale il sindacato è.

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Garantire l’occupazione e aumentare il potere d’acquisto dei salari. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Angeletti, nelle scorse settimane il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha affermato che sarebbe una follia chiudere lo stabilimento di Termini Imerese. Cosa ne pensi?

In Sicilia, così come nel resto del Paese, non c’è bisogno di chiudere gli impianti del gruppo Fiat. In Italia si produce meno della metà delle auto che vengono vendute. Non abbiamo problemi di sovracapacità produttiva, ma al contrario, di sottocapacità. Questo ci rende un Paese unico in Europa.

Per quanto attiene invece agli aiuti statali? Sempre il Ministro Scajola ha sottolineato che gli interventi al settore automobilistico saranno inferiori rispetto a quelli erogati nel 2009...

Quanto agli incentivi la Uil non ha nessuna obiezione. Noi pensiamo che questi aiuti non siano soldi buttati. Anzi, più auto vengono immatricolate e conseguentemente più denaro incassano le casse dello Stato. Tuttavia, credo che gli incentivi debbano esser legati al mantenimento della produzione in Italia.

Nei giorni scorsi i lavoratori dell’Alcoa hanno manifestato nella capitale. L’azienda sarda di Portovesme avrebbe minacciato di chiudere lo stabilimento a causa della richiesta dell’Unione europea di restituire quasi 300 milioni di euro dati dallo Stato per tariffe energetiche agevolate: un aiuto considerato illegittimo. E i lavoratori dovrebbero pagare questo conto?

Quel che non ci convince della vicenda Alcoa è che la Commissione europea ha usato due pesi e due misure: ci sono altre situazioni in giro per l’Europa che non hanno avuto la stessa attenzione. Tuttavia – sono d’accordo - è altrettanto inaccettabile che quella decisione diventi, ora, un pretesto usato dall’Azienda per mettere in campo un piano di dismissioni. 

Dunque, qual è la tua opinione sul futuro dell’azienda e come si può intervenire per trovare una rapida soluzione?

Innanzitutto noi crediamo che l’attività debba proseguire e l’occupazione debba essere tutelata. Se la decisione della Commissione dovesse essere applicata, il costo dell’energia per quella realtà industriale rischierebbe di essere insostenibile. Ecco perché chiediamo al governo di mettere in atto soluzioni alternative, capaci comunque di garantire un prezzo dell’energia paragonabile a quello degli altri paesi europei.  

Passiamo ora al comparto del pubblico impiego. Nei giorni scorsi la Uil, insieme alle categorie della pubblica amministrazione e della scuola, ha avviato le procedure per giungere, in assenza di una definizione dei contratti, allo sciopero generale dei due comparti. Cosa vi aspettate?

Al momento non abbiamo ricevuto nessuna convocazione da parte del Governo. Abbiamo inviato una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e ai ministri dell’Economia Giulio Tremonti, dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, e della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta per chiedere l’avvio dei tavoli negoziali. Il governo ha firmato l’accordo del 22 gennaio sulla riforma del sistema contrattuale anche nella sua qualità di datore di lavoro del pubblico impiego. Ci aspettiamo, dunque, che dia seguito a quell’intesa avviando le trattative per i rinnovi dei contratti della scuola e degli statali. Se ciò non dovesse accadere, se il tavolo non fosse convocato, le procedure avviate avrebbero un solo approdo già segnato nel percorso: lo sciopero generale del settore per il prossimo 21 dicembre. Abbiamo chiesto, infine, agli Enti locali di firmare anch’essi la riforma del sistema contrattuale. Una tale lacuna va colmata al più presto per consentire anche ai lavoratori di questo settore, così vasto e così diffuso sul territorio nazionale, di rinnovare i contratti con le nuove regole.   

Angeletti, anche nel pubblico impiego emergono posizioni disomogenee tra le tre grandi Confederazioni. Sono in molti, tuttavia, a chiedersi se ci siano delle prospettive di unità sindacale o se invece tutto ciò sia realmente solo un ricordo….

I fili dell’unità sindacale non potranno essere riannodati fino a quando la Cgil non riconoscerà la validità della riforma del modello contrattuale. Solo allora potremo valutare l’avvio di un nuovo corso unitario. Sono convinto, tuttavia, che, nei prossimi mesi, sia ancora possibile trovare dei punti d’accordo e percorsi comuni su singole specifiche questioni.  

Cambiamo argomento. I numeri di novembre hanno iniziato a delineare un quadro relativamente positivo per l’economia e la ripresa sembra essere alle porte.  Tuttavia, a dispetto delle cifre e delle statistiche, l’occupazione continua a soffrire la crisi economica. Il peggio è davvero passato?

Il peggio della crisi sembra effettivamente essere alle spalle, ma sono ancora tanti i lavoratori in cassa integrazione ed il timore ora è che le imprese approfittino della situazione per trasformare la cassa integrazione in licenziamenti. Senza un’adeguata politica che incentivi gli  investimenti rischiamo di andare incontro ad un periodo nero, con migliaia di disoccupati. E’ chiaro che, per la Uil, potrà parlarsi di miglioramento e di crisi superata solo quando il negativo trend occupazionale si sarà significativamente invertito.    

Resta poi ancora da attivare la leva fiscale per far ripartire i consumi e far crescere la domanda interna. La Uil ha in programma un’iniziativa nazionale proprio sul tema del fisco. Quali sono gli obiettivi?

La produzione industriale tornerà realmente a crescere quando gli italiani torneranno a fare acquisti. Ciò sarà possibile solo se, finalmente, i salari dei lavoratori dipendenti ricominceranno a crescere. Non sono i numeri a segnare il passo dell’uscita dalla crisi, ma il sostegno alla domanda  interna, e non ci potrà mai essere alcun reale segno di ripresa, se non sarà attivata la leva fiscale. Bisogna ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati. La nostra battaglia deve essere quella per un nuovo sistema fiscale più equo e più efficace.

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