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MARZO 2016

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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FEBBRAIO 2016

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SOMMARIO

Il Fatto
- Nuovo mantra: in nome della governance si restringono gli spazi democratici - di A. Foccillo
Ci sono, oggi, le condizioni per tornare a un Sindacato unitario e partecipativo - Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
- Contratti pubblici: questo Governo non vuole sanare un diritto leso - di G. Zignani
- Come recuperare il gap di produttività e di innovazione dell’Italia - di I. Ippoliti

8 marzo
- La trasversalità delle donne: un’arma vincente e da valorizzare - di T. Bocchi
- Abbattere le pareti di cristallo! - della Confederazione Europea dei sindacati
- Quest’anno ricorre l’anniversario dei 70 anni del diritto al voto delle donne - di M. P. Mannino
- L’8 marzo. A che punto siamo? - di A. Menelao
- Il significato dell’8 marzo - di E. Mammucari e R. Sette
- Lottare affinché altre donne possano vedere estese e riconosciute prerogative ad oggi loro escluse - di C. Grisanzio
- Non dimenticare le donne - di V. Andriano
- Un futuro senza precarietà e discriminazioni - di T. Cianciotta
- 8 marzo in Umbria - A. Girolamini
- Volare alto non come le foglie… …ma come il volo degli uccelli - di S. Scuderi
- Il lavoro femminile è caratterizzato - di L. Senesi
- Quest’anno si celebrano i 70 anni dal primo voto femminile - di G. Zignani

Attualità
- L’esigenza di un sistema inclusivo delle relazioni sindacali - di A. Fortuna

Economia
- Occasioni per una nuova crisi - di G. Paletta
- Benvenuto-Firenze 26 - 30 Novembre 1985 - di P. Saija

Agorà
- La riforma elettorale - di P. Scozzi
- Sostegno alla genitorialità: - di V. Verduni

La nostra storia
- L’Istituto di Studi Sindacali si intesta il nome di Italo Viglianesi - di P. Saija

Inserto
- L’Italia. Più che una penisola un intricato arcipelago - di P. Nenci

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EDITORIALE

Nuovo mantra: in nome della governance si restringono gli spazi democratici

di Antonio Foccillo

Lo spettacolo che stanno dando i partiti con le candidature a sindaco ancora una volta allontanano i cittadini dalla politica.

Ormai così si dimostra il declino della partecipazione democratica e soprattutto l’appropriazione di ogni spazio democratico da parte di alcune persone che non hanno nessuna forma di rappresentanza ma guardano solo al momento elettorale per rafforzare il loro potere.

Tutto questo spesso è chiamato, come un nuovo mantra: governace.

La «governance» è stata, in passato, solennemente celebrata per delegittimare e soffocare il conflitto sociale in quanto versione tecnicamente efficiente e socialmente aperta di una pretesa «partecipazione democratica», ma soprattutto perché priva di quegli elementi caotici tipici degli esercizi di democrazia non riassorbiti nella rappresentanza.

Tuttavia le caratteristiche della «governance», termine alquanto variabile nei suoi significati, si sono rivelate, a seguito della crisi in atto, ben diverse dalle promesse.

Innanzitutto si è rivelata falsa la esaltazione della capacità della «governance» di aderire, in contrapposizione alla natura centralistica dello Stato, alla complessità delle società contemporanee conferendo poteri sempre maggiori a regioni, province, comuni, municipi con una loro capillare articolazione sul territorio.

Però alla fine sono state abolite le province, è stata ridimensionata la capacità di azione delle regioni, sono stati accorpati i municipi e il tutto viene sottoposto a un rigido controllo non dal basso, ma dall’alto.

Per di più questo fenomeno di accentramento si estende oltre le sedi politico-istituzionali perché si abolisce, si accorpa e si concentra tutto quanto è possibile e, dove non è possibile accorpare, si istituiscono agenzie centralistiche di valutazione e di controllo attraverso le quali una burocrazia tecnocratica, spesso fuori dal mondo, detta le regole che costano posti di lavoro, riduzione dei diritti e dei servizi e spesso regressione culturale.

Insomma il liberismo finanziario, secondo la prassi dei regimi ex comunisti, sta attuando la vecchia idea di pianificazione, ma questa volta al servizio dei «mercati».

Sempre in nome della governance, sono state aperte agli imprenditori le porte del governo delle università, ridisegnate, spesso, a loro uso e consumo le dinamiche della formazione per favorire la connessione tra pubblico e privato e al fine di risolverne l’antagonismo e sviluppare una straordinaria cooperazione a favore dell’innovazione e dello sviluppo; inoltre si è puntato sulla sanità privata ed è stata sovvenzionata la scuola non statale.

Insomma è stato promosso - in nome di una inesistente concorrenza - il pragmatismo «efficiente» dell’interesse privato nella gestione dei servizi pubblici, dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti, alla gestione delle reti idriche.

I risultati di questa messa in opera della «governance» sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dallo stato in cui versano la scuola e l’università, all’erosione di redditi e dei diritti sociali e politici per finire col sistema sanitario nazionale, che le politiche di rigore – come ebbe a dire Monti poco tempo prima di dimettersi – lasciavano prevederne la non sostenibilità delle prestazioni finora erogate.

1) La «governance» prevedeva anche il coinvolgimento delle associazioni e delle comunità nella gestione del territorio e delle politiche sociali, aspettativa poi smentita dai tagli di risorse e dalle normative dirigiste che si sono abbattute su diversi soggetti della cosiddetta «società civile».

Possiamo quindi dedurre che la «governance» è stato e continua ad essere solo un processo politico volto a conservare i rapporti di forze e le gerarchie sociali esistenti.

Essa a volte favorisce la corruzione come strumento di governo, infatti, nelle istituzioni decentrate troviamo la soddisfazione degli appetiti delle clientele e le paradossali ruberie dei rappresentanti politici, l’intreccio sempre più spregiudicato di politica e affari, i sistematici rapporti di scambio con le reti di potere confessionali e non. Rappresenta anche il modo col quale il potere ha cercato di liberarsi del dispendioso sottobosco incaricato di comprare, tra promesse e favori, il consenso popolare. La parola è passata ad «governi tecnici», che hanno usato lo spread come legge per moltiplicare ed ampliare la propria sfera di azione. Ed il fenomeno non è solo italiano perché tutta l’Europa si è dotata di una governance di natura essenzialmente finanziaria, il cui interlocutore principale è la rendita e la cui missione è conservare e riprodurre gli attuali rapporti di forza tra i soggetti sociali così come tra gli stati.

Questa governance sospinge gli stati membri a rendersi efficaci articolazioni degli imperativi liberisti, eliminando tutto ciò che li ostacola.

La governante insomma malleva l’assunzione di vesti dirigistiche. A titolo di esempio si evidenzia la richiesta tedesca di istituire un super commissario all’euro con il potere di bocciare o promuovere i bilanci nazionali. In tal modo la «governance» si fa «governo», non certo governo politico di cui si invoca retoricamente la necessità di una legittimazione democratica, ma «governo tecnico», che altro non è se non il governo delle oligarchie.

Questa centralizzazione tecnocratica del potere, destinata a sfociare in un dispotismo tutt’altro che illuminato, usa il terrorismo finanziario per giustificare il suo insediamento non elettivo al governo e di fatto comprime ogni forma di democrazia e partecipazione politica. Con questo alcuni politici pensano di poter attirare quella imprenditorialità che da noi cerca di sfuggire alla propria mediocrità imprenditoriale buttandosi in politica. Il presupposto della democrazia liberale moderna, cioè il principio della rappresentanza sembra essere ormai superato poiché, nel mondo globalizzato, appare più adeguato un sistema di democrazia diretta che le moderne tecnologie elettroniche e di telecomunicazioni potrebbero consentire in nuove forme.

I discorsi sulla frantumazione della materia giuridica e sulla post-modernità giuridica tendono a dimostrare che oramai il diritto non è più il luogo della giustizia sociale capace di opporsi o di regolare le logiche della razionalità economica e della tecno-scienza.

Nelle società odierne è evidente come il liberalismo non sia affatto sinonimo di democrazia, anche se le origini dei sistemi rappresentativi nascono da concezioni liberali che esprimevano lo sviluppo e la maturazione delle società mercantili e delle condizioni oggettive per il sorgere del capitalismo.

La complessità del sociale e la frammentarietà della esperienza, anche politica, generano una esigenza collettiva di soluzioni giuridiche, norme e criteri per la condotta, a cui non risponde la cultura giuridica perché non riesce a cogliere più la realtà e si inserisce, quindi, come parte della crisi profonda della capacità della società, della sua sfera pubblica, non più all’altezza di assumersi la responsabilità di dare significati agli eventi e di conseguenza di affrontare le questioni.

Tutto ciò testimonia una drammatica generale inadeguatezza di deliberare sui fatti, di dare senso collettivamente e razionalmente alle cose.

La logica dei tagli imperversa come unico orizzonte possibile del nostro presente - dice Nello Preterossi docente di Filosofia del diritto e Storia delle dottrine politiche all’Università di Salerno - Domina ormai anche il dibattito sulla crisi della rappresentanza democratica e sulla necessaria rigenerazione della politica in Italia.

Le uniche ricette che sembrano prevalere nella discussione pubblica sono tutte declinate nel senso della contrazione dello spazio della politica.

Come se il vero problema oggi non fosse il radicale squilibrio di potere tra finanza e democrazia, decisioni imposte in virtù di uno stato di necessità economico interpretato come legge naturale e autonoma progettualità politica fondata su un’effettiva legittimazione democratica.

Le soluzioni secondo gli umori dell’opinione pubblica, sarebbero l’eliminazione o la drastica riduzione del finanziamento pubblico dei partiti, il taglio dei parlamentari, il rafforzamento del vertice dell’Esecutivo a scapito del Parlamento ecc.

Ma la soluzione non consiste nel ridurre lo spazio e il ruolo della politica, al contrario sarebbe necessario rilanciarne la funzione irrinunciabile di mediazione e orientamento collettivo.

Di fronte al tentativo in atto di privatizzare e comprimere i soggetti della democrazia, bisogna reagire per ricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione.

Ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nella decivilizzazione.

Noi riteniamo che il progresso della nostra civiltà, altamente tecnicizzata, deve permettere all’umanità non solo il godimento delle sue conquiste economiche, che si vanno concentrando velocemente nelle mani di pochi ricchi, ma soprattutto non deve impedire che anche le conquiste politiche e sociali progrediscano come quelle tecniche ed economiche.

In questa situazione un “nuovo” ruolo può svolgerlo proprio il sindacato, rimasto uno dei pochi strumenti ancora democratici, riaffermando il diritto alla partecipazione democratica e rafforzando la sua strategia, facendolo diventare soggetto di rappresentanza di una nuova forma partecipativa per una società che ripristini valori e ideali per garantire a tutti i cittadini ed ai lavoratori nuovi diritti di cittadinanza e nel lavoro.

___________

1) Monti: ‘’Il Sistema sanitario è insostenibile’’ - Il premier: “Potrebbe non essere garantito senza nuovi finanziamenti”.

“Il Servizio sanitario nazionale è a rischio”. è l’allarme lanciato dal presidente del Consiglio Mario Monti, all’inaugurazione di un centro biomedico della fondazione Ri.Med a Palermo. In collegamento telefonico, il premier ha detto che “il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento”.

Una notizia ancor più allarmante se si considera che nel 2013 entreranno in vigore nuovi tagli alla sanità e che molti pronto soccorso nelle grandi città sono a rischio. Le parole di Monti sono state davvero pessimiste: “Non sono tante le occasioni per me e per i ministri per guardare l’oggi con conforto e il domani con grande speranza. Il momento è difficile la crisi ha colpito tutti e ha ci ha impartito lezioni.

E il comparto medico non è stato esente né immune dalla crisi.

“Il governo è però un vostro alleato prezioso.

L’obiettivo adesso è quello di rivedere la luce dopo una fase in cui abbiamo rischiato di essere travolti dalla crisi finanziaria.

Bisogna al più presto andare in avanti verso la costruzione del proprio futuro, che non è scindibile dal futuro della comunità internazionale”.

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Ci sono, oggi, le condizioni per tornare a un Sindacato unitario e partecipativo. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, ancora una volta siamo costretti ad aprire questa nostra chiacchierata mensile riflettendo su un’altra tragedia causata dalla follia terrorista. All’aeroporto di Bruxelles e nella metropolitana della capitale belga un attentato di militanti dell’Isis ha mietuto vittime e terrore. Cosa si può fare per fermare queste stragi?

Quel che è successo a Bruxelles è terribile, è un’ennesima tragedia che ci addolora. Siamo vicini alle famiglie delle vittime e ai tanti feriti. Vogliono farci cambiare il nostro stesso modo di vivere, ma noi non possiamo permettercelo né dobbiamo permetterlo. Quel che è accaduto ci induce a una riflessione: occorre rafforzare l’attività di intelligence dei singoli Stati e dell’Europa. Infatti, una cosa è un kamikaze che si fa esplodere o un terrorista che spara con un kalashnikov, comprato, magari, dalla criminalità organizzata, altra cosa è un attentato pianificato in un aeroporto o in una metro per il quale è necessaria una logistica complessa e completa. Per contrastare questi attentati serve un rafforzamento della nostra intelligence, altrimenti avremo seri e gravi problemi.

In occasione della commemorazione di Ezio Tarantelli hai fatto un confronto tra questo terrorismo internazionale e quello brigatista degli anni Settanta. Puoi specificare quali sono, secondo te, le analogie tra i due fenomeni?

L’analogia è nella risposta che possiamo dare noi, uomini e donne, impegnati nel sociale. Io penso che così come siamo riusciti a sconfiggere il terrorismo interno, ora dobbiamo agire per sconfiggere il terrorismo internazionale. Oggi, forse ancor più di allora, serve solidarietà, coesione e unità a partire dal mondo del lavoro, dei giovani, dell’Università, oltre che delle Istituzioni e dei corpi intermedi. In Europa non abbiamo bisogno di muri, ma di cooperazione, collaborazione e unità. In quegli anni cosiddetti ‘di piombo’, il mondo del lavoro si unì per dare un contributo all’azione di contrasto alle Brigate Rosse. Anche oggi bisogna impegnarsi per unire il mondo del lavoro, in Italia, in Europa e a livello globale, contro il terrorismo internazionale.

Cambiamo decisamente argomento e parliamo di pensioni. Insieme a Cgil, e Cisl è stato deciso di dare continuità alla mobilitazione sulle pensioni. Il prossimo sabato 2 aprile si scende in piazza per continuare a rivendicare flessibilità per i pensionandi, stabilità per i giovani e per cambiare la Fornero. Nel prossimo numero daremo conto di queste iniziative. Intanto, nei giorni scorsi, il Presidente dell’Inps ha sostenuto anche lui la necessità di introdurre flessibilità nel sistema sin da subito e ha annunciato anche l’invio delle cosiddette buste arancioni. Qual è la tua opinione?

Siamo d’accordo con Boeri: la flessibilità verso il pensionamento va fatta subito, ma senza penalizzazioni aggiuntive. Noi siamo disponibili a discutere: Boeri convinca il Governo ad aprire un tavolo. Sono settimane che abbiamo chiesto un incontro e non abbiamo ancora ricevuto risposta nonostante, a suo tempo, siano stati proprio esponenti del Governo a sostenere che la legge Fornero ha creato disagi. Noi chiediamo di aprire un confronto per risolvere le tante contraddizioni che gravano non solo sui pensionati e sui pensionandi, ma anche sui giovani che vedono restringere sempre più gli spazi del loro futuro. Per quel che riguarda, invece, la busta arancione, la mia opinione è che non sia affidabile, perché ogni anno ci propongono modifiche al nostro sistema previdenziale. Dunque, che senso ha? Oggi ci dicono quale sarà in futuro la nostra pensione, ma poi se intervengono modifiche dovranno inviarcene un’altra di busta, magari nera. Il punto, comunque, resta sempre lo stesso: occorre separare la previdenza dall’assistenza, sviluppare la previdenza integrativa e, infine, dare stabilità ai giovani e flessibilità agli anziani verso la pensione.

Hai parlato, a proposito di pensioni, di mancanza di dialogo, ma non è l’unico aspetto su cui il confronto langue. Anche sul Sud, ad esempio, il Governo aveva promesso di intervenire e il Sindacato, in particolare proprio la Uil, aveva avanzato una serie di proposte. Ci sono novità su questo fronte?

Purtroppo, no. In Italia, ci sono troppe leggi, oltre 153mila per cui, spesso, fare impresa è un’impresa e nel Sud è un miracolo. Nel nostro Mezzogiorno, poi, c’è un problema di infrastrutture, di difficoltà di accesso al credito, di criminalità organizzata, di burocrazia. Non solo; per quel che riguarda, in particolare, il turismo, c’è una differenza tra ospitalità e accoglienza: nella prima siamo maestri; nella seconda, invece, abbiamo enormi difficoltà, perché siamo di fronte a una questione di sistema. Accade così che per cinque turisti che visitano le nostre località, quattro poi non ritornano. Per superare questi gap e, soprattutto, per favorire investimenti produttivi nelle regioni meridionali, abbiamo già dichiarato la nostra disponibilità a una flessibilità, contrattata e a tempo determinato, di salari, orari e organizzazione del lavoro. Un Sindacato moderno deve essere disponibile a discutere di tutto, ma bisogna che venga ripreso il dialogo con i corpi intermedi.

Quanto può incidere sul conseguimento degli obiettivi sindacali il rilancio di un progetto unitario?

Io credo che oggi ci siano le condizioni per tornare a un Sindacato unitario e partecipativo. Unitariamente, riusciamo a ottenere più risultati di quando siamo divisi, e questo è un fatto incontestabile. Così, peraltro, riusciremmo a respingere con più efficacia anche gli attacchi ai diritti, messi in campo dalle multinazionali. Serve un’unità moderna con uno spirito ideale antico. Servono, inoltre, regole che valgono per tutti e che consentano di assumere decisioni unitarie, senza diritti di veto e con una rappresentanza basata sulle norme del Testo unico. Dunque, nonostante io sia il segretario del Sindacato - momentaneamente - più piccolo, non intendo riproporre il modello paritetico del 1972, bensì un sistema proporzionale.

Anche i metalmeccanici sembrano incamminati verso il superamento delle divisioni che hanno caratterizzato la categoria negli ultimi anni. Nei giorni scorsi hanno proclamato uno sciopero per rivendicare il rinnovo del contratto…

Possiamo dirla con una battuta: i falchi di Federmeccanica sono riusciti nel miracolo di riunificare Fim Fiom Uilm, in una mobilitazione unitaria contro un’intransigenza contrattuale fuori dal tempo.

Il Mef ha appena diffuso i dati relativi alle dichiarazioni dei redditi. Risulta che solo il 4% dei contribuenti ha superato i 50mila euro. è credibile un dato del genere?

I dati diffusi dal Mef sulle dichiarazioni dei redditi relative all’anno di imposta 2014 sono l’implicita conferma di quanto sia ancora diffusa e radicata l’evasione fiscale nel nostro Paese: è del tutto inverosimile che solo il 4% dei contribuenti superi i 50 mila euro l’anno. E magari scopriamo pure che tra i più ricchi risultano esserci i lavoratori dipendenti e i pensionati, le uniche categorie, cioè, costrette a dichiarare sino all’ultimo euro. La beffa oltre al danno: questo è inaccettabile. Bisogna accrescere l’azione di contrasto a un tale fenomeno rendendo più efficaci gli accertamenti e i controlli, reprimendo e sanzionando l’illecito compiuto, consentendo ai cittadini di scaricare fiscalmente le spese sostenute per una serie di servizi. è una battaglia che dobbiamo fare tutti insieme non solo perché è giusta, ma anche perché è necessaria per l’economia e lo sviluppo del Paese.

Proprio mentre stiamo andando in stampa, ci giunge la notizia della designazione di Vincenzo Boccia a Presidente di Confindustria. Un tuo primo commento?

A Vincenzo Boccia vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro. L’auspicio è che la sua Presidenza possa nascere nel segno del dialogo tra le parti sociali, anche per evitare interferenze. Ci sono i contratti da rinnovare e il confronto per la riforma delle relazioni industriali da avviare: ci auguriamo che siano questi i suoi primi due impegni.

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