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MARZO 2015

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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FEBBRAIO 2015

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SOMMARIO

Il Fatto
Vogliamo e dobbiamo ragionare, partecipare e convincere con le nostre idee -
di A. Foccillo

Intervista a Carmelo Barbagallo Segretario generale UIL
Il Governo non è ancora riuscito a fissare regole per evitare che, in un regime di globalizzazione, l’Italia diventi un discount - di A. Passaro

65 anni di Uil
UIL: accenni di storia
Uil: 5 marzo 1950 - 5 marzo 2015 - dell’Istituto Studi Sindacali “Italo Viglianesi”
Il “valore “ del lavoro come valore primario di libertà e di progresso - di C. Benevento
Piccoli e grandi fatti di una storia nata nel 50 e che proseguirà ancora per molto - di A. F.

Il Ricordo
Ciao Rocco - di P. Larizza

8 Marzo
Pari opportunità: per cambiare serve un cambiamento culturale prima che politico -
di T. Bocchi
Stress lavoro-correlato in ottica di genere - di S. Roseto
8 marzo 2015 – La disuguaglianza non paga - di M. P. Mannino
59.a Conferenza ONU sullo stato delle donne nel mondo - di M. P. M.
Vogliamo realizzare veramente la piena integrazione tra donne e uomini nella nostra società e nel lavoro - di S. Mantegazza
8 MARZO - Un impegno comune per le donne - di C. Tarlazzi
8 marzo occasione per riflettere come donne e come donne e uomini insieme? -
di L. Piersanti
Le donne vanno ascoltate - di A. Rea
Le donne sono i pilastri di una società sempre più in crisi di valori - di G. Zignani
8 marzo: c’è da festeggiare? - di C. Grisanzio
Riflessioni sull’8 marzo. Facciamo il punto della situazione! - di P. Mencarelli
Mimosa? No grazie! – di R. Musu
Perché celebrare l’8 marzo- di L Senesi
•#sendeanlat (“spiegalo anche tu”) - di V. Delicio
8 Marzo: La Festa e le Donne - di G. Gargano

Sindacale
Rsu: una vittoria della Uil, ma anche della partecipazione e della democrazia -
di A. Foccillo
Vecchi problemi nuove soluzioni - di P. N.

Società
Rifugiati, il nuovo volto dei flussi migratori in Italia ed Europa - di B. Casucci
I troppi problemi che affliggono l’Italia - di P. Nenci

Inserto
Le cento vite e cento morti dei libri - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Vogliamo e dobbiamo ragionare, partecipare e convincere con le nostre idee

di Antonio Foccillo

Questo mese di marzo ha molte date significative, a partire dalle elezioni delle RSU nel Pubblico Impiego che sono avvenute dal 3 al 5 marzo, per continuare con la commemorazione dei sessantacinque anni della UIL, alla ricorrenza dell’8 marzo di cui parleremo abbondantemente con vari articoli dedicati.

Tutto ciò ci porta a considerare i grandissimi sacrifici di uomini e donne che hanno realizzato in questo paese un livello di democrazia, partecipazione, tutele e diritti garantiti per i cittadini e per i lavoratori e com’è oscuro affrontare il futuro senza tenerne conto e senza seguire il loro esempio in un momento, in cui il governo e la sua leadership mette tutto in discussione, decide tutto unilateralmente, modificando profondamente le istituzioni e le tutele delle persone e contemporaneamente limita anche il diritto alla partecipazione ed al confronto.

Il nostro paese ha avuto la fortuna di avere uomini e donne che hanno lottato con grande eroismo, in alcuni momenti hanno subito il carcere e si sono battuti per affermare le loro idee, per rendere il popolo italiano libero, per trasmetterci quei grandi valori e quei grandi ideali di libertà e giustizia di cui erano portatori. è stato un grandissimo patrimonio donato al popolo italiano. A quegli uomini e a quelle donne, che sono stati, per tanti di noi, maestri di vita e che ci hanno trasmesso la voglia di militare nelle organizzazioni sindacali, nei partiti, per rafforzare la partecipazione democratica, dobbiamo tanta riconoscenza. Il nostro Paese, grazie a loro è pluralista, democratico, civile, ricco di cultura e benessere. Oggi che la democrazia è viva e conquistata per continuare ad essere tale c’è bisogno sempre più di dialogo e di confronto, per permettere ad ogni soggetto di partecipare, di emanciparsi e di essere protagonista. Inoltre, nel cercare di mantener una certa continuità fra l’azione quotidiana e i valori di coesione e di solidarietà fra le persone, è necessario trovare, dallo studente al lavoratore, dal professionista all’intellettuale una motivazione per sperare in un futuro migliore. Da dove partire? A mio modesto parere, bisogna iniziare dal rileggere la Costituzione. Essa è l’essenza del convivere unitario della comunità. Essa, trasmette i valori ai nostri figli, dà un senso all’essere cittadini italiani.

Ogni articolo della Costituzione rappresenta la coesione di un popolo e testimonia i principi che fanno forte una nazione ed orgoglioso il popolo di viverci: dall’art. 1, che riconduce il fondamento della nostra Repubblica al lavoro, ai successivi che riconoscono alla persona il diritto di emanciparsi attraverso il lavoro, il diritto al salario, un salario che deve essere in grado di farla vivere dignitosamente. La Costituzione italiana difende, ancora, valori fondamentali quali la libertà di pensiero, di religione, di partecipazione civile. Tutto ciò può essere mantenuto anche attraverso la mediazione culturale, per mezzo dei circuiti formativi che insegnino il pensiero della convivenza e della coesione. La Costituzione permette ad ogni cittadino di essere protagonista della vita politica e quindi della democrazia. Consacra la sovranità del popolo in quanto gli riconosce il diritto di eleggere i propri rappresentanti e la partecipazione alle scelte attraverso i partiti; ma anche il diritto a partecipare alla gestione dell’economia attraverso il sindacato. Nella Costituzione vi sono le tutele di diritti fondamentale quali il riconoscimento della solidarietà e della coesione sociale, attraverso il welfare, cioè per mezzo della sanità, la previdenza, l’istruzione, l’assistenza. Eppure questa Costituzione, così significativa e pregnante di valori è stata modificata e si tenta di modificarla ancora.

Cosicché oggi, viviamo in una società in cui esistono troppe apatie, troppe deleghe fino all’abbandono della militanza politica, che rende insufficiente la partecipazione democratica! Tutto questo avviene, anche, perché non ci sono più strumenti di partecipazione in cui impegnarsi, autorità morali e ideali che svolgono la funzione di stimolo ed esempio. In questa nuova realtà che si è determinata rischia proprio la democrazia. Bisogna ridare motivazione alle persone, dimostrare loro che possono essere proprietarie del loro futuro, attraverso l’impegno personale. A volte basta anche l’impegno di uno, anche quello più piccolo, per smuovere gli altri, per rimettere in moto l’intera società. In questo processo è ancora fondamentale il ruolo del sindacato e non dobbiamo accettare la descrizione di un sindacato che ormai rappresenta la storia passata. Il sindacato è stato e continua ad essere un vigoroso strumento di questa democrazia, dal dopo-guerra, quando i lavoratori si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato, prima, per difendere le fabbriche durante il regime fascista e poi, per costruire benessere, civiltà, democrazia e pluralismo.

Il sindacato ha difeso questo paese, quando le istituzioni sono state aggredite dal terrorismo e si è impegnato a sostenere l’ingresso dell’Italia in Europa. Il sindacato ha dimostrato che le grandi idee, i grandi obiettivi, come quelli dell’Europa unita, della difesa delle istituzioni, del miglioramento delle condizioni di vita, del rilancio dell’economia hanno trovato un ampio consenso e partecipazione, pur a fronte di tanti sacrifici. E’ stato, il Sindacato, a fare tutto questo e ne dobbiamo andare orgogliosi. Negli anni (dal 2000 fino ad oggi) si è verificata, su scala mondiale, una sostanziale retrocessione dei diritti del lavoro, a tutto vantaggio del capitale finanziario. Oggi, ancora più di ieri bisogna essere in grado di cogliere fino in fondo i processi che quotidianamente avvengono nella società per impostare l’attività politica in modo più funzionale alla realtà in atto e quindi svolgere la funzione più ampia, veramente politica, di aver cura degli interessi generali del Paese. Ci si deve porre il problema di com’essere all’altezza del cambiamento e come attualizzare le strategie rivendicative e sociali, ricercando nella società aggregazioni, senza mai rinunciare alla capacità di accompagnarle con principi di progresso e giustizia sociale. Si deve essere capaci di far crescere nuove forme di dialogo e partecipazione.

Si deve, con molta umiltà, riprendere il cammino per stimolare la partecipazione e comprendere a fondo le trasformazioni, quelle avvenute e quelle in atto. Noi non assumiamo questo metodo solo perché ci piace, ma perché accomuna la nostra voglia di modernizzare, di migliorare, di cambiare questo paese, per portarlo nel cuore come simbolo di ognuno di noi. Il nostro è un grande sindacato confederale che si distingue da quello corporativo per la sua capacità di agire strategicamente tenendo conto dell’insieme della società e non delle corporazioni d’interessi. È questo che noi trasmettiamo. Noi vogliamo che la società sia coesa e solidale e attraverso le nostre battaglie vogliamo dare garanzie, tutele e diritti ai nostri rappresentati e a tutti i cittadini. Di conseguenza ogni nostra richiesta, ogni nostra azione esprimono valori e ideali di progresso sociale. Quando noi chiediamo – come abbiamo fatto – la tutela e la dignità delle persone, che cosa significa? Se non avere un posto di lavoro, che non può essere precario. Non abbiamo bisogno di ulteriore precarietà, dobbiamo ridurla. Non possiamo pensare di costruire il futuro di questo paese attraverso la precarietà e la flessibilità. Come si può chiedere alle nuove generazioni di continuare ad essere responsabili, ad essere onesti, ad andare a lavorare tutti i giorni senza dar loro la speranza e la possibilità di costruirsi un futuro salvaguardando la propria dignità di persona?

Quando noi chiediamo salario e tutela del potere di acquisto non stiamo sognando la luna, ma stiamo chiedendo quello che la Costituzione italiana enuncia. Quando noi chiediamo di valorizzare il lavoro lo facciamo nell’ottica del benessere complessivo perché valorizzare la persona, motivare la persona a darle dignità di lavoratore significa dare dignità al lavoro nel suo complesso ed anche alla produzione che di quel lavoro è il frutto consegnato alla società. Se non si valorizza chi lavora, automaticamente non si può valorizzare il prodotto di quel singolo lavoro, che poi diventa un bene per la società. Sono tutte richieste concatenate che fanno parte di una strategia. Quando sosteniamo le nostre proposte su come recuperare risorse, cercando di tagliare il fisco è perché diventa difficile spiegare ad un lavoratore che deve pagare in anticipo le tasse, mentre altri vogliono e spesso possono evitare di pagarle.

Un paese è solidale e coeso se le persone che hanno un alto reddito ne mettono un pezzetto a disposizione degli altri: è così che si realizza la solidarietà, il welfare, il benessere di tutti. Noi vogliamo che il fisco sia giusto con i deboli e sia forte con i forti, che ritorni ad essere, come dice la nostra Costituzione, uno strumento di ridistribuzione della ricchezza. Noi siamo convinti che il benessere di questo paese si è costruito non solo con il settore produttivo, primario, secondario e terziario, ma anche attraverso i servizi pubblici che hanno permesso a tutti i cittadini italiani di fruire dei loro diritti a prescindere dal ceto, dal luogo di nascita e della capacità economica. Se questo paese ha raggiunto questo livello di civiltà e di democrazia è anche grazie a servizi della Pubblica amministrazione, a chi ci opera tutti i giorni, a chi fa tanti sacrifici, lavorando senza grandi soddisfazioni economiche e morali.

Senza voler entrare nel merito specifico delle riforme che si sono avviate o che si annunciano, voglio solo ricordare che la P.A. è un patrimonio di tutti e che la sanità pubblica, la previdenza pubblica, l’assistenza pubblica, la scuola pubblica e l’università pubblica sono fonte di ricchezza per il nostro paese. Ogni discussione, ogni proposta di rilancio del nostro paese passa per l’efficienza della macchina pubblica. Tutti i governi, nei loro programmi, hanno puntato a parole sempre a ridurre la spesa pubblica con tagli lineari che hanno ridimensionato il servizio ai cittadini. Solo a parole si vuole incentivare la Pubblica amministrazione ma ogni volta che i programmi sono giunti a concretizzarsi sono incominciate le dolenti note, relative alle compatibilità economiche. Cosicché, invece degli incentivi, ogni Finanziaria ha previsto, per questi settori, una riduzione degli investimenti.

Infine un breve commento sulla Uil e sulla sua nascita avvenuta sessantacinque anni fa. Negli anni 50 proprio nel momento in cui si divideva il sindacato - da uno sono nati tre sindacati - i nostri padri fondatori hanno puntato su grandi valori: l’indipendenza, l’unità, il pluralismo e il confronto non ideologico. Allora, dobbiamo ripartire da lì. Noi siamo un sindacato che vuole discutere, che vuole ragionare, non abbiamo nemici da mettere al bando, noi abbiamo interlocutori, noi vogliamo essere forti, ma vogliamo esserlo attraverso la nostra capacità di costruire idee. Noi siamo un sindacato che discute di merito per valorizzare la persona, le sue qualità e la sua conoscenza.

Noi rispettiamo i valori degli altri, perché facciamo della tolleranza la nostra ragione di vita. Tolleranza e laicità sono nostri valori, che affermano due principi fondamentali. Il primo vuole sostanziare il diritto di ognuno a parlare. Il secondo sostiene che ognuno non può imporre agli altri in senso dogmatico la propria idea. Noi non vogliamo dogmi, non li vogliamo imporre e non li accettiamo, ma vogliamo costruire la proposta attraverso il processo dialettico.

Vogliamo e dobbiamo ragionare, partecipare e convincere con le nostre idee. Per questo dobbiamo aprirci alla società e dialogare con tutti perché dietro la protesta spesso c’è solo la volontà di essere riconosciuti come persone che vogliono conquistare il diritto alla vita. Siamo anche un sindacato riformista perché vogliamo cambiare senza stravolgere, senza rivoluzionare, ma con il buon senso e con la riflessione. Infine, questo sindacato è anche un sindacato pluralista. Ha avuto una storia fatta di diverse posizioni ideologiche, che al suo interno sono riuscite a convivere. Ma un grande sindacato si misura anche dal lavoro che i suoi dirigenti, dal centro al rappresentante di base, fanno tutti i giorni. E se il consenso cresce, se le adesioni aumentano, se le nostre liste sono votate è perché essi riescono a trasmettete questi valori.

La nostra è una vita di sacrificio, proprio per questo va vissuta con passione e tensione morale. La nostra quotidianità è fatta di tanto lavoro, però è un’occasione di grande fermento di democrazia e di partecipazione. E fino a quando ci saranno queste possibilità, questo paese sarà forte. Ma la nostra azione deve essere in grado di collegare ogni fatto, ogni lotta, ogni rivendicazione ad un valore e ad un ideale: guai a noi se li abbandonassimo!

Separatore

Il Governo non è ancora riuscito a fissare regole per evitare che, in un regime di globalizzazione, l’Italia diventi un discount. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Sono certo che condividerai con me il desiderio di aprire questa consueta intervista con un ricordo triste e affettuoso: lo scorso 25 febbraio è venuto a mancare Rocco Carannante...

La morte di Rocco è stato un dolore per tutti noi. L’improvviso aggravarsi di una lunga malattia lo ha strappato al suo lavoro di Tesoriere nazionale della Uil che, da anni, svolgeva con alta professionalità e assoluta dedizione. È stato un dirigente storico della nostra Organizzazione e ha impresso un’impronta indelebile all’azione della Confederazione. Sono d’accordo: è giusto rendergli un omaggio commosso anche da queste pagine. Lo ricorderemo sempre con affetto fraterno.

Questo mese è stato funestato da un gravissimo attentato terroristico, compiuto a Tunisi, in cui hanno perso la vita anche quattro nostri connazionali. È una vicenda che ha scosso le coscienze di tutti...

La viltà e la ferocia dell’attentato ci hanno lasciato sgomenti. La tragedia di Tunisi conferma le preoccupazioni che abbiano espresso, di recente, circa l’instabilità che sta caratterizzando l’area del Mediterraneo. Anche il Sindacato, per quanto possibile deve dare la propria testimonianza e il proprio contributo per la soluzione di un così grave problema. Dobbiamo evitare il rischio di esportare la democrazia con i carri armati e di importare terroristi con i barconi. Ecco perché, simbolicamente, la Uil aveva proposto di realizzare il Primo Maggio a Lampedusa, ma difficoltà logistiche impediscono l’attuazione di questo progetto. Insieme a Cgil e Cisl, dunque, abbiamo deciso di svolgere la manifestazione a Pozzallo, in provincia di Ragusa - territorio anch’esso interessato al fenomeno dei flussi migratori - con le stesse motivazioni e gli stessi obiettivi che avevamo precedentemente programmato.

Con Cgil e Cisl stai cercando di ricucire un difficile rapporto unitario. A che punto siamo?

Come è noto, fino all’ultimo secondo utile, io lavoro sempre per trovare soluzioni unitarie. È stato così sin dall’inizio del mio mandato, ed è stato così anche in occasione della scelta del Primo Maggio. Insieme alla Camusso e alla Furlan, poi, siamo stati a colloquio con il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, al quale abbiamo rappresentato le nostre posizioni, sostanzialmente unitarie, sui temi del fisco, della previdenza e del lavoro. Certo, restano alcune differenziazioni, ma penso che ci siano le condizioni per provare a definire un percorso comune su alcune questioni di particolare importanza.

È stato proprio questo impegno unitario a consentire l’elezione di Luca Visentini a candidato unico a Segretario generale della Ces. Tu sei stato il fautore e il regista di questa operazione. Ci racconti come è andata?

Visentini è stato proposto da Cgil, Cisl e Uil ed è stato sostenuto da altri sindacati europei. Ha ottenuto la maggioranza dei voti dell’Esecutivo della Confederazione Europea dei Sindacati prevalendo su Peter Scherrer, candidato dei tedeschi della DGB proveniente dai metalmeccanici della IG Metall. Il Congresso che dovrà sancire l’elezione si svolgerà alla fine del prossimo mese di settembre. La sua designazione è stata una vittoria del Sindacato italiano ed è di buon auspicio per un cambiamento delle politiche economiche di rigore che hanno prevalso nell’Unione europea.

Finalmente, è stata firmata la Convenzione tra i sindacati, la Confindustria e l’Inps per l’attuazione dell’accordo sulla rappresentanza. Ciò nonostante c’è chi continua a invocare un intervento legislativo in materia: non sarebbe un atto inutile?

La firma della Convenzione tra Cgil, Cisl, Uil, Confindustria e Inps per la rappresentanza delle Organizzazioni sindacali è il punto di arrivo di un percorso lungo e difficile che si chiude positivamente: è stata una corsa ad ostacoli, ma ce l’abbiamo fatta. Non abbiamo mai avuto problemi a farci “contare”. Tuttavia, non abbiamo capito perché alla vigilia di questo appuntamento qualcuno abbia voluto parlare di legge sulla rappresentanza. Una legge in materia non serve, ma se proprio se ne avverte la necessità si faccia una legge non solo per coprire l’articolo 39, ma anche l’articolo 46 della Costituzione relativo alla partecipazione dei lavoratori. Piuttosto, si pone un problema di rappresentanza dei datori di lavoro visto che c’è un proliferare di nuove associazione datoriali con il conseguente proliferare di nuovi contratti.

L’Istat ha diffuso i dati in merito ai lavoratori senza contratto. Che il 2015, come tu sostieni da tempo, debba diventare l’anno della contrattazione è una vera e propria necessità. Ci sono le condizioni per avviare questa stagione?

I dati ISTAT certificano la nostra denuncia: ci sono oltre 7 milioni di lavoratori che attendono il rinnovo del proprio contratto, mediamente, da oltre 3 anni. È una condizione inaccettabile, e non solo dal punto di vista sociale. La nostra economia, infatti, si regge, prevalentemente, sulla domanda interna. Se non crescono i redditi dei lavoratori dipendenti - oltre a quelli dei pensionati - anche la tanto auspicata ripresa rischia di avere il fiato cortissimo. E allora poniamoci un obiettivo comune: nel 2015 si rinnovino tutti i contratti, scaduti o in scadenza, sia nel privato sia nel pubblico. Se crede davvero nella ripresa, il buon esempio lo dia il Governo: apra subito il tavolo del confronto e avvii la stagione contrattuale. Se ciò si realizzasse, la crescita del Paese diverrebbe una prospettiva più credibile e duratura.

Sempre a marzo si sono svolte le elezioni per il rinnovo delle RSU nel pubblico impiego. Per conoscere i risultati definitivi c’è ancora tempo. Tuttavia, è evidente che le liste della UIL hanno conseguito un risultato entusiasmante. Sei soddisfatto?

Siamo di fronte a un risultato davvero eccezionale che premia il lavoro svolto dalle nostre categorie e dai nostri delegati e che ci rafforza nella linea sindacale di rivendicazione dei diritti contrattuali. La Uil è l’unico sindacato a crescere in tutti i comparti del pubblico impiego. Peraltro, la partecipazione al voto è stata altissima e il Sindacato confederale, nel suo insieme, si conferma punto di riferimento in un settore tartassato dal punto di vista economico e anche in termini di immagine. Deve finire questa storia dello stereotipo del lavoratore pubblico fannullone: vanno perseguiti i comportamenti illeciti, ma va rispettato e valorizzato il lavoro di chi opera al servizio della collettività. La stessa riforma della P.A., perché sia davvero efficace per i cittadini e per la modernizzazione del Paese, deve essere attuata coinvolgendo i lavoratori e le forze sociali che li rappresentano.

I cinesi si stanno comprando il nostro Paese. La mia, ovviamente, è una forzatura, però l’ultimo episodio in ordine di tempo non può che far riflettere. Di recente è stato firmato un accordo per l’acquisto della Pirelli da parte della ChemChina. Ti preoccupa questo andazzo?

Il Governo non è ancora riuscito a fissare regole per evitare che, in un regime di globalizzazione, l’Italia diventi un discount, dove ognuno viene a fare la spesa: occorre creare le condizioni per favorire una politica industriale che preservi i gioielli di famiglia. In merito alla vicenda della Pirelli, penso che, a breve, potrebbe rappresentare l’occasione per un’iniezione di investimenti, ma bisogna fare di tutto per impedire che possa andare via la direzione, la ricerca e tutto ciò che è necessario per salvaguardare un know-how e un patrimonio industriale e occupazionale prezioso per il nostro Paese.

Anche quest’anno, la UIL è stata presente all’iniziativa di Libera, l’Associazione di Don Ciotti che lotta contro le mafie. È un appuntamento al quale non sei mai mancato e, per la prima volta, vi hai partecipato in veste di Segretario generale. Come hai vissuto questo momento?

È stata una giornata bellissima con un’eccezionale partecipazione di giovani: soprattutto per loro e per il loro futuro bisogna dare continuità a questa battaglia e occorre fare ancora di più. Il Governo, in particolare, avrebbe dovuto varare una legge a tutele crescenti contro l’illegalità e la corruzione. Non ci può essere progresso, sviluppo e occupazione senza una lotta all’illegalità diffusa nel nostro Paese.

Chiudiamo questa intervista con un dovuto e sentito richiamo alla Festa della Donna: un appuntamento atteso tutti gli anni tra sentimenti contrastanti. C’è chi dice che ogni giorno dovrebbe essere “l’8 marzo”, altri che sostengono che si sia smarrito il significato profondo di questa data, altri ancora ritengono che debba continuare a essere un vero e proprio avvenimento da celebrare con maggiore enfasi. Qual è la tua opinione?

Io credo che quando non sentiremo più il bisogno di dedicare alle donne una giornata tutta per loro, vorrà dire che avremo vinto un’altra battaglia di civiltà. È interesse di tutti che le donne abbiano realmente le stesse opportunità e possibilità riservate agli uomini, che non ci siano più distinzioni di sesso come, peraltro, vuole la Costituzione in uno dei suoi articoli più belli, quello dedicato all’uguaglianza. Insomma, penso che ci si debba impegnare per superare ogni forma di retorica e per realizzare la normalità della quotidianità. Il percorso per costruire la parità delle opportunità deve tener conto delle maggiori difficoltà oggettive che una donna è costretta a superare per essere presente a pieno titolo nel tessuto sociale e deve essere fondato sul merito. È una questione di giustizia, di rispetto dei canoni costituzionali, ma è anche una necessità economica, perché la diseguaglianza di genere non conviene, impedisce una crescita armonica e rappresenta un freno allo sviluppo del Paese.

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