UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
MARZO 2014

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
FEBBRAIO 2014

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Il Fatto
Ci faremo una ragione anche di questo governo - di A. Foccillo
Riduzione fiscale: è stato fatto non un “passetto”, ma un passo molto lungo verso la svolta. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL di A. Passaro

Sindacale
Il XVI Congresso della Uil: un traguardo ed un punto di ripartenza - di C. Barbagallo
Una nuova Governance per l’Inps e per l’Inail - di D. Proietti
Approvate le tesi congressuali, la Uila verso il 5° congresso nazionale - di S. Mantegazza
La capacità di discutere - di R. Palombella
La crisi ha cambiato la collocazione dell’Abruzzo tra le regioni italiane - di R. Campo
Linee Guida - sintesi della tesi per il XVI congresso Nazionale - A cura della Segreteria confederale UIL

Agorà
Violenza sulle donne, la Uil può fare di più - di S. Fortino

Il Corsivo
Matteo il cinico a fin di bene - di P. Tusco
Il grillo marino - di P. T.

La Recensione
Una notte di passione e di separazione - di P. Nenci

Cultura
Her, di Spike Jonze - di S. Orazi

Inserto
Associazioni di mestiere: preistoria del sindacato - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Ci faremo una ragione anche di questo governo

Di Antonio Foccillo

La polemica sulla concertazione che l’attuale governo sta facendo con il sindacato, indubbiamente pone l’esigenza di riflettere profondamente sullo stato di salute di quest’ultimo, e quindi su tutte le diverse componenti che attengono alla propria azione, vale a dire il rapporto con il consenso, la strategia politica e la capacità organizzativa. Sono, infatti, questi i tre capitoli fondamentali su cui si deve articolare l’analisi, al fine di acquisire una prospettiva politica in grado di sostenere i nuovi orizzonti dell’evoluzione politica, sociale ed economica.

Non è certo il Governo ad assegnare ruoli e compiti alle altre rappresentanze della società, ma è il consenso che esse raccolgono ed il grado di rappresentanza che riescono a realizzare. Il sindacato, in tantissimi anni è stato una forza di progresso, di emancipazione e di distribuzione della ricchezza in modo più equilibrato, ed i tutti i momenti difficili del paese è stato in prima fila ad assumersi responsabilità ed a difendere le istituzioni dai pericoli del terrorismo. Per questo merita rispetto ed attenzione.

Infine, come tutte le rappresentanze del sistema produttivo, è una forza essenziale per rilanciare l’economia, in quanto anche in un momento di crisi del sistema economico, se le nostre aziende hanno mantenuto un alto livello di esportazioni, è merito essenzialmente della capacità produttiva delle aziende e di chi ci lavora. Quindi questo atteggiamento di presupponenza, arroganza e protagonismo assoluto prima o poi si scontrerà con il dissenso e ci vorranno le forze intermedie per mediare i conflitti, com’è sempre avvenuto. Detto ciò, comunque, come si diceva, non si può disconoscere che qualche problema l’hanno anche le forme di rappresentanza, politica, produttiva e sociale.

Allora per analizzare lo stato di salute del sindacato, partiamo dal consenso e dalla rappresentatività. La natura dell’organizzazione del sindacato è di essere soggetto di rappresentanza e quindi deve avere un certo grado di rappresentatività, rappresentatività che genera insieme il sostegno materiale – economico (l’iscrizione) e i comportamenti strategici–politici. Rispetto a questo concetto, quello della rappresentatività, occorre comprendere come non costituisca uno stato d’essere che rimane immutato negli anni, contrariamente la funzione del sindacato è costantemente coinvolta in mutamenti e cambiamenti, tali da imporre al sindacato la necessità di rinnovare i riferimenti e i criteri politici di promozione della propria rappresentatività.

Questo non significa certamente pensare ad un trasformismo, ma ad un’attenzione che sappia costruire adeguati riferimenti politici organizzativi per un mondo del lavoro e per una società che continuamente trasformano le proprie identità. Pertanto, all’interno della costante del ruolo sociale del sindacato, si tratta di valutare e comprendere come oggi sia possibile trovare consenso nei confronti di un tessuto comunitario indirizzato verso una diversa, rispetto al passato, distribuzione delle caratteristiche mediante le quali è ricercata e richiesta una funzione rappresentante. Brevemente possiamo individuare quei fenomeni che distinguono l’odierna struttura delle dinamiche consensuali nella nostra società. Innanzitutto la struttura economica e produttiva che attraverso il duplice intervento della finanziarizzazione e dell’austerity rischia di dipingere un futuro verso una post industrialità, segnata dal declino dell’occupazione nell’industria. E’ vero che altri settori potrebbero emergere con funzioni e peso determinanti, spostando gli equilibri sia economici sia occupazionali.

Ma un paese come il nostro non può vivere senza produzione industriale e senza manifatturiero. In correlazione con questo aspetto vi è lo sviluppo di nuove occupazioni dell’uomo, nuove aggregazioni socio-economiche, nuovi comportamenti, e quindi nuovi valori, nuove aspettative e bisogni. Contemporaneamente, proprio sul piano dei contenuti culturali e ideologici, la società del lavoro si avvia verso una differente dislocazione delle conflittualità e degli antagonismi, venendo meno progressivamente quelle spinte rivendicative prodotte da un movimento connotato dall’operaismo di classe. A questo tipo di rivendicazioni, molto ideologizzate, si va sostituendosi una costellazione di aspettative più segmentate e frammentarie che dividono le persone invece che ad unirle, rivolte ad interessi parziali. Con tutto ciò il sindacato oggi deve confrontarsi, sapendo adeguare la propria offerta di rappresentatività ad un consenso che richiede nuovi modi e contenuti per essere rappresentato. Vi è invece in una parte del sindacato una sorte di timore, di paura ad acquisire saldamente nuove prospettive di direzione strategica.

Così si verifica che oggi il sindacato si trova nelle condizioni di rivolgersi sempre a contenuti quali quelli su cui si fondava nel passato la propria rappresentatività e insieme ammiccare timidamente a quelle nuove aree sociali che non rientrano in tali contenuti politici. La Uil che si è sempre qualificata come il sindacato che prima degli altri ha saputo riconoscere le trasformazioni socio-economiche, promuovendo così idee e politiche che sapevano raggiungere anche l’avvenire, lo vuol fare anche oggi con la volontà di riaffermare pesantemente il ruolo del sindacato nell’attuale società. La Uil con le tesi che ha elaborato per il prossimo congresso ha la consapevolezza di ripensare la possibile rappresentatività del sindacato, alla luce, proprio, delle rnetamorfosi della società e della nuova struttura economica (n.d.r. sintesi delle tesi che pubblichiamo in questo numero).

Lo spirito di questa proposta è quella di cogliere attese che ancora non trovano rappresentanza e che si fanno sempre più significative nel mondo del lavoro e nella società. In questo senso l’identificazione sul lavoratore di comportamenti e aspirazioni che non si risolvono esclusivamente nella struttura economica, insieme a una differenziazione nei comportamenti e nelle richieste, significa acquisire l’orientamento verso un consenso potenziale esistente e che domanda alla società un rinnovamento non tanto di carattere ideologico, ma un rinnovamento che deve, invece essere di tipo riformista e graduale nell’accezione pragmatica e concreta. In questa fase il lavoratore-cittadino è sempre colui che mira a soddisfazioni precise, che vanno dal superamento dello sfruttamento, come accade a tanti lavoratori precari o in nero, alla richiesta di maggiore partecipazione, di mantenere e riformare lo stato sociale inteso sia nelle strutture che lo compongono che nella democrazia del suo operare.

Con questo si vuole affermare sia riconfermare la necessità di tutela economica e materiale che non sono venuti meno, sia quei bisogni nuovi che il sindacato non riesce ancora a rappresentare pienamente. Per questo con una politica come quella che mira a comprendere il lavoratore come soggetto integrale e integrato nella società significa riconoscere come referente della propria rappresentatività un consenso che nasce all’interno di una cultura che sempre meno distingue il tempo del lavoro da quello di cittadino, necessità occupazionali ed economiche da aspirazioni civili e sociali. Il lavoratore – cittadino è quindi l’uomo che vive in modo sempre più interrelato le condizioni dello stato dell’impresa con quello dello stato sociale. A queste condizioni pertanto la Uil deve mirare, impegnandosi con la propria cultura laica e riformista.

Le ultime considerazioni interessavano il problema di strategia, e quindi proponevano quello che dovrebbe essere un campo generale dove il sindacato deve dirigere i suoi comportamenti. Entro questa prospettiva di scelta strategica vengono poi a trovarsi le singole politiche, le quali ne perseguono la realizzazione nel concreto della prassi sindacale. Politiche che pertanto riguardano temi di differente natura e che impegnano su diversi fronti operativi, con diverse controparti e in diversi contesti. Generalizzando si possono individuare due ragioni politiche che distinguono la complessiva azione sindacale: la ragione che interessa una negozialità indirizzata verso le controparti che si qualificano come il lavoro che offrono e una ragione negoziale che si rivolge allo Stato come soggetto di organizzazione politica dell’economia e della società.

Sono questi due orizzonti contrattuali e rivendicativi nei quali agisce il sindacato che hanno motivi e contenuti che vengono a correlarsi ed essere in reciproca relazione. Ma se è vero che lo sviluppo economico si lega allo sviluppo dello stato sociale (questa è la crisi che attanaglia l’Europa), ugualmente è fondamentale riconoscere compatibilità politiche e strategiche differenti, evitando così quelle forzature che muovono verso una logica di confusione strumentale tra i due terreni. La filosofia della politica dei redditi con lo strumento della concertazione fra Stato, imprenditori e sindacato si reggeva non tanto sul tentativo di mutare lo specifico spazio contrattuale con l’impresa nell’assorbimento di una politica economica che vanificava l’efficacia del negoziato di categoria, piuttosto il valore della triangolarità contrattuale era nel cercare di definire e progettare un orizzonte complessivo di dinamiche socio-economiche che funzionasse come momento omogeneo dove inserire e realizzare i differenti momenti contrattuali.

Oggi tale politica si vuole accantonare demagogicamente, mentre esiste ancora la necessità di correggere gli squilibri che il funzionamento del sistema della finanziarizzazione dell’economia ed il “neoliberismo” hanno creato nel mercato e nella società. Solo attraverso interventi di politiche pubbliche di programmazione economica si possono razionalizzare i processi del mercato, e quindi evitare che il loro spontaneo funzionamento possa ancora creare effetti traumatici anche dal punto di vista sociale, com’è avvenuto fino ad adesso. Tutto ciò passa attraverso una dinamica di confronto anche con le rappresentanze sociali e produttive per le troppe correlazioni che ci sono sulle diverse politiche come la spesa sociale, la politica monetaria e quella fiscale, nonché attraverso una redistribuzione dei redditi mediante il controllo della variabile profitti e della variabile salari. Questo era è resta lo spirito della concertazione in un’ottica di politica dei redditi.

E’ essenziale riconfermarla non per interesse del sindacato ma nell’interesse del Paese.

Separatore

Riduzione fiscale: è stato fatto non un “passetto”, ma un passo molto lungo verso la svolta. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, sembra che il nuovo Governo guidato da Matteo Renzi sia partito con il piede giusto: la riduzione delle tasse per i lavoratori dipendenti, nel mese di maggio sarà finalmente una realtà. Sono anni che la Uil chiede questo provvedimento: soddisfatto?

Sì, sono soddisfatto. Dopo 4 anni di scioperi e manifestazioni, finalmente abbiamo trovato un governo che ha fatto la cosa giusta: ridurre le tasse ai lavoratori. È sicuramente il provvedimento migliore e rappresenta una svolta nella politica economica. L’ultima riduzione, peraltro di entità inferiore, risale a 12 anni fa: poi è stato un susseguirsi di aumenti di tasse e, quindi, della disoccupazione. È solo l’inizio, nessuno pensa che ci possano essere dei miracoli, però questa è la scelta giusta: rilancerà i consumi, la ripresa e l’occupazione. Ci saranno sicuramente effetti espansivi.

Come si deve proseguire, ora?

Innanzitutto, bisognerà prevedere vantaggi fiscali anche per i pensionati che sono stati esclusi dal provvedimento sulla riduzione delle tasse. Poi, si tratterà di fare un ulteriore passo avanti per la semplificazione e l’effettiva riduzione dei vincoli burocratici di questo Paese. Ribadisco, però, che siamo nella giusta direzione: è stato fatto non un “passetto”, ma un passo molto lungo verso la svolta.

Segnali importanti giungono anche dalle scelte di contenimento dei costi della politica. Cosa ne pensi?

Trovo che sia molto positiva la decisione del Presidente del Consiglio di avviare un’incisiva, profonda ed efficace riforma della burocrazia - sabbia negli ingranaggi della crescita - e di procedere all’eliminazione delle Province. Anche in questo caso, si tratta di battaglie che, da lungo tempo, vedono la Uil in prima linea. Per dare più forza a questo progetto di razionalizzazione della spesa, ci permettiamo di suggerire al Presidente di prevedere anche un accorpamento delle società pubbliche locali e dei Comuni, al di sotto di una certa soglia di abitanti, oltre a provvedere al drastico ridimensionamento delle stazioni appaltanti.

Puoi precisare quest’ultimo concetto?

Le stazioni appaltanti sono i centri della spesa pubblica, i luoghi in cui amministratori e dirigenti esercitano il potere di spendere soldi: in Italia ce ne sono oltre 30mila. Se si riducessero di un terzo, già questo consentirebbe di evitare la duplicazione degli sprechi e, talvolta, anche qualche reato.

Quali sono gli altri capitoli aperti o che si possono aprire con il Governo?

Con l’Esecutivo serve un confronto su altri due temi. Ripeto che è necessario ridurre le tasse anche ai pensionati per i quali, inoltre, deve essere ripristinato il meccanismo dell’indicizzazione ai fini della salvaguardia del loro potere d’acquisto. Infine, in materia di lavoro, bisogna modificare la norma che rende possibile reiterare per otto volte un contratto a tempo determinato. Anche il numero di lavoratori da impiegare in un’impresa facendo ricorso a questo strumento dovrebbe essere frutto di un negoziato: quando si contratta, le soluzioni sono sempre più ragionevoli

A parte questi aspetti, cosa pensi degli altri provvedimenti sul mercato del lavoro?

Si tratta di una razionalizzazione e non di una rivoluzione. L’obiettivo di rendere più agevoli le assunzioni non può che essere condiviso. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali i cambiamenti saranno assolutamente graduali e non stravolgeranno l’attuale assetto. Cercheranno di espandere la copertura ai co.co.pro.: una cosa importante, ma non una rivoluzione. La riforma Fornero verrà modificata, non smantellata. Non c’è un rovesciamento di logica.

Quando si parla di norme sul lavoro, di tanto in tanto, rispunta qualche proposta per l’abolizione dell’articolo 18. Che senso ha quest’idea?

La modifica dell’articolo 18 è del tutto irrilevante ai fini della flessibilità, tantomeno serve per creare lavoro. La vera politica per generare occupazione si fa riducendo le tasse. Il mercato del lavoro funziona, se funziona l’economia: non è un caso che, prima di questa crisi, il tasso di disoccupazione era inferiore a quello della Germania.

Tu hai parlato di confronto con il Governo, ma Renzi non vuol sentir parlare di concertazione…

Noi ci stiamo già confrontando con alcuni ministri su questioni specifiche. Ciò premesso, come sai bene, la concertazione è in soffitta già da tempo: quando non c’è nulla da scambiare, questa politica non ha senso. Non sentiamo la nostalgia dei tavoloni di Palazzo Chigi: non mi mancano per nulla. Peraltro, alcuni erano utili, altri molto meno. Viviamo tempi in cui abbiamo bisogno di fatti: le parole le abbiamo consumate tutte. Ci basta che il Governo faccia ciò che ha promesso sulla riduzione delle tasse e dei costi della politica, poi saremo felici di leggerlo anche sui giornali.

E’ un periodo in cui il sindacato subisce attacchi, come si diceva un tempo, “sia da destra sia da sinistra”. L’ultima critica è giunta dal Governatore della Banca d’Italia che ha accusato i rappresentanti dei lavoratori e le imprese di aver contribuito alla crisi del Paese. Come valuti questa osservazione?

Nessuno di noi è immune da responsabilità, ma non lo è, soprattutto, chi ha ruoli di comando e ha il potere di assumere decisioni. Questo ragionamento vale, in particolare, per i politici, ma anche per Bankitalia che “partecipa” alla Bce e che non ha impedito l’attuazione di una politica incentrata esclusivamente su un esasperato contenimento dell’inflazione, causa principale della nostra crisi e dei danni che stiamo subendo. La Bce ha fatto scelte opposte a quelle realizzate dagli Usa e dal Giappone e non è un caso che in Europa abbiamo oltre 6 milioni di disoccupati mentre in quegli altri due paesi i disoccupati sono 1 milione. Ecco perché anche noi dovremmo stampare moneta per dare benzina al motore dell’economia e della ripresa.

Un’ultima domanda, Angeletti. La Banca centrale cinese ha acquistato il 2% di ENI ed Enel. Che giudizio dai di questa operazione: ci sono rischi per il nostro Paese?

Non intravedo rischi da questa operazione, neanche dal punto di vista occupazionale. Aziende come ENI ed Enel hanno un’importanza che va al di là del loro valore intrinseco: il rapporto tra queste realtà industriali e il nostro Paese mi sembra fuori discussione. Peraltro, noi dobbiamo scegliere una volta per tutte e decidere se siamo davvero interessati all’afflusso di nuovi capitali. Ciò detto, poi, io preferirei che comprassero beni immobili più che aziende, perché i primi restano comunque “impiantati” sul nostro territorio e non possono essere trasferiti all’estero. Per dirla con una battuta: preferirei che comprassero il Colosseo piuttosto che l’Eni o l’Enel!

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]