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MARZO 2012

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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FEBBRAIO 2012

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SOMMARIO

Il Fatto
Capovolgere l’impostazione dominante - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL - E’ necessario mettere in campo azioni di contrasto agli effetti recessivi delle politiche economiche del governo
- di A. Passaro

Attualità
Tipologie contrattuali - di G. Loy
Il grande successo riportato lo dobbiamo all’abnegazione e alla professionalità dei nostri quadri, che costituiscono il nostro vero punto di forza - di B. Attili
La UIL RUA nasce grande - di A. Civica

RSU Scuola: La UIL anche questa volta ha registrato un forte aumento di consensi, unico tra i sindacati a crescere in ogni competizione - di M. Di Menna
RSU: soddisfatti per aumento dei consensi dei lavoratori - di G. Torluccio

Sindacale
Oltre la Crisi - di R. Palombella
Lo sviluppo dell’Italia non può fare a meno di un Sistema Trasporti - di L. Simeone

Il Corsivo
Il conte Max ritorna - di P. Tusco

Sindacale
Per andare oltre la crisi - di G. Cortese
Incidere nella società. Restare al centro degli avvenimenti - di P. Saija

Mercato del lavoro
L’andamento del mercato del lavoro nel 2011: un’analisi quantitativa -di A. Ponti

Economia
Il governo e le analisi di Confindustria - di E. Russo
Quante bugie! - di G. Paletta

Società
Paese inchiodato e tenuta sociale garantita solo da una equità sostenibile - di S. Fortino
Riduciamo tanto….cambiamo tutto e tutti - di G. Salvarani

Internazionale
Verso Israele un’ondata di migranti eritrei - di P. Nenci

Agorà
Europa - di A. Carpentieri

Il Corsivo
Lusi... ed ombre - di P. Tusco

Inserto I
Morire di carcere: alcuni dati nel periodo 2000 – 2012 - di S. Ricci

Inserto II
L’ultimo Rapporto dell’Eurispes - L’Italia feudale, vittima (e complice) di una democrazia bloccata - di P. Nenci

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EDITORIALE

Capovolgere l’impostazione dominante

Di Antonio Foccillo

I dati contrastanti di quest’ultimo periodo della riduzione del Pil nell’Eurozona sono nient’altro che la testimonianza di una fase di recessione, seppure con diversità da Paese a Paese, nell’ambito UE. Anche l’ultimo rapporto previsionale dell’Unione Europea, di questo mese, sullo stato dell’economia testimonia l’enorme difficoltà in cui si vive in Europa. Il rischio di una recessione complessiva è reale. La previsione poi sull’inflazione sopra il 2% è un’ulteriore pessima notizia, perché segna il fallimento del compito primario affidato alla BCE ed oltretutto se si continua con l’irrigidimento di politiche rivolte essenzialmente al risanamento con ulteriori restrizioni e tagli, non vi sarà né l’aumento delle attività economiche, né una reale ripresa.

L’attuale situazione richiederebbe maggiore coraggio con modifiche dei trattati che favoriscano gli investimenti, con azioni che siano frutto di un maggior coordinamento in ambito europeo per rilanciare lo sviluppo in modo da incrementare la fiducia nella ripresa.

Invece, si continua a seguire una linea di ‘austerità’, stando alla quale si ritiene che – ferma restando la ‘flessibilità’ del lavoro – la disoccupazione sia imputabile al modesto tasso di crescita delle economie dei Paesi industrializzati e che, per far fronte al problema, siano necessarie politiche di riduzione della spesa pubblica.

Si tratta di una tesi che è stata ripetutamente smentita, anche sul piano teorico, da numerosi economisti, fra cui il Premio Nobel Paul Krugman e dalla “Lettera” firmata da oltre duecento economisti contro le politiche di austerità in Europa.

La crescita economica, a sua volta, secondo i sostenitori dell’austerità, sarebbe trainata da politiche favorevoli alla ‘libertà d’impresa’, cioè politiche che annullano i vincoli relativi ai diritti dei lavoratori, alla tutela dell’ambiente, agli oneri burocratici, alla tassazione. Infatti, i principali Paesi industrializzati stanno mettendo in atto manovre fiscali restrittive in regime di crisi.

Le politiche di austerità sono, al tempo stesso, dannose e inevitabili. Sono dannose, in primo luogo, perché la contrazione della spesa pubblica, riducendo la domanda aggregata, riduce l’occupazione; e, a sua volta, la riduzione dell’occupazione, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori, riduce i salari e, dunque, i consumi. In secondo luogo, in assenza di iniezioni esterne di liquidità, politiche di bassi salari e alta disoccupazione su scala globale restringono i mercati di sbocco per la produzione, riducendo – per le imprese nel loro complesso - i margini di profitto e gli investimenti.

Quindi le politiche di ‘austerità’ accentuano la crisi perché contribuiscono ad accelerare la caduta della domanda aggregata. Tali politiche hanno portato anche ad un arretramento dell’impostazione sociale dell’economia, dopo molti anni di evoluzione delle garanzie giuridiche e politiche a favore dei lavoratori e dei cittadini, in conformità del precetto costituzionale, ora, in poco meno di un decennio sono state quasi del tutto abolite. Quelle le garanzie, conquistate dalla società in decenni di lotte e di sofferenze, ora si trasformano solo in profitto capitalistico-finanziario. E ciò avviene socializzando le perdite, aumentando le diseguaglianze, la povertà, criminalizzando l’opposizione.

È una partita che non risparmia niente: i lati oscuri della concorrenza dei mercati mondiali, il ricorso alle delocalizzazioni, le crisi della politica rappresentativa e dei suoi istituti.

Ma se le crisi dei sistemi sociali non sono cosa nuova e inaspettata - e non si sono mai realizzate fino in fondo, grazie alle efficaci resistenze dei lavoratori e delle popolazioni e delle loro rappresentanze politiche e sociali - come è possibile che il quadro attuale, pur così chiaro nel suo funzionamento, così capillarmente feroce e deleterio, non suggerisca il cambio radicale del modello individualistico e del profitto privato? Bisogna che le classi dirigenti ritornino a volare alto dando prospettive e speranze attraverso un’azione politica e sociale con la prospettiva di curare l’interesse generale e il bene comune come valore primario e irrinunciabile della pratica etico-sociale. Solo un’azione politica comune, cioè fondata su reciproci obblighi, è atta a sostenere l’organizzazione collettiva, in alternativa al predominio degli individui e l’elogio della concorrenza cinica per primeggiare rendendo succubi e schiavi i compagni di viaggio.

Certo, questo comporta la consapevolezza dell’utilità di combattere il potere del mercato. La lucida percezione che il mercato - non meno della pubblicità finalizzata ad incrementare il consumo voluttuario dei beni per formare un’opinione pubblica e comportamenti di relativa e funzionale accettazione - ha a sua disposizione una gamma vasta di mezzi e gode della complicità dei poteri forti (finanziari, bancari) e multinazionali, ormai trasversali, capillarmente diffusi e portatori di idee avverse ad ogni partecipazione e controllo, seppure di tipo consultivo-popolare. Lo svuotamento dei sistemi costituzionali, elettorali e organizzativo-amministrativi, via via registrati dal corso dell’evoluzione storica, è cosa nota. Se la politica riesce ad evolversi per diventare il luogo in cui la società si autorappresenta in/con un progetto alternativo, elaborato collettivamente e l’organizzazione sociale si struttura in forma solidale e aperta, allora la politica può cessare di essere l’affare dei pochi per diventare pratica comune e diretta ad ogni livello. Quanto al mercato, bisognerebbe dare regole internazionali per le transazioni finanziare e per la speculazione; bisognerebbe ripensare alla struttura istituzionale Europea, con un avvio del processo politico, oltre a quello economico e monetario e la costituzione di un Governo eletto dai cittadini; una banca che, oltre al controllo dell’inflazione, emetta moneta; modifiche dei trattati che tolgano dalla tagliola rapporto deficit/pil gli investimenti che possano rilanciare concretamente creare sviluppo.

Per venire all’Italia, dopo la certificazione dello stato di recessione, dopo le notizie sulla caduta dei consumi e della produzione industriale, si sono aggiunti i dati sull’aumento dell’inflazione e dei forti rincari dei prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza e tutto ciò conferma che l’economia Italiana ha bisogno di una scossa e di un maggiore sostegno. Bisogna realizzare concretamente un vero e proprio piano di sviluppo e di crescita attraverso la riforma fiscale che non può essere più procrastinata. Sarebbe ora, anche, di intraprendere una programmazione economica e produttiva, fra le parti sociali e il Governo per stabilire politiche attive che redistribuiscano liquidità alle fasce più deboli della popolazione e attivino percorsi virtuosi di investimento nella ricerca e nelle infrastrutture, perché divengano volani di attività economiche potenzialmente utili ad una reale crescita. Contemporaneamente bisognerebbe far sì che le banche concedano più credito alle imprese ed, in particolare, a quelle che si basano su modelli imprenditoriali sani e trasparenti in grado di assicurare crescita sostenibile e nuovi posti di lavoro ed un incremento di salari e pensioni per aumentare le domande interne.

Fino ad ora per lo sviluppo si è fatto molto poco. Le misure fin qui sono state finalizzate essenzialmente al risanamento, con sacrifici però disuguali: la maggior parte è toccata a pensionati, pensionandi e lavoratori. E stiamo ancora aspettando che si vada a incidere sull’evasione, il vero cancro del Paese.

Una società, a parer mio, è forte quando è coesa e solidale e il modello di civiltà nostro e dell’Europa occidentale, ha sempre cercato di bilanciare la parte più forte del Paese con la più debole, attraverso interventi diretti dello Stato, come in passato, o attraverso il welfare, in tempi più recenti. Oggi, i limiti ed i guasti dell’ideologia liberista, dovrebbero spingere a ricreare una nuova forma di solidarietà e di coesione attraverso la redistribuzione della ricchezza e realizzazione di quelle tutele garantite innanzitutto dalla Costituzione e anche dai diritti dell’uomo. Ciò perché la persona, coi suoi bisogni e la sua dignità, deve ritornare ad essere al centro di ogni iniziativa politica, sociale ed economica. Non possiamo accettare la società di pochi, ma dobbiamo costruire quella di tutti.

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E’ necessario mettere in campo azioni di contrasto agli effetti recessivi delle politiche economiche del governo. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, marzo è stato il mese della riforma del mercato del lavoro. Si è appena conclusa una trattativa piuttosto anomala tra governo e parti sociali. E ora inizia il dibattito parlamentare. Cosa succederà?

Come è noto, il Consiglio dei ministri ha varato il documento sulla riforma del mercato del lavoro, frutto del confronto con le parti sociali. Proprio in queste ore, il testo è stato trasformato in un disegno di legge. Prenderà il via, quindi, un lungo iter per la sua approvazione. E’ nostra intenzione, durante il dibattito alle Camere, chiedere ai gruppi parlamentari di apportare alcune modifiche, non accettate dal governo, che consideriamo opportune. Va detto che il testo definitivo del disegno di legge sembra avere già accolto alcune nostre indicazioni: ora, anche per i licenziamenti economici, in alcune particolari circostanze, in alternativa all’indennizzo, è stata prevista nuovamente la possibilità del reintegro. E’ un passo avanti importante, ma per un giudizio più dettagliato aspettiamo di leggere il provvedimento.

Anche i partiti che sostengono la maggioranza hanno trovato un’intesa sul testo che sta per essere inviato alla Camere…

Sì, è così. D’altronde, senza un accordo con quei partiti, non sarebbe possibile approvare nessuna riforma: per trasformare un progetto in una legge servono i voti del Parlamento.

Il giudizio della Uil è stato piuttosto articolato. Vogliamo riproporre le nostre posizioni partendo dagli aspetti positivi?

Se il provvedimento sarà approvato recependo gli indirizzi e i contenuti generali del testo varato dal Consiglio dei ministri, ci troveremo di fronte ad un cambiamento significativo delle modalità e dei contratti d’ingresso nel mondo del lavoro. Sono state gettate le basi, infatti, per determinare una sostanziale riduzione dei cosiddetti fenomeni di “cattiva” flessibilità. Finte partite Iva, collaborazioni simulate, stage improbabili e associazioni in partecipazione fittizie sono tutte fattispecie che tenderanno a scomparire. Anche il sistema di protezione sociale sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto sino ad oggi.

Quali sono, invece, i punti critici di questa riforma?

Credo che si sia dato uno spazio eccesivo alla questione dell’articolo 18, oscurando, così, tutti gli altri capitoli. Peraltro, questa vicenda dei licenziamenti è figlia di una vera e propria confusione concettuale. Non tutti hanno compreso che un’adeguata flessibilità economica non ha nulla in comune con lo sbilanciamento dei rapporti di potere personale a favore dell’imprenditore. Nel corso della trattativa siamo riusciti a limitare i danni di questa errata impostazione. Ma l’idea in sé è ancora radicata in molti strati della società civile.

La tua battuta sul “licenziamento” della Fornero ha avuto una vastissima eco. Ma al di là della riforma, ci sono alcuni problemi che dovrebbero essere affrontati con particolare urgenza. E’ così?

Ecco, è proprio questo il punto. Cominciamo col dire che per quanto importante possa essere la riforma del mercato del lavoro – e abbiamo riconosciuto anche qui alcuni suoi positivi aspetti – resta il fatto che, purtroppo, essa non comporterà un aumento dell’occupazione. Il lavoro non si crea per decreto: è, piuttosto, una funzione dei processi economici e degli investimenti. Questo deve esser chiaro, altrimenti le nostre analisi e le nostre proposte possono risultare sbagliate.

La Segreteria nazionale della Uil ha deciso di avviare uno stato di mobilitazione e una serie di iniziative a livello territoriale e nazionale per sollecitare interventi a tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Quali sono le motivazioni della protesta?

I lavoratori e i pensionati si trovano a fare i conti con un’accresciuta e ormai insostenibile pressione fiscale che sta ridimensionando considerevolmente il potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni. Le addizionali Irpef hanno avuto il loro effetto negativo sulle buste paga di marzo e un ulteriore peggioramento si prospetta, nei prossimi mesi, quando entrerà in vigore l’Imu. Si profilano, inoltre, ulteriori possibili incrementi delle aliquote Iva che finiranno col pesare, soprattutto, sui redditi reali medio-bassi.Anche sul fronte occupazionale, la situazione è decisamente preoccupante.

Infatti, le stime per il 2012 fanno prevedere un’accentuazione della disoccupazione o dell’insicurezza dell’occupazione che farà il paio con una riduzione della produzione industriale e del Pil. La conclamata situazione di recessione è il segno evidente che il Paese è prostrato da anni di mancati progetti di sviluppo. La Uil proporrà iniziative per sollecitare provvedimenti per la crescita?

Noi pensiamo che sia necessario mettere in campo azioni di contrasto agli effetti recessivi delle politiche economiche del governo. Serve, innanzitutto, una riforma fiscale che riequilibri il carico della tassazione a favore dei redditi fissi. Ed è urgente un provvedimento attuativo per la detassazione strutturale degli incrementi salariali derivanti dalla produttività. Su questi punti, e sull’insieme delle rivendicazioni emerse dalle riunioni della Segreteria, la Uil proporrà a Cisl e Cgil iniziative di mobilitazioni che si dovranno svolgere tra la fine del mese di aprile e gli inizi del mese di maggio.

Hai anche sostenuto che occorre porre rimedio, subito, alla condizione di quelle persone che non hanno più un lavoro e che, però, non sono ancora in grado di fruire della pensione: si deve risolvere il problema degli “esodati”…

E’ assolutamente necessario. Si tratta di oltre trecentomila persone e, per essi, si pone l’urgenza di soluzioni che garantiscano la continuità tra salario e pensioni. È inaccettabile e ingiusto che vi sia chi non ha più il lavoro e, a causa dei nuovi provvedimenti previdenziali, non può ancora fruire della pensione. Queste persone hanno fatto una scelta fidandosi delle regole esistenti. Un qualunque Governo decente deve garantire la validità di patti che i lavoratori hanno sottoscritto confidando nelle leggi dello Stato: si pone un problema di credibilità. Per questi motivi, abbiamo deciso di organizzare, insieme alla Cgil e alla Cisl, una manifestazione che si svolgerà il prossimo 13 aprile a Roma.

Cambiamo argomento. Nei giorni scorsi gli operai dell’Ilva di Taranto, hanno manifestato per chiedere la tutela del proprio posto di lavoro e per evitare strumentalizzazioni dei problemi legati al necessario miglioramento delle condizioni ambientali della città. Qual è la tua opinione?

Bisogna stare dalla parte degli operai dell’ILVA di Taranto perché difendono non solo il loro posto di lavoro ma anche la possibilità che questo Paese torni a crescere.C’è chi si preoccupa che un giovane su tre è senza lavoro e senza futuro. Ma, poi, le stesse persone delle Istituzioni, che ripetono ciò in modo quasi petulante, assumono decisioni che distruggono posti di lavoro. Quale futuro abbiamo con questa classe dirigente? Ma nella Repubblica fondata sul lavoro non dovrebbe essere proprio questo il primo diritto da tutelare, mentre tutti gli altri dovrebbero venire dopo?

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