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MARZO 2010

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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FEBBRAIO 2010

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SOMMARIO

Il Fatto
Un Congresso di cui essere orgogliosi - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale UIL Vogliamo costruire
il Sindacato Riformista - di A. Passaro

Congresso UIL
La relazione al XV Congresso UIL - di Luigi Angeletti
Voci dalla base del congresso - di P. Nenci

Sindacale
RU 486 - Convegno della Uil di Lecce - di N. Nisi
UILWEB.TV, un progetto che sa di futuro - di M. A. Lerario
L’ITAL-UIL mette “nero su bianco” se stessa - di M. C. Mastroeni
Il lavoro a tempo parziale - di F. Tarra

Economia
NO alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi sociali di base in Italia! - di C. Troger

Approfondimento
Una lettura organizzativa degli Enti Locali: il caso di quattro Comuni - di G. Piscopo

Attualità
Il terremoto cileno - di A. Carpentieri

Il Corsivo
Pioggia Acida - di Prometeo Tusco

Agorà
Il ponte sullo stretto tra Europa e Mediterraneo - di M. Ballistreri
Preoccuparsi dei giovani - di G. Salvarani
Uno stand per Haiti, un Progetto per il Sud - di A. Scandura

Cultura
Leggere è rileggere - Ffidor Dostoevskij: il sogno di un uomo ridicolo - di G. Balella
FILM, FILMETTI, FILMINI - di L. Gemini
Il volo di Amelia - di L. G.

Inserto
Il XXII Rapporto Eurispes: L’Italia come un cantiere sempre aperto dove però
non si trova il progetto - di P. Nenci

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EDITORIALE

Un Congresso di cui essere orgogliosi

Di Antonio Foccillo

Il XV congresso confederale è stato certamente un dibattito serio ed una prova di capacità propositiva e di democrazia che fa onore a tutta l’organizzazione ed ai suoi gruppi dirigenti. La proposta contenuta nella relazione di Luigi Angeletti (che pubblichiamo, n.d.r.) di puntare ad un’Alleanza per il lavoro e lo sviluppo, nell’ottica di un sindacato riformista, se colta dalle forze politiche e dalle altre organizzazioni sindacali può rappresentare un viatico per rilanciare il sistema economico, produttivo e occupazionale. Viviamo in una società che è cambiata geneticamente, come pure il lavoro e la composizione dello stesso. I bisogni sono profondamente diversi rispetto al passato, con il crollo del modello comunista e l’esaurimento della contrapposizione fra economia centralizzata ed economia pluralista è entrato in crisi anche il modello socialdemocratico, riformista e si è determinato un unico modello economico “neoliberista”. Le vicende di Rosarno, Termini Imerese, Phonemedia, il leader dei call center, sono alcuni degli ultimi avvenimenti che dimostrano che è sempre più difficile coniugare la dignità delle persone, il diritto al lavoro e la logica stringente dell’economia fredda e cinica.

Come si può pensare di vivere la società, come quella attuale, in cui il rispetto per la persona viene continuamente messo sotto i piedi e dove la precarietà del lavoro è spesso accompagnata dal cinico licenziamento di tanta parte di lavoratori, ovvero come condizioni inumane per tanti immigrati possono essere continuamente vissute come normali o quando la popolazione, lasciata sola ed esasperata si ribella alla violenza e alla delinquenza e si scontra con queste persone. Solo allora ci si accorge del problema e si scrivono milioni di parole, su pagine e pagine dei media, condannando o giustificando, ma senza mai ragionare sul perché siano nati questi fenomeni e sul perché non si è fatto niente fino al caso concreto che ha fatto esplodere il problema. Licenziamenti, emarginazione, violenza, degrado e divisioni fanno parte del mondo moderno. La logica della competizione estrema ha rotto qualsiasi valore di solidarietà e coesione. L’“altro” è visto spesso come nemico. E l’individualismo impera con la sua logica di affermazione che prevale su qualsiasi altro individuo con ogni mezzo.

L’affermazione di un modello economico unico sembrava aver sgombrato il campo, dopo uno scontro titanico durato oltre mezzo secolo, da ogni ulteriore dialettica sui rapporti di forza all’interno della società. In quest’epoca di naufragio delle ideologie, e di tutto ciò che esse avevano rappresentato, si è coniata in fretta un’ideologia inedita, che declassava impietosamente al rango di “lacci e lacciuoli” tutto ciò che in qualche modo si opponeva al libero gioco dell’economia. Di tutto ciò ne hanno sofferto anche le rappresentanze, riconosciute dalla Costituzione - come i sindacati e i partiti politici - che avevano, fino a quel momento, garantito la stabilità, la coesione sociale e la partecipazione democratica. L’economia rivendica la sua supremazia sulla politica e gli uomini politici impostano programmi di governo attentamente tarati sul primato della stessa. Soffia il vento delle privatizzazioni, il lavoro diventa “part-time”, temporaneo, precario. Fatto apposta per l’uomo moderno che vuole cogliere le “opportunità”. Si aprono nuovi scenari internazionali, economici e politici. Ma dobbiamo reagire. La relazione, il dibattito, le conclusioni del congresso sono state chiaramente le riposte a molti problemi nell’ottica di chi non vuole distruggere, ma vuole costruire con l’ambizione di ricreare regole, etica e solidarietà fra le persone. Si è con questo congresso tornati a volare alto. Una classe dirigente che si rispetti deve mettere anima in quello che fa e in questo congresso lo ha fatto. La forte riduzione della distribuzione della ricchezza, il rallentamento del credito, la contrazione della fiducia dei consumatori e delle imprese frenano la domanda e la produzione nelle economie avanzate, dove si registrano significative perdite di posti di lavoro. Oggi, sembra che qualche timido elemento di ripresa dell’economia ci sia, allora bisogna valutare come ed in che modo se né uscirà? Tutti dicono che, alla fine, dalla crisi trarremo i criteri e le regole in base a come si sono modificate le abitudini preesistenti. Alla fine, si dovrà trovare, comunque, un nuovo modello, più equilibrato, in cui vi sia meno sperpero e capace soprattutto di rinnovare il sistema produttivo e di consumo. La società per essere comunità deve per forza di cose essere governata con principi, ideali e valori, altrimenti vive la propria quotidianità solo sul pragmatismo, sullo spontaneismo e sulle individualità una contro l’altra, armate. In una fase come questa, di cui ancora non si intravede la fine e non si ha coscienza della dimensione dei costi sociali della crisi in atto, bisognerebbe essere in grado di fare sistema e di valutare, in un ambito, come già sostenevo, che travalichi la singola provincia e il singolo Stato, non solo quali siano gli interventi efficaci per fermare la crisi, ma anche come ricostruire le premesse di una società democratica in cui la ricerca del benessere reale si basi su di un rinnovato modello economico e sociale. Si torna a parlare di regole e di intervento dello stato in economia, ma – ci chiediamo - sulla base di quale riferimento politico economico verranno fatte queste scelte, visto che i due modelli precedenti, sia quello del centralismo e della programmazione di origine comunista, sia quello del liberismo senza regole del turbo-capitalismo, anche se con motivazioni diverse, sono stati messi in crisi. Di fronte a questa situazione il sindacato deve porsi il problema di com’essere all’altezza del cambiamento e come attualizzare la sua strategia rivendicativa e sociale, ricercando nella società aggregazioni diverse sulla sua impostazione. Deve, con molta umiltà, riprendere il cammino per stimolare la partecipazione e comprendere a fondo le trasformazioni quelle avvenute e quelle in atto. In realtà sarà vitale per il sindacato proiettarsi nella società come soggetto di aggregazione riformista, e in questo la UIL può essere parte dirigente, proprio come ha individuato lo slogan congressuale e come ha spiegato la Relazione di Angeletti, perché se lo spazio politico deve ridursi a sola pratica del quotidiano verrebbe a perdere inevitabilmente la sua stessa ragione d’essere, e cioè porsi come riferimento rappresentativo di un progetto sociale più complessivo.

Nell’attuale società esigenze giustificate, motivate e irrimandabili, anche di riforme sociali (quelle che una volta era chiamato riformismo spicciolo e non lo è: le pensioni, la casa, l’assistenza, la sanità, la scuola, i trasporti) hanno raggiunto un tale livello di bisogno che per soddisfarle ci vogliono volontà e mezzi. Di fronte a ciò dobbiamo riaffermare la nostra capacità di essere un interlocutore capace di dialogare con gli uomini, le donne, i lavoratori, gli emarginati, i lavoratori immigrati, con i lavoratori atipici e con i giovani. In questa prospettiva legare l’anima laica con quella riformista, può diventare il filo conduttore dell’azione sindacale in modo da legare il passato con il presente. Un sindacato che rappresenti l’occasione per promuovere un ruolo di rinnovata presenza sociale, attraverso una battaglia per le riforme per l’affermazione di un progetto riformista della società. Questo è il nostro compito di dirigenti sindacali e della UIL. Le fasi di cambiamento, anche se difficili, non si risolvono, chiudendosi e opponendosi, ma affrontandole senza tabù, con spirito costruttivo, per creare, tutti insieme, opportunità di crescita e sviluppo. Questo perché l’attuale complessa realtà della società moderna, necessità di un sindacato riformista, di imprenditori disponibili al dialogo sociale e di regole chiare per ricondurre il confronto ad una corretta dialettica fra diversi interessi. La nostra sfida lanciata al congresso e quella di ricreare condizioni in cui il lavoro non sia sopruso, ma sia garantito in modo da far emergere una nuova stagione di tutele; ridistribuire la ricchezza prodotta, attraverso un fisco più giusto, rendendo i salari in grado di salvaguardare veramente il potere d’acquisto delle famiglie, con aiuti fiscali che incidano in positivo sui salari e sulle pensioni; stabilire regole per le multinazionali che non possono arrivare, prendere facilitazioni e poi sparire, lasciando a casa i lavoratori; chiedere con forza al Governo di discutere e concertare un piano di programmazione industriale in cui siano investite le risorse su settori produttivi in grado di competere. L’azione di un’organizzazione sociale si misura sul campo, sulla capacità di consenso che riesce ad aggregare, sulla mobilitazione dei lavoratori, su una spinta ideale che costituisca il cemento stesso della militanza e non sugli steccati che si vorrebbero costruire a tavolino. Il compromesso, l’etica, il laicismo, il proporre, la democrazia della partecipazione, il rispetto dell’altrui pensiero, sono tutti principi della storia del riformismo e del laicismo che hanno prodotto modelli di società in cui i principi di uguaglianza, di solidarietà e di coesione sociale hanno affermato la centralità della persona. Il trinomio forte su cui si è costruita, almeno in Europa, un modello di società coesa e solidale è stato: uguaglianza, fratellanza, libertà. Da lì si deve ripartire e questi valori devono orientare la ricostruzione politico-economica della nuova società uscita dalla crisi. La Uil, in particolare, per i suoi connotati di organizzazione laica e socialista che questi valori non solo lì ha sostenuti, ma li ha anche praticati, deve farsi carico di riprendere la strada, fare da traino, spingere perché siano di tutti. Questo è il senso della proposta congressuale del sindacato riformista.

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Vogliamo costruire il Sindacato Riformista. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Angeletti, il XV Congresso della Uil si è positivamente concluso e già appartiene alla storia della nostra Organizzazione. Secondo l’opinione prevalente è stato uno dei più bei Congressi che si ricordi. Sei soddisfatto?

Sì, sono molto soddisfatto. C’è stata una grande partecipazione e il dibattito è stato molto interessante e ricco di spunti. Inoltre, ai lavori hanno presenziato tantissimi ospiti che hanno così dimostrato grande affetto e attenzione per la nostra Organizzazione. Altrettanto bella è stata anche la giornata dedicata al sessantesimo della nascita della Uil. La presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha dato il segno di quanto importante sia la nostra Organizzazione sulla scena economica e sociale del nostro paese.

E allora, Angeletti, entriamo subito nel vivo della relazione con cui hai aperto il XV Congresso. Tu hai indicato come soluzione da perseguire un’Alleanza per il lavoro e lo sviluppo. Puoi ribadire le ragioni di questa tua proposta?

Dobbiamo fare una breve premessa. L’occupazione non è in funzione delle leggi: non sono le norme a creare lavoro. Il lavoro si genera se vengono attuate politiche economiche, industriali, energetiche, della logistica, dell’innovazione che siano chiaramente indirizzate alla crescita e allo sviluppo del Paese. Noi dobbiamo pensare, immaginare e andare al di là dell’emergenza. Per questo motivo, la Uil intende farsi promotrice di una vera e propria “Alleanza per il lavoro e lo sviluppo”. Non basta più un patto né tanto meno un singolo accordo. C’è bisogno di un grande progetto programmatico, di una vera e propria strategia per l’occupazione che coinvolga, in un tavolo permanente, insieme al Governo, tutte le forze sociali e produttive del Paese. Una strategia che si ponga obiettivi precisi e date individuate per l’attuazione di specifici progetti già varati ma rimasti sulla carta, di provvedimenti già assunti e mai realizzati, di opere cantierabili e mai compiute. Se si vuole che cresca l’occupazione, bisogna prevedere investimenti, pubblici e privati, in innovazione e ricerca, in infrastrutture materiali e immateriali. Ma, soprattutto, quegli investimenti bisogna attuarli, compierli, trasformarli in opere concrete.

A corollario di questi ragionamenti, in un passaggio della tua relazione hai affermato che “la Uil ama il lavoro e sostiene chiunque lo generi”. E’ la continuità di una linea sindacale che sta caratterizzando tutto il tuo mandato. Puoi ribadire le ragioni per cui, proprio in una condizione di crisi, continui a sostenere questa tua tesi?

Si possono ricostruire patrimoni e si possono invertire trend economici. Ma se una crisi finanziaria ha anche accentuato il disfacimento del tessuto sociale, si deve far leva su una rinnovata forza motrice se si vuole riprogettare un modello di società in grado di garantire un diffuso sviluppo. E allora fuori dal tunnel di questa crisi ci può condurre solo la locomotiva del lavoro. Solo il lavoro può essere il motore della ripresa. Solo il lavoro può rigenerare speranza, ridando fiato e contenuto concreto ad un rinnovato senso della stessa coesione sociale. Noi, coerentemente, continuiamo a credere in quel principio e in quel valore.

Ma proprio il lavoro ha subito e sta ancora subendo le conseguenze pesantissime della crisi. La Uil si è fatta promotrice di una strategia che ha prodotto i suoi frutti. Nella tua relazione hai ribadito la necessità di questo percorso. Vuoi riproporci il tuo ragionamento?

Proprio il principio secondo cui la Uil ama il lavoro ci ha indotto a rivendicare soluzioni concrete e semplicemente di buon senso. Siamo convinti che un corretto modello di ammortizzatori sociali non generi occupazione ma possa impedire un’emorragia occupazionale e creare i presupposti per un rilancio complessivo del sistema. Ebbene, siamo il Paese che, meglio di altri, è riuscito a contenere l’impatto della crisi sull’occupazione e questo è stato possibile grazie ad una politica degli ammortizzatori sociali che ha consentito di mantenere i lavoratori legati al proprio posto di lavoro. L’idea secondo cui, in presenza di una condizione di crisi così generalizzata, sarebbe stato possibile accettare a cuor leggero i licenziamenti, fidando su un sostegno al reddito incentrato sull’indennità di disoccupazione, avrebbe aggiunto danno a danno. Due sarebbero stati gli effetti negativi di questa metodologia. Innanzitutto, avremmo rischiato di alimentare qualche atteggiamento truffaldino. Alcune imprese cioè avrebbero potuto approfittarne estromettendo dal processo lavorativo più persone del dovuto, riassorbendo poi, in nero, quella stessa forza lavoro. Ma, soprattutto, si sarebbe generato un ulteriore effetto economico deleterio. Avremmo assistito ad un depauperamento del sistema produttivo, ancor più consistente di quello che siamo costretti a sopportare. Si sarebbe disperso un patrimonio occupazionale che, in moltissime realtà, rappresenta l’ossatura essenziale su cui si regge la stessa impresa. Ecco perché la Uil ha chiesto un intervento da parte dello Stato teso a finanziare l’occupazione piuttosto che la disoccupazione.

Grande rilievo, poi, hai dato ai processi formativi. La formazione può davvero essere una carta importante per offrire garanzie occupazionali?

Quello della formazione resta il terreno più importante per dare gambe a progetti di tutela che rendano il lavoratore in grado di essere davvero padrone del suo destino occupazionale. Il recente accordo firmato dal ministro del Lavoro, dalle Istituzioni locali e da tutte le parti sociali rappresenta un primo importante passo lungo la strada che deve condurre ad una vera e propria cultura della formazione, in linea con una rinnovata Stategia di Lisbona, coerente con i veri bisogni e le attese di tutto il mondo del lavoro. La formazione è uno dei presupposti essenziali per dare corpo al valore della conoscenza quale principio per l’occupabilità. Se il lavoro è la vera ricchezza del Paese, la conoscenza è la misura di questa ricchezza. Più formazione, dunque; più formazione professionale, più formazione continua, se vogliamo connotare di qualità la ripresa dell’economia e lo sviluppo del Paese.

Non poteva mancare nella tua relazione il capitolo sul fisco. Anche se ampiamente conosciuto dai nostri lettori, ribadire i contenuti di questa rivendicazione della Uil non è mai superfluo

Sì, il fisco per la Uil resta la questione centrale. L’attuale sistema non funziona. E’ quanto di più iniquo e inefficace si sia potuto immaginare. Incoraggia l’evasione fiscale e questo oggi non ce lo possiamo più permettere. Non è solo una questione morale. E’ un problema economico: con questo sistema il Paese si impoverisce. La tasse gravano sul lavoro e con questo fardello si frena il motore della crescita. In Italia risultano poveri solo quelli che si dichiarano tali. E invece, oggi, in Italia, la categoria più numerosa di veri poveri è quella dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Ecco perché noi continuiamo ad insistere sulla necessità di ridurre le tasse solo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Ed ecco perché occorre fare un accordo con il Governo per costringerlo e impegnarlo ad una riforma del fisco così come noi la vogliamo. Non c’è altra strada: le trattative si fanno per ottenere risultati e fare accordi e non per proclamare qualche altro sciopero. Abbiamo le idee chiare e le esporremo al tavolo della trattativa non appena saremo convocati.

Sono tanti altri i punti importanti della tua relazione. Tuttavia, vorrei chiudere con un riferimento al passaggio sul sindacato riformista. La Uil come forza sociale di aggregazione dei riformisti: è questo l’obiettivo della Uil del futuro?

Io penso proprio di sì. C’è bisogno di modernità e di riformismo. Ce lo chiede la nostra gente che ci invita a pensare e a costruire il domani. E’ giunto allora il momento di avere piena consapevolezza che la complessità del sociale da cui siamo circondati pone un rinnovato impegno. Dobbiamo diventare fautori di un nuovo processo unitario sindacale, fondato su un riformismo sociale diffuso. Un processo che coinvolga la società civile, gli intellettuali, il mondo delle associazioni e del cosiddetto terzo settore ma anche altre importanti realtà della rappresentanza sindacale. Vogliamo costruire il Sindacato Riformista e, dunque, vogliamo generare nuove alleanze. I dogmatismi ideologici sono stati spazzati via dalla Storia. E la diffusa mutevolezza sociale richiede un approccio flessibile e laico al governo dei cambiamenti. Solo chi ha categorie mentali riformiste può muoversi a proprio agio su questo nuovo terreno. La forza della storia della Uil e il coraggio della certezza di un suo futuro ci consentiranno di realizzare questo ambizioso progetto.

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