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MARZO 2009

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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Fax 06.47.53.208
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Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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FEBBRAIO 2009

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SOMMARIO

Il Fatto
Come se ne esce? - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario generale Uil. Crisi economica:
le politiche economiche e sociali devono essere coordinate con misure comuni
a livello internazionale - di A. Passaro
Intervista ad A. Pizzinato. Un sindacato è efficace se guarda avanti, fra proposte
e incalza le controparti - di P. Nenci

Attualità
Eliminare ogni discriminazione nei confronti delle donne - di N. Nisi
Ateneo e sistema vitale: nuove prospettive e ruolo dei Dipartimenti - di C. Caterina

Economia
Alcune riflessioni sulla Previdenza Complementare - di F. Ortolani
Capitalismo ed etica sono incompatibili? - di E. Canettieri
Rottura del sistema monetario mondiale - di G. Paletta
Il tè nel deserto - di A. Ponti

Sindacale
Un sindacato condannato a vincere - di P.N.
I “più veri” - di C. Benevento

Società
Alla domanda di maggior sicurezza la risposta è: militarizzeremo le città e non solo!
di G. S.
Saper interpretare le nuove problematiche del lavoro: uguaglianza di diritti
e di opportunità - di P. Nenci

Il Ricordo
Cinque anni fa ci lasciava Alberto Bonifazi - di G. Salvarani

Agorà
Giacomo Mancini e il mondo del lavoro - di A. Landolfi
Nel web una nuova lingua. Il gergo di internet produce effetti anche sul linguaggio
quotidiano - M. C. Mastroeni
Focus sui social network. Il gemellaggio non appartiene solo allo sport - di M.C.M.

Cultura
Leggere è rileggere. Stefan Zweig: Il mondo di ieri - di G. Balella
Autori e Artisti: necessità di un sindacato universale - di N.A.R.
“Gran Torino” - di S. Orazi

Inserto
Quando la Uil aveva solo quindici anni - di P. Nenci

Separatore

IL FATTO

Come se ne esce?

Di Antonio Foccillo

Il problema non è solo quello di uscire da questa situazione economica con misure eccezionali, ma, passato il peggio e per evitare ulteriori disastri, a quale modello economico converrà fare riferimento. Tutti dicono che, alla fine, dalla crisi trarremo i criteri e le regole in base a come si sono modificate le abitudini preesistenti. Alla fine si dovrà trovare comunque un nuovo modello, più equilibrato, in cui vi sia meno sperpero e soprattutto capace di rinnovare il sistema produttivo e di consumo. Ma la società per essere comunità deve per forza di cose essere governata con principi, ideali e valori, altrimenti vive la propria quotidianità solo sul pragmatismo, sullo spontaneismo e sulle individualità una contro l’altra armate. All’interno di un sistema Stato vi può essere, a vari livelli territoriali, un’articolazione dei poteri in grado di decidere e rispondere alle esigenze dei cittadini e di conseguenza in grado di aggregare meglio gli interessi, perché la politica è più vicina alle realtà territoriali. Tuttavia, alla fine, soprattutto in momenti di crisi e con le disparità economico-sociali che caratterizzano le varie zone del nostro Paese, ciò può ampliare le sperequazioni e le differenze, pertanto il modello a cui si deve fare riferimento deve avere i connotati strategici della cura prioritaria degli interessi collettivi, coordinati, in sede nazionale, sulla base di una gerarchia dei valori che determina quali sono quelli più urgenti e quelli rinviabili con l’ottica di salvaguardare l’intero sistema-paese. E’ urgente, oltretutto, una programmazione generale degli interventi a sostegno dell’economia, che tenga conto innanzitutto dei settori strategici e del possibile benessere che ne scaturirà per l’intera collettività. Questo perché, in momenti di crisi, se l’economia non viene accompagnata da una strategia comune, succede che ogni realtà territoriale si muove esclusivamente nell’interesse proprio e, alla fine, come nella selezione della specie, vince sempre e solo il più forte, in questo caso rappresentato da chi dispone di maggiori risorse economiche. Viceversa la storia del sindacato confederale e della sinistra è stata sempre quella di sostenere proprio le fragilità sociali con l’impegno solidale di tutti. Poi quando si indurranno nuove condizioni di sviluppo si penserà ad assicurare la distribuzione delle ricchezze come in passato si sono distribuiti i sacrifici e con lo stesso obiettivo di riaffermare le condizioni solidali. In una fase come questa, di cui ancora non si intravede la fine e non si ha coscienza della dimensione dei costi sociali della crisi in atto, bisognerebbe essere in grado di fare sistema e di valutare, in un ambito che travalichi la singola provincia e il singolo stato, non solo quali sono gli interventi efficaci per fermare la crisi, ma anche come ricostruire le premesse di una società democratica in cui la ricerca del benessere reale si basi su un rinnovato modello economico e sociale. Si torna a parlare di regole e di intervento dello stato in economia, ma – ci chiediamo - sulla base di quale riferimento politico economico verranno fatte queste scelte, visto che i due modelli precedenti, sia quello del centralismo e della programmazione di origine comunista, sia quello del liberismo senza regole del turbo-capitalismo, anche se con motivazioni diverse, sono stati messi in crisi. Certo qualcuno potrebbe ritenere “nostalgiche” e/o fuori dal tempo queste considerazioni, quasi non si fosse capaci di leggere le profonde trasformazioni sociali prodotte dal consumismo e dalla cultura di massa di bisogni populistici, ma il problema sta tutto là: di fronte a tanti disvalori, messi in moto nella nostra società in questi ultimi quindici anni è possibile ancora recuperare una battaglia ideale e valoriale o ormai questa è persa per sempre? Guardiamo ai giovani d’oggi, dipinti come soggetti avulsi dalle problematiche collettive e sempre più chiusi nelle proprie individualità e in competizione continua, fino alla esasperazione del concetto che li raffigura refrattari alla solidarietà e alla coesione. Ma ci siamo mai chiesti se è proprio così? Chi frequenta i giovani vede in essi persone sempre più smarrite, perché manca loro un punto di riferimento; persone a cui è stata tolta qualsiasi possibilità di programmare la propria vita e che al contrario vorrebbero avere uno scopo che li facesse sentire parte attiva della società e delle scelte che essa fa. Sono quindi interessati a capire e a confrontarsi, ma dove lo possono fare? Il problema vero è che dobbiamo, almeno noi che abbiamo fatto della nostra vita una battaglia di libertà, democrazia e impegno civile e sociale, individuare e ricostruire strutture e sedi dove ci si possa confrontare sulle problematiche politico-sociali ed economiche emergenti per ritornare ad essere un soggetto protagonista e partecipe della vita sociale e civile di questo paese. Il problema è parlare ancora una volta il linguaggio che sappia rivolgersi all’intero Paese, rinnovandolo. Ricreare una cultura politica di idee che sia sostenuta non dall’ideologia del leader ma dalla partecipazione dei cittadini attraverso strutture politiche e sociali caratterizzate dal proprio retroterra valoriale, fatto di tradizione (il proprio dna) e modernità (fatto di pragmatismo) a cui potersi ancorare e far battaglie politiche con il fine però di costruire un modello di società coeso e solidale. La crisi economica non è solo crisi finanziaria, ma anche morale. Mancanza di etica, ricerca del profitto a tutti i costi, individualismo esasperato, disinteresse verso gli altri della società. Arricchirsi individualmente in ogni modo. Scrive Jean- Paul Fitoussi, proprio in un articolo dal titolo “se torna l’etica nel capitalismo”: “In ogni caso, alla radice del deficit etico del capitalismo contemporaneo c’è l’inversione della gerarchia tra politica ed economia, o spesso la pura e semplice subordinazione della prima alla seconda. Lo scandalo etico del nostro tempo sta nella globalizzazione della povertà, diffusa ormai anche nei Paesi più ricchi; e ancora più nell’accettazione di un grado insostenibile di sperequazione nei regimi democratici. Di fatto, il nostro sistema procede da una tensione tra due principi: quello del mercato e della disuguaglianza da un lato (un euro, un voto) e dall’altro quello della democrazia e dell’uguaglianza (una persona, un voto). E’ ciò comporta di necessità la ricerca permanente di una via di mezzo, di un compromesso…

…una normale gerarchia di valori esigerebbe che il principio economico sia subordinato alla democrazia, e non viceversa. Questi concetti sono da sempre patrimonio della nostra organizzazione che ha appena compiuto 59 anni ed essendo nell’età della saggezza deve proseguire la sua battaglia per farli diventare patrimonio di tutti. Il compromesso, l’etica, il laicismo, il proporre, la democrazia della partecipazione, il rispetto dell’altrui pensiero sono tutti principi della nostra storia e sono anche la storia anche del riformismo e del laicismo politico, che hanno prodotto modelli di società in cui i principi di uguaglianza, di solidarietà e di coesione sociale hanno affermato la centralità della persona. Tutto ciò deve orientare la ricostruzione politico-economica della nuova società uscita dalla crisi. Certamente sarebbe suicida riproporre il modello socioeconomico anglo-americano, né tanto meno potremmo fare riferimento a modelli orientali. Dobbiamo cercare nella storia sociale del vecchio continente quei riferimenti necessari a ricreare un modello sociale equo e solidale. Sempre Jean Paul Fitoussi ha sostenuto di fronte al pubblico di Innovaction:

“La gente è pronta per la vera Europa, ma vi sono due problematiche:

- l’Europa non ha un governo autorevole e soprattutto non ha legittimità, perchè la Commissione europea non è eletta.

- gli stati nazionali, legittimati dal voto, non hanno potere, e cercano la dottrina nella figura della Commissione, che invece non è eletta.

Per riuscire a dare forza agli organismi europei bisogna dunque rinunciare a interessi privati, e innestare una rivoluzione culturale e – conclude Fitoussi - penso le popolazioni europee siano pronte. Tra un po’ le elezioni nazionali non saranno più importanti. I presidenti dei consiglio saranno solo governatori.”

Tra un po’, quanto?

Separatore

Crisi economica: le politiche economiche e sociali devono essere coordinate con misure comuni a livello internazionale. Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti.

di Antonio Passaro

Angeletti, i temi della crisi economica e, soprattutto, le sue conseguenze occupazionali continuano ad essere al primo posto dell’agenda sindacale. Una questione che non riguarda solo il nostro Paese. Ne sono una prova eloquente gli incontri del G8-G14 del Lavoro che si sono svolti proprio a Roma alla fine del mese di marzo. Anche in quella circostanza hai sostenuto le tue argomentazioni e hai fatto le tue proposte. Puoi sintetizzarle?

Intanto, anche in quella sede c’è stata una condivisione delle cause della crisi che, come è noto, ha avuto una matrice finanziaria. Così come tutti hanno potuto constatare che di fronte ad un dissesto dell’assetto finanziario mondiale, reso emblematico dal fallimento della Lehman, tutti i governi, senza alcuna distinzione di orientamento politico si sono precipitati a salvare il sistema finanziario, anche con massicci interventi volti alla nazionalizzazione delle banche. Ma questa crisi – è sotto gli occhi di tutti – ha travolto anche le economie reali con conseguenze drammatiche: molte imprese hanno chiuso, è aumentata la disoccupazione e, con essa, la povertà. Si stanno distruggendo, insomma, le stesse condizioni di migliori aspettative economiche costruite negli ultimi dieci anni. Ebbene noi pensiamo che da questa crisi non se ne possa uscire da soli e che ora debbano essere gettate le basi per rendere possibile ciò che fino ad oggi non è stato realizzabile: anche le politiche economiche e sociali di tutti i Paesi coinvolti devono essere tra loro coordinate. E’ difficile e faticoso ma, viceversa, sarà davvero complicato superare questa crisi se le politiche dei singoli governi non si pongono l’obiettivo comune di puntare alla crescita dell’occupazione. L’idea di affidarsi ad un mix di protezionismo e di dumping sociale si trasformerebbe, invece, in una catastrofica illusione.

Le Global Unions, i sindacati internazionali, hanno presentato due documenti: uno per il G8-G14 Lavoro e un altro per il G20 di Londra. Viene proposta una strategia in cinque punti molto articolata. Se la dovessi tradurre in un titolo, come la sintetizzeresti?

In una sola battuta direi ai governi interessati: sino ad ora vi siete preoccupati di salvare le banche, ora preoccupatevi delle persone che lavorano. Alla base di tutto, c’è un principio che bisogna assumere: l’idea di fare soldi con i soldi non funziona più; per fare soldi bisogna lavorare. La ricchezza si crea con il lavoro e le politiche economiche dei governi devono essere coordinate e finalizzate a questo obiettivo. Occorre investire nell’economia reale.

Introducendo i lavori del G8-G14 hai fatto una proposta operativa?

Sì. Al G8 dei Capi di governo, che si svolgerà nel prossimo mese di luglio in Sardegna, a “La Maddalena”, si parlerà di economia, sviluppo e lavoro. E’ impensabile che si possano affrontare questi temi in assenza di rappresentanti sindacali internazionali. Questa volta bisogna fare un’eccezione: ad una sessione di quella riunione deve partecipare anche il nostro Segretario generale per esprimere a tutti i Capi di governo la nostra posizione ed ottenere risposte chiare.

Passiamo adesso alle questioni “interne”. Le conseguenze occupazionali della crisi sono preoccupanti anche per il nostro Paese e, in una situazione così eccezionale, tu hai proposto il ricorso a soluzioni eccezionali. E’ il momento dei contratti di solidarietà?

La Uil è sempre stata contraria ai contratti di solidarietà. Ma ora non è il tempo delle ristrutturazioni aziendali, ora è il tempo di una crisi di sistema. Dunque, vanno bene anche soluzioni eccezionali come, per l’appunto, la riduzione dell’orario di lavoro accompagnata da un intervento dello Stato che compensi la perdita salariale con un’integrazione. Dobbiamo fare in modo, per ragioni sociali ma anche economiche, che i lavoratori restino “legati” alle aziende. Quando la crisi finirà, se nel frattempo avremo chiuso imprese e licenziato lavoratori, non avremo più il patrimonio necessario a cogliere le opportunità della ripresa che prima o poi arriverà. Ecco perché bisogna finanziare il mantenimento dei posti di lavoro piuttosto che la disoccupazione.

Il primo pilastro su cui basare la ripresa è quello degli investimenti. E’ così?

Non c’è dubbio. Anche se le sole promesse non servono a nulla: ora quel che conta è spenderli davvero i soldi e realizzare gli investimenti il più velocemente possibile. Bisogna mettere a punto un piano d’emergenza per accelerare al massimo le procedure: le opere pubbliche vanno completate rapidamente e persino i controlli devono essere posticipati. E’ assurdo che, in un condizione di crisi come quella attuale, c’è ancora qualcuno che si permette il lusso di bloccare la costruzione di due centrali elettriche.

Si è tornato a parlare anche di pensioni. Ma il recente rapporto annuale dell’ Inps ha confermato che il sistema previdenziale è in equilibrio e che non è necessaria un’altra riforma. Qual è il tuo parere?

La Uil, da sempre, sostiene che non c’è alcuna emergenza previdenziale e, conseguentemente, che non c’è alcun bisogno di un’altra riforma: il nostro sistema funziona. E’ inutile, oltre che dannoso, mettere in discussione le prospettive pensionistiche dei lavoratori. Anzi, il recente Rapporto dell’Inps ci parla di un bilancio con un saldo attivo di più di 11 miliardi di euro. I soldi, dunque, ci sono e i contributi versati sono sufficienti per pagare pensioni più alte.

E la proposta di allungare l’età pensionabile per le donne nel pubblico impiego?

La Uil non pone veti ad un allungamento dell’età pensionabile delle donne purchè su base volontaria e incentivata e semprechè le risorse siano impiegate per migliorare i servizi per le stesse donne.

Pochi giorni fa, tu, Epifani e Bonanni, vi siete nuovamente incontrati dopo un lungo periodo di gelo nei rapporti tra le tre Confederazioni. Come è andata e di cosa avete parlato?

Tra noi esistono differenze che sono ampiamente note. Tuttavia, il clima non è da guerra. Abbiamo continuato a discutere di rappresentanza e rappresentatività e abbiamo assunto alcune decisioni sul Primo Maggio. Quest’anno la manifestazione si svolgerà a Siracusa e si parlerà del lavoro che unisce, della legalità e del rapporto con gli immigrati.

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