UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
MAGGIO 2013

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
APRILE 2013

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Il Fatto
E’ necessario un sindacato che sia nello stesso tempo dentro il posto di lavoro e nella società - di A. Foccillo
Intervista a LUIGI ANGELETTI Segretario generale UIL. E’ tempo di attuare riforme vere e di affrontare e sciogliere realmente il nodo delle tasse per ridurre quelle che gravano sul lavoro - di A. Passaro

Sindacale
La trasparenza nella gestione organizzativa ed economico-finanziaria, elemento qualificante delle Conferenze di Organizzazione, per accrescere la credibilità dell’Organizzazione Sindacale - di C. Barbagallo
Un fisco Europeo contro l’evasione per la crescita - di D. Proietti
La tenacia del mondo metalmeccanico - di R. Palombella
Non chiediamo la luna… vogliamo esserci da protagonisti - di C. Tarlazzi

Economia
Il mantra dell’austerity - di G.Paletta
Una tassazione più giusta, una diminuzione dei costi della politica, il contenimento della spesa pubblica e un limite agli stipendi e pensioni d’oro, per rimettere in equilibrio il Paese creando una società più equa e solidale - di G. Salvarani

Società
Dal fallimento individualmente vissuto alla ricerca della dimensione eroica - di G. M. Fara

Attualità
La torre piloti e la jolly nero “Quella disgraziata manovra” - di G. C. Serafini

Trasporti
6° Forum internazionale di Rimini Luci e ombre sul futuro dei trasporti pubblici locali e delle sue forme associazionistiche - di S. Fortino

Agorà
La crisi del PD cosa ci insegna? - di E. Canettieri
Immagini di Aldo Moro - di E. C.
Come vedono all’estero la crisi italiana - di A. Carpentieri
L’ICT, l’Europa e la necessità di un regolatorio diverso - di G. Mele
I giovani e la comunicazione - di P. Nenci

La Recensione
“l’Austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa” di Emiliano Brancaccio, Marco Passerella - di V. Russo

Cultura
NO - I giorni dell’arcobaleno, di Pablo Larraín - di S. Orazi

Inserto
Novità al Quirinale: è tornato il precedente Presidente - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

E’ necessario un sindacato che sia nello stesso tempo dentro il posto di lavoro e nella società

Di Antonio Foccillo

Le condizioni economiche, sociali e politiche in cui versa il nostro Paese e la continua sfiducia verso la politica (vedi l’aumento delle astensioni anche nelle elezioni comunali) pone l’esigenza di una riflessione impegnativa sull’essere soggetto di rappresentanza. Oggi, con la crisi dei partiti; i movimenti che rincorrono il tanto peggio, tanto meglio; le Istituzioni che vacillano; un’economia sempre più in crisi; la sovranità degli Stati ceduta alla Ue, che impone le sue regole alimentando la crisi più che risolverla, si rischia non solo di rimanere, sul piano economico, in una profonda recessione, ma sul piano della democrazia, di precludere qualsiasi voglia di partecipazione dei cittadini alla vita democratica.

Allora il sindacato in quanto strumento di rappresentanza si deve attrezzare per ridare fiato alla democrazia partecipata e per costruire un nuovo modello di società, di economia, di stato sociale e di relazioni sindacali, scaturente da un’analisi dei suoi orizzonti ideologici e delle dimensioni progettuali.

Occorre prendere le mosse dall’attuale applicazione del rapporto tra ruolo politico-sindacale e consenso popolare. E’ evidente come tale rapporto abbia subito notevoli mutamenti nel corso di questi ultimi anni: la coesione che nei periodi trascorsi, si presentava tra identità politica e identità sociale, oggi, appare logorata da scollature che distanziano l’intenzione rappresentativa e l’effettivo risultato di rappresentatività.

Il sindacato deve, anche, affrontare una strutturazione degli umori sociali che si fa segmentata, apparentemente autarchica, poco disponibile al collettivo e soprattutto sfiduciata e diffidente nei confronti dei soggetti politici che dovrebbero identificarne le aspettative e le aspirazioni.

Negli anni passati, la sostanziale omogeneità occupazionale, inserita in una struttura produttiva centralizzata attorno al grande insediamento industriale, consentiva un processo consensuale che si fondava su un riconoscimento prodotto dall’antagonismo dialettico, dove la rappresentatività si realizzava mediante una dinamica di opposizione tra parte collettiva, lavoratore, e parte padronale-istituzionale. Oggi non è più possibile, né riproponibile un simile rapporto consensuale, ma è necessario ricostruire una proposta politica capace di collocarsi dentro le possibilità odierne di rappresentatività.

Se la fabbrica costituiva in passato il luogo privilegiato dove organizzare l’adesione, e in questa il riferimento prioritario del progetto sindacale era il lavoratore, è chiaro che l’attuale struttura del lavoro presenta la frammentazione di questo polo strutturale; non solo il settore industriale non rappresenta più quantitativamente l’area economica assoluta per effetto, anche e sopratutto della finanziarizzazione dell’economia, ma anche all’interno della fabbrica non è più reperibile un’organizzazione di unità industriale ad elevata densità occupazionale.

E’ evidente come il mondo del lavoro costituisca il riferimento originario del sindacato, perché nel lavoro e attraverso di esso il sindacato trova la propria motivazione storica e politica. Ma ciò che cambia costantemente e a cui costantemente occorre aver attenzione del lavoro non solo per la sua natura economica, ma anche per i legami che instaura con la totalità sociale dell’individuo.

Oggi per effetto degli enormi cambiamenti anche nel mercato del lavoro con l’accentuazione della flessibilità, diventata precariato, ancora di più il sindacato deve reiventarsi un ruolo nel difendere il lavoro quello buono, valutandone sia i cambiamenti interni che lo hanno modificato profondamente rispetto alle antiche certezze, sia i cambiamenti negli ambiti istituzionali e sociali che lo integrano.

Per questo la funzione oggi del sindacato, ancora di più, deve ampliare e rendere più completo e garantito l›impegno per il lavoro.

Tentando di coniugare non solo la garanzia del lavoro stabile ed economicamente dignitoso, ma anche, successivamente, la salvaguardia del lavoratore nelle sue necessita dipendenti dalla struttura sociale a cui destina parte della sua retribuzione e dalla quale ha diritto a pretendere un’equa distribuzione. Non è sufficiente pertanto redistribuire equamente il reddito totale, cosa che tra l’altro non avviene da tempo, ma è indispensabile anche ridistribuire correttamente i servizi sociali che questo reddito paga.

Soprattutto in una congiuntura economica dove la stretta occupazionale grava sul mondo del lavoro, in cui l’evoluzione del sistema produttivo impone alti livelli di selezione e capacità imprenditoriale, dove si stanno ridisegnando gli scenari del mercato economico e dove la contrattazione risente notevolmente di un restringimento degli spazi rivendicativi, si pone con maggiore urgenza il compito di caratterizzare il sindacato come soggetto politico in grado di coprire e garantire il lavoratore in spazi molto più ampi del singolo negoziato aziendale.

Di fronte a ciò non si tratta di inventare un nuovo sindacato, ma di approfondire, in relazione al nuovo, la natura storica del sindacato che da sempre è quella di essere soggetto sociale, e quindi di essere interlocutore nella società per la crescita e la garanzia del benessere, oltre che soggetto di partecipazione del lavoratore-cittadino. Infatti, il benessere non va inteso nella limitazione economica, ma nel suo essere più sostanziale, cioè come soddisfazione complessiva della partecipazione alla vita sociale. Questa partecipazione interessa sempre più l’integrazione di lavoro e non-lavoro, vita pubblica e vita privata, tempo occupato e tempo libero, contribuzione economica e garanzia socio-assistenziale.

In relazione a questa prospettiva occorre valutare il ruolo nuovo del sindacato e la natura dei suoi contesti di operatività.

Dovrà essere riaffermata, con nuovi contenuti, quella funzione che è propria e peculiare del sindacato confederale: di essere soggetto proiettato verso la crescita della qualità del lavoro, ma anche più complessivamente della vita dell’uomo socialmente partecipe dell’intera disposizione istituzionale, politica culturale ed economica del Paese.

Si tratta pertanto di determinare la condizione di una credibilità che sia insieme politica e sociale, e perciò sintesi delle necessità del lavoro e delle dimensioni consensuali. In passato la politica di concertazione ha garantito la condizione di una programmazione politico-economica capace di un riferimento globale, e quindi democratico, alle condizioni di sviluppo e distribuzione delle risorse e delle tutela sociali.

Oggi occorre ricreare nuovi fondamenti politici e strategici, per una presenza capace di riattivare la partecipazione e quindi ricostruire un terreno di adesione dei singoli soggetti sociali.

Certamente ci vuole una evoluzione della strategia sindacale, nella quale, però non è tanto da riproporre un nuovo pan- sindacalismo, ma la capacità del sindacato di sostituire o integrare una inerzia o distrazione delle forze istituzionali e politiche ad assolvere il loro ruolo di governo degli assetti amministrativi e sociali del paese.

Questa proposta è la giusta conseguenza di battaglie che ci hanno visto avanzare richieste per un fisco più giusto, per trasformare la sanità, la previdenza; o proporre i problemi relativi ai trasporti, alle abitazioni, agli anziani, agli autosufficienti, ai giovani; oppure rivendicare un nuovo modello partecipativo e nuove relazioni industriali. Bisogna in altre parole ricreare un sindacato che sia nello stesso tempo dentro il posto di lavoro e nella società. E’ una scelta non facile perché riapre contraddizioni fuori e dentro il sindacato, ma può sviluppare momenti di confronto, di contraddizione e di conflitto all’interno della società e delle sue dinamiche istituzionali, sociali e politiche.

Separatore

E’ tempo di attuare riforme vere e di affrontare e sciogliere realmente il nodo delle tasse per ridurre quelle che gravano sul lavoro Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, il mese di maggio ci ha riservato gli avvenimenti più significativi proprio nel corso della sua giornata conclusiva. Cominciamo dall’ultima notizia in ordine cronologico, la più importante. Alle 21,30 del 31 maggio Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno sottoscritto una storica intesa sulla rappresentanza. Dopo 65 anni è prevalsa la volontà di dare attuazione al dettato costituzionale e di regolamentare le relazioni sindacali sulla base della certificazione della propria rappresentatività. Qual è il tuo giudizio?

E’ un buon accordo che renderà ancora più trasparenti i rapporti tra il Sindacato e il sistema delle imprese, in particolare quando bisognerà sottoscrivere i contratti collettivi nazionali di lavoro. Abbiamo convenuto che prevarrà un principio maggioritario. Le intese, dunque, saranno esigibili se firmate dalla maggioranza delle rappresentanze dei lavoratori misurata sulla base di un mix tra numero degli iscritti e voti ottenuti in occasione delle elezioni per le Rsu. E’ un principio importante perché sancisce l’esistenza di un sistema fondato su maggioranze e minoranze riconosciuto da tutte le parti interessate. Ci saranno regole stabili e certe e si potranno assumere decisioni a maggioranza, vincolanti per tutti.

Sempre nella stessa giornata, appena poche ore prima, tu Camusso e Bonanni siete stati ricevuti dal ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, per affrontare la spinosa vicenda dell’Ilva. Hai avanzato una proposta forte e, per certi aspetti, provocatoria: hai parlato di nazionalizzazione. Vuoi spiegarci brevemente?

Io credo che non esistano alternative alla chiusura del più grande stabilimento siderurgico europeo se non quella di attivarsi per cambiare il suo proprietario. E credo che non ci possa essere altri che lo Stato a subentrare al posto di Riva. Per risanare e gestire quell’impianto servono risorse che a Riva sono state sequestrate perché gli sono stati sequestrati gli impianti. Non basta più individuare una persona che gestisca la vicenda: occorrono risorse che possono essere messe a disposizione solo da un proprietario e, per dirla con una battuta, l’unico che io vedo al posto di Riva è Saccomanni.

Quella dell’Ilva è una questione di carattere nazionale, poiché lo stabilimento tarantino fornisce acciaio necessario alla produzione di molte altre aziende. Quali possono essere le conseguenze di una chiusura di quella realtà sul nostro sistema industriale e sull’economia del Paese?

Quello di Taranto è lo stabilimento di acciaio più grande d’Europa. Se venisse meno questa produzione, moltissime aziende sarebbero costrette a importarlo da qualche altro paese e a pagarlo di più. Ciò avrebbe conseguenze nefaste sulla competitività e sull’occupazione: sarebbe una catastrofe industriale estesa e generalizzata per gran parte dell’industria manifatturiera in Italia. Ecco perché occorre garantire che l’Ilva continui a produrre acciaio a prezzi competitivi, che funzioni e non, semplicemente, che sopravviva.

Per concludere i nostri commenti sulla cronaca di quella fatidica giornata ci resta da fare un cenno alla relazione annuale del Governatore della Banca d’Italia che, per l’appunto, si tiene, secondo tradizione, il 31 maggio. Cosa ne pensi delle Considerazioni finali svolte da Ignazio Visco?

Sono costretto, in premessa, a fare una valutazione di carattere generale su questo importante e tradizionale appuntamento: purtroppo, sono anni che si fanno le stesse raccomandazioni e poi l’anno successivo si prende atto che non sono state eseguite. Al di là di questa inevitabile nota di pessimismo, c’è da dire, comunque, che il Governatore ha fatto un quadro molto realistico della situazione e ha sottolineato il vero problema della nostra economia: l’incremento esponenziale, dal 2007, dei dati negativi sulla disoccupazione. Aggiungo, a questo proposito, che Visco avrebbe, forse, potuto affrontare con più incisività il tema della riduzione delle tasse: questa, infatti, sarebbe una scelta davvero decisiva per la crescita della nostra economia.

Disoccupazione e tasse, dunque, sono problemi cruciali per il nostro Paese. C’è chi sostiene che per affrontare questi argomenti occorrano risorse che non abbiamo a nostra disposizione. Cosa bisogna fare?

Ogni anno lo Stato spende circa 800 miliardi di euro: anche un bambino, eliminando gli sprechi e le spese improduttive, sarebbe capace di risparmiare almeno il 2-3% di questa cifra. Queste risorse basterebbero per far fronte alle due questioni considerate prioritarie dalla Uil.

Intanto, però, per finanziare la cassa in deroga si è fatto ricorso a risorse inizialmente destinate ad altri usi come, ad esempio, alla formazione…

Sì, è vero. I lavoratori si sono praticamente autofinanziata, per metà, la cassa integrazione in deroga, poiché una parte delle risorse individuate erano già state loro destinate sotto altre forme.

Sul provvedimento in materia di cig in deroga hai espresso più di una perplessità. Cos’altro ti preoccupa?

Nel 2013 la situazione non sembra destinata a migliorare: si rischia, dunque, che le risorse stanziate non siano neppure sufficienti. La verità è che in un Paese normale non ci si porrebbe questi problemi: per chi vive condizioni di difficoltà occupazionali si dovrebbe prevedere, in automatico, il finanziamento degli ammortizzatori sociali, anche con il supporto delle aziende, sino a quando quelle stesse difficoltà non siano superate. Per chi, invece, ha perso definitivamente il lavoro, si deve prospettare una forma di assistenza sostenuta dalla fiscalità generale.

Insieme a Camusso e Bonanni, nel mese di maggio avete avuto anche un primo incontro con il nuovo Presidente del Consiglio, Enrico Letta. Quali sono state le vostre “rivendicazioni”?

Abbiamo esposto al Presidente le nostre preoccupazioni sulla difficile fase che sta attraversando il Paese e abbiamo riscontrato da parte sua una particolare attenzione alle nostre osservazioni. Io credo che noi dobbiamo preoccuparci della politica economica dei governi. Negli ultimi anni, ad esempio, il dibattito è stato centrato sulle tasse, ma solo a parole. E intanto si sono fatte false riforme, come quella delle pensioni. E’ tempo, invece, di attuare riforme vere e, quindi, di affrontare e sciogliere realmente il nodo delle tasse facendo una battaglia per ridurre, innanzitutto, quelle che gravano sul lavoro.

Un’ultima domanda. A proposito di tasse e di fisco, la Uil ha organizzato un convegno sul tema dell’evasione fiscale proponendo la creazione di un’agenzia europea che contrasti questo fenomeno. Di cosa si tratterebbe?

Ci sono molti aspetti dell’evasione fiscale che non sono controllabili a livello nazionale: perciò è necessario che l’Europa crei una struttura per contrastare questo preoccupante fenomeno. L’evasione, ormai, riguarda tutta l’Europa e alcune stime sostengono che essa ammonti a oltre 1000 miliardi. La Uil, dunque, ha proposto la creazione di un’agenzia europea al fine di realizzare il coordinamento unico delle indagini. Sarà necessario mettere in comune dati e strumenti, migliorare le norme e aumentare i controlli.

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]