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MAGGIO 2011

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

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Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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APRILE 2011

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SOMMARIO

Editoriale
Uscire dall’impasse e determinare sviluppo, occupazione e potere di acquisto -
di A. Foccillo
L’unità sindacale è l’unità delle persone che lavorano - Intervista a Luigi Angeletti
Segretario Generale UIL di A. Passaro

Sindacale
Decreto omnibus: abrogazione delle disposizioni relative alla realizzazione
di nuovi impianti nucleari - di P. Carcassi
Elaborazione UIL sulle dichiarazioni dei redditi 2010 - di D. Proietti
Alto Adige Südtirol: rivendichiamo una forte politica sociale - di T. Serafini

Speciale L’Aquila
Il Patto per lo Sviluppo dell’Abruzzo - di R. Campo
Abruzzo: da Regione “canaglia” siamo diventata Regione “virtuosa”- di G. Chiodi
La priorità è garantire la ricostruzione del tessuto economico e sociale - di P. Paolelli

1° Maggio
Primo Maggio: Edmondo De Amicis - di P. Saija
“Primo maggio”: un romanzo tra memoria e rappresentazione - di S. Gambari

Economia
Salari bassi e cuneo fiscale elevato. Cresce la pressione sulla retribuzione reale -
di G. Paletta
Le buone intenzioni del G20 hanno le gambe corte - di A. Ponti

Il Corsivo
Il pastore errante senza più gregge - di Prometeo Tusco

Attualità
Bassi redditi, tasse elevate, disoccupazione e precarietà: la vita negata
alle nuove generazioni - di P.G.

Agorà
Coniuge under 35: niente reversibilità - L’Italia paese dei matrimoni di comodo? -
di M. C. Mastroeni
L’urgente necessità di rivitalizzare un’etica sociale - di P. Nenci
Tavolo Unico di Regia per lo Sviluppo e la Legalità - di S. Pasqualetto
Il mondo e’ solo dei...furbi (e disonesti) o è anche degli altri? - di G. Salvarani

Cultura
Leggere è rileggere. Quel che resta della luna - Il fascino di Darthùla, poema ossianico -
di G. Balella

Inserto n° 1
Redditi dichiarati, redditi evasi e imposte recuperate - a cura del Servizio politiche fiscali
e previdenziali della Uil

Inserto n° 2
Anche il mondo del lavoro fece la sua parte - di P. Nenci

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EDITORIALE

Uscire dall’impasse e determinare sviluppo, occupazione e potere di acquisto

Di Antonio Foccillo

Crescita economica lenta, costante ampliamento del divario con il resto d’Europa, aumento del rischio di povertà a ceti sociali finora mai toccati da tali problematiche, crescita del disagio e dell’esclusione sociale, oltre 2 milioni di giovani sotto i 30 anni che non studiano e non lavorano, 800 mila donne escluse dal mercato del lavoro a causa della nascita di un figlio, 2 milioni di italiani con problemi di salute abbandonati a loro stessi sono queste le caratteristiche di un Paese quasi in ginocchio che traspare dalle pagine del rapporto annuale dell’Istat. Inoltre, i dati sulle pensioni resi noti dall’Inps in questi giorni, dimostrano l’enorme divario con il 50 percento delle stesse intorno ai cinquecento euro e con una disuguaglianza fra pensioni alte e pensioni da fame (quelle dei co.co. co sono di 100 euro). Tutto ciò testimonia la necessità di cominciare a pensare in modo diverso le politiche economiche e sociali di questo Paese. Si deve aprire un dibattito su quali potranno e dovranno essere le nuove regole delle tematiche sociali. Si sostiene che proprio i cambiamenti succedutisi presuppongono la necessità di un adeguamento delle regole e degli strumenti di politica economica, ma, poi, quella che manca è una volontà univoca di trovare la strada. In una tale situazione bisognerebbe, a parer mio, ripristinare una nuova politica concertata dei redditi, per distribuire il carico dei sacrifici meglio e non sempre sui soliti attori. Il ruolo confederale emerge, non solo all’interno di una politica di rilancio del ruolo contrattuale, ma anche nel riferimento determinante al valore sociale del lavoratore che rappresenta il referente ideologico per un’azione confederale, che attiene anche all’estensione dei contenuti sociali. La politica di concertazione o un nuovo patto sociale deve essere rivendicato in questo frangente perché rappresenta la disciplina sociale di remunerazione di tutti i fattori produttivi, per riequilibrare le forti differenze esistenti nella distribuzione della ricchezza e le distorsioni che permangono nella sua formazione. Un’energica presa d’atto di questa realtà deve comportare uno sforzo elaborativo per ridare autorità alla società, dove la libertà economica e politica si coniuga con la solidarietà e, ancor più, con l’etica della responsabilità sociale. Noi siamo costretti a discutere, purtroppo per il precipitare degli eventi di un sindacato essenzialmente aziendalistico, perché anche la nostra discussione è influenzata dall’informazione e da come amplifica o riduce gli eventi. L’informazione si focalizza su singoli temi e così spezzetta l’organicità delle strategie, attardandosi sulle episodiche azioni, fuorviando il dibattito. Un sindacato che concorda su come salvaguardare l’azienda ha interesse a tutelare il lavoro al su interno. Ma la domanda che ci dobbiamo riproporre - avendola già risolta in passato con la scelta di un’azione essenzialmente confederale – basta l’azione nella singola azienda per cercare di tutelare il lavoro o magari sarebbe più opportuno aggredire le crisi e nello stesso tempo, svolgere anche una funzione diversa dalla semplice difesa? L’azione strategica del sindacato deve essere strettamente intrecciata, a parer mio, al modello di società che dobbiamo individuare in questa situazione economica, sociale e politica che si sta determinando. L’attuale condizione in questo modello di società amplifica l’emarginazione e aumenta la povertà, pertanto, dobbiamo riproporre una società in cui si stabilisca, non dico un giusto equilibrio, ma un equilibrio fra quelli che sono i forti e quelli che sono i deboli! Recentemente la radio informava proprio sui dati scandalosi di una società che si sta impoverendo, tanto è vero che la possibilità di fare risparmio è diminuita del 60% negli ultimi dieci anni, mentre, dall’altra parte, gli stipendi dei politici crescono enormemente e ciò non è in alcun modo giustificabile oggi che si vanno riducendo salari stipendi e pensioni. Allora il problema è proprio questo. Di fronte a questa situazione, se vogliamo diventare protagonisti e propositivi non possiamo che svolgere un’azione confederale di rivendicazione di misure per mantenere il Paese solidale e coeso. Infatti, ripeto, se focalizziamo tutto il nostro tipo di lavoro all’interno dell’azienda potremmo essere bravi a difendere quella qualità del lavoro, quel tipo di produzione, quell’investimento, ma non impediremo mai alle multinazionali di andarsene quando il loro interesse vien meno e si preoccupano poco sia dell’occupazione e sia della coesione sociale. Per questo bisogna pressare il Governo che, comunque, resta un interlocutore del sindacato, per rivendicare e concordare le misure per regolare le presenze delle multinazionali nel nostro Paese. Infatti, se il Governo non fissa dei paletti a garanzia del lavoratore nel momento in cui sostiene l’investimento nei confronti delle multinazionali queste che cinicamente si muovono in funzione del guadagno, altrettanto cinicamente se ne andranno per trovare nuovi investimenti in altri Paesi, molto più remunerativi per loro perché le condizioni di lavoro sono peggiori. Il movimento sindacale si deve far carico di avviare un ragionamento su queste tematiche. Ma tornando alla situazione dello stato del Paese bisogna convocare, al più presto un tavolo di confronto e di impegno politico, cioè un nuovo patto sociale, per concertare una nuova fase di sviluppo che rilanci redditi e consumi attraverso l’aumento del potere d’acquisto e che sia frutto di una riforma fiscale, della quale si parla ormai da troppo tempo, in grado di garantire una redistribuzione più equa della ricchezza ed agevolare le fasce sociali più deboli, fra le quali prima di tutto, un’intera generazione di giovani senza lavoro. Nel “nuovo patto sociale” se si decidesse di avviare il confronto bisognerebbe inserire anche misure di prospettiva quali: il lavoro, il diritto alla contrattazione, la partecipazione ed il fisco. Partendo dal lavoro si può affermare che l’Unione Europea ed i paesi che vi aderiscono hanno bisogno di politiche che ridiano slancio e fiducia al settore produttivo, occupazionale per riconquistare un buon futuro per i suoi cittadini sempre più sfiduciati. Al contrario, le prospettive di un’ulteriore riduzione del debito pubblico lasciano prevedere un prossimo taglio dello Stato sociale che era l’elemento di coesione del modello economico e politico europeo. Il problema, quindi, è come ricostruire una prospettiva di sviluppo che favorisca nuova occupazione vera e duratura, uno sviluppo che produca ricchezza e che sia distribuita in modo più equo e più giusto. E’ difficile che ciò possa avvenire senza che sia regolato, in termini di equità, il processo economico, perché la protesta rischia di superare anche le stesse rappresentanze (vedi Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, e recentemente la Spagna con gli “indignati”). L’articolo 1 della Costituzione, che pure rappresentò un compromesso tra le diverse forze politiche, fa diventare il lavoro, uno dei fondamenti della società Italiana. L’idea di “democrazia fondata sul lavoro” ci fa pensare il lavoro come uno strumento di liberazione individuale e di emancipazione personale all’interno di un condiviso interesse generale. Le nuove generazioni stanno vivendo, invece, un’esperienza in cui il lavoro non sembra più diritto, bensì come un “colpo di fortuna”. Basti pensare a coloro i quali rischiano di restare esclusi da mondo del lavoro per sempre, ai tanti lavori precari, al lavoro nero e così via. Non siamo mai stati contro la flessibilità regolata, ma non si può condividere una vita fatta di precarietà. Senza un lavoro stabile la possibilità di crescita individuale diventa un miraggio. Complementare è anche l’articolo 4 che impegna la Repubblica a rimuovere tutti gli ostacoli che rendano questo diritto non usufruibile. Allora questo è il primo punto da cui si deve partire per rideterminare quella società giusta ed equa che è stata sempre nel patrimonio di tutto il mondo del lavoro. Mentre poi, sempre scorrendo la Costituzione altro articolo importante per questi temi è l’art.36 dove si stabilisce che: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Questo assunto è stato garantito da sempre con la contrattazione. E’ fuor di dubbio che le precedenti esperienze della contrattazione, sia nelle regole sia nelle procedure, andavano modificate. Non rispondevano più né alla salvaguardia del potere di acquisto dei lavoratori, né tanto meno a corrette relazioni sindacali, dove i diritti e i doveri sia del datore del lavoro sia del lavoratore fossero sullo stesso piano. Ma anche su questa tematica i sindacati si sono presentati prima con una piattaforma unitaria e poi nella gestione si sono divisi. Ci sembra che poi l’esperienza dei rinnovi contrattuali ha dimostrato che grazie all’accordo sulle nuove regole della contrattazione sottoscritto dalle associazioni imprenditoriali, dal governo e da Uil e Cisl, si sono fatti notevoli passi in avanti. Si può dire che l’unica sofferenza si ha nel pubblico impiego. Proseguendo nella struttura dei rapporti fra lavoro e datore non si può dimenticare l’art. 46 della Costituzione dove è stabilito che: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.” Nella tradizione italiana questo articolo, per lo più, è stato disatteso. Vi sono state alcune eccezioni, basate sull’iniziativa volontaria, in cui i rappresentanti dei lavoratori hanno avuto un ruolo importante nel tavolo decisionale, come nel protocollo Iri, in Zanussi, Electrolux, Eni, negli edili, etc. Ultimamente le parti hanno cominciato ad avere un approccio più pragmatico che ha portato a valorizzare i temi della partecipazione con gli Enti Bilaterali. Venendo al domani è fuori di dubbio che il tema della modalità del processo di partecipazione, alla luce delle tante crisi, diventa elemento fondamentale e cruciale del sistema di relazioni industriali e sindacali. Se la sfida sarà colta da tutti avremo una nuova stagione del coinvolgimento dei lavoratori per evitare che siano chiamati solo a gestire le crisi. Infine rt. 53 dove si stabilisce che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Quanto si è discusso su questo tema, ma alla fine siamo sempre al punto di partenza. Una cosa è certa la macchina fiscale può essere l’unico volano per riprendere gli investimenti e per rilanciare i consumi aumentando il potere di acquisto dei salari e delle pensioni, ma certamente non si possono aumentare le tasse. E’ anche vero che un’ulteriore preoccupazione deriva dal federalismo fiscale. In questi mesi si è sviluppato un confronto, prima fra parti sociali (imprenditori e sindacati) e adesso fra parti sociali e governo, su questa tematica. Vedremo come finirà.

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L’unità sindacale è l’unità delle persone che lavorano. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL.

di Antonio Passaro

Angeletti, quello di maggio è stato un mese denso di vicende, di appuntamenti e di iniziative. Della festa dei lavoratori abbiamo già detto nel precedente numero. Aggiungiamo, allora, solo un breve cenno. Il Primo Maggio è quel che rimane dell’unità sindacale?

In una battuta, rispondo così come ho detto a Marsala: l’unità sindacale è l’unità delle persone che lavorano. Questo è ciò che interessa. Non vi è dubbio, poi, che sarebbe utile ritrovare una maggiore unità, ma avendo la capacità di individuare obiettivi comuni. Non mi sembra che, al momento, ci siano queste condizioni.

Di recente vi siete incontrati, tu Bonanni e la Camusso, con la Presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. Di cosa avete parlato e qual è stato l’esito della riunione?

Abbiamo parlato della contrattazione aziendale, argomento sul quale Confindustria voleva confrontarsi con noi, considerato che la stagione contrattuale di secondo livello è alle porte. Le distanze tra le tre organizzazioni sindacali restano e sono quelle ben note. Tutto parte dalle differenze in merito alle politiche contrattuali che hanno prodotto una situazione di contrasto. Non vedo una realistica possibilità di uscita unitaria. Peraltro, il modello contrattuale del 2009 ha ben funzionato e certamente continuerà a funzionare sino al 2013. E a proposito della regolamentazione della rappresentanza, c’è qualche novità?Ne abbiamo parlato. Ci auguriamo che almeno sulla certificazione degli iscritti si possa passare a fatti concreti. Sarebbe un fatto di chiarezza e trasparenza. Ma, allo stato attuale, non ci sono novità, non si riesce a fare nessun passo in avanti. Qualcuno sostiene che la mancanza di unità renderebbe debole il sindacato. Qual è la tua opinione?Il sindacato debole è quello che fa una politica sbagliata. Le scelte sbagliate producono sconfitte e la storia lo ha dimostrato. Lo ribadisco: la diversa opinione sul modello contrattuale è all’origine delle differenze tra noi e la Cgil. Il precedente modello è stato perfetto sino a quando ha conseguito l’obiettivo per cui era stato pensato. Dopo e per oltre un decennio, modificatosi il quadro macroeconomico, le priorità e le prospettive, quel meccanismo è stato deleterio e ha determinato il peggior risultato possibile sul fronte salariale. Se si fanno paragoni con gli altri Paesi europei ci si accorge che le differenze non stanno nella flessibilità o nei diritti: il fatto è che i lavoratori italiani, a parità di condizioni e di lavoro, guadagnano meno degli altri. Questo è il punto ed è proprio per affrontare questo problema che noi abbiamo voluto concordare, nel 2009, un nuovo modello contrattuale.

Ed è questo che ti ha fatto dire dal palco dell’Assemblea dei quadri e delegati di Cisl e Uil, svoltasi lo scorso 21 maggio, che Cisl e Uil sono il sindacato confederale unitario del nostro Paese?

Io sto ai fatti. In questa fase storica, non possiamo che prendere atto di una realtà oggettiva: Uil e Cisl sono su un fronte, con le loro politiche riformiste e partecipative, la Cgil è su un altro fronte. Sbaglierebbe, tuttavia, chi considerasse irreversibile questa condizione, anche se i tempi per una ricomposizione appaiono oggettivamente molto lunghi. La Cgil resta ancorata ad un immobilismo al quale noi, invece, non intendiamo adeguarci. Proseguiremo per la nostra strada. Se ci raggiungeranno, bene; altrimenti Uil e Cisl, che rappresentano la maggioranza del sindacato confederale del nostro Paese, continueranno a tutelare i lavoratori dipendenti come hanno già dimostrato di saper fare in occasione dei rinnovi contrattuali di alcune importanti categorie.

Dopo l’Assemblea di maggio, Cisl e Uil torneranno in piazza il 18 giugno per rivendicare la riforma del fisco. Qual è la sfida da affrontare?

Bisogna che l’economia cresca: è questa la vera sfida. Il primo passo è fare, sul serio, la riforma del fisco che deve essere concentrata sulla riduzione delle tasse sul lavoro. Queste ultime poi sono eccessive perché, in questo modo, si compensano le tasse evase: non è possibile che queste disfunzioni si scarichino sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Peraltro, in Italia, è difficile creare occupazione anche perché si pagano troppe tasse. Il nostro Paese non può più permettersi, da un punto di vista economico, un’evasione fiscale così alta. Allo stesso modo non possiamo più accettare costi della politica tanto esorbitanti. E’ su questi due fronti che occorre agire per reperire le risorse necessarie a ridurre le tasse sul lavoro.

Il dibattito economico si sta concentrando sulle ricette per la crescita ma anche sul problema del debito. Qual è la priorità?

Io penso che, oggi, il debito pubblico non sia il nostro problema mentre, nel lungo periodo, la scarsa crescita potrebbe avere delle ripercussioni. I debiti li abbiamo e sono moltissimi però, obiettivamente, la situazione finanziaria dello Stato è tenuta abbastanza in ordine, molto meglio che in altri Paesi. E a proposito di scarsa crescita, la vicenda di Porto Tolle è emblematica delle difficoltà e delle contraddizioni con cui siamo costretti a fare i conti. In quel sito, a causa di alcune questioni burocratiche, si sta bloccando un investimento, nel settore dell’energia, di oltre due miliardi di euro. E’ così che continuiamo ad avere energia a costi alti e bollette salate. Ed è così, inoltre, che si distruggono posti di lavoro.

Quello di maggio è anche il mese dei tradizionali appuntamenti in Confindustria e in Bankitalia. Cosa pensi delle relazioni della Presidente Emma Marcegaglia e del Governatore Mario Draghi?

La relazione della Presidente di Confindustria è assolutamente condivisibile: ha fatto un esame oggettivo della realtà economica e ha espresso giudizi politici equilibrati. Analogo commento vale per le considerazioni del governatore Draghi: la sua è stata una relazione realistica. Da sottoscrivere, in particolare, il passaggio sul fisco: ridurre le tasse sul lavoro utilizzando le risorse derivanti dalla lotta all’evasione è il nostro programma.

In conclusione, a testimonianza di quanto sia stato pregno di avvenimenti questo mese, c’è l’esito - abbastanza clamoroso, per certi aspetti - delle elezioni amministrative. Qual è il tuo commento?

I risultati delle elezioni amministrative dimostrano che l’elettorato è molto più libero di quanto si possa immaginare e che i partiti non hanno i voti in tasca ma li devono conquistare. L’elettorato è molto laico e cambia il proprio voto: è un fatto importante per la stessa democrazia.

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