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MAGGIO 2010

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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MARZO 2010

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SOMMARIO

Editoriale
Analista economico e rappresentante sociale - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL: manovra del Governo,
per la UIL aspetti positivi e aspetti negativi - di A. Passaro

Sessant’anni della Uil
Una convinta stima per la sua laicità - di G. De Rita
Più che mai necessarie intese unitarie - di E. Macaluso
Cosa scrisse Walter Tobagi trent’anni fa - di P.N.

Sindacale
OSCE - Il punto sulla rappresentanza politica e sociale delle donne - di N. Nisi
L’Arbitrato del lavoro e il dialogo sociale - di M. Ballistreri
La Uil, presente ovunque - di Piero Nenci
Sicurezza sul lavoro - l’incidente di Torrevaldaliga Nord - di F. Nisi
1° Maggio: il sindacato a Rosarno, all’insegna della legalità, del lavoro
e della solidarietà - di A. Scalzo
40° Anniversario dello Statuto dei lavoratori - di F. Tarra

Economia
Acqua: la speculazione sui beni collettivi - di G. Paletta
“Chi è che paga se le Casse di previdenza private alzano il contributo integrativo?” -
di A. Renzi

Agorà
Un 25 aprile al cinema - di A. Carpentieri
Bangkok Thailandia. Quando un colore della camicia fa la differenza - di M. C. Mastroeni
Riformare la giustizia perché possa essere effettivamente “giusta” per tutti -
di G. Salvarani
Calano i reati e aumentano gli arresti. In Italia di carcere si muore - di A. Scandura
EDUfashion: la rete dei giovani artigiani della moda e dei piccoli - di G. Zuccarello

La Recensione
Roma in uno shaker - di S. Maggio

Cultura
Leggere è rileggere: Philip Roth: Lamento di Portnoy - di G. Balella
Il Fascino di Lourdes - di L. Gemini
Invictus - di L. G.
Agora di Alejandro Amenábar - di S. Orazi

Il Ricordo
Gino Manfron ci ha lasciato - di G. S.

Inserto
Dopo sessant’anni dall’unità d’Italia anche il lavoro ebbe il suo ministero - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Analista economico e rappresentante sociale

Di Antonio Foccillo

Oggi la situazione economica mondiale ed europea vengono viste dagli analisti economici con lo stesso metro di misura e dopo la sbornia della finanza creativa o distruttiva si torna a proporre che, per uscire da questa crisi, bisogna che gli Stati intervengono sullo stato sociale e sul debito (le riforme tanto decantate). Ma questo spesso contrasta con chi poi rappresenta gli interessi dei più deboli e dei lavoratori. Queste inconciliabilità devono conciliarsi? E si possono conciliare? E’difficile che ciò possa avvenire senza che sia regolato, in termini di equità, il processo economico, perché la protesta rischia di superare anche le stesse rappresentanze (vedi Grecia). E allora vediamo quella che è la realtà. Occorre ricordare che l’attuale crisi economica è frutto del processo di globalizzazione, che ha abbreviato i tempi dei cambiamenti sociali. Essi avvenivano, infatti, attraverso archi temporali abbastanza lunghi, secolari. In pochi anni, invece, nel corso degli Anni Novanta, più di un miliardo di persone sono uscite forzosamente da economie basate sull’autoconsumo e sono entrate nel mercato dei consumi globale. Si è modificato al contempo il ruolo delle banche che fino ad allora, per secoli, hanno preso denaro sulla fiducia e prestato a rischio. La nascita della tecnofinanza, rompe questo schema. La banca raccoglie soldi, li presta, ma non assume più il rischio, lo dirotta verso terzi attraverso prodotti finanziari. Successivamente, però, si è avuta una degenerazione provocata da condizioni straordinarie di elevata liquidità, di bassi tassi di interesse. Questa elevata liquidità ha abbassato ogni percezione del rischio da parte soprattutto di investitori istituzionali, inclusi i fondi pensione. Tutti i partecipanti “al gioco” hanno avuto profitti. Le banche che cedevano il credito o strutturavano i prodotti nella completa deregolamentazione degli Stati Uniti. I procuratori di credito edilizio che venivano pagati non in base alla qualità dei crediti, ma a quanti “debitori” riuscivano a portare alla banca per la ristrutturazione o l’acquisto delle proprie case ed ai quali venivano concessi mutui senza alcun controllo del merito di credito. Le agenzie di rating, che ai vari prodotti finanziari che inglobavano i debiti, davano rating elevati, con il prezzo delle case che andava sempre su e con un tasso di insolvenza bassissimo (infatti, con un prezzo delle case sempre in ascesa chi non era più in grado di pagare il mutuo rivendeva la casa, incassando comunque una plusvalenza). Naturalmente questo non poteva durare all’infinito. Oggi, a distanza di molti mesi, gli effetti della crisi finanziaria mondiale sull’economia reale si stanno manifestando con virulenza. La forte riduzione del valore della ricchezza, il rallentamento del credito, la contrazione della fiducia dei consumatori e delle imprese frenano la domanda e la produzione nelle economie avanzate, dove si registrano significative perdite di posti di lavoro. La caduta del commercio internazionale si ripercuote sull’attività economica, con rischi di ulteriore indebolimento del sistema bancario. Ci troviamo al capolinea delle teorie economiche e forse anche delle dottrine politiche, visto che il binomio democrazia-capitalismo vacilla. Al contrario il binomio comunismo-capitalismo non risente della crisi mondiale e il Pil cinese cresce ancora sempre di più. La speculazione piratesca dell’azzardo globale, non contenta si è rivolta contro l’Unione Europea, attaccando i suoi anelli più deboli così come ieri il Messico, l’Argentina e il Brasile. Il brivido che dalla Grecia scuote tutte le élites europee dà la misura della capacità della classe politica, intrappolatasi in una “moneta senza Stato” e dell’egoismo di un’oligarchia finanziaria che ha distrutto l’economia reale e il buon senso. La necessità della riduzione del debito pubblico si compie anche con un ulteriore taglio dello Stato sociale che era l’elemento di coesione del modello economico e politico europeo. All’aggressione degli usurai del mercato globale che, dopo aver perso la leadership persino in quell’America Latina, dove l’operazione chirurgica neoliberista aveva prodotto ferite mortali nelle loro economie, hanno scelto come nuovo terreno di caccia la UE iniziando dagli stati più deboli come la Grecia, per difenderci abbiamo risposto finanziando il debito pubblico greco col debito pubblico dei paesi UE secondo la teoria che “Proteggere la Grecia è proteggere l’euro e dunque il nostro denaro!”. Eppure, fra gli economisti, qualche voce discordante e minoritaria, ha sottolineato come, invece di riformare l’insieme del sistema finanziario, con l’aiuto alla Grecia si sia cercato di riempire un pozzo senza fondo nel tentativo di placare la febbre speculativa dei mercati, buttandovi 750 miliardi di euro, dei quali 250 promessi dal Fondo Monetario Internazionale. L’economista francese Fitoussi sostiene da tempo che in Europa il problema, oggi, non è il lassismo ma l’eccesso di rigore. Sempre Fitoussi dice in un’intervista per un quotidiano italiano1: “tutto si potrebbe conciliare se esistesse un vero governo europeo, un’autorità di bilancio accanto a quella monetaria, in poche parole un governo economico. Soltanto questa autorità potrebbe decidere, a scala europea, una riduzione delle spese correnti, rilanciando contemporaneamente gli investimenti e decidendo, per esempio che gli investimenti pubblici non rientrano nel calcolo del deficit…Conciliare rigore di bilancio e crescita economica rischia di rilevarsi una quadratura del cerchio, un auspicio impossibile da realizzare……la crescita non ha nessuno spazio perché non può nutrirsi che di investimenti pubblici.” Queste considerazioni avvicinano l’economista e il sindacalista. Ma proseguiamo. Quel che pochi dicono è che la crisi attuale non è la crisi di bilancio dello Stato Greco, ma una crisi bancaria. Infatti, tra il 2005 e il 2010 il debito bancario greco è stato sottoscritto al 43 per cento dalle banche, al 22 per cento da fondi sociali e per il 15 per cento da fondi pensione. Quindi l’operazione di salvataggio non è destinata alla Grecia, ma alle banche che ne hanno sottoscritto il debito e che minacciano la crescita dei tassi di interesse fermando mutui, agevolazioni, finanziamenti e investimenti. E intanto, poiché nulla è stato fatto per fermare l’usura, le banche potranno continuare nelle loro speculazioni finanziarie, sapendo inoltre che, in caso di errori, il paracadute della Ue provvederà a salvarle. Alcuni economisti ritengono che il piano europeo servirà solo a calmierare temporaneamente la crisi, poiché i “profitti speculativi” torneranno presto a battere cassa. Insomma, secondo alcuni esperti, non esiste alcun serio modello europeo per uscire dalla crisi e la conclusione è che si è voluto guadagnare del tempo e, comunque, non si sfuggirà alla recessione. A me sembra un gioco surreale, ma certamente la vicenda greca ha spinto tutti gli stati europei a predisporre manovre finanziarie impreviste, anche in Italia, dove, fino a pochi giorni fa, si attendeva la promessa diminuzione delle tasse, che è divenuta una manovra di 24 miliardi di euro. Eppure fino a qualche giorno fa sembrava che qualche timido elemento di ripresa si vedesse. Ma pultroppo tutto è precipitato e quindi sono state rinviate le scelte strategiche di crescita economica e di sviluppo poiché, alla fine, dalla crisi e da come essa ha modificato le abitudini preesistenti si trarranno i criteri e le “nuove” regole. Alla fine si dovrà trovare comunque un nuovo modello, più equilibrato, in cui vi sia meno sperpero e soprattutto capace di rinnovare il sistema produttivo e di consumo. Il PIL italiano si è lievemente contratto nel quarto trimestre del 2009. A fronte di un ristagno dei consumi e di una ulteriore contrazione degli investimenti, le esportazioni non hanno confermato la lieve ripresa del terzo trimestre. Nell’insieme della seconda metà dell’anno l’attività economica ha registrato un’espansione modesta rispetto al semestre precedente. I dati più recenti sulla produzione industriale e i risultati delle indagini congiunturali segnalano un’evoluzione più vivace dell’attività nei primi mesi del 2010. Sono migliorati, in particolare, i giudizi delle imprese sull’andamento degli ordini e sulle attese di produzione. La fase di decumulo delle scorte sembra essersi infine esaurita. Segnali di un miglioramento delle aspettative sono emersi anche nel settore delle costruzioni. La caduta del numero di occupati, che già lo scorso anno si era tradotta in una sensibile contrazione del reddito disponibile, è proseguita nei primi mesi del 2010. La propensione delle imprese a investire risente della riduzione dei profitti e del basso grado di utilizzo della capacità produttiva. Le imprese continuano a segnalare il permanere di difficoltà di accesso al credito, pur se l’irrigidimento delle condizioni di offerta da parte delle banche si è fermato. I fattori alla base della debole dinamica della domanda interna potrebbero pesare sull’intensità e sui tempi della ripresa. L’inflazione al consumo è risalita agradualmente negli ultimi mesi, riportandosi intorno all’1,5 per cento, un livello prossimo a quello della sola componente di fondo, essendosi ormai esaurito l’effetto statistico sui tassi di crescita a dodici mesi del forte calo dei prezzi dell’energia registrato nella seconda metà del 2008. Le aspettative di inflazione per il 2010 si collocano intorno al medesimo livello. Il Governatore Draghi nelle considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia ha detto, pur non nascondendo le difficoltà dell’economia internazionale, europea e italiana, che, nonostante tutto: “la struttura finanziaria dell’Italia presenta molti punti di forza. La ricchezza delle famiglie è pari, al netto dei debiti, a quasi 2 volte il Pil nella sola componente finanziaria, a circa 5 volte e mezzo includendo le proprietà immobiliari, livelli fra i più alti nell’area dell’euro. Sempre in rapporto al Pil, i debiti delle famiglie sono fra i più bassi dell’area, quelli delle imprese sono inferiori alla media. Il debito netto verso l’estero dell’intera economia può essere stimato al 15% del Pil, fra i valori più bassi nell’area, escludendo la Germania che ha una forte posizione creditoria”. Ed ha proposto, fra le altre cose, tre soluzioni che da sempre abbiamo cercato anche su questa rivista di proporre e che se sostenute solo dal sindacato erano ritenute dai tanti soloni posizioni conservatrici. In particolare a livello mondiale: “definire regole generali per le banche; introdurre disposizioni specifiche per gli intermediari sistemici, ridurre la rilevanza dei rating nella supervisione; aumentare la trasparenza delle contrattazioni sui mercati finanziari. “A livello europeo: “gli eventi recenti ripropongono con maggiore forza l’antico problema di un governo economico dell’Europa”. A livello italiano un’aggressione al vero problema che è quello dell’evasione fiscale, tanto da definirla: “macelleria sociale”. Quindi anche questa posizione si può dire che avvicina l’analista economico al rappresentante sindacale. Per quanto ci riguarda abbiamo sempre pensato che la società, per essere comunità, per forza di cose deve essere governata con principi, ideali e valori, altrimenti vive la propria quotidianità solo sul pragmatismo, sullo spontaneismo e sulle individualità una contro l’altra armate e, soprattutto, ha bisogno di mediazioni politiche che, sulla base dei valori di riferimento, individuino nella gestione dei vari interessi della società le priorità e quindi attivino le decisioni conseguenziali. In una fase come questa, di cui ancora non si intravede la fine e non si ha coscienza della dimensione dei costi sociali della crisi in atto, bisognerebbe essere in grado di fare sistema e valutare, in un ambito che travalichi la singola provincia e il singolo stato, non solo quali sono gli interventi efficaci per fermare la crisi, ma anche come ricostruire le premesse di una società democratica in cui la ricerca del benessere reale si basi su un rinnovato modello economico e sociale. Si torna a parlare di regole e di intervento dello stato in economia, ma – ci chiediamo - sulla base di quale riferimento politico economico verranno fatte queste scelte, visto che i due modelli precedenti, sia quello del centralismo e della programmazione di origine comunista, sia quello del liberismo senza regole del turbo-capitalismo, anche se con motivazioni diverse, sono stati messi in crisi. Queste considerazioni potrebbero essere considerate nostalgie, quasi non si fosse capaci di leggere le profonde trasformazioni sociali prodotte dal consumismo e dalla cultura di massa di bisogni populistici, ma il problema sta tutto là e, per tanto ci permettiamo di riproporre una nostra idea: di fronte a tanti disvalori, messi in moto nella nostra società in questi ultimi quindici anni è possibile ancora recuperare una battaglia ideale e valoriale o ormai questa è persa per sempre? Ricreare una cultura di idee che sia sostenuta dalla partecipazione dei cittadini attraverso strutture politiche e sociali caratterizzate dal proprio retroterra valoriale, fatto di tradizione (il proprio dna) e modernità (fatto di pragmatismo) a cui potersi ancorare e far battaglie politiche con il fine però di costruire un modello di società coeso e solidale. La crisi economica non è solo crisi finanziaria, ma anche morale. Mancanza di etica, ricerca del profitto a tutti i costi, individualismo esasperato, disinteresse verso gli altri della società. Arricchirsi individualmente in ogni modo. Il compromesso, l’etica, il laicismo, la democrazia della partecipazione sono tutti principi della storia del riformismo europeo e italiano che hanno prodotto modelli di società in cui i principi di uguaglianza, di solidarietà e di coesione sociale hanno affermato la centralità della persona. Da li si deve ripartire e questi valori devono orientare la ricostruzione politico-economica della nuova società uscita dalla crisi e solo allora vi sarà una piena uguaglianza di vedute fra l’analista e il sindacalista.

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Note

1. Il Mattino del 1 giugno 2010 - cit. pag. 5 – “Fituossi: non ci sarà ripresa senza investimenti pubblici

Separatore

Manovra del Governo: per la UIL aspetti positivi e aspetti negativi. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

Si: combattere l’evasione fiscale e gli alti costi della politica. No: blocco dei contratti pubblici e unica finestra per le pensioni. Superata l’emergenza puntare allo sviluppo.

di Antonio Passaro

Angeletti, la crisi che stiamo vivendo ha una connotazione sia finanziaria sia economica. Mai come in questo momento l’euro, pur essendosi dimostrato una moneta forte, rischia di subire l’aggressione della speculazione, soprattutto in situazioni di debolezza come è accaduto, ad esempio, in Grecia. Che fare?

Noi siamo fortemente interessati ad una difesa dell’euro: abbiamo questa moneta nelle nostre tasche e siamo dunque intenzionati a salvaguardarne il valore. La decisione dell’Eurogruppo - sofferta ma anche questa decisiva e storica - di far intervenire l’Autorità monetaria europea con eccezionali iniezioni di liquidità, ci ha salvato dal baratro. Certo, i singoli Stati hanno dovuto offrire delle garanzie, a cominciare dall’assoluto rispetto di uno dei principi fondanti dell’euro: il contenimento del deficit. Ma questa è l’unica strada da percorrere, anche se comporta inevitabilmente qualche sacrificio.

Tutti gli Stati, dunque, si sono dovuti attivare per predisporre manovre economiche che avessero questo specifico segno, compresi la Francia e la Germania. Peraltro, l’entità delle manovre di questi due Paesi è di gran lunga superiore a quella che ha riguardato l’Italia. Ma una tale manovra di stabilizzazione era realmente necessaria anche per noi?

La manovra non è stata stabilita dal governo nazionale ma da quello europeo. La Uil non è mai stata favorevole all’ipotesi “deficit zero”; anzi, ha sempre considerato accettabile, in una prospettiva di investimenti per lo sviluppo, un moderato sforamento del tetto prefissato. Tuttavia, in questa circostanza l’eccezionalità e l’urgenza della situazione ci hanno convinto della necessità di dover contribuire alla definizione di una manovra di contenimento e di equità. Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha considerato necessaria una manovra con queste caratteristiche.

Le strade percorribili per costruire questa manovra di aggiustamento e far risparmiare i 24 miliardi, necessari all’adempimento dei nostri obblighi verso il patto europeo, erano due: o aumentare le tasse o ridurre la spesa. Qual è la posizione della Uil a riguardo?

Anche in questa circostanza, la Uil si è detta fortemente contraria ad una soluzione che prospettasse una crescita della pressione fiscale. Una tale opzione avrebbe comportato un ulteriore danno per l’economia nel suo complesso, da un lato, e si sarebbe scaricata inevitabilmente su tutti i lavoratori dipendenti e pensionati, dall’altro. Sappiamo che il nostro sistema fiscale è costruito in modo iniquo e che la sua efficacia economica, sul fronte della redistribuzione e diffusione della ricchezza, è del tutto inconsistente. Far leva su questo sistema significherebbe non far pagare le tasse ai veri ricchi, e cioè a quelle categorie che riescono ad occultare i propri redditi, ma solo a chi prima paga le tasse e poi riscuote il salario e la pensione.

Non restava che agire, dunque sulla spesa pubblica…

Esattamente. Ciò vuol dire, però, riduzione della spesa corrente e, dunque, degli stipendi dei pubblici dipendenti. Per l’Unione Europea questo era un passaggio decisivo per esprimere una valutazione positiva sulla manovra. Va detto, tuttavia, che secondo alcuni dati Eurostat, negli ultimi dieci anni, le retribuzioni dei pubblici dipendenti sarebbero cresciute del 40% a fronte di una crescita del 22% delle retribuzioni dei dipendenti privati. La Uil ha sottolineato che quei dati non sono omogenei poiché tra le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono inserite anche quelle dei non contrattualizzati. Forti di questa considerazione, ancora una volta abbiamo chiesto al governo di puntare sullo scambio tra “più produttività più salario”, anche come strumento per un miglioramento dell’efficacia della pubblica amministrazione e per il suo ammodernamento. Ma questa nostra rivendicazione è stata sacrificata sull’altare di una rigida osservanza delle indicazioni europee.

Il governo, infatti, ha optato per un blocco della contrattazione nel pubblico impiego per i prossimi tre anni. Su questo punto, la Uil è in disaccordo?

Certo. La Uil ha contestato questa scelta e la nostra categoria di settore ha anche avviato una mobilitazione per protestare contro questa parte della manovra, prospettando soluzioni alternative. Una mobilitazione che ha la solidarietà e il sostegno della Confederazio-ne. C’è poi un altro punto della manovra che, in particolare, non condividiamo e che limita il numero delle finestre verso il pensionamento. Una scelta che costringerà alcuni lavoratori a ritardare di qualche mese il momento per andare in pensione.

E di fronte a questa situazione, che prospetta sacrifici per alcune categorie di lavoratori dipendenti, la Uil ha chiesto al governo un atto di coerenza e responsabilità…

Abbiamo invitato il governo ad utilizzare l’occasione della manovra per mettere mano a due gravi anomalie del nostro sistema: l’alto livello di evasione fiscale e gli alti costi della politica. Insomma, se sacrifici devono essere che lo siano soprattutto per chi, in questi anni, ha lucrato, anche impunemente, sulle inefficienze di un sistema che, oggi, non ci possiamo più permettere il lusso di mantenere.

Sul fronte dell’evasione fiscale, con questa manovra viene reintrodotta la tracciabilità dei pagamenti, che oltre una certa soglia non possono più avvenire in contanti e, soprattutto, viene stabilita la tracciabilità elettronica delle fatture, uno dei più efficaci deterrenti all’evasione fiscale. Soddisfatto?

Assolutamente sì. Si tratta di regole stringenti che, una volta entrate a regime, costituiranno una vera e propria svolta. Questa è una battaglia storica della Uil che, da sempre, rivendica un fisco equo ed efficace. La soluzione tecnica individuata può risolvere una parte importante del problema dell’evasione.

Altro capitolo centrale di questa manovra, che raccoglie il convinto consenso della nostra Organizzazione, è quello relativo alla riduzione dei costi della politica e di funzionamento delle istituzioni pubbliche. Anche qui c’è il consenso della Uil?

Anche questa è, da sempre, una battaglia della Uil che, nel provvedimento varato, trova un suo primo concreto accoglimento. Negli ultimi dieci anni, i costi della politica sono aumentati del 40%, percentualmente molto più di quanto è aumentata la ricchezza del Paese. Avendo il governo deciso di agire sulla riduzione della spesa pubblica, noi abbiamo sollecitato una riduzione significativa dei costi della politica. Solo questa opzione, insieme all’intervento sull’evasione fiscale, ci avrebbe consentito di esprimere complessivamente un giudizio positivo sulla manovra economica. Solo questi interventi avrebbero dato un segno di equità. Solo questi interventi ci rendono consapevoli che non è toccato esclusivamente a noi sopportare l’onere di un intervento volto a salvaguardare un bene che appartiene a tutti.

Un’ultima domanda. Angeletti cosa ne pensi del capitolo sulla crescita contenuto nella manovra?

Noi siamo convinti che i problemi dell’economia possano essere risolti aumentando la produttività. Abbiamo chiesto un segno concreto e abbiamo ottenuto un’estensione della soglia salariale a cui applicare la detassazione degli incrementi contrattuali legati alla produttività. E’ un fatto positivo che esprime la volontà, una volta superata l’emergenza del momento, di puntare su una nuova strategia per lo sviluppo.

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