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LUGLIO-AGOSTO 2017

LAVORO ITALIANO

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GIUGNO 2017

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SOMMARIO

Il Fatto
- La sovranità popolare ignorata - di A. Foccillo
Intervista a Carmelo Barbagallo Segretario generale UIL - Sottoscrivere gli accordi su pensioni e contrattazione entro la fine di settembre. - di A. Passaro

Sindacale
- DIGIT@UIL: un archivio digitale per contrattare in tutte le aziende - di T. Bocchi
- L’apertura della stagione contrattuale del pubblico impiego - di A. Foccillo
- Dopo otto anni finalmente avremo un contratto! - di S. Ostrica
- La Uilm trionfa nelle elezioni Rsu in Leonardo a Pomigliano - di R. Palombella
- La sera dei miracoli - di A. Civica
- Referendum 22 ottobre in Lombardia il ruolo del sindacato - di D. Margaritella
- Autonomie Regionali - di G. Zignani
- Le ultime modifiche sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego - di A. Fortuna

Attualità
- La legittimazione ad agire in giudizio delle oo.ss. - di A. F.
- Riforma madia: le principali novità per il T.U.P.I. – di S.Tucci

Società
- Workshop sullo “Ius Soli”. La riforma prossima ventura. Acceso confronto nell’incontro tra esperti sulla riforma della cittadinanza - di G. Casucci e V. Sammarco

Inserto
- Quando rischiammo la terza guerra mondiale - di P. Nenci

 

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EDITORIALE

La sovranità popolare ignorata

di Antonio Foccillo

L’estate porta con sé, fra le tante cose piacevoli anche la possibilità di leggere più frequentemente, anche se prevalentemente sono letture non impegnative, ma può essere anche l’occasione per riprendere qualche testo più “pesante” che porta a riflettere sui tanti quesiti della vita. Proprio per quest’ultimo concetto, in questo numero estivo, vogliamo porre all’attenzione del gruppo dirigente un tema che non sempre viene affrontato con la necessaria capacità di analisi e con la giusta riflessione e che ha prodotto sconvolgimenti sulla nostra vita di cittadini e non sudditi: cioè, come è cambiato il concetto di sovranità popolare.

Sovranità significa potere/diritto di sovrano, dal latino “superanus” “colui che sta sopra”. Al sovrano corrisponde il suddito, cioè chi è sottomesso da un’entità sovrana. La realtà di oggi è una fittissima rete di collegamenti, scambi e deleghe di sovranità, per cui dal diritto di scegliere per sé, si è passati al diritto di poter scegliere a chi cedere la propria sovranità, che nella società odierna è oltremodo spezzettata. Ciò imporrebbe la scelta degli individui più capaci nella gestione della comunità, ricercando la migliore efficienza possibile. È da precisare che cedere la presa di decisioni in delega non significa perdere il proprio diritto a scegliere anzi la delega comporta anche il controllo del delegante sul delegato. Ciò dovrebbe caratterizzare le società che si dicono democratiche.

Oggi al termine sovranità corrisponde una quantità di interpretazioni e tante sfumature che giuristi, filosofi e politici, nel corso del tempo, le hanno dato senza definirne in modo certo il concetto. La stessa Costituzione (1) italiana recita “La sovranità appartiene al popolo” che può scegliere i suoi delegati all’amministrazione dello Stato, quantomeno in teoria, perché dopo seguono le parole “nelle forme e nei limiti della Costituzione” che, in effetti, riducono la sovranità. Ciò perché, a causa dei problemi interpretativi, la sovranità è vista piuttosto come il diritto di amministrare il proprio Stato. Così, i cittadini scelgono, attraverso un sistema molto discutibile, i partiti, i quali scelgono, a loro volta, chi potrà essere delegato, che, quindi, non è un rappresentante del popolo ed è oltretutto senza vincolo di mandato. Ciò ha sostanzialmente impedito che il potere sovrano del popolo potesse essere esercitato non solo compiendo una scelta, ma anche cambiandola nel caso non soddisfi le sue aspettative e, questo perché il popolo non ha alcun potere di controllo, il che significa che, durante la legislatura, perde totalmente la sovranità e solo con nuove elezioni può esprimere la sua contrarietà facendo una scelta diversa di quella precedente. Ribadiamo quindi che la sovranità consiste nella possibilità di scegliere, controllare e cambiare.

In Italia, negli ultimi tempi, si sono avuti vari momenti politici in cui la sovranità del popolo è stata messa in discussione, infatti, già con il Governo tecnico di Monti, si è parlato di un vulnus alla democrazia, ciò per molti aspetti è vero, soprattutto perché si è ceduto ad una scelta imposta dai cosiddetti mercati, ma, in realtà, la sovranità è rimasta in mano al Parlamento, che in primis ha accordato la fiducia al governo e poi ha avuto tutta la libertà di appoggiare o meno le leggi proposte dal governo dei tecnici. In verità però il governo dei tecnici con le sue scelte – indotte - non ha migliorato la realtà economica e sociale del Paese e questo avrebbe, di fatto, dovuto far passare in secondo piano il modo come avvenuta la nomina. In realtà è avvenuto che mentre i tecnici salvavano l’Italia portandola in recessione, i cittadini erano assolutamente inermi con un Parlamento che ha approvato tutte quelle leggi ampiamente condivise, e poi, con la stessa unanimità politica si è indirizzato il malcontento popolare sul governo tecnico, contro le cui manovre recessive ed antisociali i partiti, conniventi in parlamento, si sono scagliati – chi più chi meno - nella campagna elettorale. La verità è che le scelte sono state fatte dal parlamento legittimamente eletto che ha dato il suo benestare alla terapia di austerity per il Popolo italiano messa a punto dal Governo Monti. È evidente che il problema non consiste nella cessione della sovranità ad un governo, seppure tecnico, ma nella cessione della fiducia al sistema elettorale, che non permette al popolo di controllare l’operato dei propri rappresentanti.

Oggi nella vita politica, non solo nazionale, la cessione del potere sovrano ad un’entità non controllabile appare chiaramente una scelta errata ed ha fatto emergere la necessità di studiare attentamente quale tipo di sovranità esiga di essere ripresa e quale concessa in delega.

Il tramonto delle ideologie ed il crollo del comunismo hanno destabilizzato le certezze su cui si fondava l’Occidente e quindi si è alla ricerca di altre norme e valori utili e necessari per regolare la convivenza civile e l’impegno politico. La vecchia cultura democratica e liberale è rimasta come unico riferimento a disposizione della classe politica, che però di questa cultura non aveva mai reso completamente e pienamente effettiva la democrazia ed aveva quasi completamente ricusata quella liberale, per poi cederle completamente in una totale sottomissione ai suoi ideali ed alle sue prassi. L’attuale ricostruzione del pensiero più che liberale essenzialmente liberista, ha prodotto una regressione sociale e politica, irreversibile in tempi brevi, che mette in discussione finanche i principi fondamentali della democrazia come stabiliti nella nostra Carta Costituzionale. L’assenza nella nostra classe politica di originalità di pensiero ed elaborazione di progetti sociali adatti al nostro Paese ha dato valore proprio al modello neo liberista.

Le nuove realtà della globalizzazione con le sue trasformazioni socio-economiche e politiche, la finanziarizzazione dell’economia, l’omologazione del pensiero unico iper liberista del turbo capitalismo stanno ampliando la necessità di una riflessione più adeguata.

Che cos’è dunque la globalizzazione? Secondo il sociologo Beck si tratta della “evidente perdita di confini dell’agire quotidiano nelle diverse dimensioni dell’economia, dell’informazione, dell’ecologia, della tecnica, dei conflitti transculturali e della società civile, cioè, in fondo qualcosa di familiare e nello stesso tempo inconcepibile, difficile da afferrare, ma che trasforma radicalmente la vita quotidiana, con una forza ben percepibile, costringendo tutti ad adeguarsi, a trovare risposte”.

Un fenomeno che coinvolge la vita degli esseri umani nel suo complesso, per la cui comprensione non basta un’analisi di tipo solo economicistico. La globalizzazione è prima di tutto un fenomeno “culturale” che non implica per forza di cose un’omologazione. Si tratta di qualcosa di più complesso, contraddittorio e sfumato. I disorientamenti politici, sociali e culturali hanno segnato il passaggio dal XX al XXI secolo perché la globalizzazione ha unificato popoli e civiltà e lo sviluppo delle telecomunicazioni ha moltiplicato l’entità degli scambi monetari (2). Il controllo degli Stati nazionali in queste transazioni è rimasto superficiale e ha lasciato ampi spazi a quelle politiche di liberalizzazione economica che hanno portato ad assoggettare gli Stati alle imposizioni dei mercati. In tal modo si sono poste le basi per realizzare quella teoria utopistica-mercantile che vede l’utilità dello Stato solo nel ruolo di “fornitore” di forza lavoro e delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo di un mercato florido. Alla fine la liberalizzazione economica ha portato alla crisi del Welfare State, facendo venir meno il rapporto e la mediazione tra Stato, lavoro e capitale. Il controllo dell’economia comportato dal Welfare cade in crisi perché il costituirsi di una nuova divisione internazionale del lavoro e del mercato complessivo eliminano la relazione tra Stato-capitale-lavoro, caratteristico di uno Stato interventista teorizzato da Keynes e regolato in economia da un “capitalismo democratico”.

I teorici della globalizzazione hanno divulgato l’idea che lo Stato rappresenta un ostacolo al regolare e continuo scambio di merci nel mercato globale, tanto più che al moltiplicarsi di flussi di merci, capitali e popolazioni, si è aggiunta quella della circolazione, sempre meno controllata, di idee, lingue e culture lontanissime tra loro. In effetti, tutto ciò ha accelerato la crisi degli Stati nazionali tradizionalmente intesi ed ha fatto venire allo scoperto separatismi e conflitti inter-etnici, tutti problemi che vengono sintetizzati nel concetto di «Democrazia difficile» o di «Democrazia complessa». Questo, secondo il pensiero liberale, è dovuto alla mancata globalizzazione delle istituzioni, per cui viene a mancare un cittadino globale, un consumatore globale e quindi un mercato globale inteso come luogo vero e proprio di scambio.

Ciò porta a supporre che la delegittimazione dello Stato, conseguente al processo di globalizzazione, sarà possibile ancora per poco, perché consumati i serbatoi di potere di acquisto che si sono costituiti con il capitalismo e l’industrializzazione degli anni ‘60, i teorici della globalizzazione saranno costretti a legittimare nuovamente lo Stato come ente di pieni poteri nell’ambito della politica, perché solo grazie alla politica e agli Stati sarà possibile ottenere un nuovo reddito utile per un’ulteriore espansione.

L’analisi della globalizzazione è oggetto dell’indagine di molti studiosi. Secondo Anthony Giddens, sociologo inglese, una visione della globalizzazione solamente come promozione di disuguaglianze si limita esclusivamente alla sua dimensione economica e, in particolare, al libero commercio senza regole, il quale si traduce, per un’economia debole, in una maggiore dipendenza dagli istituti multilaterali (fondi e sussidi) e dai mercati mondiali (borse, istituti di credito, mercati monetari, etc.). Il problema, però, non sarebbe la presenza del libero mercato, bensì l’assenza di un contesto istituzionale che gli dia una forma adatta a perseguire un’equa redistribuzione della ricchezza mondiale. In questo quadro di massificazione si inseriscono le tendenze a sostituire i vecchi concetti e le vecchie istituzioni, caratteristici della civiltà occidentale, con quelli derivanti dalla volontà di dominio mondiale.

Sembra ormai che non ci sia più spazio alla sovranità nazionale come strumento per restituire alla cittadinanza la sovranità che gli appartiene e, infatti, i tentativi “riformisti” di governare la transizione europea a livello nazionale collassano inevitabilmente in una obbedienza al pensiero economico unico e le differenze fra schieramenti si limitano a un’adesione più o meno “sentita” e una leggerissima rimodulazione della ripartizione dei costi delle “riforme necessarie”. Contemporaneamente stanno diventando sempre più estese e pressanti le richieste di un’Europa politica perché solo nella costruzione di un vero processo costituente europeo guidato dal basso e capace di accettare cessioni della sovranità nazionale e capace di utilizzare questo processo per restituire ai cittadini la possibilità di decidere il proprio futuro, vi è la possibilità di uscire dalla crisi nel segno della democrazia e della giustizia sociale.

La necessità di istituzioni che regolino i mercati, richiama nell’approccio di Giddens la questione della forza del potere politico nel mondo globalizzato. Secondo il sociologo inglese, gli Stati nazione e gli organismi sovranazionali hanno ancora un ruolo da giocare e un potere da esercitare, ma perché essi diventino efficaci necessitano una riformulazione delle strutture e delle modalità di funzionamento. In questo contesto sta scaturendo la rielaborazione e la creazione di concetti come regola, società giusta, collettività, consenso, dialogo, norma. Insomma è il contenuto delle stesse idee fondamentali di Democrazia, Uguaglianza o Libertà ad essere sottoposto ad una revisione di carattere dottrinario: in relazione, ad esempio, proprio al concetto di «norma».

________________

1) L’art. 1 della Costituzione afferma che “L’Italia è una Repubblica, fondata sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

2) Giunti a circa 1500 miliardi di dollari nel 1997 contro i 15 miliardi di dollari del 1965.

 

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Sottoscrivere gli accordi su pensioni e contrattazione entro la fine di settembre. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, il mese di luglio si è concluso con due importanti appuntamenti: uno con la Confindustria e l’altro con il Governo. Cominciamo da quest’ultimo. Alla fine del mese di agosto, il confronto al Ministero del lavoro sulla fase due della previdenza dovrà riprendere a spron battuto. Sei stato proprio tu a sollecitare tempi rapidi: perché?

C’è la necessità di fare presto sia perché dovremo fare i conti con la legge di bilancio sia perché questa legislatura termina il prossimo mese di febbraio. Non abbiamo molto tempo e abbiamo chiesto di procedere a ritmi serrati. Si è deciso, inoltre, di proseguire il confronto dividendo i tanti argomenti sul tavolo in cinque gruppi di lavoro. I prossimi appuntamenti ci saranno il 30 agosto sulla previdenza, il 31 agosto sul lavoro e il 7 settembre sulle pensioni in essere. Successivamente si parlerà anche di governance dell’Inps e di rappresentanza e rappresentatività.

Nel dettaglio, quali sono i temi principali che dovranno essere affrontati?

Noi abbiamo rimarcato, ancora una volta, la necessità di separare la previdenza dall’assistenza. Si affronterà anche questo tema, perché solo in tale modo sarà possibile dimostrare che il peso del sistema pensionistico è appena dell’11,9%, al di sotto della media europea. La Uil, inoltre, insieme alla Uil pensionati, chiede che sia utilizzato un diverso indice per la rivalutazione delle pensioni in essere, maggiormente rappresentativo della struttura dei consumi dei pensionati. Centrale in questa trattativa, poi, sarà la questione dei giovani e delle donne dedite al lavoro di cura: a loro bisognerà garantire pensioni dignitose e a a questo scopo serve un’adeguata strumentazione. Deve essere chiaro, tuttavia, che l’eventuale decontribuzione va coperta dalla fiscalità generale.

Il secondo pilastro del confronto è quello del lavoro: bisognerà, dunque, intervenire anche sulle politiche attive e passive del lavoro per garantire gli ammortizzatori e stabilizzare i lavoratori.

Sull’insieme delle questioni enunciate c’e l’impegno di tutti, ma nel merito dovremo discutere molto, perché si tratta di intervenire su problematiche che riguardano le parti più deboli del Paese. Le materie sono delicate e saranno necessarie risorse adeguate che cercheremo di quantificare in vista dell’imminente legge di bilancio. I risultati e i giudizi dipenderanno, ovviamente dal prosieguo della discussione.

Il giorno precedente, invece, si era svolto l’incontro con la Confindustria su nuove relazioni industriali e contrattazione. Anche per questo tavolo, l’obiettivo è quello di provare a chiudere nel mese di settembre: è un intento realistico?

Ci siamo accordati per approfondire i singoli aspetti del confronto con l’obiettivo di arrivare a un’intesa su tutti i punti in discussione, al fine di rendere più competitivo il sistema delle imprese, rilanciare l’occupazione e qualificare il lavoro. È emersa la volontà comune di affermare la centralità della contrattazione collettiva, anche attraverso la misurazione della rappresentanza datoriale. Occorre, ovviamente, definire un testo e saranno necessarie ulteriori riunioni tecniche che potrebbero svolgersi anche nel mese di agosto. Se a settembre riusciremo a fare questo accordo, che servirà per il mondo del lavoro, per le imprese, per i lavoratori e per il Paese, avremo fatto un buon lavoro .

Si parla di impresa 4.0 come qualcosa di futuribile e, invece, siamo già immersi in questa nuova realtà. Quali possono essere e come vanno affrontate le inevitabili ripercussioni su occupazione, salari e contrattazione?

Siamo in piena epoca dell’impresa 4.0 e viviamo momenti d’intensa trasformazione. Alcune situazioni sono davvero emblematiche. In Calabria, ad esempio, c’è un’impresa ad altissima tecnologia nel settore ferroviario che, oggi, dopo il cambio di proprietà e di gestione, ha evitato il tracollo ed è stata rilanciata, vincendo la sfida della competitività. In Toscana, nel porto di Livorno, diventerà operativa una logistica 4.0 davvero all’avanguardia. E persino la vecchia via della seta si sta trasformando nella via del 4.0, con Sindacato e imprese cinesi che cercano un confronto anche con realtà sociali come la nostra. In questo quadro di cambiamenti epocali approfittando, peraltro, della cosiddetta ripresina, dobbiamo lanciare le nostre sfide.

Serve, innanzitutto, un percorso di sburocratizzazione per favorire investimenti pubblici e privati. Le imprese estere non investono in Italia perché disincentivate dalla lentezza nell’applicazione del diritto.

Inoltre devono crescere i salari, per ridistribuire la ricchezza, e occorre iniziare a pensare anche a una riduzione dell’orario per ridistribuire il lavoro, in presenza di difficoltà occupazionali che possono eventualmente scaturire dall’impresa 4.0.

In questo contesto, qual è il ruolo che può giocare la formazione?

Conoscenza, sapere, formazione continua sono un’opportunità e un patrimonio per i giovani e per i lavoratori, soprattutto oggi che occorre fare i conti con l’impresa 4.0 Ecco perché la formazione è necessaria ed è strategica per l’occupazione e l’economia.

Peraltro, nonostante la crisi occupazionale, non si riescono a trovare le professionalità adeguate per ricoprire oltre 100mila posizioni lavorative. A tal proposito, ho proposto di istituire una sorta di ‘tessera della professionalità’, una ‘tessera formativa’, per i nostri giovani e per i nostri lavoratori, in modo che si possano certificare i curricula e che si possano far incontrare più facilmente domanda e offerta di lavoro.

Perché lo Stato non è riuscito a fare formazione fino ad oggi?

Lo Stato non è riuscito a fare formazione a causa di un eccesso di burocrazia. È sufficiente che si attuino le regole: ci sono, applichiamole.

A proposito di trattative, finalmente sono entrate nel vivo anche le trattative con l’Aran per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Siamo al rush finale, ma si procede ancora a rilento...

Anche in questo caso, abbiamo chiesto che si acceleri il confronto, mantenendo gli impegni assunti con l’accordo firmato lo scorso 30 novembre. La trattativa è finalmente entrata nella sua fase conclusiva, ma il traguardo non è stato ancora tagliato e non possiamo permetterci il lusso di perdere altro tempo. È più che mai auspicabile che si stanzi l’ultima tranche di risorse e si confermi il bonus degli 80 euro a chi lo ha già in busta paga. Bisogna restituire vigore alla contrattazione anche nei settori pubblici, perché questa è la strada maestra per garantire servizi efficienti ai cittadini.

Il Governatore della Banca d’Italia, dal palco dell’assemblea dell’Abi, ha denunciato la burocrazia come limite allo sviluppo, ma ha affermato, tra le altre cose, che anche le banche devono cambiare, mirando a divenire più resilienti e a recuperare un adeguato livello di redditività. Pensi che sia possibile intervenire sul sistema bancario senza penalizzare i lavoratori?

In passato si è perso tempo per intervenire sul sistema bancario, ma ora lo si sta facendo anche in collaborazione con i sindacati proprio per ridurre al minimo i danni causati da un eccesso di finanziarizzazione del sistema a livello mondiale.

Io credo che bisogna far aumentare la redditività delle banche piuttosto che ridurre gli stipendi dei lavoratori e, inoltre, occorre correlare i compensi dei manager ai risultati conseguiti, piuttosto che operare una riduzione generalizzata che porta all’appiattimento e fa fuggire i migliori. In linea generale si deve dare più potere d’acquisto a lavoratori e pensionati, altrimenti dalla crisi non si esce.

L’iter parlamentare per lo jus soli è stato rinviato a settembre. Da anni si attende l’approvazione della riforma della legge sulla cittadinanza. Da 500mila residenti stranieri siamo passati a oltre 5 milioni. Cosa pensi di tutta questa vicenda?

Il rinvio dello jus soli non è una buona notizia: spero che si vada, comunque verso l’approvazione a settembre anche perché ad attendere questa riforma c’è quasi un milione di bambini e di ragazzi, figli di stranieri, ma nati in Italia o arrivati da piccoli nel nostro Paese e che sono totalmente integrati nel tessuto sociale. Si tratta di italiani a tutti gli effetti: è giusto che vedano riconosciuto questo diritto al più presto.

Il valore della solidarietà, dell’accoglienza, del dialogo, dell’inclusione e della partecipazione sono nel nostro dna. Noi non smetteremo di difendere quei segmenti della società che hanno bisogno di tutela, di difesa e di aiuto.

Un’ultima domanda. In estate, con il caldo arrivano anche gli incendi. Uomini e mezzi vengono impiegati, ma sono sempre pochi. Il corpo dei Vigili del fuoco rivendica ulteriori risorse e una revisione della normativa in materia di incendi boschivi. Secondo te è sufficiente?

Ogni volta che si parla dei Vigili del fuoco tutti si mettono la mano sul cuore, ma nessuno poi porta la mano al portafoglio per dotare il Corpo di mezzi e di personale necessari ad affrontare le emergenze.

Ci sono migliaia di idonei della graduatoria 814 che potrebbero essere assunti subito, visto che si stima un vuoto di organico di quasi 4mila unità. Il decentramento organizzativo alle Regioni ha comportato qualche problema: bisogna rimediare. È necessario costituire altre squadre antincendio e partire con la formazione che serve a fare fronte al dramma degli incendi che stanno distruggendo il nostro territorio. Se non si assumono almeno 2mila unità sarà impossibile garantire la prevenzione e sempre più difficile assicurare l’efficacia degli interventi d’emergenza.

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