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LUGLIO-AGOSTO 2014

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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GIUGNO 2014

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SOMMARIO

Il Fatto
Un nuovo agire politico - di A. Foccillo
I sindacati, fino a quando ci saranno i lavoratori ci saranno sempre. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
Patto per la Salute non mette al centro la persona, ora si lavori per rendere il Ssn più umano, efficiente e di qualità - di C. Fiordaliso
RAPPORTO “NO PIL? NO JOB” - A cura del Servizio Politiche Territoriali e del Lavoro della UIL
La “RIFORMA” della P.A. costa e a pagarla sono i giovani - di A. Civica
Ilva atto sesto. La “prima” del governo Renzi sull’Ilva delude le aspettative del mondo sindacale. Il preannunciato “cambio di passo” si traduce nell’ennesima transizione - di G. Turi

Attualità
Valutazioni Uil sulla Riforma della P.A. (Decreto Legge 90) - di A. Foccillo
Dal 1988 quasi 20 mila morti nel tentativo di raggiungere l’Europa - di G. Casucci
Verso la Riforma del Trasporto Pubblico Locale - di G. C. Serafini

Agorà
Paese fermo, vent’anni di niente nel deserto di classe dirigente. Investire in formazione e conoscenza - di F. M. Gennaro
Alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale - di P. Nenci
Operazione Mare nostrum - di G. Paletta

Il Corsivo
Il calcio al paese Italia - di Prometeo Tusco
I secondi Fini - di Prometeo Tusco
Matteo e l’armonia del mondo - di Prometeo Tusco

La Recensione
Nuove sfide per il sindacato riformatore - di P. N.

Inserto
Il grano sarà rosso, darà un pane bagnato di sangue - di P. Nenci

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EDITORIALE

Un nuovo agire politico

di Antonio Foccillo

Nell’era della globalizzazione il mondo del lavoro è cambiato profondamente sia nelle dinamiche sia nelle regole. Le norme e le tematiche riguardanti il diritto del lavoro e le relazioni industriali, in quasi tutti gli Stati occidentali, sono state modificate in peggio grazie alla trasformazione liberista della società, iniziata dopo la caduta del muro di Berlino e accelerata con la trasformazione dell’economia reale in economia finanziaria. Anche in Italia questo è avvenuto, aggravato dalla crisi importata e da problematiche interne per le difficoltà economiche. Ciò ha determinato un aumento costante del debito pubblico, nonostante le tante manovre che sono state fatte; sono aumentate, inoltre, anche la tassazione “incassata” e la povertà nel nostro Paese. Dobbiamo, purtroppo, costatare che questa crisi, con le disparità economico-sociali che caratterizzano le varie zone del nostro Paese, accresce le sperequazioni e le differenze. Pertanto, urge instaurare un’agire politico il cui obiettivo consiste, innanzitutto, nella cura primaria degli interessi collettivi, coordinati, in sede nazionale, sulla base di una gerarchia dei valori, che determina quali sono quelli più urgenti e quelli rinviabili con l’ottica di salvaguardare l’intero sistema-paese. Purtroppo non ci si rende conto che il Paese non può più aspettare, bisogna immediatamente progettare, insieme a tutte le forze sociali, produttive ed economiche una strategia complessiva che ridia fiato all’economia. Bisogna invertire la tendenza delle politiche di austerity e investire in settori che possano dare concrete risposte al Paese. Fra presunte riforme, mancanza di programmazione ed eliminazione del confronto con le parti sociali, il Governo non riesce a rilanciare l’economia, in una situazione in cui permane, peraltro, una riduzione del potere di acquisto dei salari e delle pensioni.

La società non può essere compresa tutta nelle dinamiche finanziarie, tanto più che finora si sono sottratte a qualsiasi e seppur minimo complesso di norme che nel regolarle avrebbero conferito loro qualche legittimazione.

Renato Scognamiglio sostiene : “Può apparire una osservazione scontata, e per questo forse viene un po’ trascurata dagli studiosi, che l’ordinamento giuridico dei rapporti fra uomini costituisce il prodotto di fatti ideologici e politici, sociali ed economici, che costituiscono, nelle diverse epoche, l’assetto della civiltà umana”… … “la conflittualità d’interessi tra prestatore e datore di lavoro, su cui si asside il lavoro dipendente e germina il diritto del lavoro, assume nel corso del ‘900, una rilevanza tale da influenzare fortemente gli ordinamenti politico-giuridici degli Stati, che devono affrontare, e risolvere, la questione sociale. ” Questo è verissimo ed oltre a coinvolgere il diritto del lavoro coinvolge l’intero sistema delle relazioni sindacali. Ma continua Scognamiglio : “ … viene avvertito dalle forze sociali e politiche, il problema di ristabilire effettive condizioni di eguaglianza, libertà e dignità dei lavoratori, sottraendoli al prepotere e agli abusi dei datori di lavoro… … “a provvedere è innanzi tutto chiamato il legislatore…” “…ma alla sua realizzazione possono, e intendono, provvedere gli stessi lavoratori, che nell’esercizio della libertà di associazione, costituiscono organizzazioni sindacali, chiamate a gestire la autotutela degli interessi collettivi delle categorie lavoratrici, mediante gli strumenti, forgiati dalla stessa realtà sindacale, del contratto collettivo e dello sciopero, a cui mezzo fronteggiare l’opposizione, e la capacità di resistenza, delle associazioni dei datori di lavoro ed anche delle pubbliche amministrazioni”.

Insomma occorre ritrovare, concretamente, le ragioni profonde della responsabilità individuale e collettiva, impegnarsi sul piano della partecipazione sindacale e della cultura politica così da contribuire a realizzare una democrazia economica, centrata sulla persona e soprattutto sulle capacità imprenditoriali, finalizzate all’utilità sociale (art. 41 Cost.8).

Purtroppo, oggi ad intere generazioni è stata ridotta al minimo ogni possibilità di programmare il proprio futuro, in assenza di un contratto stabile, duraturo e a tempo indeterminato, oppure perché lavora in nero o addirittura non riuscirà ad accedere al mercato del lavoro. I giovani vivono oggi le loro speranze frustrate, i sogni che non si realizzano, le loro ambizioni non soddisfatte e tutto ciò rischia di sfogarsi solo nello sbando.

Per fortuna vi sono giovani e sono numerosissimi che dedicano la loro attività al volontariato, giovani che, nonostante tutto, si dedicano agli studi e all’impegno civile e democratico. L’Istat ha certificato quasi il 50% di disoccupazione giovanile con un grave danno per il Paese e di questo che la politica e le forze sociali si devono fare carico.

Nel nostro Paese è avvenuta, anche, una destrutturazione dello Stato che è stata compiuta anche attraverso il processo di modifiche costituzionali e attraverso interventi di restauro costituzionale i quali hanno lesionato la stabilità complessiva di un modello che si reggeva su strutture di pesi e contrappesi che dovevano regolare la democrazia e la separazione dei poteri. Lo Stato, inoltre in questo periodo sta perdendo ruolo e risulta impossibilitato a costituire un elemento di coesione, mentre si sono affermate territorialità regionali come piccoli Stati all’interno del grande Stato nazionale, sotto l’egida del federalismo che ha sostituito nel dibattito politico il vecchio modello del decentramento.

Finora la politica ha creato insicurezza nel lavoro e disoccupazione, una riduzione drastica dei servizi pubblici, ritenuti oggi “troppo costosi’’ o “inutili’’, mentre sono necessari proprio durante le crisi. Le stesse classi politiche europee stanno dimostrando tutti i loro limiti proprio perché hanno dato alla Banca Europea un ruolo di esclusivo controllo dell’inflazione, che non può tenere conto di scelte che sono essenzialmente politiche come coniugare la ripresa economica con il rafforzamento della coesione sociale, in cui la solidarietà è anche condizione necessaria per affermare la competitività dell’economia europea. Tutto ciò non ha fatto altro che ridimensionare lo Stato sociale, e quindi sul nostro futuro pesano troppe incertezze e troppe incognite, tuttavia le tutele sul lavoro, i diritti dei lavoratori, i diritti di cittadinanza devono avere una risposta necessaria di fronte ai rischi di un mercato globalizzato e alle economie prive di principi sociali. Perché, anche le relazioni sociali sono state, sono e saranno naturalmente compenetrate dal potere, come tendenza dell’uomo al dominio sull’altro, e proprio per questo la politica dovrebbe controllare e trasformare il potere in istituzioni e in diritto, altrimenti esso trova altri spazi e altri strumenti per imporsi. Non a caso, nel processo di globalizzazione, il nuovo volto del potere sembra consistere nella mancanza del “volto” stesso, perché è venuta meno la politica come patto, non soltanto nei riguardi delle povertà e della scarsità delle risorse, ma anche nei riguardi delle generazioni future. Oggi, è anche vero che, nella crisi economia e finanziaria lo squilibrio esistente tra potere economico e potere politico rischia di minare la politica così come noi occidentali l’abbiamo pazientemente e dolorosamente costruita nell’ultimo millennio e mina il valore della solidarietà, che è stato una costante della nostra società.

Aristotele lega la solidarietà alla libertà: “La libertà non si costruisce attraverso una specie di autonomia o di isolamento individuale, ma attraverso lo sviluppo di legami, di tangibili atti di solidarietà, di generosi aneliti verso sofferenze altrui: sono questi che ci rendono liberi e responsabili”.

Infatti, una comunità si regge se al suo interno si condivide una gerarchia di interessi che ne stabilisca la gradualità di soddisfazione. Quelli più importanti sono di carattere generale e quindi realizzano solidarietà e coesione, rispetto a quelli individuali. Le costituzioni hanno individuato in questi i valori fondanti dei principi fondamentali di libertà, uguaglianza e autodeterminazione; demandando alle strutture politiche, istituzionali e sociali il compito di realizzarli concretamente. Non è da nascondere che per dominare gli eccessi del mercato bisogna anche “educare” le persone ad agire salvaguardando innanzitutto la propria libertà ed esercitando le più ampie capacità critiche, fondamentali in un sistema perverso, pubblicitario e informativo, che spesso altera la stessa formazione dell’opinione pubblica e il sistema di controllo popolare, incidendo negativamente sulla cultura di massa.

In gioco sono la funzione delle regole e il comportamento democratico delle istituzioni, la speranza di legalità della politica e nella politica, con sempre maggiore difficoltà di controllo delle operazioni politicamente rilevanti. Certamente nelle attuali società, come in passato, non vi è separabilità dell’economico dall’umano, ma questo deve indurre la politica a riacquistare la sua centralità e le forze sociali e culturali, insieme alla politica e alla classe imprenditoriale devono sentire l’esigenza di configurare nuovi rapporti tra economia ed etica, tra economia e diritto, tra economia e politica.

______________

Note

1 2006 – RIDL, n° 4 – articolo dal titolo: “Intorno alla storicità del diritto del lavoro”- cit. pag. 376. Giuffrè editore

2 Ibidem - cit. pag.381

3 Ibidem - cit. pag.380

Separatore

I sindacati, fino a quando ci saranno i lavoratori, ci saranno sempre. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL

di Antonio Passaro

Angeletti, siamo costretti ad andare in stampa senza conoscere il definitivo esito della vicenda Alitalia. Ciò che diremo su questo punto, dunque, per chi legge, sarà stato superato dai fatti. E’ utile, tuttavia, ripercorrere alcuni passaggi e ribadire alcune posizioni: delle conclusioni, che tutti auspichiamo positive, parleremo nel prossimo numero. Anche se la partita è ancora in corso, possiamo sostenere che, sul fronte sindacale, la Uil è stata un’autentica protagonista?

Lasciamo che siano gli altri a valutare. Innanzitutto, è bene ricordare che nella vicenda Alitalia - ancora in corso in queste ore in cui parliamo - l’aspetto più importante è quello relativo agli assetti societari: ad oggi, è questo il nodo ancora da sciogliere definitivamente. La questione sindacale è del tutto sussidiaria. Il Sindacato è stato usato come alibi per coprire conflitti di interesse ben più corposi e decisivi come quello tra gli azionisti. Noi siamo favorevolissimi all’accordo con Etihad, lo siamo stati sin dall’inizio e abbiamo sempre lavorato per questa soluzione che consideriamo eccezionale ma che, purtroppo, non dipende da noi. Se avessimo potuto fare noi la trattativa con la compagnia emiratina, l’avremmo già definita qualche mese fa. Le questioni che abbiamo sollevato, invece, non riguardano l’accordo con Etihad, ma banalmente i rapporti tra noi e l’azienda, a cominciare dal contratto e dal prestito forzoso che è stato chiesto ai lavoratori.

Nella difesa di questi due punti, la Uil e la Uiltrasporti sono rimasti da soli contro tutti. Cosa è stato chiesto, in particolare, sul contratto?

La Uil e la Uiltrasporti hanno chiesto semplicemente di consentire ai lavoratori di Alitalia di poter decidere sul loro contratto. E’ una cosa banale che, se fosse spiegata così, nella sua essenzialità, Etihad la condividerebbe certamente. Noi vogliamo dare ai lavoratori di Alitalia la possibilità di discutere e votare sul loro contratto. Abbiamo chiesto, inoltre, che la riduzione del salario, voluta dall’Azienda, fosse spalmata in dodici mesi e non in sei mesi. Insomma, dobbiamo fare in modo che, come avviene in tutte le compagnie del mondo, i lavoratori abbiano il diritto di discutere e votare sul loro contratto.

La nostra Organizzazione, dunque, non ha firmato gli accordi relativi al contratto e alla riduzione del costo del lavoro perché sfavorevoli ai lavoratori, ma anche perché su questi temi non c’era mai stata un’esplicita richiesta di Etihad. A metà luglio, invece, un’intesa è stata sottoscritta su un altro aspetto, quello sì, considerato essenziale dalla compagnia aerea araba per celebrare il matrimonio con Alitalia. E’ così?

Esatto. Ciò che Etihad si attendeva dal Sindacato – come si evince dalle dichiarazioni del suo stesso Amministratore delegato – era un accordo con Alitalia sulla riduzione del perimetro aziendale e questo lo abbiamo sottoscritto. E’ stato difficile accettare l’idea che ci fossero degli esuberi, ma siamo riusciti a ottenere una significativa riduzione del loro numero e, inoltre, a garantire una copertura o una ricollocazione per tutti i lavoratori coinvolti dal provvedimento aziendale: nessuno è rimasto per strada, come si suol dire. Abbiamo condiviso, dunque, il piano industriale, necessario ad aprire la strada all’intesa tra le due compagnie aeree, perché siamo riusciti a limitare i sacrifici e, perché la prospettiva è quella dello sviluppo del nostro vettore nazionale. Questa era la scelta necessaria. L’Alitalia, invece, ha cercato di legare all’accordo industriale anche la vicenda contrattuale, pretendendo la firma di un Ccnl che, peraltro, riguarda solo lei.

Riusciremo a festeggiare questo “matrimonio” nel giro dei prossimi giorni?

Ribadisco che noi siamo favorevolissimi a un’intesa tra Alitalia ed Etihad e auspichiamo che si concluda rapidamente. Le questioni ancora in sospeso relative alla riduzione del costo del lavoro e al contratto saranno affrontate e risolte con l’attuale Alitalia.

Parliamo di un’altra grande realtà industriale del Paese, l’Eni. È stata trovata un’intesa con i sindacati di categoria, per scongiurare il disimpegno dell’Ente nazionale Idrocarburi dalle raffinerie italiane. Alla manifestazione organizzata nei giorni scorsi dai sindacati di categoria eri intervenuto con parole molto dure...

Intanto, diciamo subito che la mobilitazione dei lavoratori ha pagato e che l’azienda ha fatto un passo indietro importante. Abbiamo chiesto a ENI di non smantellare le raffinerie di cui il Paese ha bisogno, di rivedere la sua scelta e di continuare a investire nelle raffinerie italiane, anche perché affidarsi a quelle dell’altra sponda del Mediterraneo potrebbe rivelarsi, in questo frangente, una scelta molto avventurosa. Peraltro, una prospettiva di deindustrializzazione avrebbe comportato conseguenze nefaste, dal punto di vista sociale ed economico, soprattutto per il Mezzogiorno, dove le attività produttive sono ridotte al lumicino. Le garanzie del lavoro non possono essere scritte sull’acqua: diventano reali se i posti di lavoro non vengono distrutti e se le nostre imprese continuano a esistere e, anzi, se si investe per renderle più competitive.

Un’altra questione sollevata dai sindacati nel mese di luglio è stata quella relativa al rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Anche in questo caso, è stata fatta una manifestazione davanti a Montecitorio e qualche risultato comincia a vedersi, seppur non ancora soddisfacente. Cosa hanno chiesto CGIL, CISL e UIL al Governo?

Abbiamo organizzato quella manifestazione per ricordare al Governo che esiste un Paese reale e che ci sono milioni di persone che se la passano così male da non avere più il tempo di aspettare. La CIG in deroga ha un obiettivo: proteggere tutte le persone che non hanno più o non hanno mai avuto strumenti ordinari di protezione. E questi strumenti devono esserci sino a quando tutti quei lavoratori non hanno trovato un altro posto di lavoro: questo è il senso della CIG in deroga. Un Governo che pensa di fare una grande riforma sugli ammortizzatori sociali - che chissà quando verrà - e, nel frattempo, “fa bagnare le persone” è un Governo che non mantiene i patti. La CIG in deroga deve essere finanziata per tutto il tempo che sarà necessario e per tutte le persone che ne hanno diritto, secondo la legge. Un grande Paese come il nostro non può vivere solo di speranze e di promesse.

Cosa ne pensi del dibattito sulla riforma istituzionale?

I politici stanno discutendo su una grande riforma della Costituzione: anche noi pensiamo che sia necessaria. Vorremmo però evitare che, quando queste riforme saranno varate, una parte del Paese non ci sarà più. Il 2014 non sarà un anno di crescita, l’economia non funziona e la disoccupazione, di conseguenza, non diminuirà. Anzi, con ciò che non stanno facendo, la disoccupazione rischierà di aumentare anche nel 2014, anno che avrebbe dovuto essere quello della ripresa. Se nei palazzi della politica la smettessero di preoccuparsi solo di se stessi e pensassero anche alla gente normale che dovrebbero rappresentare, forse questo Paese potrebbe avere una speranza. L’accanimento con cui si scontrano sulla riforma costituzionale non lo ritroviamo quando affrontano i temi della riduzione delle tasse, della semplificazione della pubblica Amministrazione, dell’attivazione delle nuove imprese...

...e neanche quando si tratta di difendere la cassa integrazione in deroga...

In realtà, noi non vorremmo essere costretti a difendere la cassa integrazione in deroga, ma vorremmo difendere dei buoni posti di lavoro, perché nessun Paese diventa moderno e può restare in Europa se non crea posti di lavoro. Il nostro Presidente del Consiglio dovrebbe mettere questo argomento al primo punto della sua agenda. Non so quale sarà la sua traiettoria politica. Penso che questo Governo non rischia di cadere sulla riforma costituzionale o elettorale, ma penso che se i disoccupati aumenteranno, la sua permanenza a Palazzo Chigi diventerà molto difficile.

Credi che il Governo debba confrontarsi di più con le parti sociali?

A noi non interessano i tavoli: l’importante è che il Governo risolva i problemi delle persone. I sindacati, fino a quando ci saranno i lavoratori, ci saranno sempre. Non siamo per nulla preoccupati del tentativo in atto di marginalizzarci. Siamo preoccupati, invece, perché la nostra gente - quelli che hanno fiducia in noi e si iscrivono al sindacato - non trova risposte, perde il proprio posto di lavoro e quando lo perde non ha nessuna realistica speranza di trovarne un altro. Non basta neanche più studiare, lavorare, essere bravi: adesso per avere speranza, bisogna varcare i confini. E tutto questo non ci sta bene.

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