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LUGLIO/AGOSTO 2011

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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GIUGNO 2011

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SOMMARIO

Il Fatto
Un nuovo modello economico - di A. Foccillo
Intervista a Luigi Angeletti Segretario Generale UIL. Non si possono chiedere ai cittadini pesanti sacrifici senza dare un segno della compartecipazione della classe politica
- di A. Passaro

Sindacale
Amianto, a che punto è la notte - A cura dell’Ufficio Politiche della Cittadinanza
Manovra Finanziaria: ancora una volta uno schiaffo ai dipendenti pubblici
- di G. Torluccio
Il 12° Congresso della Ces ha discusso della crisi e della nuova Governance europea
- di L. Visentini
Bilancio Ital: Innovazione e Investimenti - di G. De Santis
Bilancio sociale: l’Ital mette enfasi sul consuntivo - di S. La Ragione
Banche e assicurazioni, rinnovi contrattuali lontani - di F. Furlan
“Fincantieri: una crisi annunciata!” - di M. Ghini
Costi della politica: credibilità e sobrietà - di T. Serafini
L’Europa e l’Italia di fronte ai fermenti del Nordafrica - di P. Nenci
Attualità
D.lgs n. 231/01, un’opportunità anche per i fondi pensione - di M. Abatecola
Uno studio della Banca Mondiale: L’importanza delle rimesse degli emigrati - di P.N.

Economia
Un altro Patto per la crescita come quello del 2002? - di V. Russo
Whatever Works (Basta che funzioni) - di A. Ponti

Il Corsivo
L’infame commedia - di Prometeo Tusco
I furbacchioni - di Prometeo Tusco

Agorà
Gesti d’ordinaria cortesia. Un buongiorno o un semplice sorriso sembrano d’altri tempi
- di M. C. Mastroeni
I top manager …all’italiana - di G. Salvarani

Cultura
Leggere è rileggere - “No hay camino”… oppure c’è? - di G. Balella
Un racconto infantile particolare e significativo - di A. Carpentieri
Il lungo viaggio di Harry Potter - di S. Orazi

Inserto
La comunicazione pubblicitaria substrato della nostra società - di P. Nenci

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EDITORIALE

Un nuovo modello economico

Di Antonio Foccillo

Sulle pagine di questa rivista abbiamo aperto, ormai da anni, una riflessione critica su quello che stava avvenendo nel pianeta economia e sui riflessi dei processi di globalizzazione e della finanziarizzazione sulla vita, lavoro e condizioni delle persone. Sembrava spesso, all’occhio poco attento di qualche lettore, lo sfogo di chi non si vuole piegare ai processi di modernizzazione e ai benefici influssi - come sostenuto dai santoni della globalizzazione - della piena libertà di mercato. Oggi, quello che sembrava il semplice lamento di Cassandra, sta diventando una convinzione quasi generale. Si comincia, finalmente, ad interrogarsi su come cambiare questi processi e la situazione economica che si è determinata viene affrontata con molta preoccupazione da una platea sempre più vasta. Dopo la bolla finanziaria che ha stravolto il mondo, nuovi motivi di preoccupazione nascono dalla crisi degli Stati Uniti, per fortuna, come era facilmente prevedibile, hanno trovato un accordo fra i partiti di maggioranza e di opposizione sulle misure per evitare il fallimento dell’economia di quel Paese, che avrebbe prodotto gravissime ricadute in tutto il mondo. Eppure, nonostante che fosse certa la necessitata soluzione, vi era molta perplessità e scetticismo, con qualche dose di pessimismo. Infatti, scriveva Fitoussi “i repubblicani, infervorati dalla loro crociata contro il big governement, rifiutano qualsiasi programma di riduzione dei deficit e del debito che non sia fondato sui tagli delle spese pubbliche e sociali. Dato che a beneficiare di quest’ultime, qui più che altrove, sono le fasce più fragili della popolazione, già stremate dalla crisi finanziaria, è chiaro che questi tagli aggraverebbero ulteriormente le disuguaglianze, in una società già sperequata oltre ogni ragionevole limite. Dunque stavolta è la poetica più che il mercato a mettere il mondo nei guai.1”

Contemporaneamente, in questi giorni si è assistito all’attacco della speculazione all’Italia e all’intero sistema economico europeo. Sempre Fitoussi ha sostenuto: “In assenza di una soluzione redistruibutiva il contagio della speculazione rischia di determinare un’insolvibilità crescente nell’Eurozona. Prosegue “I responsabili dell’Eurozona giocano dunque con il fuoco, e rischiano di precipitare l’Europa e il mondo intero in una nuova crisi di vasta portata, che potrebbe rivelarsi insopportabile per le popolazioni, già fin troppo provate.” E conclude “.E’ così difficile comprendere che la speculazione trae la sua origine dall’indecisione politica, assai più che dalla situazione delle finanze pubbliche dell’Eurozona, notoriamente la più sana tra i grandi Paesi industrializzati? E’ architrave della governance europea… a dimostrare l’insostenibile, ben più del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona. Quindi il misto, economia-politica, rischia di mettere il mondo in condizioni ancora peggiori di quelle attuali. Per questo riteniamo che sia imprescindibile riproporre il nostro leit-motiv: bisogna individuare e poi sperimentare un nuovo modello di Società fondata su un diverso modello economico e sociale in grado di ridare un po’ di credibilità alla politica e far sì che la persona ritorni ad essere al centro di ogni azione economica, sociale e politica. Sembrava utopia di un nostalgico, ma oggi di fronte ai risultati macroeconomici di questi ultimi anni, dobbiamo imporre forzatamente una discussione sul come modificare un modello di sviluppo che riteneva che i costi sociali ed ambientali fossero sperperi. Il pensiero unico, codificato dal neoliberismo, diventando un dogma, ha imposto le proprie scelte al fine di orientare, essenzialmente, gli investimenti verso interessi finanziari-speculativi, invece che in quelli produttivi nell’economia reale per perseguire soltanto la loro logica della massimizzazione dei profitti complessivi. Tutto ciò, in realtà non ha fatto nient’altro che produrre una conseguente divaricazione tra andamento dell’economia reale e i connessi processi politico economico-sociali. Tale situazione, ha concentrato la ricchezza in un numero sempre minore di soggetti, aumentando le aree di povertà, l’emarginazione, e, nello stesso tempo, si sono spinte attività contrarie all’utilità sociale collettiva. Tutto questo si è riflesso sull’economia produttiva che ha subito una conseguente perdita di competitività. Questo modello imposto dalla finanza speculativa ha esportato ovunque un capitalismo finanziario che è contrario ad ogni forma di solidarismo, in nome dell’individualismo competitivo, e essendo la logica economica favorevole al solo profitto e tutto quello che viene elergito alle persone più deboli è considerato spreco. È in questo contesto che si sono configurati, sempre più pressanti gli attacchi al modello socialdemocratico europeo fondato sullo Stato sociale. Lo si giustifica con la necessità di competitività per rafforzare quel modello di capitalismo selvaggio e delle politiche monetariste diventate ormai ideologia egemone, e così facendo si travolgono anche gli stessi principi di civiltà come quelli di tolleranza e di solidarietà tra gruppi diversi e tra generazioni diverse che hanno fatto forte il modello economico europeo. Questi principi sono stati, in Italia, i cardini su cui si è fondata la Costituzione, elaborati sulla base della cultura delle forze politiche cattoliche, laiche e socialiste, e sono diventati egemoni nella prassi anche delle relazioni industriali per merito del movimento sindacale, almeno quello di parte riformista e imprenditoriale, quello più incline a considerare il bene sociale. Da circa venti anni, le cose sono cambiate anche in Italia, e la politica debole, pressata dalla economia, invece di pensare ad un rafforzamento delle politiche e delle prestazioni sociali, in un momento di così grande difficoltà, ha attuato un modello sociale ed economico che ha considerato lo Stato come un semplice erogatore di spesa improduttiva. Per questo si è chiesto e si continua a farlo, con sempre più forza, che esso abbandoni il suo carattere di equilibratore della coesione sociale, e non fornisca i servizi pubblici che sono considerati soltanto sperpero di risorse. Di riflesso sono stati enfatizzati, con continuità, i criteri di efficienza del privato, che non solo può sostituire il pubblico, ma per il bene complessivo del Paese e per rendere competitivo l’intero sistema Italia, deve sviluppare il suo impegno senza nessuna costrizione, anzi aumentando la flessibilità del lavoro e salariale. L’impianto delle “nuove” proposte politico-economiche si è incentrato, allora, su politiche di tagli alla spesa pubblica senza mai valutare le ricadute sui costi sociali di tale modello, che produce un continuo di nuove esclusioni, emarginazioni e povertà. In particolare si afferma la necessità la privatizzazione di settori di tutela della dignità della persona come quelli della sanità e della previdenza. Non si è tenuto conto, invece, che le politiche di Welfare sono in difficoltà perché vi è stata una riduzione della quantità di lavoro e del suo costo, che, proprio per questo non è più in grado di finanziare lo Stato sociale nel suo complesso. Si è realizzato così una società con maggiori differenziazioni sociali, in cui è sempre più ridotto il sistema di protezione sociale a favore delle fasce dei cittadini più deboli, fasce che si allargano sempre più andando a comprendere anche quegli strati di società che fino a non molti anni fa erano ritenuti protetti. La stessa costruzione dell’Unione Europa basata sulla logica essenzialmente economica e della libertà di mercato sta purtroppo aggravando la situazione, facendo aumentare, con le sue direttive sempre tendenti a mantenere gli Stati aderenti entro parametri economici dettati dalla Bce, tali diseguaglianze economico-sociali. La costruzione di un’Europa dei popoli e di un’Europa sociale del lavoro è vista sempre più lontana dai cittadini, tanto è vero che, ogni volta, che si vota per far fare un passo in avanti al processo Europeo, i risultati sono sempre negativi e di rifiuto. Per contrastare quanto su esposto è necessario che si cominci a studiare nuovi modelli economici e sociali, per avviare uno sviluppo economico diverso, non più solo mercantile, considerando le modalità di un lavoro a valenza sociale complessiva. In questa fase del dibattito politico-economico, pertanto, bisogna uscire da una logica difensiva, riproporre come centrale il problema del sociale e ripartire all’attacco anche con obiettivi intermedi di fase, ma ben definiti e caratterizzati. Le politiche monetariste e le logiche consociative neo-liberiste che puntano all’abbattimento dello Stato sociale si possono battere. Un nuovo modello di crescita economica, un forte progetto di rinnovamento che riaccenda le speranze sopite con una seria e corretta politica sociale non più basata sull’assistenzialismo e le spese improduttive, ma un percorso verso un progetto di una reale democrazia economica del sociale e del lavoro può realizzarsi. Al centro dell’iniziativa politica e sociale devono ritornare le persone con i loro bisogni e le loro aspettative, attraverso la distribuzione della ricchezza complessivamente prodotta, rispondendo così anche alle nuove povertà e alle fasce deboli della popolazione.

Certamente la vicenda greca ha spinto tutti gli stati europei a predisporre manovre finanziarie impreviste. Eppure fino a qualche giorno fa sembrava che qualche timido elemento di ripresa si vedesse. Ma purtroppo tutto è precipitato e quindi sono state rinviate le scelte strategiche di crescita economica e di sviluppo.

Scriveva Romano Benini: “I paesi che sono usciti prima dalla crisi mostrano due aspetti tra loro legati: un sistema finanziario e bancario non troppo compromesso dalle vicende speculative ed un’economia reale che trae valore dal prodotto, dal contenuto e dalla qualità del lavoro. Questa connessione tra solidità e trasparenza finanziaria e forti investimenti per la qualità delle attività produttive e del capitale umano è il segreto delle economie come la Germania e l’Olanda. Il ritorno al valore centrale delle competenze, del lavoro ed ai contenuti dello scambio economico, rappresenta il richiamo più forte, l’indicazione che arriva dalla crisi.”2 In tal senso dal sindacato e dalle forze produttive ed economiche deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica, economica e sociale la persona, le sue aspettative, i suoi diritti e la sua dignità di lavoratore e cittadino. Per questo riproponiamo ancora una volta almeno nell’ambito nazionale alcune proposte che debbono essere discusse, se come sembra si avvierà realmente un confronto per un “nuovo patto per lo sviluppo”, per trovare soluzioni concrete alla gravità della crisi. La prima senza dubbio è quella di ricreare una condizione di sviluppo produttivo che ridia fiato all’economia reale a discapito di quella virtuale che tanti danni ha prodotto. La seconda è sempre per la stessa motivazione, dare più reddito e quindi più potere di acquisto ai lavoratori ed ai pensionati anche attraverso una riforma fiscale. La terza è sostenere con adeguati ammortizzatori sociali le persone che rischiano sempre di più l’occupazione. La quarta è tentare di risolvere con la stabilità, ovviamente gradatamente, i tanti contratti di flessibilità che sono stati imposti come la panacea per il rilancio produttivo ed economico e che oggi, con la crisi economica, saranno i primi a pagare. Il Sindacato deve rilanciare la sua proposta per ricostruire in questo Paese di nuovo valori e solidarietà, coesione e certezze. Deve riprendere la battaglia per riprecisare i contenuti di una società più giusta e più equa dove si salvaguardi la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro, alla vita; dalla sicurezza sociale e personale; dal ripristino del potere di acquisto ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà. Scriveva Luciano Gallino citando Keynes in Le conseguenze economiche della Pace, in merito alle drastiche misure imposte ai tedeschi nel dopo guerra: “Keynes era rimasto colpito durante le trattative, cui aveva partecipato, dall’ottusa incapacità dei governanti delle potenze vincitrici di ragionare sulle conseguenze di misure che strappavano la sovranità economica a intere nazioni. I governanti di oggi non sembrano mostrare una maggiore lungimiranza di quelli di ieri”.3 Per questo la prima azione deve essere quella di riproporre una iniziativa politica a livello europeo per ripristinare condizioni di equilibrio nella gestione delle risorse a favore dell’intera collettività e non solo dei paese egemoni. Quindi contrastare le volontà egemoni di Paesi, come la Germania e la Francia più atttenti alla loro stabilità economica che a quella complessiva dell’intera Europa. Servirebbe una nuova classe dirigente per un progetto più ampio di libertà non solo economica ma anche del lavoro, nell’ottica di crescita e non di difesa della sola inflazione. Ripristinando una mediazione politica vera che si contrapponga agli interessi economici assicurando le garanzie della democrazia partecipata e condivisa. Quindi concludo con la necessità, come ho iniziato, che la politica ritorni a svolgere la sua funzione per una “Nuova Era”, esca dalla nefasta influenza che la governa e riparta con scelte che ripristino il bene comune in un processo di sviluppo condiviso per il bene di tutti e non di pochi.

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Non si possono chiedere ai cittadini pesanti sacrifici senza dare un segno della compartecipazione della classe politica. Intervista a Luigi Angeletti, Segretario generale UIL.

di Antonio Passaro

Angeletti, andiamo in stampa con il nostro giornale nell’immediata vigilia dell’incontro tra le parti sociali e il governo. Daremo conto dell’esito, dunque, nel prossimo numero. Intanto, dobbiamo registrare che mai una fase estiva era stata così convulsa, dominata da una preoccupante crisi finanziaria internazionale e da una conseguente crisi economica che coinvolge anche il nostro Paese. Nei giorni scorsi, il ministro Calderoli ha fatto una provocazione: per cercare di trovare soluzioni, politici e parti sociali lavorino anche durante le ferie estive. Da quella proposta è scaturito l’insolito appuntamento agostano, a Palazzo Chigi, al quale, proprio in queste ore ti stai recando. In estrema sintesi, per dare il via a questa nostra chiacchierata, qual è il tuo parere sulla scelta di convocare tavoli di lavoro anche nel mese di agosto?

Sono d’accordo con questa iniziativa. In una fase così delicata credo che non vi sia alcun problema se la politica e le parti sociali lavorino anche nel mese di Agosto. E’ giusto, purché si produca qualche risultato chiaro e importante.

In questo periodo, il dibattito politico è incentrato su proposte in merito a soluzioni alternative all’attuale governo. In linea con la tradizionale impostazione della Uil, senza entrare su quel terreno che non appartiene al sindacato, hai espresso una tua breve valutazione sull’attuale fase politica. Puoi riproporcela?

Personalmente, sono contrario ai governi tecnici: non sono ciò di cui il Paese ha bisogno. Servono governi politici che scelgano e scontentino qualcuno. Una politica che non sceglie e che cerca di tenere tutti dentro, non funziona. Detto ciò, per quel che riguarda questo Governo, io penso che se si rendesse conto di non avere la forza di governare, di non avere una solida maggioranza, sarebbe meglio andare ad elezioni anticipate.

Qual è, invece, il giudizio della Uil sulla manovra varata dal Governo nello scorso mese di luglio?

Premesso che la Uil è stata responsabilmente consapevole della necessità di condividere l’obiettivo di riduzione del deficit, abbiamo evidenziato forti criticità su alcuni contenuti della manovra stessa. In particolare, restano del tutto incompiuti i capitoli relativi alla riforma fiscale e ai costi della politica.

Cominciamo dal fisco...

Sì. La Uil si è battuta perché fosse avviata una riforma fiscale capace di riequilibrare il peso sui diversi redditi attraverso una sensibile riduzione delle tasse sul lavoro, anche tramite il riconoscimento di un bonus per i figli a carico. Con il previsto taglio delle detrazioni, invece, si rischia di aumentare la pressione fiscale proprio sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Ecco perché, già a partire dall’incontro odierno a Palazzo Chigi, ribadiremo la necessità di una rapida approvazione della riforma del sistema fiscale. Le nostre proposte prevedono un riequilibrio del carico fiscale compatibile con il pareggio di bilancio. Metteremo in campo tutte le iniziative necessarie a trasformare le intenzioni, che pure sono state manifestate, in atti legislativi.

La riforma fiscale è uno storico cavallo di battaglia della Uil al quale, di recente, se ne è aggiunto un altro: quello relativo alla riduzione dei costi della politica. Anche su questo punto continuerete ad incalzare Governo e Parlamento?

Certamente. Già nello scorso mese di luglio, abbiamo organizzato un presidio davanti al Parlamento per chiedere un’accelerazione in merito alla riduzione dei costi della politica. Non si possono chiedere ai cittadini pesanti sacrifici senza dare un segno della compartecipazione da parte della classe politica a questo progetto di risanamento del Paese. Un taglio ai costi della politica dovrebbe riguardare tutti i costi di funzionamento di tutte le Istituzioni, ad ogni livello territoriale, assembleari e di governo. Le nostre proposte sono contenute in uno studio presentato già molti mesi fa e ormai noto a tutti. Ricordo, tra le altre indicazioni che avevamo segnalato, l’accorpamento delle aziende di servizi per i comuni al di sotto dei 50mila abitanti, l’aggregazione dei comuni con meno di 5mila abitanti, l’abolizione delle province. Se si facessero questi interventi, si otterrebbero considerevoli risparmi, tali da incidere positivamente sul bilancio dello Stato.

Nella manovra c’è anche una questione specifica, relativa al pubblico impiego, che non vi ha soddisfatto per nulla. E’ un problema enorme per una categoria molto importante. Cosa si potrebbe fare per venire incontro alle legittime aspettative di quei lavoratori?

C’è una forte contrarietà espressa dalle categorie dei lavoratori del pubblico impiego, ulteriormente penalizzati dal blocco della contrattazione nazionale. Sarebbe possibile, eliminando i vincoli normativi che ne ostacolano la dinamica, avviare almeno la contrattazione integrativa sulla base dei risparmi da realizzare nella pubblica amministrazione. I lavoratori del settore potrebbero ottenere un risultato economico importante legato alla produttività e al merito, senza che vi siano aumenti di spesa ma in virtù di una razionalizzazione dei costi. Già a partire dal prossimo mese di settembre, la Uil sosterrà questa battaglia delle categorie e dei lavoratori del pubblico impiego.

Angeletti, in conclusione, dobbiamo affrontare un argomentato che ha generato qualche imbarazzo ma che, ancora una volta, dimostra la lungimiranza e la coerenza della nostra Organizzazione. Tutte le parti sociali hanno redatto un comunicato sulla crisi dal quale solo la Uil si è dissociata. Tu lo hai, addirittura, definito “doroteo”. Ci spieghi cosa è successo?

Il documento presentato da 17 sigle del mondo delle imprese, delle banche e dei sindacati non è un accordo, non è un patto, non è nulla. Sono delle volontà generiche che, se fossero recepite, così come sono scritte, non risolverebbero niente. Avevamo chiesto delle modifiche che non sono state accolte: ce ne siamo resi conto quando il testo è uscito senza che avessero aspettato il nostro ok. Ecco perché ce ne siamo dissociati.

Peraltro, le parti sociali avevano lavorato per mesi partecipando ad alcuni tavoli organizzati presso l’ABI senza che ne scaturisse una posizione condivisa...

E’ così. Le parti sociali hanno tentato, per mesi, di elaborare una proposta che rappresentasse, sul serio, una concreta svolta della politica economica e sociale necessaria alla crescita del Paese senza, purtroppo, riuscire a sciogliere i nodi e a superare i contrasti emersi. Ricordo che tutto naufragò al primo contrasto serio sulla produttività.

In quel documento delle parti sociali, dunque, mancava l’indicazione di ciò che, ora, serve al Paese?

Pena la perdita di credibilità, ora bisogna tracciare le linee principali della svolta che, concretamente, si vuole e si deve realizzare. Lo ripeto, noi avevamo provato sommariamente ad indicarle in quel testo, ma non sono state accolte. Le parti sociali, che rappresentano il Paese reale, non possono chiedere ad altri di fare scelte di cui esse non riescono a definire i contenuti. Peraltro, dopo il fallimento di quei tavoli, non è condivisibile che, oggi, si riproponga un testo senza una seppur rapida e informale, discussione collegiale. Un testo che, francamente, a noi è apparso al limite della genericità e della mancanza di assunzione di responsabilità.

Serve un Patto?

Sì, serve un Patto tra noi e il Governo. O anche un Patto tra le parti sociali che indichi al Governo ciò che vorremmo. Oggi capiremo cosa siamo in condizione di realizzare per il bene del Paese.

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