UIL: Lavoro Italiano | Novità nel sito
Il nostro indirizzo e tutte le informazioni per contattarci
Google

In questo numero

In questo numero
GIUGNO 2016

LAVORO ITALIANO

Direttore Responsabile
Antonio Foccillo

Direzione e Amministrazione
Via Lucullo, 6 - 00187 Roma
Telefono 06.47.53.1
Fax 06.47.53.208
e-mail lavoroitaliano@uil.it

Sede Legale
Via dei Monti Parioli, 6
00197 Roma

Ufficio Abbonamenti
06.47.53.386

Edizioni Lavoro Italiano
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n.° 402 del 16.11.1984

Il numero scorso

In questo numero
MAGGIO 2016

Altri numeri disponibili

SOMMARIO

Il Fatto
- Nessuno si interroga più - di A. Foccillo
- Confronto con il Governo: Il Paese si aspetta qualcosa di buono, cerchiamo di non deluderlo. Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL - di A. Passaro

Sindacale
- Il lavoro delle donne: una sfida globale - di M. P. Mannino
- Così non possiamo andare avanti: in questa situazione le condizioni per il rinnovo del contratto non ci sono! - di S. Ostrica
- Edilizia: Rinnovare il contratto. Rilanciare il settore - di V. Panzarella
- Sciopero di tutti i lavoratori senza rinnovo contrattuale - di G. Torluccio
- Costringere il peggior datore di lavoro che esiste ad aprire il contratto dei lavoratori del Pubblico Impiego - di N. Turco
- La c.d. “Buona scuola”: una controriforma messa frettolosamente in piedi da una politica inconcludente ed autoreferenziale - di P. Turi
- Rinnovate i contratti dei pubblici dipendenti - di S. Pasqualetto
- Adesso basta! Gli alibi sono finiti - di A. Foccillo

La Recensione
- Come fare sul serio la revisione della spesa pubblica - di E. Russo

Agorà
- L’Inapplicabilità dell’articolo 18 Fornero alle Pubbliche Amministrazioni - di A. Fortuna
- Nenni, un uomo dalla parte giusta - di P. Nenci

Inserto
- Settant’anni fa. Nastro tricolore, è nata la Repubblica - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Nessuno si interroga più

di Antonio Foccillo

Si può dire che è definitivamente finita l’eredità del novecento, perché i suoi valori sono stati ridimensionati, se non del tutto abbandonati.

Nessuno ormai è in grado di valutare se ci sono le condizioni per poterli rilanciare, nonostante quei valori sono i soli che possano ridare un futuro positivo alle persone.

Questo ha inciso anche sui grandi movimenti, quali i partiti ed i sindacati, che, dopo essere stati protagonisti nei profondi cambiamenti di tutto il novecento, con il loro corollario di militanza, di voglia di partecipare, per affermare i diritti di lavoratori e libertà per cittadini, oggi sono in difficoltà.

Le loro battaglie hanno garantito i diritti fondamentali della persona.

In tal modo sono state ampliate le varie libertà, da quella di pensiero a quella di associazione; le tutele sociali; il welfare e la democrazia. Principi che insieme ai diritti di cittadinanza sono stati poi riconosciuti e garantiti nelle Costituzioni di molti Paesi, nella seconda parte del novecento, dopo l’oscurantismo del nazifascismo.

Quei partiti si sono fatti paladini delle lotte di liberazione; del ripristino della dignità dell’uomo, ovunque fosse nato e collocato; dell’autodeterminazione dei popoli contro le dittature; della costruzione dello Stato laico ed hanno proseguito la loro opera attivamente anche nella costruzione di una legislazione sociale, che avesse al centro la tutela della persona, fondando il tutto sulla partecipazione, sulla libertà di pensiero e sulla sovranità popolare.

Questi, così, hanno permesso negli Stati, per lo più illiberali, di costituire un regime parlamentare.

In Italia, l’impulso al sistema di solidarietà e coesione, avviene in concreto con l’approvazione della Costituzione italiana del 1948, la quale riconosce fra i diritti essenziali della persona, quelli del lavoro, della salute, del diritto alla formazione e della scolarità, della previdenza e dell’assistenza sociale.

È vero che il nostro Paese usciva da una guerra che aveva messo fine ad una cruenta dittatura e questo, spingeva i cittadini italiani ed i lavoratori ad impegnarsi, tutti insieme, per contribuire nel creare condizioni diverse, dove la democrazia prevalesse e si instaurasse una repubblica.

In tutta Europa le società, riaffermavano il trinomio, su cui si è costruito il modello socialdemocratico del Welfare State, cioè libertà, uguaglianza e fratellanza.

La libertà era una conseguenza di un anelito sempre più forte di liberarsi delle catene delle dittature ed instaurare un periodo di pace, dopo i grandi sconvolgimenti delle guerre fra i diversi paesi europei; l’uguaglianza derivava dalla acquisizione dei principi di solidarietà e coesione, ma soprattutto dalla tutela dei diritti fondamentali della persona; la fratellanza si poteva configurare con l’abbattimento di tutti gli steccati, di sesso, di religione, di ceto e con l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Oggi la globalizzazione - con la conseguente esplosione della finanziarizzazione - ha determinato una situazione in cui gli Stati non sono più sovrani delle loro singole scelte di politica economica.

Si sono travolte le vecchie certezze e si sono imposte politiche economiche sempre più restrittive e violente, cambiando anche governi legittimi eletti dai cittadini, per sostituirli con tecnici vicini alle grandi banche, a partire dalla Bce e della Goldman Sachs.

Queste politiche “neo liberiste” hanno creato povertà ed emarginazione ed una marea di contratti di lavoro sempre più precari, ma soprattutto hanno prodotto una disoccupazione che ha messo fuori del mercato milioni di lavoratori, tra cui un’intera generazione di giovani.

Questa politica della finanziarizzazione, del mercato selvaggio, del c.d. “neoliberismo”, e dell’austerità in Europa va cambiata!

Anche il FMI, con un articolo sulla sua rivista, a firma del vice-economista capo, Jonathan Ostry, e di altri due suoi colleghi, dal titolo “Neoliberismo: sopravvalutato?”, ha preso le distanze dall’ideologia del neoliberismo e dall’austerity, perché, sostiene che, invece, di produrre crescita hanno aumentato le disuguaglianze, mettendo a rischio un’espansione delle economie produttive.

Scrive Riccardo Staglianò che addirittura: “L’anno scorso, per dire, un altro paper (sempre del Fmi, N.d.A.) riabilitava i sindacati, stabilendo un rapporto tra il loro declino e aumento delle disuguaglianze”.

Si potrebbe dire, alla Catalano, meglio tardi che mai. Ma non è così.

Pensate a quante campagne di abiura si sono avute contro chi in passato criticava tale politica.

Chi la contestava minimamente era accusato di conservatorismo o di voler limitare le possibilità di espansione delle economie.

Sono anni che anch’io, molto modestamente, ho sempre sostenuto con gli editoriali di questa rivista e con i miei libri la dannosità di questa politica e, in sua vece, la necessità di proporre una politica economica keynesiana.

Purtroppo tanti anche nel nostro Paese, e anche governanti di sinistra, in Europa e in Italia, hanno sostenuto acriticamente queste politiche e attuato i dettami del Washington Consensus, della piena libertà di mercato, delle liberazioni e delle privatizzazioni, ma soprattutto hanno imposto la fuoriuscita dello Stato dal mercato e l’abbattimento delle politiche di Welfare. Tutto questo con politiche rivolte alla liberalizzazione dei capitali che si dovevano spostare senza “lacci e lacciuoli” e con la politica di austerità che portava a tagliare soprattutto la spesa pubblica. Ma cambierà qualcosa dopo l’articolo del FMI?

In Europa, forse qualcosa cambierà, anche per effetto del referendum inglese, con la scelta del Brexit, che potrebbe portare ad un peggioramento nelle economie, non solo per gli inglesi, ma per l’Europa intera.

Paul Krugman scrive: “La Gran Bretagna non è la Grecia: ha una propria valuta e i suoi prestiti sono in questa valuta, quindi non rischia una pressione che creerebbe caos monetario… Tuttavia da un punto di vista economico, la brexit appare una cattiva idea”.

Ed è una cattiva idea anche perché potrebbe essere un esempio negativo da perseguire per altri Stati dell’Unione Europea.

In tal senso sempre Krugman scrive: “Più importante, tuttavia, è la triste realtà dell’Unione Europea…Il cosiddetto progetto europeo cominciò più di 60 anni fa, e per molti anni ebbe un’enorme forza positiva. Non solo ha promosso il commercio e aiutato la crescita economica; è stato anche un baluardo per la pace e la democrazia in un continente con una storia terribile. Ma l’UE di oggi è la terra dell’euro, un grave errore aggravato dall’insistenza della Germania a trasformare la crisi provocata dalla moneta unica in una morality play dove si scontano i peccati (commessi dagli altri, ovviamente) con dei rovinosi tagli al bilancio”.

Infatti, l’Europa che era stata la speranza di grandi cambiamenti e di possibilità di sviluppo ha fallito, con le sue politiche economiche, rinnegando quel contratto sociale che aveva fatto con i suoi cittadini per mettere al centro di tutto l’uomo.

Scrive Josè Ignazio Torreblanca : “Se l’Europa vuole sopravvivere politicamente, ha bisogno di una periferia in pace e di una globalizzazione compatibile con i suoi principi e con i suoi valori. Ma invece di creare un anello di prosperità e sicurezza intorno a sé, è pressata da un enorme arco di instabilità che si estende dall’Artico al Magreb, e che, in assenza di sicurezza interna ed esterna finisce per permeare le sue frontiere e alterare l’equilibrio dello stesso progetto europeo. All’interno, le tensioni generate dai difetti di progettazione dell’euro e dall’inadeguatezza e dalle divisioni messe in mostra quando si è trattato di affrontare con efficacia e rapidità una crisi finanziaria come quella che si è scatenata nel 2008 hanno creato una crisi di legittimità molto difficile da risolvere. In assenza di un’identità comune e di una democrazia vibrante, l’Unione Europea può trarre la sua legittimazione unicamente dai risultati economici, che oltre a non arrivare dividono gli europei in due blocchi contrapposti…Non c’è da stupirsi che in un’Europa che non cresce, non crea occupazione e mette gli stati membri uno contro l’altro intorno a politiche di austerità che alcuni percepiscono come vessatorie e altri come assolutamente insufficienti, si assiste all’ascesa di forze antieuropee”.

Oggi, infatti, tutti i nodi stanno venendo al pettine. La crisi della democrazia, la conseguente mancanza di partecipazione che nei momenti elettorali vede sempre di più l’astensione dei cittadini e l’abbandono dei valori solidali e di coesione, alla fine hanno fatto prevalere solo egoismi, individualismi e mancanza di cultura politica e civile, che hanno portato ad un cambiamento privo di un retaggio valoriale e soprattutto inconsapevole di cosa, quelle scelte, potevano provocare e come avrebbero inciso sui destini dei Paesi e dei cittadini.

In questo scenario nessuno s’interroga più. Tutti conformisti, tutti si schierano con il vincitore, magari un attimo prima che succeda, per garantirsi solo vantaggi personali. Dove sono finiti i grandi progetti che smuovevano le coscienze e portavano fino al sacrificio personale per garantire un futuro migliore per le proprie famiglie? Dove sono finiti ideali e valori che determinavano società democratiche e garantivano tutte le libertà?

Si può pensare di continuare così? Non credo. Una svolta è necessaria, anche culturale, per continuare a far pensare le persone sulla necessità di interrogarsi come si vuole costruire il domani; come, qualsiasi scelta che si deve fare possa presupporre un’evoluzione positiva.

Le recenti elezioni amministrative in Italia sono sintomatiche di molte delle cose dette.

Astensione, voto per protesta, voto contrario o comunque molto differente alle proprie abitudini.

Una dimostrazione della stanchezza e della voglia di cambiare, comunque, a prescindere da quello che si potrebbe determinare. Ci sarebbe bisogno di valutazioni reali e di nuovi ideali, al di là della solita manfrina su qualche punto perso o guadagnato del singolo partito.

Scrive Stefano Bartezzaghi: “Ma la rifondazione ideale presuppone un orizzonte assai più ampio. Temi prospettive, ricerca di nuovo rapporto con la base sociale e gli elettori, un rinnovamento che non sia solo la resa dei conti con gli avversari interni per promuovere il proprio gruppo di potere… c’è solo da cominciare…Ma nulla sarà possibile senza idee e suggestioni calate nel solco del riformismo europeo, fondato su una nuova visione non solo propagandistica dell’Italia di oggi e del suo disagio, sullo sfondo di una ripresa economica troppo fragile e di ingiustizie percepite come intollerabili”.

È proprio così!

Ed il Sindacato? Anch’esso si deve interrogare sulle proprie politiche e sulle necessità di una nuova azione. Deve uscire allo scoperto e rinnovare profondamente la sua strategia, ridiventando attore protagonista di un nuovo modello economico, che dia nuovamente, prospettive di sviluppo e di formazione di ricchezza e di conseguente distribuzione della stessa, ma deve soprattutto ripensare ad una nuova Società che ritorni ad essere solidale e coesa. Grandi battaglie, come in passato, possono di nuovo smuovere le coscienze e far ritornare alla militanza attiva le persone e i lavoratori. Ricreare un circuito di partecipazione consapevole, che ridia speranze e certezze per un avvenire diverso e di crescita anche per le nuove generazioni, oltre che per gli anziani ed i lavoratori.

È possibile farlo, riprendendo il gusto del confronto a tutto campo sulle idee e sulle proposte, ridiventando interlocutori credibili delle istituzioni e del Governo. Non è persa la speranza ed il sindacato deve contribuire a individuare un nuovo percorso di rinnovamento e di progettazione, fondata su vecchi valori del novecento che sono ridiventati ancora più attuali.

Solo così si può uscire dall’abisso!

___________________

1 Articolo dal titolo: Il neoliberismo rinnegato dai suoi alfieri: iniquo e dannoso, Il Venerdì de La Repubblica 24.6.2016

2 Articolo dal titolo: Gli errori dell’Unione non si risolvono fuggendo, Restare è il male minore. La Repubblica 20.6.2016

3 Ibidem

4 L’autore è direttore della pagina degli editoriali del quotidiano spagnolo El Pais

5 Articolo dal titolo: In marcia verso l’abisso, La Repubblica 21.6.2015

6 Articolo dal titolo: Il voto d’impulso, La Repubblica del 20.6.2016

Separatore

Confronto con il Governo: Il Paese si aspetta qualcosa di buono, cerchiamo di non deluderlo! Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, il mese di giugno è stato densissimo di avvenimenti storici - purtroppo anche tragici - internazionali, nazionali e sindacali. Destano sgomento e suscitano dolore le ripetute stragi: il terrorismo internazionale continua a spargere sangue innocente, questa volta in Turchia. E, mentre siamo in stampa con questo numero, ci giungono gli echi di un altro attentato in Bangladesh che ha colpito anche nostri connazionali. Che fare?

Ancora una volta piangiamo le vittime di una barbarie che sembra non aver più fine: tutta la Uil si stringe al fianco dei familiari delle vittime. Io sono convinto che sia necessaria un’iniziativa europea e globale dei sindacati contro il terrorismo internazionale. Avevo già proposto questa mobilitazione dopo la tragedia di Parigi. Noi dobbiamo usare lo stesso metodo a cui abbiamo fatto ricorso, a suo tempo, per sconfiggere il terrorismo interno: serve la massima coesione e unità e, inoltre, bisogna che i Governi si impegnino sul fronte dell’intelligence con un comune sforzo di cooperazione, altrimenti non avremo risultati. Peraltro, molti terroristi sono già radicati nei Paesi in cui hanno agito: non è automatico, dunque, che l’immigrazione porti terrorismo. È fondamentale rimettere in moto la cooperazione e la solidarietà verso quelle popolazioni, così duramente provate dalla miseria e dalla guerra, portando il nostro aiuto in quei luoghi e creando le condizioni per la pacificazione e lo sviluppo di quelle zone.

Dobbiamo registrare negli annali della Storia un altro avvenimento di questo giugno 2016: la Gran Bretagna ha scelto, con un referendum, di uscire dall’Europa. È Brexit: cosa succede ora?

L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa è un risultato negativo, ma ci sono ancora due anni di tempo, prima che questo esito si concretizzi, per evitare un disastro totale. Noi, piuttosto, dovremmo “uscire” dalla Commissione europea e da chi le suggerisce le politiche economiche: l’austerità sta uccidendo l’Europa e la finanza le sta dando il colpo di grazia. Temo un effetto domino: è necessario, dunque che la Commissione cominci a ridiscutere di se stessa, altrimenti andiamo verso il baratro. Siamo passati dall’utopia di un’Europa, che potesse progredire insieme economicamente e socialmente, alla realtà di un’Europa gestita da una finanza che, invece, sta facendo impoverire tutti, tranne qualcuno. È questa politica che deve cambiare.

In Italia, intanto, l’esito delle elezioni amministrative ha generato un cambiamento che potrebbe avere, alla lunga, ripercussioni anche sul quadro politico. Indubbio è stato il successo del Movimento 5 stelle: in particolare sia a Roma sia a Torino le nuove prime cittadine saranno due giovani donne “pentastellate”. Qual è la tua opinione su questo risultato?

La discontinuità può essere un elemento per ridare slancio alle amministrazioni comunali. Ad ogni buon conto, non sono preoccupato: noi, come sindacato, cerchiamo di dire e fare cose di buon senso. È molto tempo che abbiamo suggerito al Governo di farsi dare una mano per risolvere i problemi del paese, dei pensionati, dei giovani in cerca di occupazione. Perché se i lavoratori, i pensionati, i giovani percepiscono che i loro problemi sono rimasti sulla carta, le reazioni sono quelle che emergono dalle urne. E oggi che non ci sono più partiti strutturati è più facile che le reazioni siano di volta in volta diverse.

In questo mese, dopo oltre un anno mezzo di continue sollecitazioni del Sindacato e tue in particolare, finalmente si è avviato il confronto con il Governo, al Ministero del lavoro, su pensioni e mercato del lavoro. Dopo un primo confronto “in plenaria” sono stati attivati tre specifici tavoli uno sulla previdenza, un altro sulle pensioni in essere e il terzo sul lavoro. Si può già fare una prima valutazione?

Non siamo ancora in grado di esprimere un giudizio compiuto, perché occorre ancora scandagliare il merito di tutt’e tre gli argomenti. Sono state già convocate le prossime singole riunioni di approfondimento e quello di luglio sarà un mese di intenso lavoro. Il Paese si aspetta qualcosa di buono, cerchiamo di non deluderlo.

È chiaro che c’è una particolare aspettativa soprattutto sul fronte della previdenza e della cosiddetta flessibilità in uscita. Dalle prime fasi è emerso già un indirizzo? Siamo in grado di fare qualche previsione?

Non so come e quando si concluderà questa trattativa. So che c’è un tavolo dove provare a discutere di merito ed io, da sindacalista, devo approfittare di questa opportunità per migliorare l’attuale situazione. Peraltro, il documento che abbiamo presentato al Governo consta di dodici punti e, invece, tutti si stanno concentrando solo sulla cosiddetta ‘APE’: è sbagliato. Dobbiamo ancora approfondire i temi e verificare i costi. Dobbiamo fare in modo che la legge Fornero venga modificata. Non mi interessa che nome avrà il nuovo provvedimento, mi interessa dare risposta a tutti quei lavoratori che non possono restare al lavoro oltre una certa età, salvaguardare chi ha 41 anni di contributi, gli esodati, gli usurati, mettere in moto l’occupazione per i giovani e adeguare le pensioni. Questo è ciò che conta e su questi punti noi vogliamo ottenere risultati positivi per i lavoratori, i pensionati e i giovani in cerca di lavoro.

Eppure, in particolare sul fronte della previdenza, logica vorrebbe che la strada fosse spianata verso una soluzione positiva: abbiamo l’età di accesso al pensionamento più alta d’Europa e un livello di tassazione sulle pensioni di gran lunga più alto della media europea...

Esatto, la risposta è già nella tua domanda. Aggiungo un altro elemento, replicando così a chi sostiene che esiste un problema di disponibilità finanziarie: basterebbe prendere a riferimento un arco temporale più lungo invece di fermarsi al bilancio del singolo anno in corso. In questo modo, le risorse sarebbero sufficienti ad affrontare il problema.

Questa è una proposta che tu hai fatto anche per provare a risolvere un’altra annosa e irrisolta questione: il rinnovo del contratto nel pubblico impiego...

Sì, è così. Bisogna restituire dignità al lavoro e ai lavoratori del nostro Paese e, perciò, bisogna rinnovare i contratti nel pubblico e nel privato. Se entro il mese di settembre non si apre una discussione seria sulle risorse necessarie saremo costretti a proclamare lo sciopero generale di tutto il pubblico impiego: lo proporremo a Cgil e Cisl, ovviamente. Valuteremo anche se ci sono altre categorie di altri settori che non riescono a rinnovare i contratti, per fare uno sciopero di tutti i lavoratori che si trovano in questa condizione, lo ripeto: nel pubblico e nel privato. Abbiamo molte decine di contratti che sono scaduti o in scadenza e non possiamo più attendere. Nel settore metalmeccanico, ad esempio, siamo già ai ferri corti e la situazione è davvero complessa. Comunque, noi siamo un sindacato responsabile e siamo disponibili a discutere. Poi faremo le nostre scelte.

Dai contratti alla contrattazione. Pochi giorni fa, tu e le tue colleghe Camusso e Furlan avete avuto un primo incontro con il neo Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Come è andata?

È stato un primo incontro informale, per conoscersi. Abbiamo fatto una discussione generica e generale. Nelle prossime settimane si svolgeranno alcune riunioni di carattere tecnico nel corso delle quali saranno approfonditi 4 capitoli, con particolare attenzione alla rappresentanza e rappresentatività, alle politiche attive e passive del lavoro, alla contrattazione, al welfare e alla bilateralità. Ci sarà poi un nuovo appuntamento, il prossimo 29 luglio, per fare il punto sull’avanzamento del confronto. Io sono per accettare la sfida della produttività che è innovazione, sistema, tecnologia, benessere lavorativo per considerare i lavoratori una risorsa. Ci vuole, comunque, un contratto nazionale leggero, perché la contrattazione di secondo livello, che va diffusa capillarmente e implementata anche per territorio, settore, filiera, allo stato attuale è diminuita. Per quel che riguarda, infine, il welfare aziendale occorre subito chiarire che deve essere aggiuntivo e non sostitutivo di quello statale, altrimenti faremo ulteriori passi indietro. Insomma, possiamo dire che c’è stata una ripresa del dialogo. Intanto, però - lo ribadisco in conclusione - bisogna rinnovare tutti i contratti scaduti o in scadenza.

Valid XHTML 1.0 Transitional Valid CSS! [Valid RSS]