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GIUGNO 2008

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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Il numero scorso

Il numero di maggio 2008
MAGGIO 2008

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SOMMARIO

Editoriale
Si rischia di parlare in astratto - di A. Foccillo
Intervista al Segretario Generale della UIL Luigi Angeletetti  “La crescita dei salari è un interesse economico collettivo oltre che una questione di giustizia sociale” - di A. Passaro

Economia
“Summit FAO a Roma. Un’ulteriore occasione persa” - di P. Carcassi
Azionariato e Partecipazione dei lavoratori: La nostra scelta “associazionista” - di D. Proietti
Su”La Paura e la Speranza”di Tremonti – Una riflessione critica - di E. Canettieri
Chi nazionalizza e chi svende - di G. Paletta
Prendi i soldi e scappa - di A. Ponti

Europa
La Uil per un’Europa politica e solidale - di N. Nisi

Attualità Scuola
Dal nostro passato verso il futuro: due incontri di approfondimento della UIL Scuola - di N. Ranieri
Il valore del lavoro pubblico e le energie professionali della scuola - di A. Lacchei
Illustrate dal ministro le linee guida per la scuola: l’apprezzamento della Uil Scuola - a cura della UIL Scuola

Approfondimento
La via accidentata della ripresa - di P. Nenci

Sindacale
Crisi BURGO GROUP - di M. Giancamillo

Agorà
Due giugno e d’intorni - di G. Salvarani
Libertà condizionata per la stampa di mezzo mondo - di P. N.

Internazionale
V° vertice Unione Europea - America Latina e Caraibi - di A. Carpentieri

Cultura
Leggere è rileggere: HERMANN HESSE: SIDDHARTA - di G. Balella
Da Cannes a Roma - di L. Gemini
Vivere e morire a Gomorra - di S. Orazi

Inserto
La lunga battaglia per un fisco efficiente e giusto - di P. Nenci

Separatore

EDITORIALE

Si rischia di parlare in astratto

Di Antonio Foccillo

Come essere al passo con i tempi e rispondere a chi contesta il sindacato di essere poco moderno? Questa è la questione che dobbiamo affrontare con coerenza e serietà, altrimenti rischiamo di difenderci soltanto senza la capacità di attaccare con una nostra idea di società. Appunto oggi viviamo in una società che, in questi anni, è profondamente cambiata. Il mondo è stato investito da un processo globale, mentre da noi si è manifestato con la cosiddetta fine della prima Repubblica e, successivamente, con il tentativo apprezzabile, di gestirne i difficili contenuti sociali attraverso la politica dei redditi. La Politica è stata ridimensionata da una impostazione neoliberista che ha messo fortemente in discussione la coerenza e la stessa validità della metodologia della difesa dei diritti sociali, ma come si può essere ottimisti per il futuro se tante delle conquiste di questi anni, ogni giorno, vengono messe in discussione: dall’aumento dell’orario di lavoro a 65 ore settimanali alla sostituzione del contratto collettivo con quello individuale? La fine dei modelli statalisti ha generato un processo di globalizzazione economica governata dal primato dell’economia. Oggi si è aggiunta a tutto ciò anche la nuova filosofia economica dominante del “neo liberismo” che pensa di andare oltre il Welfare State consolidato.

Mobilità dei capitali e accelerazione dei processi produttivi (globalizzazione) hanno liberato grandi forze produttive che si muovono guidate dalla prospettiva immediata di profitto e svincolate dal controllo degli Stati nazionali. Ciò ha creato formidabili occasioni di sviluppo e arricchimento in certe zone, settori e gruppi sociali, ma ha anche alterato quell’equilibrio raggiunto tra mercato e democrazia di cui la formula dello Stato sociale era la provvisoria risultante ed ha rovesciato la tendenza, che il compromesso socialdemocratico aveva promosso, alla convergenza tra crescita e riduzione delle disuguaglianze tra paesi, tra gruppi sociali, tra cittadini e cittadini. Queste ultime permangono e tendono a ulteriormente ingigantirsi, ma la società deve difendersi perché altrimenti le leggi del mercato finiranno con il coincidere con le antiche leggi della giungla ed allora l’umanità si ritroverà proiettata indietro, di secoli. L’uomo deve continuare ad essere il centro dell’attenzione del sindacalismo e di quelle forze politiche che si rifanno alla tradizione progressista e di sinistra.

Guardiamo all’Italia. La nostra politica è stata limitata, anche attraverso un azzardato cambio di sistema elettorale. Eppure la storia ci doveva far ricordare che il Regno d’Italia ebbe un sistema elettorale maggioritario che permetteva la prosecuzione di un equilibrio sociale basato su elitarismo e ridotti spazi democratici. La Repubblica italiana ha voluto proiettarsi nel passato. Sono sempre stato a favore del sistema proporzionale, e voglio pormi una domanda: perché si è fatta questa scelta? Mi sembra evidente che si sono voluti ulteriormente ridimensionare gli spazi di partecipazione e ripristinare elitarismi, magari diversi, per poter governare una fase di cambiamento profondo senza troppi ostacoli democratici. Le parole possono apparire grossolane o pesanti, ma sono quelle più appropriate alla fase storica che abbiamo vissuto! Lo stesso sindacato è sottoposto ad attacchi volti a ridurne il peso ed il ruolo di ultimo, reale, soggetto collettivo di elaborazione e confronto. Le difficoltà sono sotto gli occhi di tutti e le risposte che i sindacalisti hanno dato sono state diverse.

La Uil ha sempre inteso il confronto l’elemento centrale della sua azione, rifiutando di chiudersi in una difesa corporativa e conservatrice. Il conflitto non è escluso dall’azione del sindacato, ma non può essere l’unico obiettivo di essa, semmai un passaggio che si rende necessario, ma che è volto comunque a raggiungere l’obiettivo di un accordo. Questo è il ruolo di un sindacato riformista che la Uil persegue.

In questo momento una delle battaglie che ritengo più importante, in una fase di pensiero unico e conformismo è quella di ridare voce alla società e riprendere spazi che il mercato ha invaso prepotentemente. Il diritto del lavoro deve riprendere una fase espansiva ed uscire dalla logica difensiva; il pubblico deve riacquistare dignità e valore di garanzia sociale; le regole devono essere vissute con partecipazione dai cittadini che devono sentirsi protagonisti dei cambiamenti e non tornare a vivere come sudditi ai quali le regole vengono imposte. E questo scenario, più o meno, va bene per tutta l’Europa occidentale. Ed i nuovi paesi dell’est? Ed il resto del Mondo? Come facciamo a pensare al nostro ruolo sindacale, al nostro rapporto con la politica nazionale, senza guardare le rive del mare e scorgere i tanti disperati che arrivano spesso più morti che vivi? I diritti e le tutele sono principi universali, che possiamo modulare, ma che dobbiamo tenere sempre bene in vista. Come facciamo a chiedere il rispetto della dignità del lavoratore italiano e di quello europeo e non di quello africano? Il discrimine tra la conservazione ed il progresso è questo: lo stare dalla parte del più debole, essere solidali. Anche quando ciò si ripercuote negativamente, perché è sotto gli occhi di tutti il prodotto di una società che ha ridotto gli spazi di confronto collettivo per delegarli a quelli virtuali dei mezzi di comunicazione di massa che ingannano la coscienza democratica e determinano l’isolamento tragico dell’uomo che non si confronta più con il suo simile e lo vede solo attraverso una lente deformante. Questo processo sembra inarrestabile e, ripeto, il sindacato resta forse uno degli ultimi luoghi dove questo dialogo, che consente all’uomo di emanciparsi, è possibile. Un modello di società condiviso si deve solo rivelare grazie alla ripresa dell’esercizio del pensiero e del confronto. Come abbiamo visto lo stesso diritto del lavoro europeo non ha potuto giocare un ruolo di promozione delle garanzie e delle tutele del welfare anche per le difficoltà del confronto su questi tempi che, a differenza di alcuni Stati membri, avviene nella Comunità attraverso il dialogo sociale che ha trovato diverse sensibilità tra i naturali soggetti antagonisti che si dovrebbero confrontare (imprese e lavoratori). Invece, la nozione di cittadinanza europea deve racchiudere i diritti civili e politici tutt’uno con quelli sociali e realizza l’identità del cittadino europeo. Da qui l’idea di una cittadinanza europea più completa come segno dell’evoluzione che compone ad unità i diritti civili (libertà, uguaglianza) con quelli politici (partecipazione alla vita democratica) e giunge fino ai diritti sociali (welfare e solidarietà). Ma purtroppo il processo Europeo non è compiuto completamente e per adesso ha un’impalcatura tesa essenzialmente all’integrazione economica e monetaria. Tornando all’attuale Comunità, invece, essa quando si è imbattuta negli istituti classici del diritto sindacale ha sempre nutrito il timore di intervenire con comportamenti poco consoni  fino al punto di optare per una drastica soluzione di astensione dai profili squisitamente sindacali. E ciò influisce anche sul Welfare. L’Unione Europea ha tentato di regolare tutte le problematiche sociali con l’approvazione del Trattato, che istituisce una Costituzione per l’Europa, firmato, nel 2004, dai Capi di Stato e di Governo dei 25 Stati membri e di 3 Stati candidati a diventarli e che doveva entrare in vigore nel 2006. Due referendum in Olanda e in Francia hanno dato esito negativo e hanno indotto il Consiglio Europeo del 2005 ad un periodo di riflessione e nel 2007 vi è stato un ritorno indietro, indebolendo ancora di più le questioni sociali come si è visto anche recentemente sulle modifiche del trattato. In conclusione, come si è velocemente spiegato, fra i tanti settori di integrazione, l’Europa sociale è ora fortemente sottoistituzionalizzata e la retorica della sussidiarietà non porta a favorire un sistema unico e articolato del welfare. Tornando alla quotidianità la cronaca sindacale ha conosciuto polemiche inutili, mentre la cronaca quotidiana ci evidenzia ogni giorno tragedie legate al mondo del lavoro, in Italia. Credo che favorire l’inserimento nel mondo del lavoro sia necessario, ma è chiaro che la nostra società, europea, ha valori e tradizioni che non possiamo ignorare e che dobbiamo valorizzare ed esportare, per guardare al futuro su basi più solide di quelle sulle quali si muove, attualmente, la nostra società e le rappresentanze sociali e politiche. Certo, il sindacato, deve incrementare le adesioni, ha bisogno di ripensare la sua strategia, deve coinvolgere, aggiornando il suo pensiero, tante nuove realtà del mondo del lavoro, ma questo non significa che è venuto meno il suo patrimonio di valori, ideali e partecipazione che rendono il mondo più giusto e più equo. Vi è bisogno di nuovo impegno e di nuove motivazioni, ma esse si ritrovano soltanto riprendendo collettivamente il cammino. Cercando, quindi, di creare una sorta di cerniera tra il passato ed il presente, vale a dire fra tradizione sindacale di rivendicazione ed una condizione sociale che richiede nuovi contenuti e nuovi metodi di rapporto politico, evitando così l’aprirsi di una lacerazione fra il consolidamento del sindacato nella struttura istituzionale ed il margine di consenso sociale. Questo è l’unico modo per rispondere alle contestazioni sulla sua modernità e, nello stesso tempo, a dare una motivazione ideale all’azione sindacale per il futuro che mantenga una funzione sociale di riequilibrio, equità, rafforzamento della democrazia e dello sviluppo sociale ed economico.

Separatore

“La crescita dei salari è un interesse economico collettivo oltre che una questione di giustizia sociale”. Intervista al Segretario Generale della Uil Luigi Angeletti

di Antonio Passaro

Angeletti, la trattativa per la riforma del sistema contrattuale è finalmente iniziata. È la volta buona?

La dico con una battuta: credo che non ci sia alternativa all’accordo. La riforma del sistema contrattuale è necessaria dal punto di vista sia sociale sia economico. Lo abbiamo detto tante volte anche da queste pagine, ma è sempre utile ribadirlo. Che in Italia ci sia una questione salariale lo riconoscono tutti e lo sostengono in tanti. Ma non tutti si comportano conseguentemente. Una delle leve da azionare per ottenere la crescita dei salari è quella contrattuale. Ecco perchè dobbiamo fare questa riforma.

Una riforma necessaria anche dal punto di vista economico: lo hai sostenuto più volte. Vuoi ribadire questo principio?

I bassi salari hanno generato una riduzione dei consumi e, in particolare, della domanda interna. Nel nostro Paese oltre il 70 per cento dei lavoratori produce beni e servizi destinati al mercato interno. E se i salari sono bassi, come si pensa che possano essere acquistati quei beni e quei servizi? Le conseguenze negative per il sistema economico, produttivo e occupazionale sono dunque ovvie. Ecco perchè la crescita dei salari è un interesse economico collettivo, oltre che una questione di giustizia sociale.

Il clima intorno alla trattativa non sembra tuttavia dei migliori. Il Governo ha inserito nella manovra economica il dato dell’inflazione programmata pari all’1,7 per cento. Un dato fortemente criticato per la sua inattendibilità. Qual è la tua opinione?

Si tratta di un falso problema. Sfido chiunque a ricordarsi dell’inflazione programmata stabilita dal precedente governo! In quella circostanza nessuno si accorse della decisione. Ed è giusto che sia così. Sono anni ormai che rinnoviamo i contratti senza tener conto dell’inflazione programmata. Questo parametro è servito per disinflazionare l’economia ed è stato utile in un contesto di inflazione calante e per l’obiettivo del risanamento. Ma ormai da molti anni l’inflazione programmata è solo una categoria dello spirito, è una decisione politica del tutto avulsa dalla realtà economica è un dato, dunque inutile e del tutto ininfluente che non deve e non può condizionare la trattativa appena cominciata. Sono esplicito: io non voglio più neanche sentirne parlare!

E nella trattativa in corso, uno degli obiettivi che ci si prefigge è proprio l’individuazione di un nuovo parametro di riferimento per procedere ai rinnovi dei CCNL. Qual è la possibile soluzione?

Vedremo al tavolo quale sarà la soluzione migliore. Noi abbiamo proposto di tener conto delle valutazioni e delle previsioni di istituti di ricerca e di statistica europei. Si può studiare magari un mix di questi elementi. L’importante è che si individui un nuovo parametro, che abbiamo definito di inflazione realisticamente prevedibile, sulla base del quale costruire le piattaforme per rinnovi in grado di assicurare, davvero, a livello nazionale, l’invarianza del potere d’acquisto dei salari.

Avete stabilito già un calendario per la trattativa?

Si, ad oggi abbiamo già svolti alcuni incontri e, proprio nei prossimi giorni, vedremo anche il Presidente dell’Istat...

Perchè questo incontro?

Perchè uno dei problemi che abbiamo più volte sollevato riguarda proprio la composizione del cosiddetto paniere Istat. Soprattutto, abbiamo rilevato come il peso ponderale attribuito ad alcune delle voci che compongono quel paniere sia ben lontano dalla realtà. Basti pensare al peso attribuito ai fitti delle proprie abitazioni o alle assicurazioni: sono percentuali che noi consideriamo del tutto sottostimate. Vorremmo dunque che si apportasse qualche modifica a questo meccanismo di rilevazione dell’aumento dei prezzi. E' del tutto evidente, comunque, che a noi interessa, soprattutto, un sistema in grado di prevedere l’inflazione che verrà piuttosto che quella già determinatasi.

Avete anche stabilito una data entro cui concludere la trattativa...

Si, pensiamo di poter concludere entro la fine del mese di settembre. Sia chiaro: non è un traguardo a portata di mano. Sara’ una trattativa complessa e difficile. Ma noi crediamo che sia necessario portarla a termine proprio per l’insieme delle ragioni sino ad ora richiamate.

In conclusione, cambiamo argomento. Alla fine del mese di giugno si è svolta a Catania, alla presenza dei tre Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, un’assemblea di quadri e delegati sui temi della sicurezza sul lavoro. La tragedia di Mineo ha sconvolto tutti...

È così: è davvero assurdo che, quando si va a lavorare, bisogna mettere nel conto che si possa anche perdere la vita. Tutto ciò è indegno di un Paese civile. Eppure, per ridurre il numero degli infortuni basterebbe fare cose normali è necessaria, innanzitutto, più informazione e formazione. Poi bisogna applicare in modo compiuto le leggi che ci sono e che sono anche buone. Serve una corsia preferenziale per i processi sugli infortuni e quando non sono rispettate le leggi, comminare sanzioni esemplari. Negli altri Paesi europei, dove ci sono più lavoratori dipendenti che da noi, la quantità di incidenti è più bassa. Dunque anche noi possiamo e dobbiamo migliorare: per noi è un dovere morale.

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