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GENNAIO 2017

LAVORO ITALIANO

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Antonio Foccillo

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di Roma n.° 402 del 16.11.1984

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DICEMBRE 2016

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SOMMARIO

Il Fatto
- Tragedie, buoni propositi e pochi fatti - di A. Foccillo
- Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL. L’Accordo di Lampedusa è un evento storico! - di A. Passaro

Sindacale
- Industria 4.0: sfide da superare e opportunità da cogliere - di T. Bocchi
- Conferenze di organizzazione, il percorso è iniziato. Con lo stesso impegno, con la medesima passione - di P. Bombardieri
- Valutazioni Uil sul Disegno di Legge C. 4200, di conversione del decreto legge n. 243 del 2016, recante “interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno”. A cura dell’Ufficio Politiche di programmazione economica e finanziaria
- Diamo gambe all’Accordo del 30 Novembre sul rinnovo dei contratti ai dipendenti pubblici - di M. Librandi
- Alitalia: una dura battaglia - di C. Tarlazzi
- L’accordo del 30 novembre, il nuovo scenario e le nuove prospettive per la Pubblica Amministrazione - di N. Turco
- Italia unico Paese europeo ancora senza reddito minimo o di inclusione. L’impegno della UIL e dell’Alleanza contro la Povertà in Italia - di F. M. Gennaro

Economia
- Il Green Public Procurement (GPP): rilanciare il nostro Paese su un’economia sostenibile - di A. Ceglia
- Scienza e ricerca non hanno confini - di I. Ippoliti

Agorà
- I diritti incomprimibili e il pareggio di bilancio - di A. Fortuna
- Il cortocircuito dei media digitali nella società italiana - di P. N.

Inserto I
- La lacerazione europea della guerra civile spagnola - di P. Nenci

Inserto ll
- Indice Lavoro Italiano 2016 - di
P. Nenci

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EDITORIALE

Tragedie, buoni propositi e pochi fatti

di Antonio Foccillo

Il pensiero non può che correre subito all’Abruzzo e a quelle maledette sciagure che hanno stretto la morsa sulla regione verde d’Europa. La natura in pochi giorni è stata inclemente e ha messo in ginocchio questo territorio. I danni delle copiose nevicate sfiorano stime da capogiro a cui poco realisticamente i singoli Comuni riusciranno a far fronte se non ci sarà un consistente intervento da parte dello Stato. In quei giorni all’isolamento di interi paesi e quartieri, causati dall’impraticabilità delle vie di circolazione, si sono aggiunti numerosi guasti sia alla rete idrica sia a quell’elettrica, che sono persistiti per diversi giorni, facendo rimanere così anziani e intere famiglie nelle loro case senza luce e riscaldamento con temperature che si aggiravano al di sotto dello zero. Come se ciò non bastasse, anche la terra ha ripreso a muoversi e con violenza. Questa volta senza mietere vittime e lasciando solo tanta preoccupazione in chi aveva ancora lucide nella mente le esperienze de l’Aquila del 2009 e il vicino dramma di Amatrice.

Purtroppo la tragedia è arrivata ugualmente in quella stessa giornata con l’incubo del resort di Rigopiano nel comune di Farindola (Pescara). La montagna ha scatenato tutta la sua violenza spezzando tante vite e tante famiglie che soggiornavano in questo caratteristico albergo immerso nel verde delle montagne abruzzesi. Solo la tenacia umana di chi, nonostante travolto da questa furia, ha resistito giorni intrappolato e dei soccorritori che hanno impiegato tutte le loro energie giorno e notte, in condizioni difficilissime, nella speranza di salvare tutti gli ospiti del resort hanno ridonato all’Abruzzo un po’ di speranza e un po’ di sollievo in questo disastroso inizio del 2017.

E proprio i sopravvissuti e i soccorritori tutti, eroi che si sono strenuamente spesi, rischiando la loro vita per il pericolo di ulteriori slavine, sono l’immagine migliore di questa terribile vicenda, un’immagine di solidarietà, di forza e di voglia di vivere dell’Abruzzo e di tutta l’Italia unita nella speranza che da quei detriti innevati arrivassero buone notizie.

Alla gioia per i sopravvissuti, però, corrisponde il dolore immenso di chi non ce l’ha fatta e ha visto sgretolarsi in un attimo la propria famiglia, special modo per quei bambini che non potranno più abbracciare i propri genitori.

Giorni terribili in cui la natura non ha avuto pietà nemmeno per altre 6 persone, precipitate con un elicottero del 118, impegnato in un’operazione di soccorso, nei pressi dell’aquilano a causa anche delle precarie condizioni atmosferiche di quei giorni.

Qualcosa di incredibile per cui è difficile trovare parole e forse la cosa migliore è proprio rimanere in un rispettoso silenzio nei confronti di quanti questi giorni piangono e non speculare su queste tragedie, come purtroppo a volte fanno i mass media che focalizzano l’attenzione nell’immediato per poi gettare tutto nell’oblio pochi giorni dopo. Questa enfatizzazione mediatica è per l’appunto temporanea ma il dolore rimane e segna le persone che ne sono indelebilmente colpite e, allora, quali sono le risposte che possiamo dare e quali sarebbero le scelte che dovremmo prendere d’ora in avanti per evitare che tutto ciò si possa ripetere? Certo la natura non si può prevedere e forse nemmeno controllare ma sicuramente l’uomo può e dovrebbe rispettarla. Evitando polemiche sul caso specifico, sono ormai fin troppi anni che una sparuta parte delle società civile e non solo lancia allarmi contro gli abusi edilizi e gli eccessi della cementificazione del suolo e forse sarebbe il caso, dopo i numerosi eventi sismici degli ultimi, che si agisse finalmente sul recupero, sulla cura e sulla messa in sicurezza del patrimonio immobiliare esistente, pubblico e privato, ponendo un freno alla speculazione edilizia. La natura può essere ingestibile ma non lo è, al contrario, l’incuria dell’uomo nella progettazione edilizia. Bisogna ripartire perciò da controlli capillari e puntuali sull’esistente per garantire quanto meno il dovuto adeguamento sismico e idrogeologico di quelle strutture, cosa che purtroppo è stata fin troppo limitata o ancor peggio non è mai avvenuta.

Qui però entra in gioco una componente fondamentale per rendere tutto questo possibile, ossia il ruolo e la funzione delle istituzioni dello Stato. Perché a chi ha profetizzato l’eccessiva burocratizzazione della macchina del Paese, demonizzandola e riducendola sempre più all’osso, risponde l’evidenza dei fatti, ossia l’impossibilità delle articolazioni dello Stato più prossime ai cittadini di prevenire problemi purtroppo imprevedibili o quanto meno di corrervi ai ripari. Purtroppo, i questi anni ha vinto un neo liberismo che ne ha smantellato le funzioni. L’impianto delle “nuove” proposte politico-economiche e finanziarie si è concentrato, purtroppo, principalmente sui tagli alla spesa pubblica, senza mai valutare le ricadute sui costi sociali. Per completare il tutto, in nome di una presunta ripresa e del libero mercato, si privatizza ciò che ancora non era stato possibile privatizzare.

L’attacco principale si sviluppa contro la Pubblica Amministrazione, riducendone gli investimenti e parallelamente diminuendo il livello del benessere, della civiltà, della solidarietà e delle pari opportunità di tutta la comunità. Come se al ridursi del perimetro di azione dello Stato, tanto ambito dai dogmi neoliberisti perorati dalle politiche di spending review, si risolvessero tutti i mali e le inefficienze dello Stato. Queste come altre critiche sono solo strumentali, finalizzate a sostenere l’abolizione totale dell’intervento dello Stato e quella quasi completa della Pubblica Amministrazione, anch’essa da ridurre ai minimi termini come lo stesso perimetro dello Stato.

Queste teorie stanno mostrando, invece, solo che all’indietreggiare dello Stato e all’eclissarsi dei suoi corpi intermedi corrisponde proporzionalmente l’avanzare dei disservizi, dei disagi e delle diseguaglianze.

Oggi la macchina amministrativa versa in condizioni molto difficili per la mancanza di strumenti, la pochezza di stimoli professionali, la fatiscenza di sedi e della tecnologia in uso ormai superata, l’inadeguatezza degli stipendi e la carenza di mezzi, strumenti e organico. Per la rilevanza sociale dei servizi che offre, sarebbe opportuno investire nella Pubblica Amministrazione piuttosto che svilirla con continui tagli lineari.

Questa linea politica non corrisponde alla storia di un Paese come l’Italia, radicato su una Costituzione che affida allo Stato il compito di garantire e promuovere la coesione sociale, onde consentire la libera partecipazione dei cittadini alla vita della comunità nazionale.

Per queste ragioni, noi ribadiamo che per tutti, a prescindere dal ceto e dal luogo di nascita, devono continuare ad essere garantiti i servizi pubblici essenziali dalla Pubblica Amministrazione.

Bisogna porsi, tutt’al più, il problema di come rendere i servizi pubblici più produttivi e di come renderli vicini alle esigenze della gente, intervenendo nel funzionamento delle strutture di erogazione delle assistenze, apportandovi criteri come la modernizzazione, la professionalità, la tempestività e la qualità del servizio offerto.

E per questo motivo, mi trovo costretto a tornare sull’irragionevolezza – oltre alla sua illegittimità sotto un profilo squisitamente costituzionale – dello svuotamento del ruolo delle Province, non solo mortificate nella loro rappresentanza ma soprattutto, ai giorni nostri, nelle loro capacità economiche e di conseguenza di azione. Dopo i recenti esiti referendari non si è riusciti, infatti, a porre rimedio all’errore che il c.d. Governo dei professori fece con l’abolire un apparato costituzionalmente previsto attraverso una legge ordinaria. Le Province sono ancora lì - ora senza nemmeno dipendenti - col nome di Enti di area vasta e con le stesse funzioni di prima, ma senza la benzina per mettere in moto quella macchina con cui dovrebbero svolgere le loro competenze. Risultato? Non ci sono fondi per gli spazza neve, per la cura del manto stradale e della vegetazione delle strade provinciali, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici.

In questo quadro di idee e soprattutto dopo i fatti di questi giorni torna poi quanto mai forte la questione relativa all’abolizione del Corpo Forestale dello Stato, come della Polizia provinciale, e questo è testimoniato, in maniera a dir poco paradossale, dall’impossibilità che si è avuta nell’emergenza di utilizzare il parco elicotteri della guardia forestale. Questi mezzi sono stati costretti a rimanere a terra per problemi inerenti l’incompatibilità di volo con patente militare trattandosi di mezzi “ancora” civili.

Un’assurdità burocratica che si aggiunge al lunghissimo elenco di problemi ancora irrisolti scatenati dallo spacchettamento del Corpo forestale dello Stato imposto con la legge di riforma della pubblica amministrazione, che sta scontando la superficialità con cui ha tirato i fili di tutta questa operazione di trasferimento di un corpo civile in corpi militari.

Questa è la burocrazia che andrebbe “tagliata”, invece ad essere recise sono sempre le risorse a quelle istituzioni di rappresentanza democratica più vicine ai cittadini e che meglio sono a conoscenza delle problematiche del proprio territorio.

Questa è una vicenda che rimane aperta, special modo dopo gli esiti referendari, e a cui bisognerà trovare risposta, come bisognerà rispondere a chi ormai lamenta da anni il mancato riconoscimento della professionalità di lavoratori instancabili, spesso precari, che mettono a repentaglio la loro vita per aiutare il prossimo. In questi giorni tutti si sono prodigati giustamente nel riempire di elogi i soccorritori e in particolar modo i vigili del fuoco, ancora una volta protagonisti di professionalità e coraggio. Servitori dello Stato di cui tutti noi non possiamo che essere fieri ma che allo stesso tempo hanno lo stipendio bloccato ormai da sette anni, come il resto dei lavoratori pubblici, e che si trovano a fronteggiare situazioni di emergenza con squadre il più delle volte mutevoli, nelle quali ai contrattualizzati a tempo indeterminato si affiancano numerosi vigili a tempo determinato se non a chiamata. Per non parlare, poi, dell’età media di un corpo che per ovvie ragioni dovrebbe avere forze fresche. Difatti, i dati riportarti ultimamente dalla Ragioneria dello Stato sull’invecchiamento della forza lavoro della P.A. non possono che risultare ancora più pesanti nei corpi di polizia, dove oltre alle necessarie competenze anche la resistenza fisica ha il suo peso e non da poco.

Il blocco del turn over non è più in alcun modo sostenibile e si dovrebbe proprio iniziare con il dare stabilità ai tanti giovani, ma anche a meno giovani che purtroppo lo sono diventati con lo trascorrere degli anni, che rimangono in attesa dello scorrimento delle graduatorie e che vengono chiamati a prestare servizio solo occasionalmente o per brevi periodi.

Allo stesso tempo è imprescindibile rinnovare i contratti per riconoscere finalmente i dovuti adeguamenti salari a questi pubblici dipendenti che tanto celebriamo ma purtroppo solo in occasione di disgrazie.

In effetti, da circa vent’anni, ossia da quando il debito pubblico è diventato la priorità delle priorità, la politica economica risparmia sistematicamente sulla manutenzione delle infrastrutture fisiche e dilapida le poche risorse disponibili in spese improduttive.

La macchina dello Stato deve riprendere linfa, c’è bisogno di investire e di ridare slancio all’intervento dello Stato nelle scelte di peso della politica economica, non rimanendo più schiavi di ciechi tagli lineari della spesa pubblica.

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L’Accordo di Lampedusa è un evento storico! Intervista a Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil

di Antonio Passaro

Segretario, l’evento è di quelli storici: prima di chiudere questo numero di gennaio, dunque, abbiamo atteso che si realizzasse per darne conto. Il 2 febbraio si è svolto a Lampedusa il 1* Meeting internazionale “Per un mare di pace e lavoro”. È stato sottoscritto tra i sindacati presenti l’Accordo di Lampedusa. Di cosa si tratta?

L’Accordo di Lampedusa è davvero un evento storico. Perché è la prima volta che un sindacato riesce a riunire, nell’isola simbolo del problema dell’immigrazione, tutti i sindacati dei paesi del Nord Africa, di Israele e della Palestina, insieme ai rappresentanti delle religioni cattolica, musulmana, ebrea e buddista. E i sette sindacati con la Uil hanno firmato questa intesa destinata a produrre effetti importanti, e non solo nel mondo sindacale.

Qual è l’aspetto centrale dell’intesa?

Con questo accordo, le Organizzazioni sindacali firmatarie chiedono alla Confederazione europea dei Sindacati di proporre all’Unione europea l’istituzione di un Fondo in cui tutti i Paesi membri facciano confluire risorse derivanti da forme di “solidarietà fiscale”, sul modello del cosiddetto “8 per mille” attuato in Italia, da destinare alla realizzazione di progetti idonei a creare lavoro in quelle zone prostrate dall’indigenza, dalla povertà e dalla guerra. L’Unione europea dovrà farsi carico del coordinamento e della gestione di tale attività di sostegno alla crescita. Chiediamo, dunque, alle Istituzioni internazionali ed europee di affrontare con più coraggio e determinazione la questione immigrazione.

Si intende puntare molto anche sulla cooperazione: è così?

Sì, è vero. La collaborazione tra la Uil e gli altri sindacati firmatari si concretizzerà anche in un progetto di cooperazione: la prima si impegna a istituire o a rafforzare uffici o punti di Patronato; gli altri si impegnano a offrire, nelle forme possibili, il relativo supporto logistico. L’obiettivo è quello di limitare i casi di immigrazione clandestina offrendo assistenza e tutela alle persone coinvolte. Strumento principale sarebbe la realizzazione, in loco, di corsi di formazione finalizzati all’apprendimento di specifiche mansioni o di rudimenti e tecniche di autoimprenditorialità che i formati potrebbero, poi, mettere a frutto, quando le condizioni lo consentissero, nei Paesi di origine o, secondo indirizzi preventivamente individuati, in Paesi dell’Unione.

Hai dichiarato che l’appuntamento di Lampedusa è stato solo l’inizio di un percorso. Come si intende proseguire?

I Sindacati firmatari daranno continuità al Meeting di Lampedusa istituendo un Comitato permanente di monitoraggio e analisi del fenomeno migratorio e delle sue implicazioni per lo sviluppo e il lavoro, coinvolgendo in questo progetto tutti gli altri sindacati dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, organizzando, a turno, una volta l’anno, eventi analoghi nei loro territori nazionali.

Hai voluto fare un richiamo anche ad alcuni valori costitutivi della Uil: sono stati fonte di ispirazione anche per la realizzazione di questa iniziativa?

Noi crediamo che non ci sia solidarietà senza accoglienza e la UIL ha ritrovato in Lampedusa gli stessi valori della solidarietà che ha nel proprio DNA. Siamo partiti da quell’isola, con i sindacati di Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Palestina, Israele per un progetto di cooperazione con quegli stessi paesi da cui i migranti sono costretti a fuggire per i conflitti, la povertà e la fame. Il sindacato può e deve assumersi le proprie responsabilità, svolgendo il ruolo di pacificazione e di sviluppo economico. Non si possono sperperare risorse per la costruzione di muri e barriere, ma bisogna puntare sulla cooperazione, la partecipazione e l’inclusione. Solo così cominceremo ad aprire una nuova strada per la pace, la coesione e il lavoro nel mondo.

Cambiamo argomento. La Corte costituzione ha bocciato uno dei tre referendum proposti dalla Cgil, quello sull’articolo 18: ne restano altri due. Vuoi ribadire il tuo giudizio complessivo su questa vicenda?

Noi abbiamo scioperato contro la lesione dei diritti e delle tutele dei lavoratori, a testimonianza della nostra contrarietà a quelle norme e a quei provvedimenti. Tuttavia, abbiamo sempre ritenuto che, per ripristinare diritti e tutele, dovesse essere privilegiata la via della contrattazione. E, in parte, lo abbiamo anche fatto: in alcuni contratti, abbiamo reintrodotto l’articolo 18, ad esempio, in presenza di cessione di ramo d’azienda o per cambio di appalto. Peraltro, abbiamo sempre chiesto ai governi di non legiferare su alcune materie di carattere lavoristico o contrattuale e, coerentemente, dovremmo evitare di seguire la via referendaria. Anche perché, se poi non si dovesse raggiungere il quorum, ci sarebbe il rischio di non poter più intervenire sui temi in discussione neanche dal punto di vista contrattuale.

Uno dei due referendum ha ad oggetto l’abolizione dei voucher. Su questi strumenti la posizione della Uil è molto chiara. Vuoi ribadirla?

Noi vogliamo chiedere al Governo di intervenire radicalmente sui voucher. La tracciabilità non basta: vogliamo una radicale modifica dell’uso dei voucher. Bisognerà mantenerli, però, per i lavori occasionali, e cioè per quelli che erano stati previsti originariamente dalla legge Biagi, altrimenti rischiamo di ricadere nel lavoro nero per alcune tipologie di attività che, comunque, devono essere tutelate. L’estensione dell’uso ha creato abusi e anche illegalità quando, ad esempio, sono stati utilizzati per coprire le morti bianche in edilizia o in altri incidenti sul lavoro. Ci sono anche i furbetti dei voucher: quelli che li lasciano nei cassetti per usarli, poi, quando c’è qualche controllo. Insomma, è aumentata la precarietà e si è stimolata l’illegalità. Peraltro, in tutti i settori, ci sono attività lavorative per le quali non c’è bisogno dei voucher: c’è la contrattazione con i contratti a tempo determinato o stagionali. Sui lavori occasionali, invece, si può ragionare.

C’è stata, sempre nel mese di gennaio, un’altra sentenza della Consulta: quella relativa al sistema elettorale. Dopo la decisione che ha sancito la parziale illegittimità costituzionale del cosiddetto Italicum, il dibattito politico si è incentrato sulla possibilità di recarsi alle urne prima della fine naturale della legislatura. Qual è la tua opinione al proposito?

Io faccio il sindacalista e non ho tutta questa premura di andare al voto, anche perché dobbiamo affrontare alcune questioni aperte: la seconda fase della trattativa sulla previdenza, la richiesta di modifica degli ammortizzatori sociali, il completamento dei contratti del pubblico impiego, il rilancio del nostro Mezzogiorno e dell’economia del Paese. Preferiremmo, dunque, discutere di tutto ciò e trovare le necessarie soluzioni. Se ogni volta, invece, ci si deve occupare di una crisi politica e di elezioni il rischio è che tutte quelle questioni vengano rinviate.

Ritorna ciclicamente la discussione sul pubblico impiego e sui cosiddetti “furbetti”. Di recente, si è parlato di coloro che abuserebbero di alcune norme, come ad esempio la famosa legge 104. Come bisogna affrontare questo problema?

Io credo che occorra, innanzitutto, recuperare un valore: l’orgoglio di essere pubblici dipendenti. È bene ricordare, ad esempio, che molti dei lavoratori che si sono prodigati in occasione del terremoto nelle regioni del Centro Italia, portando la loro assistenza a quelle popolazioni, sono del pubblico impiego. È inaccettabile, dunque, che, per effetto di pochi sconsiderati che abusano delle leggi e della contrattazione, vengano poi denigrati tutti gli addetti del settore. Spesso i mali della PA dipendono dai mali della politica che pensa a raccogliere consensi, ma dobbiamo essere anche noi a denunciare situazioni indegne di rappresentare il lavoro pubblico. Siamo difensori di ufficio dei lavoratori, ma chiediamo che siano controllati e perseguiti coloro che abusano delle leggi di civiltà come, ad esempio, la 104.

Un’ultima riflessione. Il 27 gennaio è stata la giornata della memoria: mi sembra giusto chiudere questa intervista con un pensiero su una ricorrenza così importante.

L’orrore e l’abominio della Shoah non devono e non possono essere dimenticati. È doveroso per tutti tenere vivo nelle proprie coscienze il ricordo di quella tragedia, in cui milioni di persone vennero private della propria dignità e libertà e le cui vite furono stroncate con impietosa crudeltà.

Non solo nel giorno della memoria, ma tutti i giorni, bisogna contrastare il lato più oscuro dell’umanità e alimentare sentimenti di pace e giustizia, di rispetto per la vita, per la libertà e per la dignità di ogni singola individualità, respingendo con forza ogni tipo di discriminazione, violenza e sopraffazione. Tutti, ognuno per la propria parte, dobbiamo portare avanti un progetto concreto di impegno per costruire, insieme, una società del rispetto, della tolleranza e del dialogo.

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